GPII 1987 Insegnamenti - Unzione degli infermi - Basilica mariana di Danzica (Polonia)

Unzione degli infermi - Basilica mariana di Danzica (Polonia)

Titolo: Aumentano le malattie, diminuiscono i mezzi. Timori per lo stato di salute della società polacca

Testo:

1. Ecco il Cristo chiamato al letto di un malato.

"Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente". "Io verro e lo curero" (Mt 8,6-7).

Questo è un caso - uno dei tanti, tutto il Vangelo è pieno di simili eventi. Cristo, chiamato presso i malati. Cristo, chiamato dagli ammalati. Cristo, al servizio degli uomini sofferenti.

Le parole della Sacra Scrittura, lette in occasione dell'odierno incontro, sono rivolte a tutti e a ciascuno di noi quando ci troviamo faccia a faccia con la sofferenza di un altro uomo, nostro fratello o sorella.

Siamo costantemente chiamati. Tutti, in un certo senso veniamo chiamati, anche se ciascuno in modo diverso. La chiamata - l'invito, che il centurione del Vangelo ha rivolto a Cristo si ripete incessantemente. L'uomo soffre in diversi luoghi, a volte "soffre terribilmente". E chiama un altro uomo. Ha bisogno del suo aiuto. Ha bisogno della sua presenza.

Quando dunque chiunque di noi, cari fratelli e sorelle, ovunque in questa terra polacca viene chiamato dalla sofferenza umana, si ponga davanti agli occhi questo evento del Vangelo. E' il Cristo che dice al centurione: "Io verro e lo curero".

A volte ci intimidisce il fatto di non poter "guarire", di non poter aiutare. Cerchiamo di superare questo imbarazzo. L'importante è andare.

Stare accanto all'uomo che soffre.

Egli forse più che della guarigione ha bisogno della presenza dell'uomo, del cuore umano, dell'umana solidarietà.


2. L'evento evangelico si riferisce in modo particolare a voi tutti, che con la sofferenza umana avete unito la vostra professione, la vocazione della vostra vita. A voi, medici. A voi, farmacisti. A voi, infermiere, lavoratori dei laboratori di analisi, degli ambulatori di riabilitazione. A voi tutti, compresi nel nome di "operatori sanitari".

Prima di tutto, voi, cari fratelli e sorelle, dovreste avere davanti agli occhi il Cristo chiamato presso il servo paralizzato del centurione il Cristo che dice: "verro". Questa è anche la vostra risposta: "io verro...", "faro il possibile per la tua salute...".

Mentre lo dico, ho davanti agli occhi coloro che sono qui presenti: medici, infermieri, tutti i rappresentanti degli operatori sanitari.

Contemporaneamente pero tutti i vostri colleghi e le colleghe in tutta la terra polacca. Ho davanti ai miei occhi le istituzioni che servono la salute umana: ambulatori medici e dentistici, ospedali, cliniche, località climatiche, sanatori, case di cura.

Ho sempre nutrito e continuo a nutrire una profonda ammirazione per questa vocazione che sembra essere così tanto radicata nel Vangelo, e allo stesso tempo in tutta la tradizione umanitaria del genere umano, anche precristiano e non cristiano.

Cristo che dice: "verro... curero". E ciascuno di voi dovrebbe dire e dice: "verro, faro tutto ciò di cui sono capace, per la tua salute".


3. "Faro il possibile" - cioè avro la volontà, la disponibilità ed anche la gioia di portare aiuto a uno che soffre, di quel "fermarsi accanto alla sofferenza dell'uomo" di provare quella sensibilità e commozione per la sofferenza altrui e per il "dono samaritano di me stesso", di cui ha tanto bisogno un uomo malato. Lo stato di salute della società polacca fa sorgere fondati timori. Continuano ad aumentare in questa società le malattie dell'apparato circolatorio e i tumori, molte persone, e tra queste i giovani, continuano a manifestare la loro dipendenza dall'alcool, dalla droga e dalla nicotina. Neppure lo stato di salute dei bambini è soddisfacente. E un grande campo questo per la azione profilattica e terapeutica degli operatori sanitari. E' deprimente il fatto che nei reparti ospedalieri si continuano ad eseguire in modo massiccio interventi d'interruzione della gravidanza.

La medicina contemporanea si è molto sviluppata e specializzata. Di conseguenza, per poter "far tutto per la salute dell'uomo" bisogna creare condizioni adatte, come per esempio un numero sufficiente di ospedali e di ambulatori opportunamente attrezzati, di medicinali adatti e di altri mezzi l'insufficienza dei quali, purtroppo, in Polonia si fa risentire. Questa insufficienza, la mancanza di posti letto negli ospedali, la lunga attesa negli ambulatori medici, l'attesa per l'intervento chirurgico tutto questo rende più difficile il già non facile lavoro dei medici e già carico di responsabilità.

Allo stesso tempo, esso richiede da loro tanto maggiore sensibilità morale, un'alta etica professionale e la comprensione del loro ruolo di servizio verso il sofferente.

Bisogna ad ogni costo sostenere la bella tradizione polacca: l'opera del medico e dell'infermiere viene trattata non solo come una professione ma anche e forse prima di tutto come una vocazione. La cura per i minorati fisici e gli anziani, la cura per i malati di mente - questi settori sono, piu di ogni altro settore della vita sociale, il metro della cultura della società e dello stato.

Immedesimandomi in questo non facile impegno quotidiano degli operatori sanitari penso "a tutti quegli uomini, che con la loro scienza e la loro capacità rendono multiformi servizi al prossimo sofferente" - e desidero, a nome della Chiesa, rivolgere loro espressioni di pro fonda riconoscenza e gratitudine.


4. "Il mio servo... soffre terribilmente".

Cristo non è solo colui che "ora", creando un modello evangelico per tutti coloro che servono i malati. Cristo allo stesso tempo dice di se: "ero malato". E queste parole appartengono all'immagine del giudizio finale secondo il Vangelo di San Matteo: "ero malato e mi avete visitato" (cfr. Mt 25,36).

Nel Vangelo noi non vediamo Gesù come ammalato sul letto del dolore ma lo troviamo all'apice della sofferenza: martoriato, sottoposto alle terribili torture del corpo e dell'anima. Lo vediamo prima durante l'agonia spirituale del Getsemani, e il giorno dopo durante la terribile agonia della crocifissione.

Davvero, Egli è l'Uomo dei Dolori.

Davvero, attraverso lo zenit stesso della sofferenza umana: fisica e morale deriso e disprezzato dagli uomini.

Davvero "verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo" (cfr. Ps 21-22).

Il figlio di Dio che "umilio se stesso facendosi obbediente fino alla morte" (cfr. Ph 2,8).

E dunque Egli potrà dire nel giorno del giudizio: "ero malato", "ho avuto fino in fondo il calice della sofferenza...".

Egli può dire così.

E quando, sorpresi dalle sue parole, gli uomini chiederanno: "...quando ti abbiamo fatto questo? Quando ti abbiamo visto malato... e siamo venuti a visitarti? Risponderà: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (cfr. Mt 25,39-40).


5. Cari fratelli e sorelle, qui riuniti, e voi tutti malati e sofferenti in terra polacca! E' straordinario ciò che dice Cristo. E' straordinario quel suo identificarsi con ognuno e ognuna di voi. Questo è insieme una "carta d'identità" evangelica per ciascuno e ciascuna. E San Paolo, il quale in un certo senso porta fino in fondo il pensiero contenuto nelle parole del Redentore sopracitate, scriverà: "completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1,24).

A questo problema così fondamentale per il singolo uomo e per tutta la Chiesa ho dedicato molto spazio nella stesura della "Salvifici Doloris".

"La Chiesa, che nasce dal mistero della redenzione nella Croce di Cristo, è tenuta a cercare l'incontro con l'uomo in modo particolare sulla via della sua sofferenza" (SD 3) così dunque sulla via del servizio sacerdotale, la Chiesa cerca in vario modo l'incontro con l'uomo che soffre nelle istituzioni sanitarie e nelle case dei malati. Nella Chiesa il malato, colui che soffre, "è chiamato a partecipare a quella sofferenza, mediante la quale si è compiuta la redenzione... In quanto l'uomo diventa partecipe della sofferenza di Cristo in qualsiasi luogo del mondo e tempo della storia -, intanto egli completa a suo modo quella sofferenza, mediante la quale Cristo ha operato la redenzione del mondo" (SD 19,24). perciò il sofferente "trova quasi una nuova misura di tutta la propria vita e della propria vocazione". Su questa vita di servizio il sacerdote s'incontra con il medico per servire insieme l'ammalato il cui campo delle sofferenze è diversificato e pluridimensionale, così come è pluridimensionale l'esistenza dell'uomo.

Questo comune servizio medico-pastorale ha un'importanza particolare per il malato che si avvicina al termine dell'esistenza terrena.

Penso con riconoscimento all'"hospicium" che ha iniziato il suo servizio a Danzica e si irradia sulle altre città. Esso è nato dalla comune sollecitudine della pastorale dei malati e dei medici presenti accanto al letto del malato, per il dovuto posto e le condizioni in cui versano i malati al termine della loro vita. Questa sollecitudine si esprime nel chinarsi insieme e vegliare accanto ad un malato nella sua casa, in un cordiale e gratuito "dono di sè". Pero un dono ancora maggiore è la saggezza e la maturità che si ricevono da un malato grave.

"Allorché questo corpo è profondamente malato, totalmente inabile e l'uomo è quasi incapace di vivere e di agire, tanto più si mettono in evidenza l'interiore maturità e grandezza spirituale, costituendo una commovente lezione per gli uomini sani e normali" (SD 26).


6. La sofferenza umana è sempre un mistero. Ed è molto difficile all'uomo da solo farsi largo attraverso le sue oscurità. Sull'orizzonte della nostra fede rimane questo unico punto di riferimento: la Croce di Cristo - lo zenit della sofferenza umana e della sofferenza di uno che è il più innocente, dell'Agnello senza macchia.


7. Celebrando l'Eucaristia, al momento della Santa comunione diciamo: "Ecco l'Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo...".

E poi la risposta: "O Signore non sono degno di partecipare alla tua mensa".

Ecco le parole uscite dalla bocca del centurione.

Appartengono all'insieme dell'invito rivolto al Salvatore a favore del servo che, "paralizzato..., soffre terribilmente". "Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, di soltanto una parola e il mio servo sarà guarito" (Mt 8,8).

"...ma di soltanto una parola e io saro salvato".

I giorni del Congresso Eucaristico in Polonia sono il tempo, in cui ognuno di noi dovrebbe rinnovare in sè la profonda consapevolezza di queste parole, pronunciate per la prima volta dal centurione romano.

Cari fratelli e sorelle! Ammalati e sofferenti.

Tutti voi siete inscritti molto profondamente in questo toccante mistero della fede: la Croce l'Eucaristia il cenacolo le parole del centurione.

Ricordatevi che Cristo "ci amo sino alla fine" (cfr. Jn 13,1) per mezzo della Croce, e questo amore permane nell'Eucaristia.

Ricordate! Sia questa la vostra forza nella debolezza. Anche voi siete chiamati ad amare "sino alla fine".

E voi, cari fratelli e sorelle, medici, infermieri, operatori sanitari anche voi siete chiamati ad amare "sino alla fine".

Meditate che cosa vuol dire questo! Che cosa vuol dire questo?!

1987-06-12 Data estesa: Venerdi 12 Giugno 1987




L'omelia alla messa per il mondo del lavoro - Danzica (Polonia)

Titolo: In questa città è stato intrapreso uno sforzo enorme per restituire al lavoro piena dimensione personale e sociale

Testo:

1. "Tua è la lode e la gloria, nostro eterno Signore". Quando si muove la processione eucaristica del Corpus Domini, risuona tra le vie della città o tra i sentieri di campagna questo antico canto polacco.

Oggi questo magnifico inno risuona ancor più fortemente durante le giornate del Congresso Eucaristico in Polonia. Oggi a Danzica.

Che cosa è la tua gloria o Cristo? Che cosa accompagna la lode della Chiesa di generazione in generazione? La tua gloria è il fatto che Ti sei donato... "che ti sei donato a noi indegni".

Che tu, Dio ineffabile ed inscrutabile, che "abiti una luce inaccessibile" (cfr. 1Tm 6,16), sei diventato così sorprendentemente "accessibile".

Non solo gli occhi umani potevano guardarTi e le mani umane toccarTi - come Verbo Incarnato, come figlio dell'uomo, ma l'uomo potè inchiodarTi alla Croce, potè spingerti all'esperienza della morte, che è sua necessaria eredità su questa terra,; potè disonorarti, allorché Tu stesso volesti, come vittima dello Spirito eterno, "umiliare te stesso" (cfr. Ph 2,8).

E non solo questo. Tu, che "dopo aver amato tutti coloro che erano nel mondo, li hai amati sino alla fine" (cfr. Jn 13,1), sei divenuto per tutti i tempi l'Eucaristia il Sacrificio e il Cibo - della tua Chiesa! Questa è la tua gloria, o Cristo, Questa è la tua gloria, o Dio, il cui nome è "Amore" (cfr. 1Jn 4,8).

Questa è la tua gloria, nostro eterno Signore...


2. Oggi, nel corso del mio pellegrinaggio in terra patria, seguendo il percorso del Congresso Eucaristico, saluto Danzica. Esprimo la gioia di poter essere qui insieme a voi.

Danzica città millenaria, dove nella primavera del 977 è giunto S.

Adalberto in viaggio verso la Prussia, "e le moltitudini del popolo ricevettero il battesimo"! Danzica, che nelle mutevoli sorti della storia - ha sempre dato un esempio di fortezza alle foci della Vistola, fiume dei fiumi polacchi! E sempre qui, sulla costa del Baltico, essa ha schiuso davanti a noi le prospettive che il mare offre all'uomo della terra ferma. Prospettive di sconfinata lontananza, prospettive di profondità delle acque marine, prospettive di libertà! L'uomo, nella vastità del mare, si sente libero, liberato dai condizionamenti creati dalla vita sulla terra ferma, e allo stesso tempo sottoposto alle esigenze di un nuovo elemento. Mobilitato per una nuova responsabilita.

Saluto Danzica. Saluto in essa tutto ciò che è stata per noi nelle varie tappe del passato - e ciò che essa è divenuta negli ultimi anni.

Questo passato e questo presente lo rendono memorabile le simboliche croci nei pressi dei cantieri navali e la scritta: "Il Signore darà forza al suo popolo, benedirà il suo popolo con la pace". Danzica: città degli uomini di mare, città degli uomini del lavoro, del grande lavoro. Saluto la città e l'ambiente in cui è rinato il bisogno del rinnovamento dell'uomo mediante il lavoro: il bisogno della liberazione dell'uomo per mezzo del lavoro.

Saluto i pellegrini provenienti dall'arcidiocesi di Gniezno e dalle diocesi vicine: di Chelnmo, di Wamia, di Koszalin-Kolobrzeg; saluto tutti e ciascuno.


3. La liturgia odierna ci parla di questo rinnovamento e di questa liberazione, riandando all'origine biblica dell'uomo sulla terra. Ecco l'uomo, creato da Dio a sua immagine e somiglianza, creato come uomo e donna, creato in mezzo al mondo visibile. Ecco l'uomo, al quale Dio dice: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela" (Gn 1,28).

Dio dà la terra all'uomo e gliela dà come compito. E in questo modo gli dà come compito il lavoro: lavoro sotto tutte le forme, che esso acquisterà nella storia del genere umano, insieme al progresso e allo sviluppo della conoscenza del mondo e di se stesso.


4. Le parole del Libro della Genesi non contengono solo il primo ordine di Dio.

Portano in sè anche il segno della predilezione da parte di Dio, il segno della gioia creativa: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona" (Gn 1,31). "Molto buona" era l'opera della creazione, tutto quel cosmo visibile coronato dall'esistenza dell'uomo: viva immagine del Creatore.

l'odierna liturgia si sente oggetto di questa predilezione di Dio per il cosmo creato e proclama la gloria del suo Creatore: "O Signore, nostro... quanto è grande il tuo nome su tutta la terra... Se guardo il tuo cielo... Ia luna e le stelle che tu hai fissate... che cosa è l'uomo?" (Ps 8,2 Ps 8,4-5).

L'uomo si meraviglia della propria umanità, della sua particolare dignità tra le creature, e questa meravigliosa visione della creazione la condivide con il Creatore: "...che cosa è l'uomo perché te ne ricordi, il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi" (Ps 8,5-7).

Che cosa è l'uomo! Con tali parole il Salmista esprime la propria ammirazione per l'uomo, la sua meraviglia davanti a quest'opera del Creatore. E comunque egli esprime la visuale dell'Antico Testamento. E che cosa invece possiamo dire noi, figli e figlie della Nuova alleanza, per i quali "il mistero dell'uomo ha trovato vera luce in Cristo"? (cfr. GS 22). può esservi una conferma più completa della verità sull'uomo, di quella espressa nel salmo, da Colui che e il Cristo, Dio Uomo? figlio di Dio e figlio dell'uomo.

Colui, che "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amo sino alla fine". Cristo Redentore dell'uomo. E Cristo - Eucaristia.

Davvero "..la parola di Dio è viva, efficace... scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (He 4,12).

La Parola eterna costantemente scruta i sentimenti e i pensieri dei nostri cuori. Li scruta come Uomo, come uno di noi. Come Uomo di un comune lavoro quotidiano a Nazaret.


5. Il lavoro umano! Ancora una volta esprimo la gioia di poter, in questa tappa del Congresso Eucaristico, essere con voi a Danzica.

In questa città infatti e allo stesso tempo su tutta la costa del Baltico e in altri ambienti di lavoro in Polonia, è stato intrapreso uno sforzo enorme, che tende a restituire al lavoro umano la sua piena dimensione personale e sociale.

Nella storia del "lavoro sul lavoro" come qualcuno in questo Paese ha detto giustamente, questo sforzo costituisce una tappa importante per vari ambienti, per varie regioni del mondo d'oggi.

può darsi che questo problema venga meno compreso nei Paesi del benessere, i quali cadono negli abusi consumistici. Ma viene compreso là dove il problema del lavoro continua a stare alle basi dell'autentico progresso e della liberazione dell'uomo. Il lavoro infatti possiede proprio una tale dimensione, come dimostra l'insegnamento della Chiesa, a cominciare dai Vangeli e dai Santi Padri, fino alla "Rerum novarum" e alla "Laborem exercens".


6. Il Vangelo dell'odierna liturgia ci introduce in un certo senso al centro stesso di questo problema.

Ecco il padrone della vigna, che (in diverse ore del giorno) si accorda con gli operai per il lavoro della vigna. La vigna è un cantiere di lavoro tipico per il paese in cui predicava Gesù. E anche se quel cantiere giustamente può sembrare molto modesto a confronto coi contemporanei cantieri del lavoro industriale come p.es. quelli navali di Danzica, tuttavia ci troviamo certamente sulla linea dell'analogia di sempre.

Il padrone dice agli operai: "Andate... nella mia vigna; quello che è giusto ve lo daro" (Mt 20,4). Si tratta dunque del contratto di lavoro, e allo stesso tempo della questione di una remunerazione adeguata, cioè di una giusta paga per il lavoro.

Intorno a questo perenne problema si snoda di generazione in generazione la storia della giustizia - e dell'ingiustizia - nei reciproci rapporti tra il datore di lavoro e il lavoratore. Si svolge uno dei capitoli centrali della questione sociale.

Il lavoro infatti sta al centro stesso di questa importante "questione".

E' vero che il lavoro dev'essere pagato, ma questo ancora non è tutto.

Il lavoro implica l'uomo.

L'uomo che lavora. Se dunque si tratta del giusto rapporto tra il lavoro e la paga, non si può mai precisarlo sufficientemente, senza partire dall'uomo - soggetto del lavoro.

Il lavoro non può essere trattato - mai e in nessun posto - come semplice merce, poiché l'uomo non può essere una merce per l'uomo, ma deve essere un soggetto. Nel lavoro egli entra attraverso tutta la sua umanità e tutta la sua soggettività. Il lavoro manifesta, nella vita di una società, tutta la dimensione della soggettività dell'uomo, ed anche della soggettività della stessa società, composta di lavoratori. Bisogna dunque considerare tutti i diritti dell'uomo in rapporto al suo lavoro e soddisfarli tutti.

Per il lavoro umano bisogna si pagare un salario, ma nello stesso tempo non è possibile rispondere al lavoro umano solamente con la paga. Perché - come persona - l'uomo non è solo "esecutore", ma è anche coautore dell'opera che nasce sul cantiere di lavoro. Ha dunque anche il diritto di decidere di questo cantiere.

Ha diritto, come lavoratore, di autogovernarsi.

Espressione di ciò sono, tra l'altro, i sindacati: "indipendenti e autonomi", come è stato sottolineato proprio qui, a Danzica.

Poi, il lavoro umano, mediante centinaia e migliaia (se non milioni) di posti di lavoro, contribuisce al bene comune della società. Gli uomini del lavoro trovano proprio in esso un titolo (multiforme e diversificato, perché anche il lavoro umano è multiforme e diversificato), e dunque il titolo per decidere dei problemi di tutta la società, che del loro lavoro vive e per esso si sviluppa.

"I Patti di Danzica" rimarranno nella storia della Polonia proprio l'espressione di questa crescente coscienza degli uomini del lavoro, riguardo a tutto l'ordine socio-morale in terra polacca. Per la loro genesi si rifanno al tragico dicembre del 1970. E rimandono sempre il compito da realizzare! 7. Passiamo anche alla seconda lettura dell'odierna liturgia.

"Portate i pesi gli uni degli altri" - scrive San Paolo ai Galati (6,2) - e queste parole hanno una grande portata. "Gli uni degli altri". L'uomo non è solo, vive con gli altri, per mezzo degli altri, a vantaggio degli altri. Tutta l'esistenza umana ha una dimensione comunitaria sua propria, ed una dimensione sociale. Essa non può significare una limitazione della persona umana, dei suoi talenti, delle sue possibilità, dei suoi compiti. E' proprio negli interessi della comunità sociale che vi sia per ciascuno uno spazio sufficiente per la libertà personale. Uno dei compiti fondamentali dello Stato è la creazione di questo spazio, così che ciascuno possa, per mezzo del lavoro, sviluppare se stesso, la propria personalità e la propria vocazione. Questo sviluppo della persona, questo spazio per la persona nella vita sociale, è allo stesso tempo a condizione del bene comune. Se all'uomo vengono tolte queste possibilità, se l'organizzazione della vita collettiva comporta delle cornici troppo strette per le possibilità e le iniziative umane - anche se ciò accadesse in nome di una qualche motivazione "sociale" - ebbene, questo, purtroppo, è contro la società. Contro il suo bene - contro il bene comune.

"Portate i pesi gli uni degli altri" - questa concisa frase dell'Apostolo è il programma della solidarietà interumana e sociale. Solidarietà vuol dire: l'uno e l'altro, e se c'è peso, allora questo peso è portato assieme, in comunità. E dunque: mai l'uno contro l'altro. Mai gli uni contro gli altrui e mai "un peso" portato da uno solo, senza l'aiuto altri.

Non ci può essere una lotta più efficace della solidarietà. Non ci può essere un programma di lotta migliore di quello della solidarietà. Altrimenti, i pesi diventano troppo pesanti. E la distribuzione di questi pesi aumenta in modo sproporzionato.

Peggio ancora, quando si dice: "prima la lotta" (per esempio nel senso della lotta di classe), è molto facile che l'altro o gli altri restino sul "campo sociale" anzitutto come avversari. Come coloro che bisogna combattere.

Distruggere. Non come coloro con cui bisogna cercare l'accordo, con i quali bisogna pensare insieme a come "portare i pesi". "Portate i pesi gli uni degli altri".


8. Cari fratelli e sorelle dei cantieri navali, dei porti e di tutti gli stabilimenti di Danzica! Uomini del lavoro, ambienti del lavoro, vi ringrazio per aver fatto vostra questa lotta e per il vostro difficile "lavoro sul lavoro". La Chiesa vi ringrazia perché voi vi siete presi queste responsabilità davanti a Cristo e a sua Madre.

In diversi luoghi si meravigliavano che possa essere così. Che esista un legame tra il mondo del lavoro e la Croce di Cristo. Che esista un legame tra il lavoro umano e la S. Messa: Sacrificio di Cristo.

Il vedere gli operai polacchi confessarsi ed accostarsi alla Santa Comunione nel luogo dove lavorano, ha destato l'ammirazione e il rispetto.

Molti si sono meravigliati. E forse non solo meravigliati; ma forse al contempo scoprivano... d'aver dimenticato la dimensione di tutta "la questione sociale". E, in genere, dell'umana esistenza. Il Eppure, qui avveniva proprio questo. Proprio così.

Non diciamo forse ogni giorno, accostandoci all'altare: "Benedetto sei tu, Signore, Dio dell'universo... benedetto per questo pane, dono del Creatore, ed insieme frutto del lavoro dell'uomo...benedetto per questo vino"? In ogni S. Messa, Sacrificio della nostra Redenzione, entra il frutto "del lavoro dell'uomo", d'ogni lavoro umano: il pane ne è una espressione "sintetica" ed anche il vino: ogni giorno il lavoro umano si inscrive nell'Eucaristia, nel Sacramento del nostro Redentore e nel "grande mistero della fede". Quotidianamente, in tanti posti della terra, dinanzi al lavoro umano si aprono delle prospettive divine.

"Che questo pane diventi per noi cibo della salvezza... questo vino - bevanda spirituale". Poiché "Non di solo pane vivrà l'uomo" (Lc 4,4), la sua esistenza e il suo lavoro devono avere un senso ben preciso, e non solo quello immediato e transeunte. Devono avere un senso definitivo, a misura di ciò che l'uomo e,.

"L'hai fatto poco meno degli angeli, / di gloria e di onore lo hai coronato" (Ps 8,6).

L'uomo - un essere chiamato al lavoro.

L'uomo - un essere chiamato alla gloria! Anche in questo spirito bisogna oggi rinnovare la consapevolezza e la sensibilità della coscienza al comandamento: "Ricordati di santificare il giorno di festa!". L'Eucaristia domenicale è un modo speciale ed insieme necessario di inscrivere la vita e il lavoro dell'uomo nelle prospettive di Dio. Possa questo, essere anche il frutto del Congresso Eucaristico, offerto a Dio dagli uomini del lavoro in Polonia! 9. Infine, bisogna ancora chiarire il significato del "padrone della vigna" dell'odierno Vangelo.

"Amico, io non ti faccio torto... io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te... tu sei invidioso perché io sono buono" (Mt 20,13-15).

Dio parla all'uomo nella "vigna" dei suoi eterni e definitivi destini, e dice: perché tu vuoi limitarmi con l'unico metro della tua giustizia? L'ordine della giustizia è fondamentale, ma non definitivo. Nel regno di Dio la giustizia viene completata. Viene "superata" dall'amore, quell'amore che accoglie l'uomo, e lo rialza, anche se egli fosse un figlio prodigo. Non vi è piena giustizia senza amore.

"Perché vuoi misurarmi secondo il tuo metro umano?".

Permettimi di essere Dono. Sono infatti il Creatore: tutto ciò che esiste è espressione di un dono fondamentale.

Permetterei di essere Dono. L'amore è più grande di tutto ciò che tu, uomo, possa pensare. L'amore spinse "il Padre a mandare il figlio nel mondo" (cfr. Ga 4,4), affinché nessuno di noi andasse perduto. Invece il figlio "ha perso" la vita sulla Croce: ha dato la vita, Ed è risorto: "ci amo sino alla fine".

Permettimi finalmente di essere Eucaristia! la fine continui! Che esso cammini attraverso la storia dell'uomo come Sacramento! Che sia cibo e bevanda spirituale dei cuori umani! "Non essere invidioso perché io sono buono".

Accogli Dio, che è Amore.

"Attingi da questo Amore la forza spirituale per il lavoro". Per il "lavoro sul lavoro". Per la solidarietà.

Tua è la lode e la gloria, nostro eterno Signore, per tutti i tempi...

Amen.

Ora incoroneremo l'immagine della Madre di Dio da Trabki Wielkie che da trecento anni e circondata dalla venerazione del popolo di Dio. In questo modo, all'inizio Anno Mariano, esprimiamo il nostro amore per la Madre del Redentore dell'uomo e ancora una volta, qui in terra di Danzica, affidiamo alla sua materna protezione tutto il mondo del lavoro.

Siano rese grazie a Dio perché mi è stato dato nelle giornate di ieri e oggi di essere sul mare polacco, sul Litorale, prima a Stettino e poi a Danzica.

Sappiamo come è importante il significato di questo mare e di questo litorale per la nostra Patria.

Siano rese grazie a Dio perché ho potuto qui, insieme a voi cari fratelli e sorelle, celebrare la Santa Messa e pregare in questo luogo che ha una storia passata e contemporanea così singolare. Ringrazio Voi perché avete preparato questo incontro di preghiera in modo così degno e splendido e perché vi avete partecipato così numerosi. Ringrazio innanzitutto coloro che sono qui convenuti sia da Danzica che da altre regioni della Polonia, perché questa infatti è stata una Messa per tutto il mondo del lavoro. E per tutto il mondo del lavoro nella nostra Patria. Ringrazio tutti coloro che hanno contribuito al carattere liturgico di questo nostro incontro odierno così numeroso. Ringrazio i sacerdoti e i laici, ringrazio gli artisti, i cori, ringrazio per tutti i doni portati all'offertorio. Soprattutto ringrazio per la vostra presenza e per ciò che questa presenza testimonia. Nelle mie parole ho cercato di parlare di Voi e a Vostro nome. Nutro infatti la convinzione che ciò che è iniziato qui a Danzica e sul Litorale e negli altri ambienti di lavoro in Polonia ha un grande significato per il futuro del lavoro umano.

E non solo sulla nostra terra, ma dappertutto.

Adesso, dopo la fine del mio pellegrinaggio sul Litorale e a Danzica andro direttamente a Jasna Gora. Desidero portare alla Madre di Dio, alla Regina della Polonia, alla Vergine di Jasna Gora, tutto ciò che è l'oggetto comune della nostre aspirazioni, dei nostri desideri, delle nostre sofferenze e anche di questo incontro odierno. E Vi prego di accompagnarmi con questo stesso spirito, con questo spirito di preghiera, in questo pellegrinaggio alla Vergine di Jasna Gora, nel quale portero ai suoi piedi tutto ciò che abbiamo vissuto qui insieme. Che questo giorno rimanga il giorno della nostra preghiera comune per il lavoro umano in Polonia, per la solidarietà, per tutto ciò che è importante per Voi, uomini del lavoro, per le Vostre famiglie, per tutta la società, per tutta la nostra Patria, e che e motivo di speranza, di cui ho parlato già il primo giorno del mio arrivo in Polonia. Che tutto questo giorno rimanga giorno di preghiera.

Ve ne prego. Che la preghiera sia l'espressione fondamentale e unica di ciò che vogliamo esprimere, di ciò che vogliamo manifestare. Quello che vogliamo esprimere è molto grande. Deve trovare per se, innanzitutto l'espressione della preghiera, così come l'ha trovata una volta in quelle giornate decisive, nelle fabbriche di Danzica, nei cantieri di Danzica. Oggi in un certo modo ripetiamo quei giorni. Che questo giorno rimanga fino in fondo "Giorno di preghiera", che nessuno sconvolga questo particolare carattere che è proprio della Vostra causa.

Niente e nessuno.

E il fatto che oggi da qui mi rechero a Jasna Gora è anche una conferma del fatto che la questione che qui ci unisce non cessa di essere il contenuto della mia preghiera quotidiana. Tutti i giorni prego per Voi; a Roma e dovunque mi trovi.

Quotidianamente prego per la mia Patria e prego per gli uomini del lavoro, e prego per questa particolare grande eredità polacca: "Solidarnosc".

Prego per quanti sono legati a questa eredità, in particolare per coloro che hanno dovuto o devono fare sacrifici per essa. E non cessero di pregare, perché so che è una grande cosa.

Miei cari fratelli e sorelle, termino con questa promessa di preghiera, di legame interiore, di legame spirituale con la mia Patria e con Voi, con gli uomini del lavoro, con tutte queste aspirazioni giuste e nobili che tendono a rendere attraverso il lavoro più umana la vita umana, più degna dell'uomo, affinché attraverso questo "si rinnovi la faccia della terra", della nostra terra polacca, così come ho pregato durante il mio primo pellegrinaggio nella Piazza della Vittoria a Varsavia, chiedendo allo Spirito Santo di discendere e rinnovare la faccia della terra, di questa terra. Vi prego di essere solidali con il Papa anche in questa preghiera e in questa "longanimità". Bisogna guardare al futuro, bisogna conservare le forze dello spirito e del corpo per il futuro. Dio Vi ricompensi e Vi benedica! Sia lodato Gesù Cristo!

1987-06-12 Data estesa: Venerdi 12 Giugno 1987





GPII 1987 Insegnamenti - Unzione degli infermi - Basilica mariana di Danzica (Polonia)