GPII 1987 Insegnamenti - Con i rappresentanti della comunità ebraica della nunziatura apostolica a Buenos Aires - Argentina

Con i rappresentanti della comunità ebraica della nunziatura apostolica a Buenos Aires - Argentina

Titolo: Dobbiamo approfondire la coscienza del "vincolo" spirituale che ci unisce

Testo:

Stimati rappresentanti della comunità ebraica d'Argentina.

Vorrei innanzitutto ringraziarvi per la vostra presenza qui e per il vostro desiderio di incontrarvi con il Papa, in occasione della sua visita in questo paese, dove la vostra comunità è tanto attiva e numerosa.

L'incontro con rappresentanti della comunità ebraica costituisce, fin dall'inizio del mio pontificato, un appuntamento frequente durante le mie visite nei diversi paesi. Questo non è un fatto casuale, né frutto soltanto di un dovere di cortesia.

Sapete bene che, fin dal Concilio Vaticano II e dalla sua dichiarazione "Nostra Aetate" (NAE 4), i rapporti fra la Chiesa cattolica e l'Ebraismo sono stati posti su una nuova base, che è in verità molto antica, visto che si rimonta alla vicinanza delle nostre rispettive religioni, unite da quello che il Concilio chiama precisamente un "vincolo" spirituale.

Gli anni seguenti ed il costante progredire del dialogo da ambedue le parti, hanno approfondito ulteriormente la coscienza di quel "vincolo" e la necessità di rafforzarlo sempre nella mutua conoscenza, stima e superamento dei pregiudizi che in epoche trascorse ci hanno potuto allontanare.

La Chiesa universale e la Chiesa in Argentina sono impegnate in questo grande compito di avvicinamento, di amicizia fraterna e di collaborazione nei campi dove ciò sia possibile.

Vi chiedo che, da parte vostra, contribuiate, come già fate, a quest'apertura ed a questo reciproco avvicinamento, che ridonderà, senza alcun dubbio, nel bene delle nostre rispettive comunità religiose, così come della società argentina e degli uomini e donne che la compongono.

La pace sia con voi: shalom alehém.

Molte grazie: tôda rabâh.

1987-04-09 Data estesa: Giovedi 9 Aprile 1987




Omelia alla Messa per i consacrati e per gli operatori pastorali - Stadio "Vélez Sarsfield" di Buenos Aires (Argentina)

Titolo: Siamo chiamati ad essere gli strumenti di unità necessari per l'azione evangelizzatrice affidata alla Chiesa

Testo:

"Date al Signore, o famiglie dei popoli, date al Signore gloria e potenza" (Ps 95/96,7).


1. La liturgia che stiamo celebrando oggi, amatissimi nel Signore, ripete queste belle parole del salterio, che ci invitano a glorificare Dio per la sua azione salvifica in mezzo ai popoli e alla creazione intera.

Questo canto sgorga ora dai cuori che si sono consacrati a Dio per percorrere gioiosamente il cammino della perfezione e rendersi pienamente disponibili all'azione evangelizzatrice. Grazie per la vostra presenza e per il vostro entusiasmo, grazie per la vostra testimonianza che certamente si traduce ogni giorno in impegno di santificazione e di apostolato.

Alla vigilia della Settimana Santa, la Chiesa ci ricorda con le parole del salmista che è Cristo che prega in noi, attraverso di noi e per noi, come a voler affidare a Dio nuovamente e per sempre tutta la creazione e tutta l'umanità, come nella speranza che sia presto una realtà la restaurazione di tutte le cose in lui, "perché Dio sia tutto in tutti" (1Co 15,28). Il Signore anticipa così nella nostra vita "quell'inno che viene eternamente cantato nelle sedi celesti" (SC 83).

Fin dal giorno dell'incarnazione, Gesù, il Verbo fatto uomo, comincio la sua opera di redenzione di tutto quanto era caduto a causa del peccato, e lo affido al Padre come nuova creazione. Gesù, "con l'incarnazione si è unito in certo modo a ogni uomo" (GS 22) e lo ha trasformato in una nuova creatura attraverso la filiazione divina della quale egli stesso ci rende partecipi mediante il suo sacrificio cruento e la sua resurrezione gloriosa.


2. Veramente il Padre ha inviato il suo Figlio al mondo perché noi, uniti a lui e trasformati in lui, potessimo restituire a Dio lo stesso dono di amore che egli ci concede: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna" (Jn 3,16). A partire da questa donazione di amore, possiamo comprendere meglio e realizzare in noi la vita eterna di Dio, che consiste nel partecipare della donazione totale ed eterna del Figlio al Padre nell'amore dello Spirito Santo. Realtà sublime che san Giovanni della Croce esprimeva con le parole: "Dare a Dio lo stesso Dio in Dio" ("Llama de amor viva", canzone III).

Ho voluto ricordarvi questi ideali cristiani per ravvivare nella vostra mente e nel vostro cuore l'obiettivo finale e grandioso di tutta l'evangelizzazione. Solo l'apostolo che è innamorato di questi ideali di perfezione, saprà affrontare tutte le difficoltà trasformandole in una sequela più radicale di Cristo e in una consegna pastorale più decisa. "Dio è pienamente glorificato, nel senso che gli uomini accolgono in forma consapevole e completa la sua opera salvatrice, che ha compiuto nel Cristo" (AGD 7), ci dice il Concilio Vaticano II.

Ma vi è un ostacolo nel cuore di ogni uomo, che impedisce questo processo di unità interiore e di armonia con tutta la creazione: il peccato, la rottura con Dio, l'inimicizia con il fratello. Viviamo in una società che talvolta sembra aver perso la coscienza del peccato, proprio perché ha perso il senso dei valori dello spirito che devono animare ogni autentico umanesimo. L'uomo, uscito dalle mani del Creatore, troverà la sua piena realizzazione solo quando nella sua mente e nella sua condotta, a livello individuale e a livello sociale, assumerà la sua condizione di "immagine e somiglianza di Dio" (Gn 1,26). Il peccato, in ultima analisi, è la distruzione del dono di Dio che, mediante Cristo salvatore, ci si dona nello Spirito.


3. Cristo vince il peccato con il sacrificio della croce, "oblazione del supremo amore che supera il male di tutti i peccati degli uomini" (DEV 31). Vince, dunque, per mezzo dell'obbedienza al Padre fino alla morte, già trasformata in mistero pasquale di resurrezione (cfr. Ph 2,8-11).

Questo superamento del peccato per mezzo dell'amore è un nuovo modo di "restituire" a Dio tutte le cose e tutta l'umanità come una sua cosa. Grazie al mistero pasquale di Cristo, tutto è di Dio in senso ancor più pieno: come universo redento e restaurato in Cristo (cfr. Ep 1,10). L'uomo come persona e l'umanità intera può, in Cristo, fare della propria esistenza una donazione a Dio e agli altri.

E' doloroso riconoscere che il proprio peccato ha crocifisso Cristo che vive nel fratello; ma è consolante incontrare Cristo crocifisso, che muore amando, per distruggere il peccato e redimere l'uomo. Quest'uomo perdonato e redento, come san Paolo o sant'Agostino, è quello che può annunciare meglio a tutti il perdono e la riconciliazione.

Non è forse vero che in questa prospettiva tanto grandiosa del Vangelo si ravviva la speranza cristiana, che sa costruire la pace annunciando a tutti il perdono e la riconciliazione nella gioia di Cristo risorto?


4. La liturgia ci ha avvicinato a poco a poco alla celebrazione della Pasqua, mistero dell'Emmanuele, Dio con noi. Gesù Cristo è il Figlio di Dio che ha suggellato per sempre l'alleanza di amore fra Dio e gli uomini. "Venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,14) e condivise la nostra stessa esistenza, al punto di fare della sua morte sacrificale la fonte di una nuova vita per tutti gli uomini (cfr. Jn 7,38-39). Per Cristo e nella vita nuova dello Spirito, l'uomo può già essere restituito alla Santissima Trinità poiché dalla sua croce viene la forza della redenzione (cfr. DEV 14).

Il mondo e l'umanità intera, grazie alla morte redentrice di Cristo, il Figlio di Dio, hanno recuperato quell'equilibrio che avevano perduto con il peccato, ristabilendo la meravigliosa unità del cosmo e di tutta la famiglia umana. Grazie al mistero pasquale, tutto il mondo creato partecipa della gloria di Cristo risorto e può cantare un "canto nuovo" dei seguaci di Cristo (cfr. Ap 5,9) di cui si fa eco la nostra celebrazione liturgica: "Cantate al Signore un canto nuovo, / cantate al Signore da tutta la terra. / Cantate al Signore, benedite il suo nome" (Ps 95/96,1-2).


5. Noi tutti, qui riuniti per partecipare a questa Eucaristia, nella quale si attua il mistero pasquale per mezzo del quale Cristo ci restituisce al Padre, rivolgiamo il nostro sguardo di profonda fede al Redentore (cfr. He 12,2) per riaffermare, dal più profondo del nostro cuore, che tutti siamo di Cristo.

Siamo totalmente suoi attraverso il battesimo, vincolo sacramentale con la morte e la resurrezione del Signore, per dare così inizio a una vita nuova attraverso la quale Cristo recupera e affida al Padre tutta la nostra esistenza in una novità di vita. Per il fatto di essere battezzati, siamo già chiamati ad essere santi, dato che "tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità" (LG 40).

Siamo totalmente suoi attraverso la missione che egli ha affidato agli apostoli e a tutta la Chiesa. Questa missione "merita che l'apostolo vi consacri tutto il suo tempo, tutte le sue energie, e vi sacrifichi, se necessario, la propria vita" (EN 5).

Siamo totalmente suoi attraverso l'ordinazione sacerdotale, che sacramentalmente ci rende capaci di rappresentare Cristo, capo del suo corpo mistico, e servire così tutti i fedeli nel suo nome e con la sua autorità. Il fatto di aver ricevuto il sacramento dell'ordine esige da parte nostra una profonda identificazione con Cristo e con i misteri della nostra fede dei quali siamo dispensatori.

Siamo totalmente suoi attraverso la consacrazione religiosa e attraverso la pratica permanente dei consigli evangelici, che radicandosi in quel recupero e affidamento al Padre che il sacramento del battesimo plasmo in ciascuno di noi, imprime nel nostro essere una somiglianza con Cristo morto e risorto. Questa consacrazione a Cristo è "un segno e uno stimolo della carità e come una speciale sorgente di spirituale fecondità nel mondo" (LG 42).

Tutti noi, dunque, sacerdoti, persone consacrate, operatori di pastorale, siamo totalmente suoi, con la gioia pasquale di prolungare, ciascuno secondo la propria vocazione, la presenza, la parola, il sacrificio e l'azione salvifica di Cristo, vincitore del peccato e della morte.


6. Oggi, in questa assemblea eucaristica, tutti noi, che siamo totalmente suoi, vogliamo non solo ascoltare il suo messaggio, ma soprattutto accogliere nel nostro cuore il mandato missionario del Signore: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura"(Mc 16,15).

Questo mandato missionario di Gesù è come una dichiarazione di amore, in quanto egli ci affida ciò che ha di più caro: l'incarico ricevuto dal Padre di redimere l'umanità caduta. Se egli dono la sua vita per adempiere alla sua missione salvifica, noi, che siamo totalmente suoi, riceviamo questo incarico dalle mani della Chiesa per condividere con lui la nostra vita.

La consacrazione che si è realizzata in noi attraverso il battesimo costituisce la fonte primaria di questa chiamata all'apostolato, all'evangelizzazione. "Essendo tutta la Chiesa missionaria ed essendo l'opera di evangelizzazione un dovere fondamentale del popolo di Dio" (AGD 35). Per questo "evangelizzare non è mai per nessuno un atto individuale e isolato, ma profondamente ecclesiale" (EN 60).

Inoltre, quanti abbiamo ricevuto il sacerdozio ministeriale, siamo, in virtù di un titolo nuovo, particolarmente obbligati all'apostolato e all'evangelizzazione mediante il ministero della Parola e dei sacramenti. Per noi servire l'azione evangelizzatrice della Chiesa costituisce un pressante, anche se piacevole, dovere. Siamo strumenti validi ed efficaci dell'azione del Cristo stesso, buon pastore, nelle anime: siamo gli strumenti di unità necessari per l'azione evangelizzatrice che il Signore ha affidato alla Chiesa.

La chiamata divina alla professione religiosa, alla pratica permanente dei consigli evangelici, apre nuovi cammini all'apostolato della Chiesa, e da essa emanano nuove energie per l'evangelizzazione. La persona consacrata deve essere un segno trasparente, il latore dell'offerta del mondo a Dio. E' anche un'espressione viva della povertà di Cristo che si spoglio di tutto e si fece "obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Ph 2,8). Attraverso questa consacrazione al Signore si manifesta chiaramente l'immolazione di Cristo in ossequio alla volontà salvifica del Padre. Da qui proviene la misteriosa fecondità apostolica della vita consacrata, come segno efficace di evangelizzazione. Coloro che sono chiamati a questa consacrazione, che si collocano nel dinamismo della Chiesa, "sono per eccellenza volontari e liberi per lasciare tutto e per andare ad annunziare il Vangelo fino ai confini del mondo" (EN 69).


7. Il Vangelo è proclamato per mezzo di parole vive, di gesti di vita. Ed è proclamato specialmente mediante la testimonianza di una donazione totale a Dio, affidando a lui la creazione intera in una donazione sponsale alla causa del regno di Dio, che Cristo ha instaurato nella storia dell'uomo. Questa missione salvifica di "restituire" e "affidare" a Dio tutte le cose, Cristo vuole condividerla con tutti coloro che si rendono disponibili a seguirlo e ad impregnarsi del Vangelo fin nel più profondo della propria esistenza. Condividere la missione di Cristo presuppone l'atteggiamento sponsale di donarsi rischiando tutto per lui. La partecipazione all'apostolato della Chiesa, nella sua missione universale, nasce dall'"amore sponsale per Cristo che diventa in modo quasi organico amore per la Chiesa come corpo di Cristo, per la Chiesa come Popolo di Dio, per la Chiesa che è insieme sposa e madre" ("Redemptoris Dominum", 15).

L'atteggiamento di associazione e di fedeltà sponsale a Cristo vi trasforma dunque in espressione di una Chiesa che, come Maria, ascolta, prega, ama. Voi, gli apostoli di tutte le epoche, e anche i vostri sacerdoti, persone consacrate e operatori di pastorale in Argentina, avete bisogno di una profonda esperienza di cenacolo con Maria, per ricevere nuove grazie dallo Spirito Santo e per poter affrontare le nuove situazioni di evangelizzazione nel mondo di oggi.

Questo è stato il mio invito nell'enciclica "Dominum et Vivificantem" (cfr. DEV 25-26), come già nella mia prima enciclica "Redemptor Hominis" (cfr. RH 22), sulla scia del Concilio Vaticano II (cfr. LG 59 AGD 4). L'Anno Mariano, che sta per cominciare, vi offre un'occasione straordinaria per dare un nuovo impulso alla vostra vita secondo questa prospettiva evangelica.


8. Da voi il Signore si attende che sappiate predicare il suo messaggio con parole piene di vita, ad immagine dello stesso Vangelo, poiché la vostra esistenza sarà parola evangelica nella misura in cui sgorgherà spontaneamente dalla vostra donazione interiore. Dunque il vostro apostolato si farà fecondo e "credibile" poiché il mondo si attende da noi un impegno di vita e una testimonianza di preghiera, come vuole sottolineare l'incontro di Assisi dello scorso anno.

Predicare il Vangelo in questo modo diventa un "motivo di gloria" (cfr. 1Co 9,16), come ci dice san Paolo nella seconda lettura di questa celebrazione eucaristica. Ma, proprio per questo, l'annuncio del Vangelo deve essere per noi un'urgenza impellente, un dovere santo, come confessa lo stesso Apostolo: "Guai a me se non predicassi il Vangelo!" (1Co 9,16). Si, guai a me, guai a noi se non sappiamo presentare oggi il Vangelo ad un mondo che, nonostante le apparenze, continua ad avere "fame di Dio"! (cfr. RH 18).

Così dunque, amatissimi fratelli e sorelle, in questo penultimo venerdi di Quaresima, rivolgiamo il nostro sguardo pieno di speranza al mistero pasquale della croce e della resurrezione di Cristo, espressione suprema del suo amore redentore. Il Signore vi benedice con un incremento delle vocazioni apostoliche, sacerdotali e di vita consacrata. E' questo un suo dono, per il quale dovete rendere grazie e con il quale dovete collaborare giorno per giorno. E' necessario manifestare, sia nella vita personale che nella vita comunitaria "la gioia di appartenere esclusivamente a Dio" ("Redemptoris Donum", 8). Ma questa gioia, che è gioia pasquale, nasce da un cuore innamorato di Cristo, privato dei beni di questo mondo, immolato con il Signore sulla croce e disposto a condividere nella vita con i fratelli i doni del suo amore. Molti giovani e molte giovani si sentiranno chiamati a questa sequela di Cristo, se vedranno in voi il segno dell'amore, il volto di Cristo che accoglie, che aiuta, che riconcilia, che salva.


9. Vivete nella speranza, senza lasciarvi vincere dallo sconforto, dalla stanchezza, dalle critiche. Il Signore è in voi, poiché vi scelse come suoi strumenti affinché, in tutti i campi dell'apostolato, diate molto frutto e il vostro frutto rimanga (cfr. Jn 15,16).

Tutti voi che lavorate come "operatori di pastorale" troverete senza dubbio nel prossimo Congresso Nazionale di Catechesi un campo concreto di pianificazione e di azione evangelizzatrice per il rinnovamento ecclesiale. Una catechesi ben orientata è la base per una vita sacramentale, personale, familiare e sociale, poiché ogni azione apostolica e specialmente la catechesi è "aperta al dinamismo missionario della Chiesa" (CTR 24). Vi invito tutti a lavorare insieme per una evangelizzazione permanente.

Chiesa in Argentina! "Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, e la gloria del Signore brilla sopra di te" (Is 60,1).

Queste parole del profeta Isaia ci ricordano la liturgia dell'Epifania o manifestazione del Signore a tutte le genti. Oggi, in questa celebrazione eucaristica a Buenos Aires, la Chiesa si avvicina alla Pasqua del Signore. La risurrezione di Cristo sarà il momento culminante in cui si realizzano queste parole. Il Signore si manifesterà nel suo mistero della croce e della risurrezione; egli risplenderà con la luce della verità per convocare tutti i popoli con la forza dello Spirito: "Cammineranno i popoli alla tua luce" (Is 60,3).

Chiedo a Dio che l'Argentina cammini alla luce di Cristo! Procedete saldi, decisi; il Signore vi tiene per mano e v'illuminerà con la sua luce perché non inciampi il vostro piede! (cfr. Ps 90/91,12).

Quando le società dell'opulenza e del consumo attraversano una grave crisi di valori dello spirito, la vostra Chiesa, la Chiesa di tutta l'America Latina, se mantiene la sua fedeltà a Cristo, potrà essere luce che illumina il mondo perché cammina sul sentiero della solidarietà, della semplicità, delle virtù umane e cristiane che sono il vero fondamento della società, della famiglia, della pace nei cuori.

Da qui il vostro impegno evangelizzatore; la vostra missione di essere luce per illuminare quanti sono nelle tenebre. Siete stati chiamati, cari fratelli e sorelle, per sentire dentro di voi e vivere con tutte le conseguenze il motto di san Paolo che si trasforma in un esame quotidiano: "Guai a me se non predicassi il Vangelo!" (1Co 9,16).


10. Siete stati chiamati e attratti dall'esempio di amore di Cristo stesso e anche dall'esempio di san Paolo e di tanti santi e sante, apostoli e fondatori, per farvi deboli con i deboli, per poter essere "tutto e tutti per salvare ad ogni costo qualcuno" (1Co 9,22). A questa chiamata avete risposto con l'amore al Vangelo, con l'amore a Gesù stesso, "per diventarne partecipi" (1Co 9,23).

Che il vostro cuore, dunque, si apra con questa gioia e speranza annunciata dal profeta Isaia e compiuta in Gesù qui e adesso (cfr. Is 60,5).

Con le parole del salmo, lodate il Signore, "in mezzo ai popoli narrate la sua gloria. Il Signore regna" (Ps 95/96,10). Si, Cristo crocifisso regna. Con la sua croce e resurrezione Cristo è il centro della creazione, Signore della storia, redentore dell'uomo. Egli ci ha dato una vita nuova che procede da Dio e che è partecipazione alla sua stessa vita trinitaria di donazione.

Che la beatissima Vergine di Lujan diventi per voi la Vergine del "si", la Vergine della fedeltà generosa e della donazione totale alla missione; e che ella sia anche la Vergine della speranza, che dovete annunciare e comunicare a tutti i fratelli facendola innanzitutto realtà nei vostri cuori. così sia.

1987-04-10 Data estesa: Venerdi 10 Aprile 1987




Incontro con la comunità ucraina - Cattedrale di nostra Signora del Patrocinio a Buenos Aires (Argentina)

Titolo: "Ucraini cattolici e ortodossi ravvivate la nostalgia dell'unità"

Testo:

Sia lodato Gesù Cristo! Cari fratelli e sorelle in Gesù Cristo, Fedeli ucraini in Argentina! 1. Non solo per voi - come ha detto il vostro Vescovo - ma anche per me è una grande gioia l'odierno incontro, in questa bella Cattedrale del Patrocinio della Vergine santissima Madre di Dio, patrona di questo tempio e della vostra eparchia ucraina in Argentina.

La mia gioia ed esultanza è tanto più grande in quanto la visita avviene alla vigilia del grande avvenimento, che è il giubileo per il millennio del battesimo dell'antica Rus' di Kiev.

Questo straordinario avvenimento che coinvolge direttamente anche il popolo ucraino e la vostra Chiesa è già così vicino, che, con questo incontro, voi volete incominciare ufficialmente, nella vostra eparchia, i festeggiamenti di questo storico giubileo.


2. L'occasione per iniziare i festeggiamenti del giubileo è data da un importante avvenimento storico, il fatto, cioè, che proprio mille anni fa, nell'anno 987, ricevette il sacramento del battesimo il Grande Principe di Kiev Volodymyr, chiamato nel battesimo Basilio.

La conversione alla fede cristiana di questo grande sovrano di Kiev accelero poi l'accettazione globale del Cristianesimo nell'anno 988. Poiché, come testimoniano le recenti ricerche storiche, già prima esistevano comunità cristiane, sia nella città capitale di Kiev, sia nelle terre meridionali della Rus'.

E' utile sottolineare, miei cari fratelli ucraini, che il Cristianesimo fu accolto e si consolido nella Rus' di Kiev, quando tutta la Chiesa di Cristo viveva ancora in piena unione ecclesiale. Era un cristianesimo ortodosso nella fede e, nello stesso tempo cattolico nella carità, poiche era in piena comunione con la sede apostolica di Pietro, e con tutta la Chiesa. Tra Roma e Kiev divenuta cristiana vi furono diretti contatti; già nell'anno 988, come sembra probabile, giunse presso il grande Principe Volodymyr una missione inviatagli dal nostro predecessore Papa Gregorio V, con le reliquie dei santi, come dono del Papa per il nuovo governante cristiano dell'Europa orientale. Simili missioni si ripeterono negli anni successivi in modo scambievole.

Il doloroso e fatale processo di progressiva alienazione fra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, si ripercosse e si riprodusse nella Chiesa chiovense solo più tardi. Fra il cristianesimo di Occidente e quello costantinopolitano è forse, nel complesso, più appropriato parlare di "separazione di fatto" che di "rottura formale". Una tale rottura, comunque, mai avvenne fra Roma e Kiev.

La piena comunione un tempo vissuta si oscuro progressivamente, a motivo dell'allentarsi delle relazioni dovuto a vari avvenimenti politici. Ma la nostalgia di tale comunione, rimasta più viva nei territori maggiormente a contatto con il mondo latino, porto, come è noto, una parte del popolo a proclamare a Brest, l'unione con la Sede di Roma.

In questa unione, fra difficoltà oggettive e varie incomprensioni, si espresse in quel tempo, e in quella forma, l'inestinguibile anelito alla ricomposizione della piena unità.

Anche oggi, secondo modalità nuove che lo Spirito ci svela, ricerchiamo con rinnovata energia le vie per giungere all'unione.

Tale compito non può lasciare indifferenti voi, fratelli carissimi della Chiesa cattolica ucraina, che portate la vocazione ecumenica iscritta, anche nel dolore, nella carne della vostra stessa esistenza.

In questo inizio dei festeggiamenti del millennio mi rivolgo a tutti i fratelli, cattolici ed ortodossi, viventi in questo Paese, che devono agli avvenimenti ricordati l'origine della loro fede: cari fratelli, ripensando all'origine comune della vostra storia e della vostra fede, nella memoria del battesimo del vostro comune padre Vladimiro, ravvivate, per il bene di tutta la Chiesa, la nostalgia dell'unità. Ricercate appassionatamente quell'unità donata ai vostri padri, mille anni orsono, nell'avvenimento meraviglioso del battesimo nelle acque del Dnieper.


3. Il secondo lieto avvenimento storico, cari fratelli e sorelle in Cristo, che voglio ricordare durante questo incontro di oggi, è il novecentocinquantesimo anniversario della consacrazione di Kiev e di tutta la Rus' alla protezione della santissima Vergine "sollecita ausiliatrice dei cristiani", che fece il grande Principe Jaroslav Mudryj nell'anno 1037.

Il miglior modo di far risaltare oggi qui nella vostra eparchia un così caro anniversario della vostra storia è l'odierna incoronazione della bellissima icona della Vergine santissima che domina nel santuario della vostra Cattedrale.

Questa incoronazione ha luogo proprio nel novantesimo anniversario della emigrazione ucraina in Argentina e nel venticinquesimo della vostra eparchia. Sono lieto di compiere oggi qui questo atto di amore e di riconoscenza alla Vergine santissima per la sua protezione su di voi durante tutto questo tempo della vita della vostra comunità ucraina in Argentina. L'ho fatto con grande amore alla Madre di Dio, ed in questa occasione affido tutti voi alla sua materna protezione.


4. Uno speciale saluto rivolgo a voi giovani ucraini, che così numerosi siete venuti a questo storico incontro con il Papa per dare inizio ai festeggiamenti del giubileo del millennio del battesimo della Rus' di Kiev.

Io vi guardo con affetto, cari giovani, come l'avvenire della Chiesa e della società. La divina Provvidenza vi chiama all'edificazione del secondo millennio della storia cristiana del vostro popolo.

Aprite le vostre menti e i vostri cuori a Cristo! Offritevi al suo servizio ed al servizio della sua Chiesa! In questa terra ospitale dell'Argentina camminate assieme, seguendo gli orientamenti del Concilio, per avvicinarvi sempre più sulla scia del movimento verso cui lo Spirito spinge le Chiese tutte, alla piena unione nel Signore con i nostri fratelli ortodossi.


5. Rivolgendomi ai pastori e fedeli di rito latino e degli altri riti orientali in terra di Argentina, vorrei invitarvi ad abbracciare insieme con me, con fraterno affetto, tutta la comunità cattolica ucraina affinché essa senta, in questa felice occasione dei festeggiamenti del millennio, che tutta la Chiesa cattolica partecipa alla sua gioia come alle sue sofferenze.

Come pegno delle grazie più elette di Dio e della protezione su di voi di Maria santissima, accogliete - cari fratelli e sorelle ucraini - la mia benedizione per voi qui presenti, per tutti i fedeli di questa eparchia, disseminati nell'intera Argentina e per i vostri fratelli che vivono nella diaspora e nella patria di origine. La benedizione apostolica vi accompagni nei vostri festeggiamenti del millennio, nella certezza che questi apporteranno alla Chiesa grandi frutti di cristiana santità e numerose vocazioni sacerdotali e religiose.

1987-04-10 Data estesa: Venerdi 10 Aprile 1987




L'incontro con il mondo del lavoro nel "Mercado Central" - Buenos Aires (Argentina)

Titolo: Il lavoro è una chiamata

Testo:

Cari lavoratori e lavoratrici! Carissimi uomini e donne che realizzate il vostro lavoro quotidiano per il bene della nobile terra argentina! Lodato sia Gesù Cristo! 1. E' grande la mia gioia nel trovarmi tra persone che dividono la condizione comune di lavoratori! Con tutta franchezza posso dirvi che mi sento particolarmente vicino al mondo del lavoro, e in più. mi considero uno di voi! Per questo, perché sono con voi e vi capisco, mi rallegro di avere oggi quest' incontro. Se fosse possibile mi piacerebbe parlare con ognuno salutare personalmente tutti, chiedervi delle vostre famiglie, del vostro lavoro, delle vostre gioie, delle vostre pene. Tutto questo lo porto nel cuore.

Qualche volta ho detto che quegli anni come operaio, nel cantiere di un'impresa chimica, furono per me una nuova lezione sul Vangelo. E' vero perché in quell'ambiente, in quell'epoca di sforzo lavorativo, mi è stato possibile constatare la profonda relazione di solidarietà esistente tra il Vangelo e la problematica dell'attività umana ai nostri tempi. Non è una semplice constatazione teorica, e una gaia realtà umana e cristiana che la Chiesa, già alle soglie del terzo millennio, ha la grave responsabilità di diffondere, perché sia conosciuta e vissuta da uomini e donne del mondo del lavoro. In questo giorno vi incoraggio perché ognuno, ognuna, faccia "lo sforzo interiore dello spirito umano, per dare al vostro lavoro il significato che esso ha agli occhi di Dio" (cfr. LE 24).

Il lavoro è come una "vocazione" o chiamata che eleva l'uomo a essere partecipe dell'azione creatrice di Dio. E' il mezzo che Dio offre all'uomo per "sottomettere" la terra, scoprire i suoi segreti, trasformarla, goderla e, in questo modo, arricchire la propria personalità. Il suo modello sarà Cristo il Redentore dell'uomo, che, non avendo disdegnato di trascorrere gran parte della sua esistenza nella bottega di un artigiano, riscatto lo sforzo e la dignità del lavoro, trasformandolo per sempre in strumento di redenzione.


2. Nelle lettere che molti di voi hanno inviato a Roma in occasione di questa visita pastorale, avete voluto manifestare circostanze, aneliti, situazioni dolorose e, anche, le speranze che riempiono i vostri cuori.

Nei miei frequenti incontri con i lavoratori di tutto il mondo, sento parlare a volte di motivi di tristezza, scoraggiamento, disperazione, originati in gran parte da una crescente disoccupazione. E' vero che il mondo del lavoro presenta gravi motivi di preoccupazione. Li conosco bene. Ma non è meno vero che tali motivi non debbono condurvi alla sconfitta, alla passività, alla mancanza di speranza. La nostra fede cattolica ci dà sufficienti motivi per non disperare mai, per difficile e dura che possa sembrare qualunque situazione.

Nell'Enciclica "Laborem Exercens", segnalavo al mondo produttivo un obiettivo concreto e chiaro: ottenere che l'attività umana miri, soprattutto, ai valori personali. "In caso contrario, in tutto il processo economico sorgono necessariamente danni incalcolabili e danni non solo economici, ma prima di tutto danni nell'uomo". Oggi vi invito inoltre a non accontentarvi di una visione povera e deformata del lavoro; il mio augurio è che penetriate nella profonda ricchezza che può avvicinarvi alla vita, allo spirito di ciascuno. Da come lo intenderete dipende, in buona parte, non solo il senso della vostra vita, ma anche il raggiungimento e i frutti del vostro associazionismo lavorativo o impegno sindacale.

Siete consapevoli che quando il mondo socioeconomico si organizza in funzione esclusiva del guadagno, questo va a detrimento delle dimensioni umane.

Ciò può portare al disinteresse per la qualità del lavoro e pregiudica la tanto desiderata coesione e solidarietà tra i lavoratori. Alcuni pretendono che l'unico movente della vostra vita siano il denaro e il consumo; se vi lasciate polarizzare esclusivamente da questo motivo, siete incapaci di scoprire il grande contenuto della realizzazione personale e del servizio che racchiude la vostra attività professionale.

Per questo, insisto che non vi accontentiate di obiettivi facilmente raggiungibili, la cui unica finalità si riduca ad un accordo collettivo sulle retribuzioni e sulla diminuzione delle ore lavorative. Dinanzi ai problemi delle società moderne, neanche potete accettare che i maggiori sforzi dell'associazionismo lavorativo, si riducano in sterili litigi politici, che talvolta strumentalizzano le vostre aspirazioni con il fine di raggiungere posizioni vantaggiose. E' giusto che esista una nobile contesa sindacale, tesa a raggiungere gli obiettivi propri del mondo del lavoro, rivolta a rafforzare la solidarietà e ad innalzare il livello di vita materiale e spirituale dei lavoratori. E' vero che l'intima relazione esistente tra il mondo del lavoro e la vita politica - il cosiddetto "imprenditore indiretto" - richiede un costante contatto e dialogo tra lavoratori e politici. Dev'essere sempre un dialogo costruttivo, che non miri soltanto a interessi di parte, ma al bene di tutta la grande famiglia argentina, in prospettiva latinoamericana ed anche mondiale.


3. Il vostro paese, la vostra società, gode di un forte e dinamico associazionismo del lavoro che, come sapete, costituisce un "indispensabile elemento della vita sociale". Ma tale elemento pur essendo indispensabile, non può essere identificato con la lotta tra classi sociali; tale concezione è ideologicamente e storicamente insufficiente, le sue peggiori conseguenze finiscono per ricadere sugli uomini e sulle donne del mondo del lavoro.

"Il lavoro ha come sua caratteristica che, prima di tutto, esso unisce gli uomini, ed in ciò consiste la sua forza sociale: la forza di costruire una comunità".

Così i frutti del vostro associazionismo devono essere sempre costruttivi, in modo che tutte le sue potenzialità siano al servizio della persona della famiglia e dell'intera società, e non siano utilizzate contro la comunità e contro l'uomo stesso. La grande meta del sindacato deve essere lo sviluppo dell'uomo, di tutti gli uomini che lavorano e per questo: "sono necessari sempre nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro". Il Papa vuole incoraggiarvi a compiere un ulteriore passo verso la solidarietà, incoraggiarvi perché i vostri sforzi siano promotori ogni volta di più, della dignità inalienabile dell'uomo, di ciascun uomo, di ciascun lavoratore, e che contribuisca sempre alla sua realizzazione personale. Solo così compirete la vostra missione di promuovere e difendere "gli interessi vitali degli uomini impiegati nelle varie professioni".

Sarebbe un peccato che mancasse la solidarietà tra i lavoratori, quando le condizioni del lavoro diventano sgradevoli e quando crescono gli abusi e l'arroganza in coloro che, dalle loro vantaggiose posizioni, si attribuiscono dei diritti che non spettano loro in alcun modo. Né deve mancare la solidarietà in quelle ampie zone di miseria e di fame, vale a dire di trattamento inumano dei lavoratori e delle loro famiglie; anche là deve giungere la forza dell'associazionismo lavorativo per creare delle condizioni che consentano alle persone di uscire dalla loro penosa situazione.

Dovunque si trovino un padre o una madre di famiglia che per le loro circostanze non possono adempiere al compito di procacciarsi i mezzi di sussistenza per vivere dignitosamente con i loro cari anche là deve arrivare la solidarietà degli uomini e donne che lavorano.


4. Vi pare logico che la solidarietà lavorativa resti inattiva o si proponga solo obiettivi di facile raggiungimento, quando sono tanto urgenti le necessità di molti lavoratori? Nessun cristiano dovrebbe restare insensibile dinanzi alla necessità altrui, perché sa che gli occhi di Dio, il valore della sua condotta dipende - dall'amore che offre ai fratelli (cfr. Mt 25,35-40). E se la carità è il nostro supremo comandamento, come si può restare con le braccia incrociate, dinanzi alle ingiustizie, se la giustizia è il presupposto fondamentale e il primo frutto della carità? Il servizio che la vostra forza associativa può prestare all'uomo - e con lui alla comunità - richiede ad ognuno di voi un impegno categorico che vi induca a dire basta! a quanto rappresenta una chiara violazione della dignità del lavoratore.

Basta, a un conformismo riduttore che non si proponga altri obiettivi per l'associazionismo del lavoro, che la retribuzione monetaria e l'ampliamento del tempo libero, trascurando qualunque dialogo il cui tema centrale sia la persona e la sua dignità nella vita e nella professione.

Basta, ad alcune situazioni nelle quali i diritti del lavoro siano fortemente subordinati a sistemi economici che perseguono esclusivamente il massimo profitto, senza tener conto della qualità morale dei mezzi che impiegano per ottenerlo.

Basta, a un sistema lavorativo che costringe le madri di famiglia a lavorare molte ore fuori casa e a trascurare le faccende domestiche- che non valorizza sufficientemente il lavoro agricolo; che emargina gli handicappati; che discrimina gli emigranti.

Basta, a una situazione nella quale il diritto al lavoro sia soggetto all'arbitrarietà di situazioni economiche o finanziarie transitorie che non tengono conto che il pieno impiego delle forze lavorative dev'essere l'obiettivo prioritario di ogni organizzazione sociale.

Basta, alla fabbricazione di prodotti che minacciano la pace e attentano gravemente alla moralità pubblica, ed anche alla salute di determinati settori della popolazione.

Basta, anche alla iniqua distribuzione degli alimenti nel mondo; alla mancanza di riconoscimento sistematico dell'associazionismo lavorativo in non pochi paesi della terra; e, in quest'anno internazionale dei "senza tetto", basta, anche alla situazione vergognosa e che esige giustizia, degli indecorosi alloggi dei lavoratori in tanti sobborghi delle grandi città.

Ma non dimenticate che quell'impegno acquista la sua forza, soprattutto, in un'azione di solidarietà personale: bisogna superare la tendenza all'anonimato nelle relazioni umane: bisogna fare uno sforzo positivo, per trasformare la "solitudine" in "solidarietà", cercando momenti di scambio, di comprensione, di fiducia, di mutuo aiuto, di promozione dell'amicizia.


5. L'obiettivo fondamentale del vostro impegno dev'essere umanizzare l'attività economica e il mondo del lavoro, e per questo, dovete, ottenere che poco a poco le relazioni di lavoro siano ogni volta più conformi a ciò che l'Enciclica "Laborem Exercens" ha definito "fondamentale struttura di ogni lavoro", che è una struttura di unità, collaborazione e solidarietà.

Un principio fondamentale di quest'azione di solidarietà nell'associazionismo consiste nella decisione cosciente di "considerare l'uomo non in quanto utile o inutile al lavoro, ma considerare il lavoro in relazione all'uomo, a ciascun uomo; considerare il lavoro in quanto utile o inutile all'uomo" (Discorso all'Organizzazione Internazionale del Lavoro, 12 giugno 1982).

La solidarietà è precisamente aprire spazi alle persone nella società nell'attività lavorativa, perché in quest'ambito di vita fondamentale tutti possano muoversi con la coscienza e la responsabilità di agire come persone.

La forza del lavoro è molto grande, e quando si impiega positivamente, è capace di trasformarsi in un fattore fondamentale per costruire una comunità nella quale i principali problemi sociali vengano risolti secondo i principi di equità e giustizia.

Sforzandovi di essere solidali, poco a poco riuscirete a contenere gli effetti della degradazione o dello sfruttamento, e i sindacati saranno un esponente nella costruzione della giustizia sociale, del riconoscimento dei giusti diritti dei lavoratori e della dignità e del bene vero della società (cfr. LE 20). Allora, senza confondere la vostra azione di solidarietà con l'attività politica voi soltanto mediante l'associazionismo sindacale, ingerirete sulla società in modo più incisivo di quanto si pretende di agire direttamente nella vita politica.

Anche per questo, lo sapete benissimo, non dovete permettere che i vostri sforzi si trasformino in una specie di "egoismo" di gruppo o di classe.

Anche quando la finalità di una determinata azione sia la salvaguardia dei diritti di una persona o categoria lavorativa, quell'obiettivo non deve essere in contrasto con il bene comune di tutta la società. Non dimenticate poi la solidarietà verso quelle persone che, per diverse circostanze, non partecipano della vostra forza associativa; l'appoggio ai più deboli sarà prova che la vostra solidarietà è autentica.


6. Nel Vangelo del lavoro abbiamo l'esempio più convincente di solidarietà: Dio onnipotente che, con la sua grandezza trascende totalmente gli uomini, per amore, per solidarietà!, si fa uomo, e vive come chiunque altro una vita di lavoro. Gesù Cristo è il migliore esempio di solidarietà senza frontiere, che i lavoratori sono chiamati a seguire e imitare. Dovunque un uomo o una donna svolgono la loro attività, lavorano e soffrono, là è presente Cristo.

La Chiesa, fedele al suo divino Fondatore, ha rispettato e promosso sempre la dignità del lavoro. E lo ha fatto rivendicando il ruolo fondamentale che compete al lavoro dell'uomo nei disegni di Dio; lo ha fatto esaltando le mete che l'intelligenza umana ha saputo raggiungere, specialmente nel campo della scienza e della tecnica; lo ha fatto mostrando la sua predilezione verso tutti i lavoratori e, in particolare, verso i più duramente provati dalla fatica, come gli operai e i contadini; lo ha fatto accogliendo e tutelando le loro petizioni, i loro interessi e le loro legittime aspirazioni, lo ha fatto avvicinandosi al mondo del lavoro, tanto nelle "baraccopoli" come nei loro umili tuguri, o nei loro alloggi confortevoli, per assisterli materialmente e spiritualmente, preservarli dai molti pericoli, tutelare il loro senso morale e sociale, e migliorare le loro condizioni di vita.

Oggi è il Papa che viene a voi per onorare nelle vostre persone i servitori del grande lavoro, al quale tutti siamo chiamati, di trasformare il mondo secondo i disegni divini, per scoprire nei vostri volti i caratteri di Gesù di Nazareth, e per esortarvi a rispondere con profondo senso di responsabilità alla missione alla quale Dio vi ha chiamato come costruttori dell'Argentina di oggi e di domani.

Mostratevi degni di questa chiamata. Siate sempre consapevoli della vostra dignità di lavoratori e argentini, e collaborate con tutte le forze vive del paese, per affrontare in maniera solidale e costruttiva il vostro impegno di cristiani e cittadini.

In nome di Gesù, l'operaio di Nazareth, vi benedico tutti di cuore.

1987-04-10 Data estesa: Venerdi 10 Aprile 1987





GPII 1987 Insegnamenti - Con i rappresentanti della comunità ebraica della nunziatura apostolica a Buenos Aires - Argentina