GP2 Discorsi 1999 81


VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA

DI SANTA TERESA DI GESÙ BAMBINO IN PANFILO

Domenica, 21 marzo 1999

Rivolgendosi ai bambini il Papa ha pronunciato queste parole:


Sia lodato Gesù Cristo!

Oggi è domenica 21 marzo. Con questa data comincia la primavera. E sembra che sia proprio arrivata. Allora ho pensato, recandomi in questa parrocchia, che il primo incontro lo avrei avuto con i bambini: anche questo è primavera. Incontrare i bambini è la primavera. Così vi saluto, cari bambini, come «primavera» della società, della vostra patria, di questa chiesa, di questa parrocchia.

Questa parrocchia sembra molto primaverile perché anche la Patrona, Santa Teresa, ci ricorda l'entusiasmo dei giovani. Si deve leggere la vita di Santa Teresa. Si legge molto facilmente. La sua vita è una storia dell'anima. Leggerla, dunque, sarebbe molto utile per voi, molto utile per tutti, per noi, per i sacerdoti, per i Vescovi, per le persone religiose, come pure per gli anziani, per i giovani e per i bambini.

In questa parrocchia vi sono pochi bambini, e quindi si vede che siamo dentro Roma; in periferia i bambini sono di più. Vi saluto cordialmente e vi ringrazio per questo incontro. Ringrazio le mamme, i genitori, i catechisti. Adesso andiamo a celebrare la Santa Messa, che ci prepara, oggi che è la quinta domenica di Quaresima, alla Pasqua.

La Pasqua è vicina. Fra una settimana celebreremo la Domenica delle Palme, e fra due settimane celebreremo la Pasqua del Signore. La Pasqua ci ricorda la morte e la risurrezione di Cristo: è a questo evento che noi ci prepariamo.

82 Che il Signore benedica tutta la vostra comunità, tutte le famiglie, tutti i presenti, e specialmente tutti i bambini che sono la «primavera» della Chiesa.

Sia lodato Gesù Cristo!

Il Santo Padre si è poi rivolto ai giovani e ai membri del Consiglio Pastorale:

Ora parlerò in latino: «Pueri hebraeorum portantes ramos olivarum obviaverunt Domino». Questa frase la leggeremo domenica prossima nella liturgia delle Palme. I giovani ebrei con le palme nelle loro mani sono andati all'incontro con il Signore. Ho citato queste parole perché così è nata la Giornata Mondiale della Gioventù. Vent'anni fa quando sono stato chiamato a Roma, ho visto che i giovani vengono soprattutto in occasione della Domenica delle Palme. Allora hanno indovinato la vocazione che questa Domenica, che questa Giornata porta loro.

Lentamente, gradualmente, abbiamo approfittato della liturgia della Domenica delle Palme per allargare sempre più l'incontro con i giovani. Prima erano i giovani ebrei, poi erano i giovani romani, e poi, lentamente, i giovani di tutto il mondo. Cominciando da Roma, la Giornata si è portata a Buenos Aires, in Argentina; a Santiago de Compostela, in Spagna; poi a Czêstochowa, in Polonia; poi a Denver, negli Stati Uniti; quindi a Manila, nelle Filippine; l'ultima a Parigi. Allora la Giornata deve adesso «tornare» a Roma, e sento che il Cardinale Vicario è già molto impegnato per la preparazione di questa Giornata Mondiale della Gioventù a Roma nell'Anno 2000. Se ne interessano anche i Vescovi e se ne interessano gli stessi giovani. Speriamo che andrà bene!

Nell'incontro di giovedì 25 marzo con i giovani di Roma e e nella Domenica delle Palme cercheremo di fare una buona preparazione. I giovani camminano con Cristo. Quando Lui viene in Gerusalemme per offrire la sua vita, sono i giovani che lo accolgono. E questa è un'ispirazione a beneficio della Chiesa e dei giovani di tutto il mondo per accogliere Cristo. I giovani lo accolgono quando porta la Croce. È per questo che la Croce è diventata il simbolo della Giornata Mondiale della Gioventù: Croce che si trasferisce di Continente in Continente. Adesso questa Croce attraversa tutta l'Italia.

Allora sono contento di dirvi questo e di augurarvi quello che è l'augurio di Cristo stesso: «Seguimi!». Questo ha detto Gesù ad un giovane, e lo dice a tutti i giovani. «Seguimi!» perché questa è la strada con cui si apre una prospettiva di vita, di quel compimento della nostra umana e cristiana vocazione.

Vorrei ancora dire al Padre parroco e al Consiglio Pastorale della parrocchia che devono puntare sui giovani perché a loro appartiene il futuro, il Terzo Millennio. Ringrazio i membri del Consiglio Pastorale per tutti i buoni consigli che danno al loro parroco.

Grazie per l'accoglienza e per questa visita nella parrocchia la cui Patrona si chiama santa Teresina. Specialmente a Parigi, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, si sentiva la presenza di Santa Teresina. Era una vostra coetanea.

Buona Domenica delle Palme e, poi, Buona Pasqua!

Al termine della visita pastorale Giovanni Paolo II, sul sagrato della chiesa, nel congedarsi dalla comunità parrocchiale, ha detto:

83 Grazie per la vostra cordiale accoglienza in questa domenica che ci avvicina alla Santa Pasqua. Auguro a tutti una buona preparazione spirituale in questi giorni, specialmente durante la Settimana Santa. E poi auguro Buona Pasqua a tutti!

Sia lodato Gesù Cristo!

MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


AL PADRE LORENZO RUSSO, ABATE GENERALE


DELLA CONGREGAZIONE BENEDETTINA VALLOMBROSANA


Al Reverendissimo Padre Lorenzo Russo

Abate Generale della Congregazione Benedettina Vallombrosana

1. Ho appreso con gioia che la Famiglia monastica vallombrosana si appresta a celebrare quest'anno la ricorrenza del Millenario della nascita del suo fondatore, S. Giovanni Gualberto. In tale prospettiva, desidero rivolgermi a Lei, Reverendissimo Abate Generale, e a tutti i membri della Congregazione, perché questa importante commemorazione lasci tracce profonde per un rinnovamento della vostra vita e per il bene di tutta la Chiesa: "Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire!" (Vita consecrata VC 110).

Questa ricorrenza viene celebrata alla vigilia del Giubileo del 2000, anno dedicato al Padre, ed è importante che per ciascun monaco vallombrosano tale celebrazione diventi un atto di lode a Dio Padre per aver suscitato nella Chiesa una figura tanto significativa per santità e coraggio apostolico: "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi ed immacolati al suo cospetto nella carità" (Ep 1,3-4).

2. San Giovanni Gualberto fu scelto da Dio perché, in un momento difficile per la storia della Chiesa, in un'epoca di profonde trasformazioni che andavano scuotendo il mondo degli Ordini religiosi, contribuisse a risvegliare il desiderio di una vita cristiana e monastica senza compromessi, col dare inizio, dopo non poche difficoltà, ad una nuova forma di vita rispondente agli interiori appelli dello Spirito. Questa forma di vita, radicata nella Regola di S.Benedetto, prevedeva che "nulla dovesse essere anteposto a Cristo" (Regula Benedicti, 4,21 e 72,11). Fu così possibile per San Giovanni Gualberto e i per i suoi discepoli ottemperare alle esigenze di una vita ascetica rigorosa, dando al tempo stesso un valido apporto alla lotta contro la simonia e il nicolaismo. Come già si è espresso il mio venerato Predecessore Paolo VI, in occasione del IX centenario della morte, "benché monaco, egli partecipò pienamente e nel modo più vero alla vita della Chiesa, e insieme con i suoi discepoli ebbe un ruolo di primo piano nelle gravissime vicende da cui la Chiesa di Firenze . . . era particolarmente travagliata. Dalla sede di Vallombrosa, come da un'eccellente specola, guardava alle immense necessità della Chiesa . . . Le cure che egli prodigò nell'instaurare la disciplina monastica, le dispiegò anche nel riformare i costumi del clero, inculcando la necessità della vita comune e la radicale povertà" (cfr Paolo VI, Lettera all'Abate Generale dei Vallombrosani, 10 luglio 1973: AAS 65 (1973) 434-436). Fu proprio attraverso la testimonianza della povertà, "testimonianza del Regno, principio di beatitudine, itinerario di libertà e mezzo di fecondità apostolica" (Costituzioni vallombrosane, 147), espressa anche attraverso la semplicità degli edifici e l'austerità della vita, che la riforma monastica attuata da San Giovanni Gualberto riuscì a diventare norma di vita anche per altri monasteri.

3. La forza dello Spirito Santo si manifestò in Giovanni Gualberto quando, ancora cavaliere di una promettente milizia mondana, incontrando l'uccisore di suo fratello, scese da cavallo e lo strinse a sé nell'abbraccio del perdono. Questo gesto, che segnò profondamente la sua vita, al punto tale da indurlo a lasciare ogni cosa per il Regno (cfr Lc 18,28), è di grande attualità anche per il nostro tempo: cedere alla violenza e all'odio significa essere vinti dal male e propagarlo; San Giovanni Gualberto offrendo il perdono non solo attuò pienamente l'insegnamento del Signore "perdonate e vi sarà perdonato" (Lc 6,37), ma ottenne anche una grande vittoria su se stesso e una profonda pace interiore.

L'esempio del vostro Fondatore vi deve trovare impegnati nella Chiesa per far crescere la spiritualità della comunione, prima di tutto all'interno della vostra famiglia monastica e poi nella stessa comunità ecclesiale e oltre i suoi confini (cfr Vita consecrata VC 51).

4. La chiamata alla santità attuatasi in S. Giovanni Gualberto andò realizzandosi in lui attraverso un continuo esercizio di preghiera e di ascesi, secondo la secolare e vitale tradizione benedettina. Come narra uno dei suoi biografi, egli era "illetterato e quasi analfabeta", ma "si faceva leggere di notte e di giorno la Sacra Scrittura tanto da divenire assai esperto nella legge e nella sapienza divina" (Andrea di Strumi, Vita di San Giovanni Gualberto, 32). La vita della Chiesa è "nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura" (Dei Verbum DV 21) e ha il suo "culmine e fonte" nella liturgia (cfr Sacrosanctum Concilium SC 10); anche la vita monastica è caratterizzata da questi due fondamentali elementi e la testimonianza che i vostri monasteri possono dare alla Comunità cristiana e soprattutto ai giovani, desiderosi di incontrare uomini capaci di far gustare la "sublimità della conoscenza di Cristo Gesù" (Ph 3,8) attraverso la preghiera, la lectio divina e la liturgia, è irrinunciabile.

Auspico di cuore che la presente ricorrenza millenaria intensifichi la vostra sequela Christi e, sull'esempio di San Giovanni Gualberto, i vostri monasteri siano sempre più "case di Dio" (Regula Benedicti 31,19; 53,22; 64,5), "accogliente dimora per coloro che cercano Dio e le cose dello spirito, scuole di fede e veri laboratori di studio, di dialogo e di cultura per l'edificazione della vita ecclesiale e della stessa città terrena, in attesa di quella celeste" (Vita consecrata VC 6).

84 5. Prima di lasciare questo mondo, il vostro Fondatore, nel suo testamento spirituale, volle ricordare a tutti i suoi figli che base evangelica della famiglia monastica è la carità: "Per custodire inviolabilmente questa virtù, è immensamente utile la comunione dei fratelli raccolti insieme sotto il governo di una sola persona" (Andrea di Strumi, Vita di San Giovanni Gualberto, 80). Le vostre Costituzioni sottolineano infatti che "fine della Congregazione, per volontà del Fondatore, è il vinculum caritatis et consuetudinis fra le comunità, le quali, sotto l'autorità dell'Abate Generale, si aiutano reciprocamente per tutelare ed incrementare la vita consacrata dei propri monaci" (Costituzioni vallombrosane, 2).

Desidero ripetere a voi ciò che ho scritto nell'Esortazione post-sinodale Vita consecrata: "La Chiesa tutta... conta molto sulla testimonianza di comunità ricche «di gioia e di Spirito Santo» (
Ac 13,52). Essa desidera additare al mondo l'esempio di comunità nelle quali l'attenzione reciproca aiuta a superare la solitudine, la comunicazione spinge tutti a sentirsi corresponsabili, il perdono rimargina le ferite, rafforzando in ciascuno il proposito della comunione. In comunità di questo tipo, la natura del carisma dirige le energie, sostiene la fedeltà e orienta il lavoro apostolico di tutti verso l'unica missione. Per presentare all'umanità di oggi il suo vero volto, la Chiesa ha urgente bisogno di simili comunità fraterne, le quali con la loro stessa esistenza costituiscono un contributo alla nuova evangelizzazione, poiché mostrano in modo concreto i frutti del comandamento nuovo" (n. 45). Rimanga perciò ben salda nei vostri cuori l'esortazione del vostro Padre e Fondatore: custodire inviolabilmente la carità!

6. Su di Lei, Reverendissimo Abate Generale, e su tutti i monaci della Congregazione vallombrosana invoco la materna protezione di Maria, vostra Patrona principale, amata e venerata con intenso fervore da San Giovanni Gualberto. Alla vergine santissima chiedo di guidare i passi della vostra Famiglia verso il terzo millennio. A Lei sappiate sempre ispirare la vostra vita, imparando alla sua scuola ad ascoltare e a custodire la Parola di Dio, ad amare la verginità, la povertà, il silenzio, il sacrificio, la docilità ai disegni misteriosi della Provvidenza (cfr Costituzioni vallombrosane, 183), per affacciarvi con speranza sul futuro che Dio continua a preparare per voi, come ha fatto nel vostro glorioso passato.

Con tali voti, mentre invoco sulla Congregazione la celeste protezione di San Giovanni Gualberto, imparto con affetto a Lei, Reverendissimo Padre, ed a tutti i Confratelli Monaci vallombrosani una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 21 marzo 1999.

GIOVANNI PAOLO II



IN OCCASIONE DELL'INAUGURAZIONE

DELLA MOSTRA "ROMA-ARMENIA"


Sala Regia del Palazzo Apostolico - Mercoledì, 24 marzo 1999




1. È per me una grande gioia prendere parte a questa solenne inaugurazione della Mostra Roma- Armenia, promossa dall'antica e gloriosa sede di Echmiadzin e dall'Ambasciata di Armenia presso la Santa Sede, con la cooperazione della Biblioteca Apostolica Vaticana.

Desidero esprimere sentimenti di profonda stima e considerazione a Sua Eccellenza Robert Kocharian, Presidente della Repubblica di Armenia, che ha voluto essere presente in quest'occasione. Nel ringraziarla, signor Presidente, per le sue cordiali parole, esprimo la speranza che l'Armenia, nel suo difficile cammino verso una meritata prosperità, sperimenti una maggiore solidarietà internazionale e benefici della guida di uomini di Stato illuminati e impegnati per il bene comune, cosicché tutti i cittadini vengano incoraggiati a svolgere il proprio ruolo nello sviluppo della nazione.

Una ragione particolare per gioire è la presenza, in questa solenne e importante occasione, di Sua Santità Karekin I, Catholicos di Tutti gli Armeni, accompagnato da Sua Beatitudine il Patriarca Torkon I, Arcivescovo di Gerusalemme, e da altri illustri Prelati, sacerdoti e laici della Chiesa Apostolica di Armenia. Avete voluto onorare la Chiesa di Roma nella maniera più bella che i cristiani conoscono: attraverso la testimonianza di carità e il bacio santo della comunione.

Santità, apprezzo profondamente questo gesto delicato che apre un capitolo nuovo e importante nella storia della ricerca comune di una piena unità fra i seguaci di Cristo. Nonostante le difficoltà del viaggio, lei e gli illustri ospiti che l'hanno accompagnata avete voluto mostrare ancora una volta quanto credete nel compito ecumenico, al quale avete instancabilmente dedicato le vostre energie. La ringrazio di nuovo per le parole di importanza storica pronunciate in occasione della sua visita a Roma nel dicembre del 1996, parole che nei mesi successivi sono state riprese da Sua Santità Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia. A Sua Santità Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia, invio un saluto fraterno e invoco sul suo ministero le abbondanti benedizioni di Dio.

Ha insegnato al suo popolo e alla sua Chiesa che la comunione è un imperativo per i seguaci di Cristo e una condizione essenziale «perché il mondo creda» alla loro testimonianza. Comunione non significa assorbimento e perdita di identità. Piuttosto, è un pellegrinaggio comune verso l'unico Signore, conservando ciò che è specifico e conseguendo la forza e la ricchezza che derivano dall'universalità. Che il Padre di tutte le benedizioni Le conceda, Santità, molti anni come Capo della Chiesa Armena, in attesa delle nuove iniziative che rinnoveranno la speranza di quanti credono che la Chiesa di Cristo sia una, che «non può essere che una, una e unita» (Discorso al Pontificio Istituto Orientale, Insegnamenti XVI, 2 , 12 dic.1993, 1458).

85 Rivolgo cordiali saluti al mio caro Fratello, Sua Beatitudine Jean Pierre XVIII Kasparian, Patriarca dei Cattolici Armeni, che è giunto qui oggi per essere con noi, accompagnato da altri Vescovi della sua Chiesa. La piena comunione con la Sede di Pietro, rendendo questa Chiesa parte integrante della famiglia cattolica, non la separa dal meraviglioso patrimonio di vita spirituale e di cultura che rende tanto onore al popolo armeno, ma piuttosto la impegna a testimoniare un rinnovato vigore in nome dell'unità.

2. Il tema della mostra e questo incontro di eminenti figure ecclesiastiche e civili in rappresentanza del popolo armeno non è un evento ordinario. È in realtà altamente simbolico: sottolinea l'apertura, la disponibilità all'incontro e le conquiste culturali che hanno caratterizzato tutta la storia del popolo armeno.

Nonostante l'opposizione e persino l'aperta persecuzione, gli Armeni non si sono chiusi in se stessi, ma hanno considerato vitale, non solo per la propria sopravvivenza ma anche per il loro sviluppo autentico, impegnarsi in uno scambio aperto e intelligente con altri popoli. Dagli altri hanno preso in prestito elementi di arricchimento fondendoli nel crogiolo della loro unicità inequivocabile. Hanno sempre mostrato spirito di iniziativa e coraggio, sostenuti dalla forza del Vangelo che ha forgiato la loro storia e ha fornito un solido fondamento alla loro vita. La diaspora armena, per quanto dolorosa, è un segno di questa vitalità dinamica che resta esemplare anche oggi.

Quando questo attaccamento al Vangelo ha implicato, come è spesso accaduto, il sacrificio della vita stessa per amore della fedeltà alla fede cristiana, gli Armeni hanno dimostrato con il loro martirio quale miracolo di forza la grazia può operare in quanti la accettano. La Chiesa universale può esprimere solo costante e profonda gratitudine per questo sacrificio, che a volte è servito da scudo protettivo vivente al cristianesimo occidentale, risparmiando a quest'ultimo pericoli che avrebbero potuto rivelarsi estremamente gravi.

3. Il rapporto fra l'Armenia e Roma è precedente all'avvento del cristianesimo, ma quest'ultimo è divenuto presto il vero motivo di tale rapporto. Per molti secoli, liberi dalle incomprensioni e dalle divisioni sorte fra l'Occidente e il mondo greco, questo rapporto si è distinto per una cordiale buona volontà. Le ambasciate che la Chiesa armena inviava a Roma venivano ricevute come attestazione di fede pura e coerente. In numerose occasioni i Pontefici hanno inviato in dono oggetti liturgici ai Catholicoi armeni quale segno di stima fraterna ed è significativo che oggi la mitra e il pastorale siano ancora parte dei paramenti liturgici dei prelati armeni.

Il Regno Armeno di Cilicia è stato un punto di incontro privilegiato per i Latini, i Greci e i Siriani: un impegno notevole per la fraternità ecumenica ivi fiorita. La comunione fra la Chiesa armena in quella regione e la Chiesa di Roma ha raggiunto un'intensità forse mai vissuta in altri casi. Lo scambio culturale è stato fecondo e benefico, nonostante le considerevoli difficoltà. Il fatto che non sia riuscito a produrre frutti più duraturi è dovuto in parte all'intransigenza di alcuni che forse non sono stati in grado di apprezzare pienamente il valore di un'opportunità tanto provvidenziale. Da parte di Roma, questa mancanza di comprensione è stata a volte il risultato di tragici conflitti interni nella Chiesa occidentale e dell'emergere di nuovi concetti canonici e teologici che hanno reso ancor più difficile comprendere l'antico patrimonio spirituale dell'Oriente. Oggi, per noi tutto ciò è motivo di profondo rincrescimento e ci obbliga a non trascurare le opportunità che lo Spirito ci offre di esortare tutti i seguaci di Cristo alla comunione.

4. Gli oggetti in mostra nella Sala Regia, dal frammento dell'Arco di Noah da Echmiadzin ai reperti archeologici dell'antica Cilicia, non sono semplici memorabilia. Sono segni delle grandi cose che Dio ha fatto per il popolo armeno. Sono un invito a una più profonda consapevolezza e stima di sé. Se in quei tempi lontani, uomini illuminati e coraggiosi come Nerses Shnorhali e Nerses di Lambron stupirono il mondo, e continuano a farlo anche oggi, con un ammirevole equilibrio fra amore per la propria cultura e apertura alle culture degli altri, il loro esempio, e in seguito anche l'esempio splendente dell'Abate Mechitar di Sebaste, deve essere una lezione e un'ispirazione per tutti noi.

In tempi antichi, gli armeni mostrarono santamente grande entusiasmo per l'unità della Chiesa, nel rispetto per la dignità di tutti e per il carattere specifico di ognuno.

Anticiparono i tempi, proclamando valori che non venivano pienamente compresi. Ora che quei valori sono divenuti parte del nostro patrimonio universale, non possiamo essere da meno: dobbiamo avere il coraggio di intraprendere azioni sante che superino i pregiudizi e gli stereotipi.

Insieme, sulle orme di Cristo: che questa sia la speranza e la preghiera di tutti cristiani alla vigilia del terzo millennio e del XVII centenario del Battesimo di Armenia!

Che Dio benedica e protegga sempre il vostro popolo in tutto il mondo, ovunque rechi testimonianza della fede e dell'insegnamento dei Padri! Che dal cielo i martiri santi e i riveriti Pastori della Chiesa di Armenia intercedano per noi presso Maria, Madre di amore!


A SUA SANTITÀ KAREKIN I,


SUPREMO PATRIARCA E CATHOLICOS DI TUTTI GLI ARMENI


86
Giovedì, 25 marzo 1999




«Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome» (
Ps 103,1-2).

Sì, benedico il Signore che ci dona questo momento di grazia e di incontro fraterno. È una grande gioia poterla accogliere in questi giorni, Santità, insieme a Sua Beatitudine Monsignor Turkom Manoogian e a tutte le personalità eminenti che l'accompagnano.

Sono lieto per la presenza nei Musei Vaticani di una straordinaria mostra sulla storia e sulla cultura armene. Vi possiamo ammirare un patrimonio pervaso dalla fede cristiana! Grazie alla fedeltà alle sue radici e alla tenacia nelle avversità, il popolo armeno ha saputo fare delle sue molteplici sofferenze una fonte di creatività e di dinamismo. Secondo la tradizione, la Chiesa armena ha ricevuto la fede dagli Apostoli Taddeo e Bartolomeo. Tuttavia, è grazie all'attività missionaria di San Gregorio Illuminatore che il Vangelo si è diffuso fra il popolo in armeno proprio all'inizio del IV secolo. Da quei tempi antichi la fede cristiana non ha mai smesso di illuminare e d'ispirare il popolo armeno nelle sue convinzioni profonde e nella sua vita quotidiana.

I cristiani celebreranno fra breve il grande mistero della passione, della morte e della resurrezione di Cristo. «Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui» (Rm 6,8-9). Canteremo e celebreremo il mistero della nostra redenzione. La nostra fede in Gesù Cristo è il fondamento della nostra vita, della nostra missione e dei vincoli di comunione fraterna fra le nostre Chiese. Rendo omaggio con soddisfazione ai progressi realizzati nella nostra comune ricerca dell'unità in Cristo, il Verbo di Dio fattosi carne; essi sono il frutto dei nostri rapporti ecumenici e dei nostri dialoghi teologici. Le deplorevoli divisioni del passato non dovrebbero continuare a influenzare in modo negativo la vita e la testimonianza delle nostre Chiese. Il Grande Giubileo dell'Anno 2000 e il diciassettesimo centenario della fondazione della Chiesa armena ci invitano insistentemente a una testimonianza comune della nostra fede in Gesù Cristo.

La Chiesa cattolica e la Chiesa armena hanno sviluppato profonde relazioni, soprattutto dal Concilio Vaticano II. Felici incontri hanno avuto luogo da quel memorabile giorno del 1971 in cui il Catholicos Vasken I e Papa Paolo VI si abbracciarono con un gesto pieno di amicizia fraterna. Desidero inoltre ringraziare in modo particolare Vostra Santità per ciò che ha compiuto e continua a compiere affinché si realizzi l'unità dei cristiani. In questo spirito che ci anima, occorre auspicare che, ovunque fedeli cattolici e armeni vivono insieme, essi prolunghino questi gesti fraterni mediante iniziative costanti nei diversi ambiti del servizio agli uomini. Che possiamo non perdere la minima occasione per approfondire e ampliare la nostra collaborazione concreta in questa unica missione che Cristo ci ha affidato!

Santità, rallegrandomi vivamente per l'invito a recarmi in Armenia fattomi dal Presidente della Repubblica, la ringrazio di avermi reso partecipe del suo desiderio di ricevermi come ospite nel suo Patriarcato di Echmiadzin, per rafforzare i nostri vincoli e consolidare l'unità fra i cristiani. Prego il Signore affinché mi permetta di realizzare questa visita. Ringraziandola per aver effettuato questo viaggio a Roma, espressione altamente simbolica della fraternità cristiana, le auguro una buona salute, affinché possa servire per lungo tempo la sua Chiesa. Chiedo allo Spirito Santo di assisterci cosicché siamo sempre servitori degli uomini e procediamo sulla via dell'unità alla quale Cristo ci invita. Prego il Signore di benedire la Chiesa armena, i suoi Pastori e i suoi fedeli. Chiedo alla Vergine Maria, il cui nome contiene tutti i misteri della salvezza, come diceva San Gregorio Illuminatore, di accompagnare le vostre comunità con la sua tenerezza materna. Che il Signore vi riveli il suo volto e vi conservi nella pace!

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II


CON I GIOVANI DELLA DIOCESI DI ROMA,


IN PREPARAZIONE


ALLA XIV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ


Giovedì, 25 marzo 1999




L’incontro si è svolto in forme di domande dei giovani e risposte del Santo Padre. Di seguito i testi e il discorso finale del Papa:

Iª Domanda al Santo Padre

Santità, nel Suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù 1999 Lei ci ha invitati, insieme con tutta la Chiesa, "a rivolgerci verso Dio Padre e ad ascoltare con gratitudine e meraviglia la sorprendente rivelazione di Gesù: «Il Padre vi ama!»", ed ancora ci ha assicurati: "Non si allontanerà mai da voi il suo amore, non verrà mai meno la sua alleanza di pace con voi". Siamo certi di questo. Tuttavia, a volte facciamo fatica a capire come il Padre ci ama, quando ci troviamo di fronte alle sofferenze e alla morte di giovani come noi, quando le catastrofi naturali portano via persone innocenti, quando - peggio ancora - l'uomo sperimenta la follia della guerra. Stiamo infatti concludendo un secolo che è stato profondamente segnato da guerre ed odi tra popoli. Anche oggi, in particolare proprio in queste ore, nei territori a noi così vicini della ex Iugoslavia, gli odi e le guerre continuano. Santità, può aiutarci a comprendere come il Padre non cessi di amarci anche quando ci incontriamo con la sofferenza dei giusti e degli innocenti, quando tanti nostri coetanei sono travolti da fenomeni distruttivi come la tossicodipendenza e quando l'uomo si uccide a causa degli odi e delle guerre?

87 Carissimi giovani, benvenuti in Vaticano, nell’Aula Paolo VI. Il mio benvenuto va a quelli che sono presenti nell’Aula e a quelli che sono fuori dall’Aula e che stanno sotto la pioggia, la quale tuttavia non sembra molto forte. Essi comunque sono più forti della pioggia.

Il grande problema che voi mi ponete affonda le sue radici nel cuore stesso dell'uomo. Sento risuonare nella domanda che mi ha posto un vostro rappresentante la forte obiezione che leggiamo nella "Leggenda del Grande Inquisitore" di Dostoevskij: "Come posso credere in Dio quando permette la morte di un bambino innocente?". Vediamo e quasi tocchiamo con mano il problema del male nella vita d'ogni giorno. I grandi ragionamenti in merito a tale problema sembrano non convincere immediatamente, soprattutto quando si sperimenta in prima persona la malattia, la sofferenza o si è toccati dalla morte di qualche persona vicina e cara.

Non mi sottraggo, comunque, alla sfida che questa domanda contiene. Solo vorrei, in primo luogo, rivolgervi anch'io una domanda provocatoria: mi chiedete come comprendere l'amore del Padre quando ci si trova dinanzi all'odio, alla divisione, alle diverse forme di distruzione della personalità ed alla guerra. Giustamente è stato ricordato poc'anzi il conflitto che insanguina la Iugoslavia e che desta tanta preoccupazione per le vittime e per le conseguenze che da esso possono derivare per l'Europa e per il mondo intero. Auspico di cuore che quanto prima tacciano le armi e riprendano il dialogo e le trattative, perché si giunga finalmente, con il contributo di tutti, ad una pace giusta e duratura nell'intera Regione balcanica.

Vi dico a mia volta: perché domandarsi dov'è l'amore di Dio e non porre in evidenza, piuttosto, le responsabilità che derivano dal peccato degli uomini? Perché, insomma, dovremmo ritenere colpevole Dio quando, invece, responsabili sono gli uomini liberi nelle loro decisioni?

Il peccato non è una teoria astratta; anzi, le sue conseguenze si possono verificare. Il male di cui mi chiedete spiegazione trova alla sua base il peccato e il rifiuto di vivere secondo gli insegnamenti di Dio. Esso lacera l'esistenza e la porta al rifiuto del bene. Ci si chiude allora nell'invidia, nella gelosia e nell'egoismo, senza rendersi conto che simili comportamenti conducono alla solitudine e tolgono il senso autentico alla vita.

Nonostante tutto questo, siatene certi, l'amore del Padre non viene mai meno, perché Dio stesso ha voluto condividere con noi la sofferenza e la morte. E ciò lo dobbiamo ricordare in questo periodo di Quaresima e durante la Settimana Santa. E ciò che da Lui è stato vissuto, è stato anche salvato e redento. Il male viene vinto dalla forza dell'amore, come l'apostolo Paolo sottolinea con piena convinzione: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati" (
Rm 8,35). Ecco, dunque, la via da seguire per vincere il male: crescere nell'amore del Padre, che si è rivelato a noi in Gesù Cristo.
* * *


IIª Domanda al Santo Padre

Padre Santo, nel Suo Messaggio c'è un forte invito alla conversione e ad accostarsi al sacramento della Confessione. Le chiediamo: da dove deve partire il desiderio di convertirci? Spesso ci viene detto che dobbiamo convertirci, ma a volte non ne sentiamo il bisogno, non ne vediamo la necessità: sa spiegarci il perché? Inoltre, Le chiediamo una parola sul sacramento della Confessione, perché non sempre ci è facile vedere in esso il luogo in cui si realizza il cammino di ritorno al Padre da cui ci si è allontanati con il peccato.

2. E' vero, oggi in genere il bisogno della conversione non è avvertito come un tempo. In realtà, però, mettersi in discussione è una delle esigenze fondamentali per raggiungere una personalità adulta e matura. Soltanto grazie ad un costante processo di conversione e di rinnovamento, l'uomo avanza sul faticoso sentiero della conoscenza di sé, del dominio della propria volontà e della capacità di evitare il male e compiere il bene.

La vita, possiamo così dire, è un continuo cambiamento. Questa esperienza voi la vivete in prima persona. Non è forse vero che quando amate una persona fate di tutto pur di ottenere il suo amore? Non avviene, forse, che riuscite a cambiare voi stessi anche in quelle espressioni e comportamenti che mai avreste pensato di poter modificare? Se alla base non vi è un atto di amore, è impossibile comprendere il bisogno del cambiamento.

88 La stessa cosa avviene nella vita dello spirito, grazie specialmente al sacramento della Riconciliazione, che si colloca proprio in questo orizzonte. E', infatti, il segno efficace della misericordia di Dio che a tutti va incontro, dell'amore del Padre che, nonostante l'allontanamento del figlio e la dispersione dei suoi beni, è disposto ad accoglierlo di nuovo a braccia aperte, ricominciando tutto daccapo. Nella Confessione, noi viviamo in prima persona l'essenza dell'amore di Dio: Egli viene incontro a noi nel modo che Gli è più propizio, quello dell’assoluzione e della misericordia.

Con questo, non voglio dire che la via della conversione sia facile. Ognuno sa quanto è difficile riconoscere i propri sbagli. Si è, in effetti, pronti a cercare tanti motivi pur di non ammetterli. In questo modo, però, non si sperimenta la grazia di Dio, il suo amore che trasforma e rende concreto ciò che apparentemente sembra impossibile da ottenere. Senza la grazia di Dio, come si può entrare nel più profondo di se stessi e comprendere il bisogno di convertirsi? E' la grazia che trasforma il cuore, permettendo di sentire vicino e concreto l'amore del Padre.

Non dimenticate, poi, che nessuno è capace di perdonare gli altri, se prima non ha fatto lui stesso l'esperienza di essere a sua volta perdonato. La Confessione appare in tal modo la via maestra per diventare veramente liberi, sperimentando la comprensione di Cristo, il perdono della Chiesa e la riconciliazione con i nostri fratelli.

IIIª Domanda al Santo Padre

Santità, Lei ci ricorda le parole della prima lettera di Giovanni: "Chi non ama il proprio fratello che vede non può amare Dio che non vede". In altre parole, ci fa comprendere che dall'amore del Padre devono nascere in noi gesti di amore, di perdono, di pace e di solidarietà verso i fratelli. Su tale necessità di amare e di perdonare concordiamo pienamente con Lei e ci impegneremo a farlo soprattutto come segno della nostra conversione, passando per la Porta Santa del 2000. Alcuni tra noi, però, faticano a vedere come la Chiesa sa amare e perdonare. Può Lei, testimone del perdono, che ha saputo perdonare anche chi fisicamente Le ha fatto del male e ha avuto il coraggio di chiedere perdono per i peccati della Chiesa, illuminarci su questo argomento tanto importante?

3. Anche questa vostra terza domanda trova risposta nella luce dell'amore. Vorrei dirvi con grande sincerità che è il perdono l'ultima parola pronunciata da chi veramente ama. E' il perdono il segno più alto della capacità di amare alla maniera di Dio, il quale ci ama e perciò costantemente ci perdona. In vista del Giubileo, ormai imminente, occasione propizia per la richiesta di perdono e di indulgenza, ho voluto che la Chiesa per prima, forte dell'insegnamento del Signore Gesù, rinnovasse quel cammino di conversione perenne che le appartiene, fino al giorno in cui si presenterà dinanzi al Signore. Per questo ho scritto che, alle soglie del terzo millennio, la comunità ecclesiale deve farsi carico "con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli" (Tertio millennio adveniente
TMA 33).

Il cammino verso la Porta santa è un vero pellegrinaggio per chi vuole cambiare la propria vita e convertirsi al Signore con tutto il cuore. Oltrepassando quella porta, non va dimenticato il significato che essa possiede. La Porta santa indica l'ingresso nella vita nuova che ci offre Cristo. E la vita, voi lo sapete bene, non è una teoria, ma la concretezza di tutti i giorni. La vita è un insieme di gesti, di parole, di comportamenti e di pensieri che ci coinvolgono e ci fanno riconoscere per ciò che siamo.

Cari ragazzi e ragazze della Diocesi di Roma, vi ringrazio per la promessa che mi fate di impegnarvi costantemente nel voler essere anche voi segni viventi di riconciliazione e di perdono. Sono molte le occasioni che, soprattutto alla vostra età, vi vengono offerte per dare testimonianza di amicizia sincera e disinteressata. Moltiplicate queste occasioni e crescerà in voi la gioia, dono della presenza di Cristo; gioia che voi siete chiamati a comunicare a quanti vi conoscono e a condividere con loro. E' Gesù l'unico Salvatore del mondo; è Lui la Vita che dà senso autentico all'esistenza di ogni uomo e di ogni donna.

Cari giovani, non stancatevi mai di porre domande con legittima curiosità e voglia di apprendere. E' giusto che alla vostra età, mentre vi affacciate sul mondo, voi siate presi dal desiderio di conoscere sempre cose nuove ed interessanti. Conservate questo desiderio di capire la vita; amate la vita, dono e missione che Iddio vi affida per cooperare con Lui alla salvezza del mondo.
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Al termine dell'incontro

Carissimi!

89 1. Al termine di questo incontro, che è diventato ormai l'annuale appuntamento con i giovani della Diocesi di Roma, desidero ringraziarvi per la vostra tanto numerosa e calorosa partecipazione.

Ringrazio il vostro rappresentante, che mi ha salutato all'inizio, e gli amici che mi hanno posto - a nome di tutti voi - domande essenziali per poter dire "credo": credo, cioè, che il Padre mi ama! E ringrazio ancora coloro che, in vari modi, hanno contribuito a dar vita a questo pomeriggio di festa e di riflessione. Un pensiero di particolare gratitudine va alla Signora Caterina Muntoni per l'efficace testimonianza di perdono che abbiamo poc'anzi ascoltato. A lei assicuriamo la nostra vicinanza e la preghiera per il suo fratello crudelmente ucciso, mentre chiediamo al Signore il dono di numerose vocazioni sacerdotali per la Chiesa: persone che, come Don Graziano, sappiano spendersi con grande generosità per la causa del Vangelo e per il servizio dei fratelli.

2. Prima di rivolgerci al Padre con la preghiera che Gesù ci ha insegnato, desidero ricordarvi un appuntamento ed un compito importanti.

Probabilmente avete già capito a quale appuntamento mi riferisco: si tratta della XVª Giornata Mondiale della Gioventù, che avrà luogo qui a Roma dal 15 al 20 agosto del 2000 ed avrà per tema: "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (
Jn 1,14).

Nessuno manchi a questo appuntamento che, fin d' ora, consideriamo un "tempo di grazia" per i giovani. Tempo di grazia per voi e per tutti i vostri coetanei che ospiterete nelle vostre case, nelle vostre parrocchie, scuole, istituti religiosi, tendopoli e quant'altro la fantasia suggerirà. Tempo di grazia per la Chiesa di Roma: essa riceverà un grande beneficio spirituale e pastorale dalla presenza di numerosi ragazzi e ragazze, che converranno qui per condividere e testimoniare la fede all'inizio del nuovo millennio.

Vi affido un duplice compito: da una parte quello di invitare a partecipare alla Giornata Mondiale anche quei giovani vostri amici che sono forse indifferenti verso la fede ma che, proprio perché giovani, sono alla ricerca della verità e del bene. Il Giubileo dei giovani sarà pure per loro occasione di grazia e probabilmente, come è già avvenuto per altri in analoghe occasioni, momento di avvicinamento a Cristo e alla sua Chiesa. Vi affido questi vostri coetanei. Vi affido, inoltre, il compito di accogliere generosamente chi verrà da lontano. Conosco quanto vanno facendo la Diocesi di Roma e il Comitato Italiano per la Giornata Mondiale della Gioventù, sotto la guida del Pontificio Consiglio per i Laici, e mi rallegro con loro per il buon lavoro iniziato. Ma questa opera ha bisogno della collaborazione e dell'entusiasmo di tutti: sacerdoti, religiosi e religiose, adulti e giovani delle comunità parrocchiali, degli istituti religiosi, delle cappellanie universitarie, dei movimenti e delle associazioni della Diocesi. Auspico che tante famiglie aprano le porte delle case ai giovani del mondo, per far loro conoscere il cuore dei romani, che è grande. Sono convinto che i giovani romani non saranno inferiori ai giovani francesi di Parigi, ai filippini, agli americani di Denver, a tutti gli altri; anche rispetto ai giovani polacchi di Czestochowa. La parola Roma, letta al contrario, si pronuncia "Amor". Possano tutti sperimentare questo "Amor" romano!

3. Per prepararvi ad accogliere questi vostri coetanei, che giungeranno da tante Nazioni del mondo, cercate voi stessi di riscoprire i tanti luoghi di santità e di spiritualità cristiana che Roma custodisce. Sarete così in grado di accompagnarvi gli amici che verranno ed insieme a loro approfondire la fede, tramandata nei secoli da generazioni di credenti che talora l'hanno difesa e testimoniata a prezzo del loro sangue. E' la fede di ieri, di oggi e di sempre, che avanzerà, anche grazie a voi, nel nuovo millennio.

Oggi avete una felice coincidenza perché la Giornata dei giovani romani coincide con la Solennità dell’Annunciazione del Signore. Voglio dirvi che questa Solennità, questo mistero, ha aperto l’orizzonte per tutta l’umanità, perché con l’Annunciazione Dio stesso ha comunicato la sua venuta, la venuta di suo Figlio, la sua entrata nella storia dell’uomo. E così l’Annunciazione ci ricorda questa grande apertura di orizzonti nella storia del destino stesso dell’umanità. È un bene, quindi, che questa Solennità abbia coinciso con il vostro raduno romano. Ancora una parola, l’ultima. Per un motivo preciso recitiamo tre volte al giorno l’Angelus. Non è solamente una tradizione, ma è veramente una pratica profondamente fondata. Noi recitiamo tre volte al giorno l’Angelus per ricordare l’orizzonte che ci ha aperto l’Annunciazione: “Angelus Domini nuntiavit Mariae, et Verbum carum factum est”; noi lo recitiamo per ricordarci in quale prospettiva viviamo. Una prospettiva creata da Dio stesso, in cui entra il Figlio di Dio fattosi uomo. Questo, veramente, è sorgente di grande fiducia. E voi giovani dovete essere fiduciosi. Per questo vi dico anche: cercate di recitare, quando è possibile, l’Angelus Domini.




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