GP2 Discorsi 1999 189

MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


AI PARTECIPANTI AL SEMINARIO


PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI


«MOVIMENTI ECCLESIALI E NUOVE COMUNITÀ


NELLA SOLLECITUDINE PASTORALE DEI VESCOVI»


Signori Cardinali,

190 venerati Fratelli nell'Episcopato!

1. Siete convenuti a Roma da Paesi di tutti i continenti per riflettere insieme sulla vostra sollecitudine di Pastori nei riguardi dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità. E' la prima volta che il Pontificio Consiglio per i Laici, in collaborazione con le Congregazioni per la Dottrina della Fede e per i Vescovi, raccoglie un gruppo così considerevole e qualificato di Vescovi per esaminare insieme realtà ecclesiali, che non ho esitato a definire «provvidenziali» (cfr Giovanni Paolo II, Discorso all'Incontro con i movimenti ecclesiali e le nuove comunità, n. 7, in L'Osservatore Romano, 1-2 giugno 1998) a motivo degli stimolanti apporti recati alla vita del Popolo di Dio.

Vi ringrazio per la vostra presenza e per il vostro impegno in questo importante settore pastorale. Manifesto, altresì, ai promotori, al Pontificio Consiglio per i Laici, alle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per i Vescovi il mio vivo compiacimento per quest'iniziativa di indubbia utilità per la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo.

Il Seminario, che vi ha occupato in questi giorni, si iscrive infatti felicemente in un progetto apostolico, a me molto caro, scaturito dal mio incontro con i membri di oltre cinquanta di questi movimenti e comunità, avvenuto il 30 maggio dello scorso anno in Piazza San Pietro. Gli effetti della vostra riflessione, ne sono certo, non mancheranno di farsi sentire, contribuendo a far sì che quel progetto e quell'incontro diano frutti ancor più abbondanti per il bene di tutta la Chiesa.

2. Il Decreto conciliare sul servizio pastorale dei Vescovi così indica il nucleo stesso del ministero episcopale: "Nell'esercizio del loro ministero di insegnare, annunzino agli uomini il Vangelo di Cristo, che è uno dei principali doveri dei Vescovi; e ciò facciano invitando gli uomini alla fede nella fortezza dello Spirito o confermandoli nella vivezza della fede. Propongano loro l'intero mistero di Cristo, ossia quelle verità che non si possono ignorare senza ignorare Cristo stesso" (Christus Dominus
CD 12). L'ansia di ogni Pastore di raggiungere gli uomini e di parlare al loro cuore, alla loro intelligenza, alla loro libertà, alla loro sete di felicità nasce dall'ansia stessa di Cristo per l'uomo, dalla sua compassione per quelli che egli paragonava ad un gregge senza pastore (cfr Mt 9, 36) e fa eco allo zelo apostolico di Paolo: "Guai a me se non predicassi il Vangelo!" (1Co 9,16). Nei nostri tempi le sfide della nuova evangelizzazione si presentano non di rado in termini drammatici e spingono la Chiesa, e in particolare i suoi Pastori, alla ricerca di forme nuove di annuncio e di azione missionaria, più consone alle necessità della nostra epoca.

Tra i compiti pastorali oggi più urgenti vorrei segnalare, in primo luogo, l'attenzione per le comunità in cui è più profonda la consapevolezza della grazia connessa con i sacramenti dell'iniziazione cristiana, da cui scaturisce la vocazione ad essere testimoni del Vangelo in tutti gli ambiti della vita. La drammaticità del nostro tempo sprona i credenti ad un'essenzialità di esperienza e di proposta cristiana, negli incontri e nelle amicizie di ogni giorno, per un cammino di fede illuminato dalla gioia della comunicazione. Un'ulteriore urgenza pastorale da non sottovalutare è costituita dalla formazione di comunità cristiane che siano autentici luoghi di accoglienza per tutti, nella costante attenzione alle specifiche necessità di ogni persona. Senza tali comunità risulta sempre più difficile crescere nella fede e si cade nella tentazione di ridurre ad esperienza frammentaria ed occasionale proprio quella fede che al contrario dovrebbe vivificare l'intera esperienza umana.

3. E' in questo contesto che si situa il tema del vostro Seminario sui movimenti ecclesiali. Se il 30 maggio 1998 in Piazza San Pietro, alludendo alla fioritura di carismi e movimenti verificatasi nella Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, ho parlato di «una nuova Pentecoste», ho voluto, con questa espressione, riconoscere nello sviluppo dei movimenti e delle nuove comunità un motivo di speranza per l'azione missionaria della Chiesa. Essa, in effetti, a causa della secolarizzazione che in molti animi ha indebolito o persino spento la fede e aperto la strada a credenze irrazionali, si trova in molte regioni del mondo a dover affrontare un ambiente simile a quello delle sue origini.

Sono ben cosciente che i movimenti e le nuove comunità, come ogni opera che, pur sotto la spinta divina, si sviluppa all'interno della storia umana, non hanno destato in questi anni solo considerazioni positive. Come dicevo il 30 maggio 1998 "la loro novità inattesa, e talora persino dirompente..., non ha mancato di suscitare interrogativi, disagi e tensioni; talora ha comportato presunzioni ed intemperanze da un lato, e non pochi pregiudizi e riserve dall'altro" (Ibid., 6). Ma, nella testimonianza comune da essi data quel giorno attorno al Successore di Pietro e a numerosi Vescovi, vedevo e vedo il sopraggiungere di una "tappa nuova: quella della maturità ecclesiale", seppur nella piena consapevolezza che "ciò non vuol dire che tutti i problemi siano stati risolti", giacché questa maturità "è piuttosto una sfida. Una via da percorrere" (Ibid.).

Quest'itinerario esige da parte dei movimenti una sempre più salda comunione con i Pastori che Dio ha scelto e consacrato per radunare e santificare il suo popolo nel fulgore della fede, della speranza e della carità, perché "nessun carisma dispensa dal riferimento e dalla sottomissione ai Pastori della Chiesa" (Christifideles laici CL 24). Impegno dei movimenti, pertanto, è di condividere, nell'ambito della comunione e missione delle Chiese locali, le loro ricchezze carismatiche in modo umile e generoso.

Carissimi Fratelli nell'Episcopato! A voi, ai quali appartiene il compito di discernere l'autenticità dei carismi per disporne il giusto esercizio nell'ambito della Chiesa, chiedo magnanimità nella paternità e carità lungimirante (cfr 1Co 13,4) verso queste realtà, perché ogni opera degli uomini necessita di tempo e pazienza per la sua debita e indispensabile purificazione. Con chiare parole il Concilio Vaticano II scrive: "Il giudizio sulla loro (dei carismi) genuinità e sul loro esercizio ordinato appartiene a quelli che presiedono nella Chiesa, ai quali spetta specialmente non di estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cfr )" (Lumen gentium LG 12), affinché tutti i carismi cooperino, nella loro diversità e complementarietà, al bene comune (cfr Ibid., 30).

Sono convinto, venerati Fratelli, che la vostra disponibilità attenta e cordiale, grazie anche ad opportuni incontri di preghiera, di riflessione e di amicizia, renderà non solo più amabile ma più esigente la vostra autorità, più efficaci e incisive le vostre indicazioni, più fecondo il ministero che vi è stato affidato per la valorizzazione dei carismi in ordine all'"utilità comune". E' infatti vostro primo compito quello di aprire gli occhi del cuore e della mente, per riconoscere le molteplici forme della presenza dello Spirito nella Chiesa, vagliarle e condurle tutte ad unità nella verità e nella carità.

191 4. Nel corso degli incontri che ho avuto con i movimenti ecclesiali e le nuove comunità, ho sottolineato a più riprese l'intima connessione tra la loro esperienza e la realtà delle Chiese locali e della Chiesa universale di cui sono frutto e, allo stesso tempo, espressione missionaria. L'anno scorso, di fronte ai partecipanti al Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali, organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici, ho pubblicamente constatato "la loro disponibilità a porre le proprie energie al servizio della Sede di Pietro e delle Chiese locali" (Messaggio al Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali, n. 2, in L'Osservatore Romano, 28 maggio 1998). In effetti, uno dei frutti più importanti generati dai movimenti è proprio quello di saper liberare in tanti fedeli laici, uomini e donne, adulti e giovani, un vivace slancio missionario, indispensabile alla Chiesa che si appresta a varcare la soglia del terzo millennio. Questo obiettivo, però, si raggiunge solo laddove essi "si inseriscono con umiltà nella vita delle Chiese locali e sono accolti cordialmente da Vescovi e sacerdoti nelle strutture diocesane e parrocchiali" (Redemptoris missio RMi 72).

Che significa ciò in termini concreti di apostolato e di azione pastorale? E' stata questa, appunto, una delle questioni chiave del vostro Seminario. Come accogliere questo dono particolare che lo Spirito offre alla Chiesa nel nostro momento storico? Come accoglierlo in tutta la sua portata, in tutta la sua pienezza, in tutto il dinamismo che gli è proprio? Rispondere in modo adeguato a tali interrogativi rientra nella vostra responsabilità di Pastori. Vostra grande responsabilità è di non rendere vano il dono dello Spirito, ma, al contrario, di farlo sempre più fruttificare nel servizio all'intero Popolo cristiano.

Auguro di cuore che il vostro Seminario sia fonte di incoraggiamento e di ispirazione per tanti Vescovi nel loro ministero pastorale. Maria, Sposa dello Spirito Santo, vi aiuti ad ascoltare ciò che lo Spirito dice oggi alla Chiesa (cfr Ap 2,7). Io vi sono vicino con la mia fraterna solidarietà, vi accompagno con la preghiera, mentre volentieri benedico voi e quanti la Provvidenza divina ha affidato alle vostre cure pastorali.

Dal Vaticano, 18 giugno 1999.

GIOVANNI PAOLO PP. II


MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


AI MEMBRI DELLA SEDICESIMA ASSEMBLEA GENERALE


DELLA CARITAS INTERNATIONALIS




Ai membri della sedicesima Assemblea generale della Caritas Internationalis
Cari amici,

1. Mentre si svolge a Roma la sua sedicesima Assemblea generale, la Caritas Internationalis celebra il cinquantesimo anniversario della sua fondazione. In questa felice circostanza, mi associo volentieri alla gioia e all'azione di grazia dei suoi membri che, nel mondo, testimoniano l'amore di Cristo e della sua Chiesa per i più poveri che sono per tutta la comunità cristiana un richiamo significativo dell'esigenza evangelica della carità.

A nome della Chiesa, sono grato alla Caritas per il suo impegno generoso; esso si è tradotto, nel corso degli ultimi quattro anni, in una sollecitudine particolare per coloro che vivono in situazioni di povertà sempre più difficili da sopportare, particolarmente per i rifugiati e i profughi, ovunque la necessità si faccia sentire, come ad esempio nella Corea del Nord e oggi nei Balcani e nei Paesi dell'Africa provati dalla guerra, che sono specialmente l'oggetto della vostra sollecitudine. D'altronde, grazie a diverse iniziative, la Caritas ha voluto rispondere con premura, all'appello che ho lanciato nella lettera apostolica Tertio Millennio adveniente affinché il Giubileo sia «come un tempo opportuno per pensare, tra l'altro, ad una consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte nazioni» (Tertio Millennio adveniente TMA 51).

2. Il cinquantesimo anniversario della Caritas è stata un'occasione eccellente per approfondire la propria identità, riflettendo sui valori e sui principi che guidano la sua azione, così come sulla sua missione nella Chiesa e sulla visione di fede che l'anima. Contemplando la persona di Cristo e meditando sul messaggio evangelico, voi partecipate sempre di più alla missione del Salvatore venuto a portare la Buona Novella ai poveri, a proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi e a predicare un anno di grazia del Signore (cfr Lc 4,17-21). Voi mostrate come il Regno di Dio, già presente in mezzo a noi nella persona di Cristo, si manifesta concretamente ed è pur sempre al di là di noi stessi e dei nostri sforzi per annunciarlo e accoglierlo.

3. Attraverso i segni della manifestazione del Regno di Dio, voi avete voluto rivolgere la vostra attenzione, per i prossimi anni, alla riconciliazione, una delle forme più autentiche di carità. In un mondo che conosce tante divisioni e lacerazioni, tra le persone e le comunità umane, auspico ardentemente che tutti i discepoli di Cristo imparino a discernere sempre meglio i segni della speranza. Che siano degli operatori di pace e di riconciliazione affinché la nostra umanità diventi sempre più una terra di fraternità e di solidarietà dove ognuno, grato per la sua dignità di figlio dello stesso Padre, possa condurre una vita pacifica e sviluppare i doni che ha ricevuto!

La realizzazione di questo ideale richiede una conversione dei cuori e anche dei cambiamenti, talvolta radicali, nella società. Come ho scritto nell'Enciclica Sollecitudo rei socialis «il traguardo della pace, tanto desiderata da tutti sarà certamente raggiunto con l'attuazione della giustizia sociale e internazionale, ma anche con la pratica delle virtù che favoriscono la convivenza e ci insegnano a vivere uniti, per costruire uniti, dando e ricevendo, una società nuova e un mondo migliore» (Sollecitudo rei socialis, n. 39).

192 Per contribuire in maniera specifica a cambiare i cuori e le mentalità, così come a trasformare le strutture sociali ed economiche che distruggono l'uomo e la collettività, per farne delle strutture di giustizia che annuncino il Regno, vi invito a compiere sforzi per un'educazione alla giustizia e alla solidarietà, fondata sulla dottrina sociale della Chiesa. In effetti, questi valori sono delle manifestazioni che caratterizzano la novità del Regno e dei segni del suo annuncio a tutti, particolarmente ai poveri.

4. Ho voluto che questo anno di preparazione al grande Giubileo, consacrato a Dio Padre, fosse l'occasione per mettere in risalto la virt ù teologale della carità con il suo duplice volto di amore per Dio e per i fratelli (cfr Tertio Millennio adveniente
TMA 50).

In questa prospettiva, un'intensa vita spirituale permetterà ai membri della Caritas di ricordarsi che è in Dio che si trova la fonte e la realizzazione del loro impegno. Nella preghiera, si lascino attrarre dal Padre ricco di misericordia, trovando in lui un modello di compassione per tutti coloro che soffrono e ricevano da lui la forza per continuare malgrado i fallimenti e le frustrazioni! Che ognuno diventi così testimone sempre più ardente del Vangelo della Carità.

5. Mentre il signor Luc Trouillard porta a termine il suo mandato di Segretario Generale, voglio veramente trasmettergli la mia viva gratitudine per il servizio che ha svolto, con devozione e competenza. Affidando ciascun membro della Caritas Internationalis alla protezione e al sostegno materno della Vergine Maria, Madre di Cristo e Madre degli uomini, vi incoraggio cordialmente a perseguire con generosità il vostro impegno nella missione della Chiesa al servizio delle persone depauperate e provate e imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 2 giugno 1999.

GIOVANNI PAOLO PP. II



AI MEMBRI DEL CONSIGLIO

DELLE CHIESE CRISTIANE NEL MADAGASCAR


Sabato, 19 giugno 1999




Signor Cardinale,
Caro fratello nell'Episcopato,
Cari amici,

Questa mattina sono felice di accogliere voi, membri del Consiglio delle Chiese cristiane nel Madagascar. Siete voluti venire a Roma in ricordo del viaggio che ho compiuto nel vostro Paese dieci anni fa. Vi ringrazio cordialmente di questo gesto di cortesia verso il Successore di Pietro.

La vostra visita mi ricorda la calorosa accoglienza che mi ha riservato il popolo malgascio e l'incontro fraterno che ha riunito ad Antananarivo i rappresentanti delle diverse confessioni cristiane.

193 Da allora, so che avete avviato collaborazioni tra le vostre diverse comunità per rendere più viva e vera la testimonianza dell'unità dei discepoli di Cristo, al servizio di tutti i concittadini. Insieme date un contributo così prezioso allo sviluppo umano e spirituale di tutta la nazione.

Auspico vivamente che i cristiani della «Grande Isola» continuino ad approfondire, con rinnovato ardore, i vincoli della carità e della solidarietà che li rendono uniti. Che Dio vi conduca con coraggio lungo i sentieri di un amore sincero, verso una collaborazione sempre più fraterna affinché tra i cristiani possa realizzarsi pienamente la preghiera del Signore: "Perché tutti siano una cosa sola" (
Gn 17,21) perché il mondo creda in Colui che il Padre ha mandato.

Su ognuno di voi, sulle vostre famiglie e su tutto il popolo malgascio invoco di cuore l'abbondanza delle Benedizioni di Dio.


AI PARTECIPANTI AL SIMPOSIO INTERNAZIONALE


PROMOSSO IN OCCASIONE DEL CENTENARIO


DEL CONCILIO PLENARIO DELL’AMERICA LATINA


Martedì, 22 giugno 1999




Signori Cardinali
Venerati Fratelli nell'Episcopato
Signore e Signori,

1. Sono lieto di incontrare voi che avete partecipato al Simposio su «Gli ultimi cento anni della Evangelizzazione dell'America Latina», organizzato dalla Pontificia Commissione per l'America Latina, per commemorare il Primo Centenario del Concilio Plenario di quel Continente. È stata un'assemblea che ha segnato la storia della Chiesa nell'America Latina, aprendo a quei popoli nuove prospettive piene di speranza.

In effetti, negli Atti e nei Decreti del Concilio plenario, dei quali mi avete donato una bella riproduzione si trovano norme, orientamenti e proposte che hanno ispirato il corso dell'ultimo secolo dell'Evangelizzazione dell'America.

2. Da quando il messaggio di Gesù Cristo è giunto sino al Nuovo Mondo, i Pontefici hanno avuto verso il Continente americano una speciale sollecitudine apostolica, come si è potuto constatare studiando rigorosamente gli avvenimenti storici. Il culmine di questa sollecitudine è stata la convocazione del Concilio Plenario dell'America Latina da parte di Leone XIII. Nella Lettera Apostolica «Cum diuturnum» del 25 dicembre del 1898 scrive questo grande Pontefice: «Non abbiamo omesso nulla, in nessuna circostanza, che potesse servire per consolidare o diffondere in quelle nazioni il Regno di Cristo; oggi, realizzando quello che da tempo desideravamo con ansia, vogliamo darvi una nuova e solenne prova del Nostro amore verso di voi. Così, quello che reputiamo più opportuno, è che vi riuniate a discutere tra voi con la nostra autorità e con il nostro mandato, tutti Voi, Vescovi di quelle Repubbliche, in modo da dettare le disposizioni più adatte affinché, in quelle nazioni, le identità o almeno le affinità di razza siano strettamente unite, si mantenga incolume la unità della disciplina ecclesiale, risplenda la visione cattolica e fiorisca apertamente la Chiesa, grazie agli sforzi unanimi di tutti gli uomini di buona volontà» (Cfr Acta, p. XXI-XXII).

I decreti del Concilio, anche se non direttamente applicabili alle circostanze attuali, sono una «memoria » che deve illuminare, incentivare e aiutare in questo crocevia della storia. In essi, attentamente redatti dai Padri conciliari, si percepisce una grande ansia di custodire ed elevare la fede cattolica; configurare la fisionomia degli ecclesiastici; curare il culto divino e la celebrazione dei Sacramenti; promuovere l'educazione dei giovani e la loro formazione secondo i principi della dottrina cristiana; favorire la pratica della carità e delle altre virtù.

194 I Padri conciliari offrirono un insieme di decreti, norme e orientamenti, considerando le «necessità della Chiesa e la salvezza delle anime », mossi da una forte comunione ecclesiale, come dice l'ultimo canone (994): «con filiale riverenza e cuore docilissimo, sottoponiamo alla Santa Sede Apostolica tutto ciò che in questo Concilio Plenario è stato decretato e sanzionato». Questa comunione affettiva e vera fu molto apprezzata dal Pontefice che, nel suo discorso di commiato del 10 giugno 1899 che Egli stesso considerava come «il testamento di un amorevole padre» disse loro: «Addio, infine, addio, cari fratelli: avvicinatevi per ricevere il bacio di pace: sappiate, per vostra consolazione, che Roma intera ha ammirato la vostra unione, la vostra scienza e la vostra pietà; e che consideriamo il vostro Concilio come una delle gioie più preziose della Nostro Rosario » (Acta, p. CLXIX).

3. Dopo il Concilio Plenario la Chiesa nell'America Latina è fiorita notevolmente, a volte tra non poche sofferenze, gravi difficoltà e problemi enormi. Ma le luci si impongono alle ombre e così possiamo congratularci per i grandi frutti della vita cristiana che sono sorti in quel Continente, grazie al lavoro silenzioso e sofferto da tanti Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose e anche secolari in parrocchie e centri di apostolato, così come nel campo della educazione e della carità. Per questo possiamo, appunto dire con gioia, che l'America Latina possiede come segno della sua identit à la fede cattolica.

Desidero ricordare che, dalla celebrazione del Concilio, la vitalità della Chiesa in America è andata crescendo. Ne sono prova i Congressi Eucaristici e Mariani e anche le quattro conferenze generali dell'Episcopato latino-americano celebrate a Rio del Janeiro (1955), Medellin (1968), Puebla (1979) e Santo Domingo (1992), queste due ultime da me inaugurate. Desidero anche ricordare che Paolo VI, nel suo storico pellegrinaggio a Bogotá aprì la strada ai viaggi pastorali in America, che io, con l'aiuto di Dio ho potuto realizzare. Tutto questo è culminato con la celebrazione in Vaticano del Sinodo per l'America, che ho indetto e in seguito, all'inizio di quest'anno conclusivo, nella Basilica messicana di Guadalupe, cuore mariano del Continente, con la consegna dell'Esortazione Apostolica «Ecclesia in America».

4. In questo documento, riprendendo le proposte dei Padri sinodali, ho desiderato avvicinarmi alla situazione attuale del Continente invitando i Pastori ad approfondire e concretizzare in seguito in ogni Chiesa particolare i suoi contenuti, facendo attenzione a quello che è fondamentale: annunciare Gesù Cristo, che «è la buona novella della salvezza comunicata agli uomini di ieri, oggi e di sempre; ma al tempo stesso, Egli è anche il primo e supremo evangelizzatore. La Chiesa deve porre il centro della sua attenzione pastorale e della sua azione evangelizzatrice in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Tutto quello che si progetta in campo ecclesiale deve partire da Cristo e dal suo Vangelo. Perciò, la Chiesa in America deve parlare sempre più di Gesù Cristo, volto umano di Dio e volto divino dell'uomo » (n. 67).

5. Nel partecipare a questo Simposio, come Pastori e storici, avete pensato al futuro nella prospettiva del passato. In questo compito è necessario procedere con obiettività, basandosi sui dati reali e non su ideologie o visioni parziali dei fatti. Vi ringrazio del vostro lavoro in questo campo cosicché la Chiesa, conoscendo meglio la sua storia può stabilire i suoi programmi di evangelizzazione adeguandoli ai nuovi tempi. In questi programmi, oltre alle strutture pastorali, conta la persona dell'evangelizzatore: il Vescovo, il sacerdote, il catechista, il cristiano impegnato, i quali con la loro fede possono dare gioia e valida testimonianza di Gesù Cristo.

Ringrazio la Pontificia Commissione per l'America Latina per lo sforzo realizzato per portare avanti questo Simposio, che continuerà nella sua Riunione Plenaria. Vi ringrazio anche della vostra partecipazione e del servizio che avete prestato, animati dallo spirito ecclesiale. Formulo i miei migliori voti affinché il vostro lavoro, che presto sarà pubblicato nei corrispondenti Atti, offra un tesoro di suggerimenti e proposte che aiutino l'opera apostolica che con tanta generosità va avanti nei Paesi d'America.

Invocando su tutti la protezione della Vergine di Guadalupe, prima evangelizzatrice dell'America, che con il suo sguardo materno, nell'antica cappella del Pontificio Collegio Pio Latino Americano guida e accompagna i passi del Concilio, imparto di cuore la Benedizione Apostolica.




AI PARTECIPANTI ALLA RIUNIONE DELLE OPERE


PER L'AIUTO ALLE CHIESE ORIENTALI (ROACO)


Giovedì, 24 giugno 1999

Signor Cardinale,

Venerati Confratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari Membri ed Amici della "Riunione delle Opere
195 per l'Aiuto alle Chiese Orientali" (ROACO)!

1. Mi è gradito rivolgervi un caloroso benvenuto, in occasione della riunione per coordinare gli aiuti ai cristiani delle Chiese d'Oriente.

Saluto con affetto il Cardinale Achille Silvestrini, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali e Presidente della ROACO, e lo ringrazio per l'indirizzo che mi ha rivolto a vostro nome. Saluto il Segretario, il Sottosegretario, i Collaboratori del Dicastero per le Chiese Orientali, come pure i Responsabili delle Agenzie e tutti voi qui presenti.

Le vostre riunioni semestrali, che hanno avuto inizio nel 1968, si sono sempre più strutturate e, crescendo nella partecipazione e nel coordinamento, registrano ora una più collaudata efficacia operativa. So che, in questi ultimi anni, singolare attenzione è stata dedicata al metodo per svolgere la vostra attività in stretta collaborazione con le Chiese Orientali Cattoliche, al cui servizio intendete operare. Il vostro risulta così essere un prezioso aiuto per il Papa, al quale consentite di esercitare, in modo più solerte, il ministero di presiedere "alla carità universale".

Ringrazio tutti voi, cari Responsabili delle Agenzie, per l'opera che prestate sotto la guida della Congregazione per le Chiese Orientali. Tramite il vostro impegno, alleviate situazioni di necessità, animate iniziative socio-pastorali, soccorrete Paesi divisi da conflitti, venite in soccorso di molte persone colpite dalla povertà e da tante forme di emarginazione.

2. Voi, in particolare, sostenete le Comunità cattoliche orientali nell'opera di evangelizzazione. Nell'imminenza del Grande Giubileo, i credenti sono chiamati a vivere in modo più intenso la fede, nella consapevolezza di essere "il fermento e quasi l'anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio" (Gaudium et Spes
GS 41).

Accanto alla testimonianza della fede, non può mancare il servizio della carità: l'annuncio del Vangelo della speranza esige il Vangelo della carità. Tra i segni dell'itinerario giubilare vi è la "Porta Santa". L'indicazione della porta è un richiamo alla responsabilità di ogni credente ad attraversare la soglia della misericordia (Incarnationis mysterium, 8). "Porta" e "soglia" sono segni di quella carità, "che apre i nostri occhi ai bisogni di quanti vivono nella povertà e nell'emarginazione e crea una nuova cultura di solidarietà e cooperazione, in cui tutti assumono la loro responsabilità per un modello di economia al servizio di ogni persona" (Ibid., 14).

Tramite la vostra generosa dedizione alle necessità dei fratelli delle Chiese d'Oriente, l'intera Comunità ecclesiale esercita la sua universale missione pastorale. Il creare una fattiva corresponsabilità aiuta a superare la tentazione di particolarismi egoistici e fa sentire legati ad un medesimo e grande destino popoli diversi, nei quali il Vangelo ha fatto germogliare la fiducia e la speranza in una nuova umanità.

3. Con il Giubileo, al centro dell'attenzione ecclesiale saranno Gerusalemme, Nazaret e Betlemme e tutta la Terra Santa, nella quale il Figlio di Dio ha preso la nostra carne dalla Vergine Maria. So che voi rivolgete già particolare cura ai luoghi santi e seguite le ansie e le preoccupazioni delle locali Comunità cristiane. Vi invito soprattutto a non disattendere le aspettative dei giovani e ad aiutare le famiglie cristiane a non perdere la speranza per la casa e il lavoro, pur di fronte alle difficoltà socio-economiche e ad un precario contesto ambientale.

La Chiesa universale, anche mediante la tradizionale Colletta per la Terra Santa, si rende premurosamente attenta nei confronti dei fratelli che risiedono nei luoghi sacri della Redenzione. Nel raccomandare vivamente tale atto di amore verso i cristiani di quelle regioni, sono certo che il vostro sforzo per far giungere aiuti dalle parti più diverse del mondo cattolico troverà una grata corrispondenza nei Pastori e nei fedeli delle Chiese cattoliche orientali e della Comunità latina di Terra Santa.

Clero e fedeli manifestano la disponibilità a lavorare insieme, a programmare interventi e piani pastorali secondo riconosciute priorità di evangelizzazione, di carità e di impegno educativo. E' di primaria importanza la formazione di laici cristiani maturi e responsabili, capaci di offrire una coraggiosa testimonianza di fede.

196 Durante la gioiosa ricorrenza giubilare, i numerosi pellegrini che visiteranno i luoghi sacri della Fede, avranno l'opportunità non soltanto di condividere momenti di preghiera e di comunione, ma anche di conoscere le opere da voi suscitate in aiuto alla catechesi, all'animazione pastorale, all'azione caritativa.

4. Carissimi Fratelli e Sorelle, vi esprimo il mio compiacimento per la sollecitudine con cui venite incontro alle richieste che vi giungono. Per mezzo mio, vi manifestano la loro gratitudine quelle comunità che, mediante il servizio della Congregazione per le Chiese Orientali e della ROACO, vedono incoraggiati i loro sforzi tesi ad una più coraggiosa ripresa dello slancio apostolico.

La Madre di Dio, Maria SS.ma, che "dal giorno del concepimento verginale ha vissuto pienamente la Sua maternità, portandola a coronamento sul Calvario ai piedi della croce" (Incarnationis mysterium, 14), vi confermi nei propositi e continui "ad indicare a tutti la via che conduce al Figlio".

Con tali auspici, di cuore imparto una speciale Benedizione Apostolica, che estendo volentieri alle Comunità ecclesiali a cui appartenete, agli Organismi che rappresentate ed alle iniziative per le quali incessantemente operate.



SALUTO DI GIOVANNI PAOLO II


AI CAVALIERI DEL SOVRANO


MILITARE ORDINE DI MALTA


Giovedì, 24 giugno 1999

Carissimi Fratelli e Sorelle!


1. In occasione della solennità di San Giovanni Battista, vostro santo Patrono, avete voluto raccogliervi per una solenne celebrazione nella Basilica a lui dedicata. Porgo il mio benvenuto a ciascuno di voi e saluto l'intero Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, detto Sovrano Militare Ordine di Malta, che in questi giorni ha celebrato il proprio Capitolo Generale.

Saluto particolarmente il Principe e Gran Maestro, Fra' Andrew Bertie, il "Cardinalis Patronus", Pio Laghi, il Prelato Monsignor Donato de Bonis, il Gran Cancelliere ed i dignitari del Sovrano Consiglio appena rinnovato. Auguro a tutti buon lavoro al servizio di Dio, della Chiesa e dell'Ordine.

Da più di novecento anni, il vostro benemerito Ordine offre al mondo una testimonianza fedele al proprio motto: "Tuitio fidei, obsequium pauperum", che corrisponde al comando evangelico di "Amare Dio e amare il prossimo".

2. Voi siete ben persuasi che la difesa e la testimonianza della fede costituisce la base dell'evangelizzazione, e volete offrire il vostro contributo perché il messaggio evangelico continui ad illuminare anche il terzo millennio dell'era cristiana ormai imminente. A questo fine, vi sentite impegnati a tradurre nei fatti la fedeltà a Cristo mediante la testimonianza dell'amore, che si fa servizio verso i fratelli, specialmente verso i poveri: quello che voi giustamente chiamate l'"obsequium pauperum".

Quest'amore per gli ultimi è validamente testimoniato dalla vostra presenza accanto ai malati, ai sofferenti, ai terremotati, ai profughi. Esso qualifica il vostro Ordine religioso e sovrano come valida struttura che si fa carico del peso della sofferenza dell'uomo.


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