GPII 1987 Insegnamenti - Alla "plenaria" della Congregazione per il Culto Divino - Città del Vaticano (Roma)

Alla "plenaria" della Congregazione per il Culto Divino - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La liturgia deve restare viva senza lasciarsi modellare secondo la fantasia di ciascuno

Testo:

Signori Cardinali, Cari fratelli nell'episcopato, e cari amici della Congregazione per il Culto Divino.


1. Sono felice di ricevervi in occasione della vostra assemblea plenaria. Le relazioni che vi sono state presentate manifestano come i lavori di questo Dicastero siano stati intensi dalla precedente riunione plenaria dell'ottobre 1985. Alcuni di questi lavori sono giunti al loro termine, mentre altri continuano. Accennerei solamente la nuova edizione tipica del rito del matrimonio, del rito delle ordinazioni; l'elaborazione di un corpus completo del rito romano, che segnerà la conclusione della revisione di quello del 1614, conformemente alla direttiva della costituzione conciliare "Sacrosantum Concilium". Penso anche al martirologio romano che bisognava rielaborare con una preoccupazione di verità storica che, lontano dall'indebolire la devozione verso i santi, contribuisce altresi a farla aumentare nel popolo cristiano. Cito ancora la preparazione in corso di un supplemento biblico e patristico per la liturgia delle ore. Infine gioisco del fatto che la pubblicazione di un insieme di messa in onore della beata Vergine Maria abbia preceduto di qualche mese l'inizio dell'anno mariano.


2. Accanto ai testi liturgici c'è il problema più ampio e anche importante dell'adattamento della liturgia. Secondo le istruzioni del Concilio, la liturgia deve restare viva, senza comunque lasciarsi modellare a piacimento della fantasia di ciascuno. E' l'oggetto delle orientazioni preparate dalla vostra congregazione per l'inculturazione della liturgia nelle mentalità e nelle tradizioni popoli e, inoltre, per l'adattamento delle celebrazioni liturgiche destinate ai giovani. Si, l'importante è ricercare una partecipazione attiva, giustamente domandata dal Concilio, essendo chiaro che non si tratta solamente di mirare ad un tipo di attività esteriore, nè un'espressione di ordine puramente sensibile, ma di partecipare intimamente al mistero di Cristo, che ci chiama a seguirlo in obbedienza totale al Padre e nel dono che egli fa di se stesso per la nostra salvezza e la salvezza del mondo. Nel corso della vostra riunione avete esaminato principalmente le questioni concernenti la celebrazione della domenica, là dove il prete non può essere presente la settimana santa, e le manifestazioni artistiche organizzate nei luoghi di culto.


3. Come celebrare il giorno del Signore in una comunità cristiana privata del suo prete? E' una situazione frequente da molto tempo in paesi di missione. E' una situazione che conoscono ora molti paesi di antica cristianità, in seguito alla diminuzione del numero dei preti. Non bisogna mai rassegnarsi a questa assenza, poiché la presenza del prete è necessaria per il mantenimento e lo sviluppo delle comunità cristiane locali. Il risveglio delle vocazioni in queste comunità deve essere una preoccupazione primordiale. Ma bisogna pure far fronte e andare incontro il meglio possibile il bene spirituale dei fedeli. Ora, uno dei punti essenziali di riferimento dei cristiani, dove essi attingono insieme luce e forza, è, dall'origine, l'assemblea domenicale, la riunione dei fedeli nello stesso luogo per celebrare il Signore resuscitato. Ciò non si può fare pienamente se non nella celebrazione del sacrificio eucaristico, che è il memoriale della morte e della resurrezione di Cristo, nella lode, l'azione di grazia e la supplica.

I fedeli che non possono, per mancanza di preti, partecipare ad una messa parrocchiale, devono comunque potersi riunire, anch'essi, in preghiera di lode e di domanda, nell'ascolto della parola di Dio, e se possibile nella comunione al pane eucaristico consacrato al momento di una messa precedente.

Questa forma di celebrazione non rimpiazza la messa, ma deve farla desiderare di più. E' per una piccola comunità di fedeli, un mezzo, certo imperfetto, di mantenere concretamente la sua coesione e la sua vitalità, di mantenere i suoi legami, di domenica in domenica, con l'intera Chiesa che Dio non cessa di riunire e che oggi presenta, da Oriente ad Occidente, in tutto il mondo, un'offerta pura (cfr. terza preghiera eucaristica).


4. Un altro tema ha attirato la vostra attenzione: la Settimana Santa. Ecco che da più di trent'anni la veglia pasquale dapprima, poi l'insieme della Settimana Santa, sono stati reinstaurati nella Chiesa romana, e questa restaurazione fu accolta allora con entusiasmo.

Oggi, è buono fare il bilancio, valutare eventualmente l'aumento di interesse o di partecipazione in certe regioni, le difficoltà esistenti o che sono sorte su certi punti, e ricordare l'importanza della Grande Settimana dove la Chiesa intera celebra il mistero pasquale. "Come la domenica costituisce l'apice della settimana, così la solennità della Pasqua costituisce l'apice dell'anno liturgico" (Norme universali dell'anno liturgico, 18). Seguendo passo passo il Salvatore dalla sua entrata messianica a Gerusalemme, la Domenica delle Palme, fino alla sua deposizione dalla croce, la sera del Venerdi Santo, la Chiesa si incammina verso la notte santa nella quale il Signore è resuscitato e che deve essere considerata come la madre di tutte le sante veglie (Norme universali dell'anno liturgico, 21).

Vuol dire che una preparazione è necessaria lungo tutta la Quaresima, nella preghiera comune, l'ascolto della parola di Dio, la pratica della penitenza.

Ciò domanda in particolare ai pastori una preoccupazione vigilante per preparare i cuori all'incontro di Cristo Salvatore attraverso una catechesi appropriata, e innanzitutto con delle omelie domenicali per condurre opportunamente dei tempi di confessione individuale e delle celebrazioni penitenziali comunitarie, permettendo la confessione e l'assoluzione individuale, e per preparare anche altre celebrazioni degne.


5. Voi avete dovuto infine esaminare il problema dei concerti e delle altre manifestazioni artistiche nei luoghi di culto. E' certo che le nostre chiese hanno giocato da moltissimo tempo un ruolo importante nella vita culturale delle città e dei paesi: non è la chiesa la casa del Popolo di Dio? Non è nella chiesa che esso ha sentito le prime emozioni estetiche, davanti alla bellezza dell'edificio, dei suoi mosaici, delle sue tavole o delle sue statue, dei suoi oggetti sacri, ascoltando la musica d'organo o i canti del coro, in presenza di celebrazioni liturgiche che lo elevano al di sopra di lui stesso e lo fanno penetrare nel cuore del mistero? Poiché è proprio là il carattere primordiale della chiesa: essa è la casa di Dio, e un luogo sacro per ordine della dedicazione o la benedizione solenne che l'hanno precisamente consacrata a Dio. La chiesa è il luogo dove abita il Signore in mezzo al suo popolo e dove il popolo si riunisce per adorare e per pregare. Ecco perché tutto deve essere messo in opera per rispettare questo carattere sacro della chiesa.

Al di fuori delle celebrazioni liturgiche, può avervi posto una musica religiosa sotto forma di concerto. può essere un'occasione offerta anche a dei cristiani che non sono più praticanti, o anche a dei cristiani che cercano Dio, di accedere ad un'esperienza religiosa vera, al di là di una semplice emozione estetica. La presenza del pastore è allora augurabile per introdurre come si conviene a questa manifestazione spirituale e vegliare al rispetto del luogo santo. In questo modo la chiesa rimarrà, anche attraverso manifestazioni artistiche senza legame con la liturgia, il luogo dove si può scoprire la presenza del Dio vivente, che è sorgente di ogni bellezza. Ecco, cari fratelli, e voi tutti che partecipate, occasionalmente o quotidianamente, al lavoro della Congregazione per il Culto Divino, alcuni pensieri che mi suggeriscono i vostri lavori. Vi ringrazio di contribuire nella Chiesa universale, in un posto di scelta e in collaborazione con il successore di Pietro, alla promozione della liturgia e dunque alla qualità della preghiera, alla vita teologale del Popolo di Dio. E, incoraggiandovi a proseguire la vostra missione con profondità teologica, il senso della Chiesa e la saggezza necessari, vi benedico di tutto cuore.

1987-05-22 Data estesa: Venerdi 22 Maggio 1987




Ai "Volontari della Sofferenza" - Aula Paolo VI (Roma)

Titolo: Realizzare una pastorale della sofferenza che inserisca il malato nelle attività apostoliche

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle nel Signore! 1. Sono particolarmente lieto di questo incontro in occasione del quarantennio della fondazione del "Centro Volontari della Sofferenza". Nella pia memoria di Monsignor Luigi Novarese, porgo a tutti - dirigenti, sacerdoti, malati e accompagnatori - il mio saluto cordiale e affettuoso.

Il pensiero va al 17 maggio 1947 quando don Novarese, riflettendo sul messaggio mariano di Lourdes e di Fatima, inizio l'apostolato dei Volontari della Sofferenza. Ma già da tempo era intenso il lavoro, da lui compiuto a favore dei sofferenti, avendo promesso nella giovinezza di dedicarsi ad essi, in seguito - come sapete - alla guarigione ottenuta per intercessione della Madonna e di san Giovanni Bosco. Già quattro anni prima egli aveva fondato la "Lega Sacerdotale Mariana", nell'intento di recare un sollievo spirituale e materiale ai sacerdoti ammalati.

Ma da quella data le due attività si moltiplicarono, quali la trasmissione radiofonica per gli infermi, la pubblicazione della rivista "L'Ancora", l'associazione dei "Silenziosi Operai della Croce", per sacerdoti e laici, sani e malati, l'organizzazione di pellegrinaggi di sacerdoti malati a Lourdes, i corsi di esercizi spirituali per ammalati, la fondazione di un laboratorio per ex-ammalati rimasti impediti.

Nel novembre 1960 Giovanni XXIII col breve apostolico "Valde Probandae", approvava l'associazione dei "Silenziosi Operai della Croce", mentre la Conferenza Episcopale Italiana affidava a don Novarese l'incarico dell'assistenza religiosa ospedaliera in Italia. Le varie iniziative tendevano a far capire il valore della sofferenza come mezzo di santificazione, di redenzione e di apostolato, in unione con Cristo crocifisso e risorto, come miravano a sostenere i diritti dei malati, per umanizzare il trattamento negli ospedali e sovvenire alle necessità dei più emarginati.

Ecco, cari fratelli e sorelle, l'amore alla croce di Cristo, intesa come mezzo di salvezza e di santificazione ha sostenuto questo vasto sforzo non solo del fondatore, ma anche di quanti con lui hanno lavorato con coraggio e dedizione.

Ricordo in proposito i molti convegni di studio a livello nazionale e internazionale per approfondire i temi fondamentali della pastorale sanitaria, come i convegni sacerdotali su argomenti spirituali, studiati alla luce del Sacro Cuore di Gesù.


2. Carissimi! Ho accennato a tali vicende affinché la data, che voi giustamente commemorate, sia motivo di riflessione sul lavoro già svolto per la salvezza e la santificazione delle anime. Questa ricorrenza ricorda a voi, Silenziosi Operai della Croce, Volontari della Sofferenza, membri della Lega Sacerdotale Mariana, Fratelli degli Ammalati, come dice a tutti, che la sofferenza è una vocazione ad amare di più: è una chiamata misteriosa a partecipare dell'infinito amore di Dio per l'umanità, quell'amore che ha portato Dio ad incarnarsi e a morire inchiodato alla croce! Ha scritto Monsignor Novarese: "Nel sofferente Gesù Cristo continua la sua offerta pacificatrice; in Gesù Cristo il sofferente acquista dimensioni più ampie e nuova forza che allaccia il momento del presente dolore col cruento sacrificio del Calvario, lo estende a tutta la Chiesa e prepara i tempi futuri".


3. La società, in cui viviamo, è travagliata da tanti problemi: il pluralismo delle ideologie, la varietà delle antropologie, la complessità degli avvenimenti sociali e politici, la frammentarietà delle esperienze personali, la tendenza al benessere pianificato, il diffondersi del permissivismo, e nello stesso tempo l'ansia, l'insoddisfazione, l'inquietudine, la paura per l'avvenire, hanno creato una situazione talmente complicata e difficile, che si sente sempre di più il bisogno di credere al messaggio illuminante e salvifico di Cristo, di amare in suo nome, e di invocare la misericordia dell'Altissimo. I tempi ci stimolano ad accettare con coraggio e serenità la nostra croce, per testimoniare la presenza di Dio nella storia umana, per ridare il senso dell'eternità, per infondere speranza e fiducia. "Fate, o mio Dio, che io adori in silenzio l'ordine della vostra provvidenza adorabile sul governo della vita": così diceva Blaise Pascal nella famosa "Preghiera a Dio per il buon uso delle malattie". E chiedendo al Signore anche le sue consolazioni divine, soggiungeva: "Fate, o mio Dio, che in uniformità di spirito io accetti ogni sorta di eventi... Che così come sono, io mi conformi alla vostra volontà; e che malato come sono, vi glorifichi nei miei patimenti".

Specialmente oggi, nella società moderna, si percepisce l'immenso valore della sofferenza cristiana e ogni comunità locale deve realizzare la "pastorale della sofferenza", inserendo pienamente coloro che soffrono nelle varie iniziative e attività apostoliche.

Ognuno di voi, cari ammalati, è chiamato ad essere un apostolo per gli uomini di oggi. Dall'alto della sua croce, Gesù dice a ciascuno di coloro che soffrono fisicamente o moralmente: - Ricordati che la tua sofferenza è evangelizzatrice, perché, nel travaglio della società distratta e condizionata da mille interessi terreni, tu mantieni viva la domanda suprema sul senso della vita, richiami le realtà che superano il tempo e la storia, stimoli alla carità ed all'amore, spingi alla preghiera ed all'invocazione! - Ricordati che la tua sofferenza è santificatrice, perché purifica i sentimenti, trasforma gli impulsi e le passioni, distacca dai beni fugaci del mondo, eleva alla contemplazione del nostro eterno destino, avvia alla riflessione sui valori fondamentali della Rivelazione e della redenzione, stimola alla valorizzazione della "grazia santificante", fa gustare l'immensa gioia della presenza eucaristica di Cristo, rasserena con il pensiero del paradiso che ci attende. Infatti, come scriveva san Pietro, "se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo pati per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme" (1P 2,20-21).

- Ricordati, infine che la tua sofferenza è redentrice, perché colui che soffre in unione con Cristo non solo attinge da lui la forza necessaria per accettarla, ma completa con la sua sofferenza quello che manca ai patimenti di Cristo, secondo la consolante affermazione di san Paolo (cfr. Col 1,24). "Operando la redenzione mediante la sofferenza - così scrivevo nella lettera apostolica "Salvifici Doloris" - Cristo ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di redenzione. Quindi anche ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo" ("Salvifici Doloris", 19). Il mondo ha bisogno della verità che Cristo ha rivelato; il mondo ha bisogno della salvezza che Cristo ha portato: non c'è verità e non c'è salvezza eterna al di fuori di lui! E la redenzione si realizza anche attraverso il calvario della vostra sofferenza! 4. Carissimi! Questa sera visitero la tomba di padre Pio da Pietralcina, il quale soffri molto per la salvezza delle anime ed insegno a soffrire in unione con Cristo redentore e con Maria, nostra madre celeste. Egli scriveva in una sua lettera: "La Vergine addolorata ci ottenga dal suo santissimo Figliuolo di farci penetrare sempre più nel mistero della croce ed inebriarci con lei dei patimenti di Gesù. La più certa prova dell'amore consiste nel patire per l'amato e dopo che il Figliuolo di Dio pati per puro amor amore tanti dolori, non resta alcun dubbio che la croce portata per lui diviene amabile quanto l'amore" (1 luglio 1915).

La Vergine immacolata e addolorata vi aiuti ad essere sempre più convinti e fervorosi volontari della sofferenza e veri operai della croce, per la salvezza delle anime, per la conversione dei lontani, per la santificazione della Chiesa, per la pace negli animi e tra i popoli, per le vocazioni sacerdotali e religiose! E vi accompagni anche sempre la mia preghiera e la benedizione apostolica, che di gran cuore imparto a ciascuno di voi ed estendo ai vostri amici e familiari.

[Omissis. Seguono i saluti agli ammalati provenienti da numerosi paesi del mondo.]

1987-05-23 Data estesa: Sabato 23 Maggio 1987




Discorso all'incontro promosso dal Pontificio Consiglio per i laici - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La partecipazione dei laici alla vita della Chiesa è una responsabilità che richiede impegno e coerenza

Testo:

Cari fratelli nell'episcopato, cari amici.


1. Attraverso le parole del Cardinale Eduardo Pironio, Presidente per il Consiglio Pontificale per i laici, voi avete voluto esprimermi la vostra gratitudine per questa udienza. Io stesso ho desiderato incontrarvi, voi tutti che avete accettato di partecipare a questa consultazione mondiale organizzata dal Consiglio Pontificale per i laici, in vista della prossima assemblea del Sinodo dei Vescovi che avrà per tema: "La vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo vent'anni dopo il Concilio Vaticano II".

Ci tengo, da parte mia, a ringraziarvi di essere venuti qui da numerosi paesi, di tutti i continenti, col fine di apportare un contributo di qualità alla preparazione di un avvenimento così importante. So che voi siete i testimoni e i messaggeri di esperienze molto varie per ciò che riguarda la partecipazione dei laici cristiani alla comunione nella Chiesa e alla sua missione. Ci sono tra voi dei rappresentanti di associazioni che assicurano una presenza cattolica nella vita internazionale e che manifestano la sorprendente fioritura dei carismi e la vitalità missionaria dei movimenti ecclesiali. Vedo anche dei membri dei Consigli Nazionali dei laici, dei consigli pastorali o di altre strutture della collegialità e della corresponsabilità nella vita pastorale della Chiesa. Numerosi sono tra voi quelli che hanno assunto certi compiti e rendono dei servizi molto apprezzati a livello dell'animazione della comunità, della liturgia, della formazione catechistica, dell'aiuto reciproco caritativo; e in certi casi la Chiesa vi ha affidato perciò una missione stabile; vedere un ministero istituito, di non ordinati. O ancora, come cristiani voi date una testimonianza di fede e di carità attiva nella vita coniugale e familiare, nei luoghi in cui vivete, nel mondo del lavoro, nella vita politica, nella creazione artistica e culturale, nella ricerca scientifica, nel campo socio-economico come nell'importante settore delle relazioni internazionali, e in questo caso voi vi riunite spesso in movimenti che vi permettono di riflettere insieme e di condurre un'azione concertata per il miglioramento delle mentalità e, attraverso le persone, l'ordinamento delle strutture. E' la vocazione e la missione che il Concilio ha riconosciuto ai laici cristiani e che voi cercate di far sbocciare pienamente e di realizzare concretamente. A questo proposito, vorrei evocare due aspetti che il Sinodo non mancherà di sviluppare. La vostra partecipazione alla vita della Chiesa, alla sua testimonianza e alla sua azione, è una vera responsabilità, che domanda un impegno conseguente sul quale la Chiesa conta. Mi rallegro con voi che lo avete compreso e vi incoraggio a continuare a prendere tali responsabilità, in un momento in cui troppa gente attorno a voi mantiene un atteggiamento passivo o è alla ricerca di esperienze comuni di gioia e di conforto, per nulla legittime e benefiche, ma forse perdendo di vista il necessario impegno. D'altronde tutti sono chiamati a prendere una responsabilità e a prepararsi per una formazione adeguata, giovani e adulti, uomini e donne.


2. Ho già avuto un buon ragguaglio delle vostre esperienze di vita cristiana ascoltandovi e dialogando con voi. E' stato lo stesso per i Cardinali e i Vescovi membri del Consiglio del Segretariato del Sinodo che, con il Segretario Generale, Monsignor Jan Schotte, e i suoi collaboratori, vi hanno accompagnato lungo tutta la prima giornata dei vostri lavori a Rocca di Papa. Con loro voi avete potuto condividere le vostre esperienze, le vostre preoccupazioni, le vostre iniziative e le vostre speranze nella prospettiva del prossimo Sinodo. La loro presenza a questa udienza è significativa, e io li ringrazio di essere venuti. I membri del Consiglio Pontificale per i laici, riuniti per la loro assemblea plenaria, si sono ugualmente uniti a voi. Questa dinamica di ascolto e di dialogo, di divisione e discernimento, di preghiera, di scambi e di proposte che si chiama a giusto titolo "consultazione", è un po' come uno specchio dove si riflette e si concentra il vasto movimento di partecipazione e di consultazioni che, attraverso delle ramificazioni innumerevoli e diversificate, ha permesso a milioni di cattolici nel mondo di portare il loro contributo, secondo dei ritmi variabili, ai percorsi preparatori del Sinodo. Voi tutti qui riuniti in questi giorni, non rappresentate che la parte visibile dell'iceberg, la cui massa imponente, nascosta per chi getta uno sguardo superficiale, è formata da una moltitudine di correnti e ingloba i numerosi interventi di comunità parrocchiali e diocesane, di consigli pastorali, di comunità religiose, di movimenti, di associazioni, senza contare la testimonianza di tutte le persone che agiscono a titolo individuale, e l'apporto degli assembramenti più diversi, a tutti i livelli, locale, nazionale, continentale e internazionale.


3. Cari amici, nel dicembre 1985, alla fine dell'assemblea straordinaria del Sinodo che commemorava il ventesimo anniversario del Concilio Vaticano II, ho potuto dire, insistendo una volta ancora sull'importanza dell'istituzione sinodale, che le assemblee a venire non daranno dei frutti abbondanti che nella misura in cui esse saranno precedute da una preparazione appropriata, con la partecipazione e l'informazione opportuna di tutte le comunità cristiane. "così, dicevo ai Padri del Sinodo straordinario, si svilupperà un movimento di vita che servirà la cattolicità e l'unità degli spiriti e dei cuori" (Giovanni Paolo II: discorso di chiusura ai Padri del Sinodo straordinario, 7 dicembre 1985, 8: "", VIII, 2 [1985] 1431). L'ecclesiologia di comunione,che occupa un posto fondamentale nella teologia espressa dai Padri conciliari, si realizza attraverso questo movimento: tutti i membri della Chiesa preti, religiosi, laici, riuniti attorno ai loro pastori, sono chiamati così a partecipare alla ricchezza multiforme dei ministeri e dei carismi nell'unità della missione. Ho citato i preti e i laici. Troppo spesso, si oppongono i loro ruoli rispettivi, senza veder bene la loro complementarietà reale, oppure ci si esprime in termini di supplenza. Importa - e spero che il Sinodo lo preciserà - di ben considerare la coerenza della struttura sacramentale della Chiesa, il corpo del Cristo, dove il sacerdozio ministeriale significa e realizza la presenza e l'azione del Cristo testa.


4. La partecipazione in comunione è tanto più urgente e importante, giacché il tema del prossimo Sinodo riguarda la più larga parte del Popolo di Dio. Per questa ragione, è adeguato ricordare che già nell'introduzione ai "Lineamenta", il documento che diede inizio ai preparativi per il Sinodo, c'era enfasi sul fatto che "la vera natura del tema scelto, specialmente a riguardo degli aspetti dell'esperienza di vita, rende più adatta una consultazione su larga scala dei laici stessi persino durante la fase preparatoria dell'assemblea del Sinodo nelle Chiese locali. Questo è così, non solo perché i laici sono quelli più direttamente coinvolti nel tema, ma ancor più per il carisma che i laici ricevono dallo Spirito Santo per l'esercizio del loro apostolato. Una consultazione opportuna effettuata intelligentemente e più ampia possibile dei laici", il Lineamenta continuava, "sarà di incalcolabile aiuto, così che la Chiesa, e specialmente i pastori che la animano e guidano, possano conoscere meglio la reale situazione, riguardante la coscienza che oggi i laici, vent'anni dopo il Concilio Vaticano II, hanno del loro inserimento e partecipazione nella vita e missione della Chiesa nel mondo e nella storia". Io stesso ho incoraggiato questa consultazione in varie occasioni in particolare a un'assemblea plenaria del vostro Concilio Pontificale specialmente per ciò che riguardava le "vivaci energie dei laici, e in particolar modo le associazioni e i movimenti". Fino ad oggi il processo di preparazione per il Sinodo è stato eccellente, mostrando un grande senso di responsabilità con una fedele, fruttuosa collaborazione tra loro e i loro pastori, così come una ricchezza unica di consigli, molti dei quali raggiunsero il Segretariato del Sinodo e sono stati prontamente e attentamente considerati per la redazione dell'"Instrumentum Laboris", la mia catechesi domenicale su temi legati al Sinodo, e il vostro attuale incontro sono chiari segni di una prontezza a continuare una divisa preparazione fino alla vigilia dell'assemblea.


5. Entro questa struttura ispiratrice il Sinodo deve essere considerato come un prezioso strumento - sia un segno che una realizzazione - della collegialità episcopale. Tale è la sua natura, composizione e funzione. L'assemblea è essenzialmente un luogo di condivisione per i Vescovi designati come Padri sinodali. E sebbene ho già espresso il mio desiderio di invitare un significativo numero di laici ad essere presenti al Sinodo, il loro numero non può eccedere limiti oggettivamente determinati senza il rischio di cambiare la natura del Sinodo stesso. Questo non ha in nessun modo indebolito l'assicurazione della partecipazione dei laici nella comunione ecclesiale. Al contrario questa sta estendendosi nel sentiero sinodale della Chiesa, nel periodo seguente al Concilio, con crescente intensità, in una varietà di aree e di campi, nella libertà e creatività dei diversi membri, con una varietà di contributi che riflettono una presenza cristiana nel cuore di tutte le culture e nazioni, con un intenso amore per la vita della Chiesa e al servizio dell'umanità. Pertanto vi ringrazio ancora una volta per la vostra presenza e per il vostro contributo che sarà certamente comunicato ai Padri sinodali come un segno di quel "movimento vitale" che oggi permea l'intero corpo della Chiesa, tutte le Chiese locali e le associazioni internazionali e i movimenti in questo tempo di preparazione del vicino Sinodo.

Questo è il necessario e promettente preludio della sua realizzazione e degli abbondanti frutti che, come noi tutti speriamo, il Sinodo provvederà per la cosciente crescita dell'intero Popolo di Dio nel mistero di comunione che è il corpo di Cristo e nella sua missione per la salvezza e completa liberazione di tutti. Possa Maria, l'umile donna del popolo d'Israele e primo discepolo di Cristo, essere con voi e nel vostro lavoro e nel lavoro di tutti i laici fedeli nel prepararsi per un Sinodo da celebrarsi nella luce e sotto l'ispirazione dell'Anno Mariano che sta per cominciare nella grande festa di Pentecoste. A tutti voi imparto la mia apostolica benedizione.

1987-05-23 Data estesa: Sabato 23 Maggio 1987




Omelia della Messa a San Giovanni Rotondo - Foggia

Titolo: Con la preghiera del Cenacolo portiamo nel mondo la testimonianza dello Spirito di verità e di amore

Testo:

1. "Non vi lascero orfani, ritornero da voi" (Jn 14,18).

Il tempo pasquale, cari fratelli e sorelle e San Giovanni Rotondo, è tempo del Cenacolo. Cristo disse queste parole agli apostoli nel Cenacolo, mentre si stava avvicinando il momento della dolorosa separazione. In quella stessa sera sarebbe stato catturato nel Getsemani e consegnato al sinedrio per essere giudicato. Il giorno seguente sarà condannato e si separerà dagli apostoli morendo sulla croce.

Nel pronunziare le parole, che leggiamo nell'odierno Vangelo, Gesù era consapevole della sofferenza che essi avrebbero dovuto incontrare insieme con lui.

Era consapevole di "lasciarli orfani" e che ciò li avrebbe rattristati profondamente.

Al fatto di rimanere orfani si aggiunse il sapore amaro della delusione.

Nonostante che Cristo avesse preannunziato spesso la sua passione e la sua croce, i discepoli non erano interiormente preparati a tale prova. Quando essa è giunta, hanno provato una forte delusione. Non hanno perseverato con il loro Maestro.


2. "Non vi lascero orfani".

Oggi, ascoltiamo queste parole, mentre esse sono soltanto un'eco di quei difficili giorni. Gesù è tornato presso i discepoli. Non li ha lasciati orfani. E' venuto a loro da risorto. così come è stato di tra loro assunto in cielo (cfr. Ac 1,11) come se ne è andato morendo sulla croce.

Il tempo del Cenacolo si collega costantemente con il ricordo di quella dipartita e con l'esperienza della nuova venuta.

In questa venuta è confermato ciò che Cristo aveva predetto: "Voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi" (Jn 14,20).

Si. Veramente. Cristo è nel Padre come Figlio prediletto e della stessa sua sostanza. Quel giorno doloroso, che sembrava offuscare questa verità con il buio della morte, è ormai passato.

Adesso, con la risurrezione, questa verità risplende con una nuova luce.

Con una luce piena. Il Figlio è nel Padre.

"Questo è il giorno fatto dal Signore" (Ps 117/118,24).


3. Cari fratelli e sorelle, anche noi oggi ripetiamo con gioia col salmista: "Questo è il giorno fatto dal Signore"! Gioia, perché la luce della Pasqua illumina tutto il percorso della storia umana. Gioia, anche per questo nostro incontro, che avviene in questa luce di fede, in questo periodo di interiore esultanza che segue alla festività pasquale.

Con questi sentimenti saluto cordialmente tutti i presenti: gli Arcivescovi di Manfredonia-Vieste, e di Foggia-Bovino, insieme con gli altri presuli delle diocesi della Capitanata. Saluto con deferenza le autorità civili.

Un saluto particolare ai numerosi malati: al gruppo accompagnato dall'UNITALSI e a quello dei fanciulli spastici della provincia di Foggia. Saluto poi cordialmente tutti voi, fedeli qui presenti, i giovani, gli anziani, le famiglie, tutti! La vostra città, San Giovanni Rotondo, sta vedendo da un po di tempo - possiamo dirlo - un giorno "fatto dal Signore": penso in modo speciale allo sviluppo che ha conosciuto in seguito alla presenza e all'opera di padre Pio da Pietralcina, per le quali esso ha acquistato una fama internazionale. Tuttora, grazie all'attività dei frati Cappuccini che degnamente continuano l'opera del servo di Dio, la vostra città attira numerosi pellegrini.

Cari fratelli e sorelle di San Giovanni Rotondo, siate sempre degni della testimonianza qui data da padre Pio.


4. Nella luce del giorno "fatto dal Signore" i discepoli di Gesù vedono tutto rinnovato. L'intera creazione appare più che mai ai loro occhi come l'opera di Dio, l'opera piena di gloria.

Quindi dicono a Dio: "Stupende sono le tue opere".

"Venite e vedete le opere di Dio, mirabile nel suo agire sugli uomini" (Ps 65/66,3.5).

E soprattutto ricordano quell'avvenimento del lontano passato, che tutti i figli e le figlie di Israele commemoravano con entusiasmo riconoscente: la liberazione dalla schiavitù d'Egitto.

"Egli cambio il mare in terra ferma, / passarono a piedi il fiume; / per questo in lui esultiamo di gioia. / Con la sua forza domina in eterno" (Ps 65,/66,6-7).


5. Gli apostoli, i discepoli di Cristo hanno sempre custodito nel cuore il ricordo dell'esodo. Il ricordo di quella liberazione.

Ed ecco, nel mezzo della stessa Pasqua, che era un grande preannunzio, si è adempiuto ai loro occhi ciò che era stato predetto dai profeti: Gesù con la sua croce ha iniziato e ha portato a tutti la liberazione definitiva.

"E' morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito". così dice san Pietro (1P 3,18).


6. Questa vita, la vita nuova, è dallo Spirito Santo. Egli è quello Spirito di verità che era stato annunziato da Gesù prima della passione: "Io preghero il Padre e egli vi darà un altro Consolatore... lo Spirito di verità" (Jn 14,16-17).

Ecco, Gesù vive nella potenza di questo Spirito. Nella sua potenza egli compie la promessa data ai discepoli: "non vi lascero orfani, ritornero da voi".

Nella risurrezione di Cristo è rivelata la potenza dello Spirito Santo.

E' riconfermata la potenza dello Spirito di verità. Subito la prima sera dopo la risurrezione, Gesù viene nel Cenacolo, alita sugli apostoli riuniti e dice: "Ricevete lo Spirito Santo" (Jn 20,22).

Per questo essi non sono più orfani. Non sono abbandonati. E non saranno abbandonati mai, nemmeno quando saranno passati i giorni successivi alla risurrezione e Gesù sarà assunto nel cielo.

Gli apostoli non saranno orfani. Non saranno, non sono orfane le generazioni sempre nuove dei cristiani, dei seguaci di Cristo. Gesù è con loro costantemente. Viene costantemente a loro nella potenza dello Spirito Santo.

Per primi, gli apostoli dovevano convincersene nel giorno della Pentecoste.


7. "Lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce, voi lo conoscete" (Jn 14,17).

Non dal mondo, ma da Dio.

Tale è la verità più profonda sulla Chiesa, e - nella Chiesa - su ciascuno di noi.

Su ciascuno che è rinato mediante la morte e la risurrezione di Cristo: mediante il battesimo e la fede.

Tale è la realtà. Il tempo del cenacolo dura sempre nella Chiesa. Dura in noi. Esso sempre è aperto agli uomini di tutti i tempi.

Se dall'esterno giunge un'afflizione, se il mondo è pieno di pericoli e di tentazioni, Cristo continua a ritornare a noi nello Spirito Santo.

Egli vive e noi viviamo in lui (cfr. Jn 14,19).

E riconosciamo continuamente che egli, il Figlio, è nel Padre.

E nello stesso tempo riconosciamo che egli - è in noi e noi siamo in lui.

L'Eucaristia ne è una particolare attuazione. E' sacramento della presenza di Cristo in noi e della nostra presenza in lui.


8. Ecco, noi stiamo celebrando questo mirabile, santissimo sacramento, l'Eucaristia.

Si realizza ancora una volta la preghiera del Redentore nel cenacolo.

Riceviamo il Consolatore, lo Spirito di verità che soltanto lui può darci. Il mondo non può darlo, "perché non lo vede e non lo conosce" (cfr. Jn 14,17).

Ma neppure può riceverlo? Il mondo non può ricevere lo Spirito di verità? Proprio per questo lo riceviamo in mezzo al mondo, per portarlo in noi ovunque, in ogni luogo dove non c'è. E dove soltanto lui può diventare sorgente della vita nuova: sorgente della verità e dell'amore.

Discendi Santo Spirito! così, mediante ciascuno di noi, risuona costantemente in mezzo al mondo la preghiera del cenacolo.

1987-05-23 Data estesa: Sabato 23 Maggio 1987





GPII 1987 Insegnamenti - Alla "plenaria" della Congregazione per il Culto Divino - Città del Vaticano (Roma)