GP2 Discorsi 1999 53


VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA

DI SAN RAIMONDO NONNATO

Domenica, 21 febbraio 1999




Ai bambini

Voglio salutare tutti i presenti, i catechisti, i bambini, i « catechizzati » della vostra parrocchia di San Raimondo Nonnato. Questa visita si svolge nella prima Domenica di Quaresima. Cosa vuol dire Quaresima? Vuol dire « quaranta giorni »: in latino Quadragesima, in italiano Quaresima. Quaranta giorni per ricordare il digiuno di Gesù, che all'inizio della sua missione messianica ha digiunato quaranta giorni e quaranta notti. Lo ascoltiamo oggi nel Vangelo, nel brano evangelico del deserto. Per seguire Cristo, anche noi cristiani viviamo questo digiuno di quaranta giorni che si chiama Quaresima. E la Quaresima ci prepara alla grandissima celebrazione, alla grandissima solennità dell'anno liturgico: la Pasqua. Ci prepara al periodo pasquale, che ci ricorda ogni anno la Passione, la morte e la Risurrezione di Cristo. Così si spiega la parola Quaresima.

Sono contento di incontrarvi tutti - i catechisti, i genitori, i bambini piccoli, i bambini più grandi - perché questo incontro serve a ricordarci il significato della Quaresima. Vi auguro di vivere bene questa Quaresima, di pregare di più, anche di digiunare quando la Chiesa lo propone, e poi di prepararvi spiritualmente alla grande solennità della Pasqua, dopo quaranta giorni. Sono molti quaranta giorni. Ma abbiamo già quattro giorni dietro di noi, perché la Quaresima è incominciata mercoledì scorso, Mercoledì delle Ceneri. Siete venuti qui in chiesa per partecipare alla liturgia penitenziale delle Ceneri? E cosa ha fatto il sacerdote? Avete ancora sul capo le Ceneri o sono già scomparse? È un gesto simbolico che ci ricorda la nostra vocazione alla partecipazione al digiuno di Cristo in questi quaranta giorni. È un invito per l'apertura del periodo quaresimale nella Chiesa. Alcuni prendono le Ceneri anche per portarle agli altri, perché le Ceneri sono il simbolo dell'uomo che è stato creato dalla polvere e che una volta ritornerà in polvere. La vita umana è cosi fragile, mortale; ma allo stesso tempo l'uomo è chiamato alla vita eterna, a partecipare alla vita di Dio. Anche questo è racchiuso nel Rito delle Ceneri.

Grazie per la vostra accoglienza e grazie per il vostro silenzio: significa che vi siete preparati bene a partecipare alla visita pastorale del Papa. La vostra parrocchia è abbastanza lontana dal Vaticano; ma è una bella strada!

Ai giovani

54 Vorrei dirvi buona Quaresima! Poco tempo fa abbiamo sentito, e anche pronunciato: buon Natale! E fra poco sentiremo e pronunceremo: buona Pasqua! Fra questi due momenti ci vuole la Quaresima, ci vogliono questi quaranta giorni di preparazione, dei quali tanto bene ci parla l'odierna Liturgia in tutte le Letture, specialmente nel Vangelo. Cosa vuol dire buona Quaresima? Cosa vuol dire prepararsi bene alla Pasqua? Vuole dire fare quello di cui Cristo ci ha lasciato l'esempio. Vuol dire vincere le tentazioni, vincere il peccato, maturare spiritualmente. Questo è il programma di tutta la Chiesa, di tutte le generazioni. Ma in modo speciale è il programma di voi giovani.

Così vi ripeto ancora una volta: buona Quaresima! E vi lascio a riflettere e a pensare cosa significa tutto questo per ciascuno di voi. Vedo che qui siete molto vicini alla tradizione dei vostri Padri Mercedari, che sapevano recuperare i servi, gli schiavi, affrancandoli dalla schiavitù. Noi dobbiamo liberarci dalla schiavitù dei peccati, vincere i peccati e con questa vittoria sui peccati prepararci alla vittoria di Cristo, alla Pasqua. Questo è il mio augurio per voi giovani.

All'esterno della chiesa, dove sono in tanti a salutarlo, il Papa pronuncia alcune parole di congedo dalla parrocchia di San Raimondo Nonnato.

Vi ringrazio di cuore per la buona accoglienza in questa parrocchia di San Raimondo Nonnato. Vi auguro una buona Quaresima e una buona Pasqua, perché la Quaresima ci prepara alla Santa Pasqua.

PAROLE DI GIOVANNI PAOLO II


AL TERMINE DEGLI ESERCIZI SPIRITUALI


Sabato, 27 Febbraio 1999

Al termine degli Esercizi Spirituali, rendiamo grazie a Dio, che, come al profeta Elia, ha parlato a noi nel silenzio. Partecipo questo profondo sentimento di riconoscenza anzitutto al Vescovo di Namur, Monsignor André-Mutien Léonard, che del Signore è stato docile e valido strumento, in questi giorni dedicati all'ascolto.


La ringrazio cordialmente, venerato Fratello, per l'impegno profuso nel preparare e dettare questi Esercizi Spirituali. Per mezzo di essi siamo stati come immersi nel mistero dell'eterna Trinità, "viatico dell'uomo sulla via del terzo millennio". Ella ci ha preparato un autentico itinerario biblico, arricchito dalle voci di santi e di maestri spirituali. Abbiamo potuto così contemplare il volto di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, a partire dal centro della Rivelazione neotestamentaria. In tal modo, siamo stati aiutati a compiere una sintesi dei contenuti teologici sottesi al triennio di preparazione immediata al Grande Giubileo, ormai alle porte. Il Signore ricompensi, caro Fratello nell'Episcopato, questa sua fatica!

Desidero estendere l'espressione della mia riconoscenza a quanti mi hanno accompagnato in questi giorni. Anzitutto a voi, venerati Fratelli Cardinali, Vescovi ed Officiali della Curia Romana, che avete condiviso direttamente questo momento di grazia; ed anche a quanti, con le loro preghiere, ci sono stati vicini. Auguro che il cammino quaresimale rechi a ciascuno abbondanti frutti spirituali, e soprattutto accresca in tutti la carità, che è "il vincolo della perfezione" (Col 3,14).

Maria, che ci ha accompagnato con la sua materna protezione in questi giorni di preghiera, di riflessione e di silenzio, renda fruttuosi i nostri propositi e ci guidi verso il pieno compimento della volontà divina nella nostra esistenza: Maria, Spes nostra, salve!

A tutti voi qui presenti imparto di cuore la Benedizione Apostolica


ALL’ASSEMBLEA GENERALE


DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA


Sala del Concistoro - Sabato, 27 febbraio 1999

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1. Illustri Membri della Pontificia Accademia per la Vita, convenuti a Roma in occasione della vostra annuale Assemblea Generale, siate i benvenuti! Nel rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale saluto, ringrazio il Presidente, Prof. Juan De Dios Vial Correa, per le amabili parole con cui ha interpretato i vostri sentimenti. Saluto pure i Vescovi presenti: Mons. Elio Sgreccia, Vice-Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e Mons. Javier Lozano Barragán, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, a cui la Pontificia Accademia è collegata.


Uno speciale pensiero va all'indimenticabile primo Presidente, il Prof. Jerôme Lejeune, che ci ha lasciato quasi cinque anni fa, il 3 aprile 1994. Egli ha voluto fortemente questa nuova Istituzione, quasi come suo testamento spirituale a salvaguardia della vita umana, presagendo le crescenti minacce che si profilavano all'orizzonte.

Desidero esprimere il mio compiacimento per tutta l'attività di ricerca rigorosa e di diffusa informazione, che la Pontificia Accademia ha saputo impostare e realizzare in questo primo quinquennio di vita. Il tema da voi prescelto per la vostra riflessione, "La dignità del morente", intende portare luce di dottrina e di sapienza su una frontiera per certi versi nuova e cruciale. La vita dei morenti e dei malati gravi, infatti, è oggi esposta ad un insieme di pericoli, che si manifestano a volte in forme di trattamento disumanizzanti, altre volte nella non considerazione ed anche nell'abbandono, che può giungere fino alla soluzione eutanasica.

2. Il fenomeno dell'abbandono del morente, che si sta estendendo nella società sviluppata, ha diverse radici e molteplici dimensioni, ben presenti alla vostra analisi.

C'è una dimensione socio-culturale, che va sotto il nome di "occultamento della morte": le società, organizzate sul criterio della ricerca del benessere materiale, sentono la morte come un non senso e, nell'intento di cancellarne l'interrogativo, ne propongono a volte l'anticipazione indolore. La cosiddetta "cultura del benessere" porta spesso con sé l'incapacità di cogliere il senso della vita nelle situazioni di sofferenza e di limitazione, che accompagnano l'avvicinamento dell'uomo alla morte. Una simile incapacità risulta acuita quando si manifesta all'interno di un umanesimo chiuso al trascendente, e si traduce non di rado in perdita della fiducia per il valore dell'uomo e della vita.

C'è poi una dimensione filosofica e ideologica, in base alla quale si fa appello all'autonomia assoluta dell'uomo, quasi che egli fosse l'autore della propria vita. In questa ottica si fa leva sul principio dell'autodeterminazione, e si giunge anche ad esaltare il suicidio e l'eutanasia come forme paradossali di affermazione ed insieme di distruzione del proprio io.

C'è inoltre una dimensione medica ed assistenziale, che si esprime in una tendenza a limitare la cura dei malati gravi, inviati in strutture sanitarie non sempre capaci di fornire un'assistenza personalizzata e umanizzata. La conseguenza è che la persona ospedalizzata si trova non di rado fuori del contatto con la famiglia ed esposta ad una sorta di invadenza tecnologica che ne umilia la dignità.

C'è infine la spinta occulta della cosiddetta "etica utilitaristica", che regola molte società avanzate sulla base dei criteri di produttività e di efficienza: in quest'ottica il malato grave e il morente bisognoso di cure prolungate e selezionate vengono sentiti, alla luce del rapporto costi-benefici, come un peso ed una passività. Questa mentalità spinge, quindi, ad un diminuito sostegno alla fase declinante della vita.

3. E' questo il contesto ideologico al quale attingono le sempre più frequenti campagne d'opinione miranti alla instaurazione di leggi a favore dell'eutanasia e del suicidio assistito. I risultati già ottenuti in alcuni Paesi, ora con sentenze della Corte Suprema ora con voti del Parlamento, sono la conferma della diffusione di certi convincimenti.

Si tratta dell'avanzata di quella cultura della morte, che emerge pure in altri fenomeni riconducibili in un modo o nell'altro ad una scarsa valutazione della dignità dell'uomo: tali sono, ad esempio, le morti per fame, per violenza, per la guerra, per mancanza di controllo nel traffico, per scarsa attenzione alle norme di sicurezza sul lavoro.

Di fronte alle nuove manifestazioni della cultura della morte la Chiesa ha il dovere di mantenere fede al suo amore per l'uomo "che è la prima strada che essa deve percorrere" (Redemptor hominis
RH 14). Essa ha oggi il compito di illuminare il volto dell'uomo, in particolare il volto del morente con tutta la luce della sua dottrina, con la luce della ragione e della fede; essa ha il dovere di chiamare a raccolta, come ha già fatto in diverse occasioni cruciali, tutte le forze della comunità e delle persone di buona volontà, perché attorno al morente si stringa con rinnovato calore un vincolo di amore e di solidarietà.

56 La Chiesa è consapevole che il momento della morte è sempre accompagnato da una particolare densità di sentimenti umani: c'è una vita terrena che si compie; l'infrangersi dei legami affettivi, generazionali e sociali che fanno parte dell'intimo della persona; c'è nella coscienza del soggetto che muore e di chi lo assiste il conflitto fra la speranza nell'immortalità e l'ignoto che turba anche gli spiriti più illuminati. La Chiesa leva la sua voce perché non si rechi offesa al morente, ma ci si dedichi con ogni amorevole sollecitudine ad accompagnarlo mentre s'appresta a varcare la soglia del tempo per introdursi nell'eternità.

4. "La dignità del morente" è radicata nella sua creaturalità e nella sua vocazione personale alla vita immortale. Lo sguardo pieno di speranza trasfigura il disfacimento del nostro corpo mortale. "Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale di immortalità si compirà la parola della Scrittura: la morte è stata ingoiata per la vittoria" (
1Co 15,54 cfr 2Co 5,1).

La Chiesa, pertanto, nel difendere la sacralità della vita anche nel morente, non obbedisce ad alcuna forma di assolutizzazione della vita fisica, ma insegna a rispettare la dignità vera della persona, che è creatura di Dio, ed aiuta ad accogliere serenamente la morte quando le forze fisiche non possono più essere sostenute. Ho scritto nell'Enciclica Evangelium Vitae: "La vita del corpo nella condizione terrena non è un assoluto per il credente, tanto che gli può essere richiesto di abbandonarla per un bene superiore... Nessun uomo, tuttavia, può scegliere arbitrariamente di vivere o di morire; di tale scelta, infatti, è padrone assoluto soltanto il Creatore, colui nel quale «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (Ac 17,28)" (n. 47).

Di qui promana una linea di condotta morale verso il malato grave e il morente che è contraria, da una parte, all'eutanasia e al suicidio (cfr Ibid., n. 61) e, dall'altra, a quelle forme di "accanimento terapeutico" che non sono di vero sostegno alla vita e alla dignità del morente.

E' opportuno qui richiamare il giudizio di condanna dell'eutanasia intesa in senso proprio come "un'azione o un omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore", in quanto costituisce "grave violazione della Legge di Dio" (Ibid., 65). Ugualmente deve essere tenuta presente la condanna del suicidio in quanto "sotto il profilo oggettivo è un atto gravemente immorale, perché comporta il rifiuto dell'amore verso se stessi e la rinuncia ai doveri di giustizia e carità verso il prossimo, verso le varie comunità di cui si fa parte e verso la società nel suo insieme. Nel suo nucleo più profondo esso costituisce un rifiuto della sovranità assoluta di Dio sulla vita e sulla morte" (Ibid., 66).

5. Il tempo in cui viviamo esige la mobilitazione di tutte le forze della carità cristiana e della solidarietà umana. Occorre infatti far fronte alla nuova sfida della legalizzazione dell'eutanasia e del suicidio assistito. A tal fine non basta contrastare nell'opinione pubblica e nei Parlamenti questa tendenza di morte, ma bisogna anche impegnare la società e le strutture stesse della Chiesa in una degna assistenza al morente.

In questa prospettiva, incoraggio volentieri quanti promuovono opere e iniziative per l'assistenza dei malati gravi, degli infermi mentali cronici, dei morenti. Essi si impegnino, se necessario, a convertire le opere assistenziali già esistenti alle nuove necessità, perché nessun morente sia abbandonato o lasciato solo e senza assistenza di fronte alla morte. E' la lezione che ci hanno lasciato tanti Santi e Sante nel corso dei secoli ed anche recentemente Madre Teresa di Calcutta con le sue provvide iniziative. Occorre che ogni comunità diocesana e parrocchiale sia educata a custodire i suoi anziani, a curare e visitare i suoi malati a domicilio e nelle strutture specifiche, a seconda della necessità.

L'affinamento delle coscienze nelle famiglie e negli ospedali non mancherà di favorire una più diffusa applicazione delle "cure palliative" nei malati gravi e nei morenti, così da alleviare i sintomi del dolore, portando loro al tempo stesso conforto spirituale mediante un'assistenza assidua e premurosa. Nuove opere dovranno sorgere per accogliere gli anziani non autosufficienti che si ritrovano soli, ma dovrà essere soprattutto promossa un'organizzazione capillare a sostegno economico oltre che morale dell'assistenza domiciliare: le famiglie, che vogliono mantenere in casa la persona gravemente malata, si sottopongono infatti a sacrifici talora molto gravosi.

Le Chiese locali e le Congregazioni religiose hanno l'opportunità di offrire in questo campo una testimonianza pionieristica, nella consapevolezza della parola del Signore a proposito di quanti si prodigano a sollievo dei malati: "Ero infermo e mi avete assistito" (Mt 25,36).

Maria, la Madre dolorosa che ha assistito Gesù morente sulla croce, infonda nella madre Chiesa il suo Spirito e l'accompagni nel compimento di questa missione.

A tutti la mia Benedizione.

VISITA ALLA PARROCCHIA DI SANTA MARIA STELLA MARIS

(CASTELFUSANO-ROMA)


AI BAMBINI ED AI LAICI IMPEGNATI NELLA PARROCCHIA


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Domenica, 28 febbraio 1999




I bambini della parrocchia hanno donato al Papa un piccolo mazzo di mimose per esprimere la loro gioia di averlo potuto incontrare. Giovanni Paolo II ha rivolto loro queste parole:

Sia lodato Gesù Cristo!

Sono molto contento di essere qui, in questa parrocchia che si chiama Stella Maris. Voi sapete che cosa vuol dire Stella Maris? È vero, è un nome marino e infatti il mare sta qui vicino. Specialmente per quanti devono girare attraverso i mari ci vuole una stella per mostrare la giusta direzione. Stella Maris: questo titolo è attribuito a Maria, Madre di Cristo. Maria è Stella Maris perché ci mostra il giusto indirizzo per non perdere la strada, specialmente nella notte, nella tempesta.

È bello il nome che ha la vostra parrocchia ed è anche molto indicativo. Dice che voi avete bisogno di una Stella Maris, di una stella che indica la giusta strada nella vita, specialmente nei giorni difficili, per arrivare al porto, per non sbagliare, per non perdersi. È un nome molto ben scelto per una parrocchia così vicina al mare. Perché qui siamo vicino al mare, vero? Come si chiama questo mare? Mare Tirreno, bravi! E voi qualche volta andate sulle spiagge? Ma adesso no, ci andate in estate!

Vi auguro di crescere con questa Stella Maris, di crescere nei vostri anni giovanili, prima da bambini, poi da ragazzi e da giovani, e di non sbagliare la strada per arrivare al porto. Qual è il porto? Il porto di Roma si chiamava una volta Ostia. Ma c'è un'analogia. Arrivare al porto, infatti, vuol dire arrivare al porto di tutta la vita, della vita eterna.

Vi auguro che voi tutti parrocchiani della parrocchia Stella Maris, specialmente i più piccoli e i più giovani, manteniate sempre la giusta direzione e arriviate a questo porto verso il quale ci dirige la Stella Maris, Maria Madre di Cristo.

Avete capito? Infine saluto anche i vostri genitori, i vostri catechisti. Grazie per i fiori e la vostra buona accoglienza e speriamo che questa visita ci farà più amici. Avete detto all'inizio che conoscete il Papa attraverso la televisione. Oggi non c'è bisogno della televisione perché avete il Papa in natura, di persona. Ma anche la televisione è molto utile. Si può girare tutto il mondo con l'aiuto della televisione. Auguro a tutti buona domenica e buona Quaresima.

Dopo la Santa Messa, Giovanni Paolo II ha incontrato un gruppo di laici impegnati nella vita della comunità parrocchiale. Ecco le sue parole:

La Stella Maris è molto importante, specialmente nella notte quando si può perdere il giusto indirizzo. Guardando questa stella si può ritrovare sempre l'indirizzo.

È molto significativo il titolo della vostra parrocchia. Fa pensare. Sono diverse le notti che l'uomo deve affrontare, deve passare, e ciascuno di noi ha bisogno di questa stella che lo guida. Voi siete impegnati nella vita della parrocchia, nella catechesi, nella liturgia, nel Consiglio pastorale, nell'apostolato dei giovani. Vi auguro di seguire sempre questa Stella Maris in diverse situazioni: di seguire e anche di far seguire gli altri che hanno bisogno di un giusto indirizzo. Questo auguro alla vostra parrocchia, al vostro parroco, ai suoi collaboratori e a voi tutti impegnati in questa parrocchia nell'apostolato dei laici: catechisti, famiglie, Consiglio pastorale, giovani.

58 Vi ringrazio per la buona accoglienza e auguro buona Quaresima e poi anche buona Pasqua!
Marzo 1999



ALL'ASSEMBLEA PLENARIA


DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI


Sala Clementina - Lunedì, 1° marzo 1999




Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'Episcopato,
Cari Fratelli e Sorelle,

1. La vostra Assemblea plenaria, che si sta svolgendo in questi giorni a Roma, mi dà la gradita opportunità di questo incontro con voi, che siete collaboratori del Papa nel servizio ai fedeli laici del mondo intero. Il mio saluto e il mio ringraziamento vanno innanzi tutto al Presidente del Dicastero, il Sig. Card. James Francis Stafford, e al Segretario, Mons. Stanislaw Rylko, ma abbracciano ciascuno dei Membri e dei Consultori del Pontificio Consiglio per i Laici come pure gli Officiali ed il Personale.

Al centro dei lavori della vostra assemblea plenaria voi avete posto l'importanza del sacramento della Cresima nella vita dei fedeli laici. Questa riflessione rappresenta il proseguimento ideale della riflessione sul Battesimo avvenuta nel corso della precedente assemblea. Perché, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, «la Confermazione perfeziona la grazia battesimale [. . .], dona lo Spirito Santo per radicarci più profondamente nella filiazione divina, incorporarci più saldamente a Cristo, rendere più solido il nostro legame con la Chiesa, associarci maggiormente alla sua missione e aiutarci a testimoniare la fede cristiana con la parola accompagnata dalle opere» (n. 1316). La «creatura nuova», rigenerata dalla grazia battesimale, diventa testimone di vita nuova nello Spirito e annunciatrice delle grandi opere di Dio. «Il cresimato - spiega san Tommaso - riceve il potere di professare pubblicamente la fede cristiana, quasi per un incarico ufficiale (quasi ex officio) » (S. Th., III, 72, 5, ad. 2; cfr CEC 1305).

2. «I fedeli laici, confessori della fede nel mondo di oggi». Il tema scelto per la vostra assemblea plenaria racchiude tutto un programma di vita: diventare «confessori della fede» con la parola e con le opere. Non è forse questo un invito provvidenziale per i fedeli laici alle soglie del terzo millennio dell'era cristiana? Alla vigilia del Giubileo, in questo kairòs particolare, tutta la Chiesa è chiamata a porsi umilmente davanti al Signore, a fare un serio esame di coscienza, a riprendere il cammino di una profonda conversione, il cammino della maturità cristiana, della fedele adesione a Cristo nella santità e nella verità, dell'autentica testimonianza della fede. Questo esame di coscienza non può non riguardare la ricezione del Concilio Ecumenico Vaticano II - l'avvenimento ecclesiale che ha maggiormente segnato il nostro secolo - e dei suoi luminosi insegnamenti sulla dignità, la vocazione e la missione dei fedeli laici.

L'appuntamento giubilare stimola perciò ogni laico cristiano a porsi interrogativi fondamentali: Che cosa ho fatto del mio Battesimo? Come rispondo alla mia vocazione? Che cosa ho fatto della mia Cresima? Ho fatto fruttificare i doni e i carismi dello Spirito? È Cristo il «Tu» sempre presente nella mia vita? È veramente piena e profonda la mia adesione alla Chiesa, mistero di comunione missionaria, così come voluta dal suo Fondatore e realizzata nella sua tradizione vivente? Nelle mie scelte sono fedele alla verità proposta dal magistero ecclesiale? La mia vita coniugale, familiare, professionale è improntata all'insegnamento di Cristo? Il mio impegno sociale e politico è informato ai principi evangelici ed alla dottrina sociale della Chiesa? Qual è il mio contributo alla costruzione di forme di vita più degne dell'uomo e all'inculturazione del Vangelo in mezzo ai grandi cambiamenti in atto?

3. Con il Concilio Vaticano II, «grande dono dello Spirito alla Chiesa sul finire del secondo millennio» (Tertio Mllennio Adveniente, 36), abbiamo sperimentato la grazia di una rinnovata Pentecoste. Tanti sono i segni di speranza che ne sono scaturiti per la missione della Chiesa e io non ho mai cessato di indicarli, di sottolinearli, di incoraggiarli. Penso, tra gli altri, alla riscoperta e valorizzazione dei carismi che hanno incrementato una comunione più viva tra le varie vocazioni presenti nel Popolo di Dio, al rinnovato slancio di evangelizzazione, alla promozione dei laici e alla loro partecipazione e corresponsabilità nella vita della comunità cristiana, alla loro presenza di apostolato e di servizio nella società. All'alba del terzo millennio, essi inducono ad attendere una «epifania» matura e feconda del laicato.

59 Allo stesso tempo, però, come ignorare il fatto che purtroppo non pochi cristiani, dimentichi degli impegni del proprio Battesimo, vivono nell'indifferenza, cedendo al compromesso con il mondo secolarizzato? Come tacere di quei fedeli che, seppur a loro modo attivi nelle comunità ecclesiali, seguendo le suggestioni del relativismo tipico della cultura odierna stentano ad accettare gli insegnamenti dottrinali e morali della Chiesa, ai quali ogni battezzato è chiamato ad aderire?

Auspico, quindi, che i fedeli laici non eludano questo esame di coscienza, per poter attraversare la Porta Santa del terzo millennio temprati nella verità e nella santità degli autentici discepoli di Gesù Cristo. «Voi siete il sale della terra [. . .]. Voi siete la luce del mondo [. . .]. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (
Mt 5,13-16). Il mondo ha bisogno della testimonianza di «uomini nuovi» e di «donne nuove» che, con la parola e le opere, rendano sempre più vigorosamente presente Cristo. Perché la sola risposta esauriente e sovrabbondante alle attese di verità e di felicità del cuore dell'uomo è Cristo. È lui la «pietra angolare» della costruzione di una civiltà più umana.

4. Il Pontificio Consiglio per i Laici, con le sue iniziative, ha avuto nel corso degli anni un ruolo importante nel cammino di crescita dei christifideles laici. Tra quelle degli ultimi tempi, mi piace ricordare il Raduno mondiale dei giovani a Parigi nell'agosto del 1997, l'Incontro con i movimenti ecclesiali e le nuove comunità il 30 maggio 1998 in Piazza San Pietro, il documento su «La dignità dell'anziano e la sua missione nella Chiesa e nel mondo», pubblicato in occasione dell'Anno Internazionale dell'Anziano, indetto dalle Nazioni Unite per il 1999, e base di orientamento per la preparazione del Giubileo degli Anziani. So che il Dicastero è già impegnato nella preparazione della Giornata Mondiale della Gioventù 2000 e che, in collaborazione con altri Dicasteri della Curia Romana, sta organizzando per il mese di giugno di quest'anno un Seminario sul tema: «I movimenti ecclesiali e le nuove comunità nella sollecitudine pastorale dei Vescovi».

5. Sulla scia degli insegnamenti del Concilio Vaticano II e dell'Esortazione apostolica Christifideles laici, altre iniziative del Pontificio Consiglio per i Laici che riguardano il vasto e fecondo campo del laicato cattolico si realizzeranno nell'anno giubilare. Su una, di grande importanza, mi soffermerò un momento: il Congresso mondiale dell'apostolato dei laici, previsto a Roma per il mese di novembre del 2000. Questo congresso, che per quanti vi parteciperanno sarà innanzi tutto un evento giubilare, potrà fungere da ricapitolazione del cammino del laicato dal Concilio Vaticano II al Grande Giubileo dell'Incarnazione. Pur situandolo in rapporto di continuità con incontri simili svoltisi in passato, se ne dovranno approfondire il profilo e gli scopi peculiari. Svolgendosi verso la fine del 2000, esso sarà arricchito da quanto sarà stato vissuto in quell'anno di grazia del Signore e non mancherà di additare ai fedeli laici i compiti che li attendono nei diversi campi della missione e del servizio all'uomo all'inizio del terzo millennio.

6. Cari Fratelli e Sorelle, concludo queste mie riflessioni con l'augurio che i lavori della vostra assemblea plenaria portino tanti buoni frutti nella vita della Chiesa. Accompagno con le mie preghiere le iniziative del vostro Dicastero per il Grande Giubileo e ne affido l'esito alla particolare intercessione di Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa. A tutti voi qui presenti, alle vostre famiglie, ai vostri cari l'auspicio di grazie copiose nell'anno giubilare e la mia speciale Benedizione.




AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PLENARIA


DEL PONTIFICIO CONSIGLIO


DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI


Sala del Concistoro - Giovedì, 4 marzo 1999




Eminenze,
Eccellenze,
Cari Fratelli e care Sorelle in Cristo,

Sono lieto di accogliervi, membri, consultori, esperti e personale tutto del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali in occasione della vostra Assemblea Plenaria.

Saluto in particolare il Cardinale Andrzej Maria Deskur, Presidente emerito del Consiglio, e l'Arcivescovo John Foley, suo Successore in qualità di Presidente. Ringrazio anche per la loro presenza il Cardinale Eugenio de Araújo Sales e il Cardinale Hyacinthe Thiandoum, che hanno contribuito così tanto all'opera del Consiglio fin dai suoi inizi.

60 Quest'anno ricorre il trentacinquesimo anniversario del documento In Fructibus Multis, che ha risposto alla richiesta dei Padri del Concilio Vaticano II affinché la Santa Sede stabilisse una commissione speciale per le comunicazioni sociali. Si tratta dunque di un Documento fondante del vostro Pontificio Consiglio. I Padri hanno compreso chiaramente che se doveva esserci un autentico colloquium salutis fra la Chiesa e il mondo, allora bisognava dare priorità all'utilizzo dei mezzi di comunicazione sociale, che al tempo del Concilio stavano ampliando i loro orizzonti e diventando sempre più sofisticati e che oggi divengono sempre più influenti. Quest'anno ricorre anche il XXV anniversario di una delle più note iniziative del vostro Consiglio, la trasmissione televisiva della Messa della notte di Natale dalla Basilica di San Pietro, uno dei programmi religiosi più seguiti nel mondo. Sono veramente grato a tutti coloro che contribuiscono a questo e ad altri programmi, che sono un servizio ammirevole alla proclamazione della Parola di Dio e un aiuto particolare al Successore di Pietro nel suo ministero universale di verità e di unità.

Questi anniversari sottolineano il valore della cooperazione positiva e stretta fra la Chiesa e i mezzi di comunicazione sociale (cfr Messaggio in occasione della XXXIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, n. 3). Questa collaborazione farà indubbiamente un significativo passo avanti nell'Anno 2000, quando la grazia del Grande Giubileo verrà portata ai quattro angoli della terra. Il bimillenario della nascita del Signore verrà celebrato in particolare a Roma e in Terra Santa, ma il suo significato spirituale si estenderà a tutti i popoli e a tutti i luoghi (cfr Incarnationis mysterium, n. 2). Apprezzo molto tutto ciò che il Pontificio Consiglio sta facendo per rendere i mezzi di comunicazione sociale più consapevoli della natura autentica del Giubileo quale «anno favorevole al Signore» e per garantire che le celebrazioni ad esso legate vengano trasmesse il più ampiamente ed efficacemente possibile, in modo da comunicare il messaggio giubilare di conversione, speranza e gioia.

Un aspetto vitale della cooperazione fra la Chiesa e i mezzi di comunicazione sociale è la riflessione etica che la Chiesa propone, senza la quale il mondo delle comunicazioni sociali, potenzialmente tanto creativo, può finire per accogliere e diffondere controvalori distruttivi. È incoraggiante apprendere che, dalla pubblicazione del Documento Etica nella pubblicità, persone che operano nel settore di mezzi di comunicazione sociale abbiano suggerito la redazione di un documento simile che offra una guida etica per altre aree delle comunicazioni. In un settore nel quale le pressioni culturali ed economiche possono a volte offuscare la visione morale che dovrebbe orientare tutte le realtà e tutti i rapporti umani, questo compito rappresenta una sfida al Pontificio Consiglio ed è in sintonia profonda con la missione essenziale della Chiesa di diffondere la Buona Novella del Regno di Dio.

La dottrina morale della Chiesa è il frutto di una lunga tradizione di saggezza etica che risale al Signore Gesù stesso, e attraverso di Lui al Monte Sinai e al mistero dell'autorivelazione di Dio nella storia umana. Senza questa visione e questa obbedienza alle sue richieste non ci saranno né la comprensione né la gioia che rappresentano la pienezza delle benedizioni di Dio alle sue creature. Per questo, vi incoraggio a studiare la dimensione etica della cultura dei mezzi di comunicazione sociale e il loro potere sulla vita delle persone e su tutta la società in generale. Vi esorto a continuare a promuovere una formazione efficace dei cattolici che operano nel settore dei mezzi di comunicazione sociale in ogni continente, cosicché la loro opera non solo sia professionalmente valida, ma sia anche un impegno all'apostolato. La vostra costante cooperazione con le varie organizzazioni cattoliche internazionali concernenti i mezzi di comunicazione sociale ha un significato particolare nel vasto campo della missione evangelizzatrice della Chiesa.

Confido nel fatto che l'opera devota del vostro Pontificio Consiglio continuerà a incoraggiare e a guidare i cattolici impegnati nel settore delle comunicazioni sociali e, soprattutto in relazione alla celebrazione del Grande Giubileo, porterà questo importante evento ecclesiale al maggior numero di persone. Vi affido all'intercessione amorevole di Maria, Sede di Saggezza e Madre di tutte le nostre gioie. Che Lei, che ha dato il Verbo al mondo, ci insegni a servire con umiltà e a proclamare con fiducia il messaggio salvifico di suo Figlio. Come pegno di forza e di pace in Gesù Cristo, il Verbo incarnato che potremmo vivere, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.


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