GPII Omelie 1996-2005 52

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SOLENNE MESSA GIUBILARE SULLA TOMBA DELL'APOSTOLO PIETRO



Domenica, 10 novembre 1996




Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore” (Sal 115[116], 13).

1. Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato,
carissimi Sacerdoti!

Siamo oggi riuniti in questa Basilica di san Pietro per ricordare quel momento solenne di cinquant’anni fa, quando con trepidazione prendemmo per la prima volta nelle nostre mani il “calice della salvezza”.

È il calice che viene a noi dal Cenacolo. Lo abbiamo ereditato da Cristo stesso, Unico ed Eterno Sacerdote, attraverso la mediazione di un successore degli Apostoli. Quel calice stringemmo allora nelle nostre mani, rivivendo l’atmosfera carica di mistero dell’Ultima Cena.

Proprio a quell’evento, dolcissimo e insieme drammatico, ci rimanda l’odierno brano del Vangelo di Luca, che riporta le parole di Cristo: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più finché essa non si compia nel Regno di Dio” (Lc 22,15-16).

Quell’evento decisivo perennemente presente e contemporaneo per ogni generazione

2. Gesù sa di trovarsi ormai sulla soglia del suo Sacrificio - di quel Sacrificio redentore che si compirà in modo cruento una sola volta nella storia. Egli vuole, tuttavia, che quell’evento decisivo resti perennemente presente, così che ogni generazione umana sulla faccia della terra possa sentirlo in qualche modo a sé contemporaneo. Per questo nel Cenacolo, la sera del Giovedì Santo, Egli prende il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezza e lo dà ai discepoli dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Dopo la cena fa lo stesso col calice: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi” (Lc 22,20). Prendete e mangiatene tutti. Prendete e bevetene tutti (cf. Mt Mt 26,26-28).

Gli Apostoli ricevono dalle stesse mani di Cristo il suo Corpo sotto la specie del pane e il suo Sangue sotto quella del vino. Ecco! Si compie così la prima e originaria consacrazione eucaristica. Ecco! Gli Apostoli si trovano davanti al grande mistero della fede che, in quel momento, il giorno prima del Venerdì Santo, essi ancora non possono capire fino in fondo, ma che, di lì a poco, comprenderanno con trepida consapevolezza ed accetteranno con devozione umile e grata.

Perché questa interiore comprensione potesse maturare in loro Cristo, dopo la sua risurrezione ed ascensione al cielo, - lo sappiamo bene - nel giorno della Pentecoste inviò agli Apostoli lo Spirito Santo. Illuminati e corroborati dai suoi doni, essi compresero e fecero proprio il mistero di redenzione che s’era compiuto nel Cenacolo: il mistero dell’Eucaristia. Lo Spirito Santo li rese definitivamente capaci di celebrare con le debite disposizioni interiori il Sacrificio eucaristico.

Misticamente partecipi dell’Ultima Cena

3. Ciò che avvenne negli Apostoli, si è attuato anche in noi, che abbiamo ereditato da loro il sacerdozio ministeriale. Ogni giorno, quando ci presentiamo all’altare e, dopo il Prefazio, pronunciamo le parole della Preghiera eucaristica: “Padre veramente santo, fonte di ogni santità” (Preghiera Eucaristica II), noi riviviamo l’esperienza del Cenacolo. In modo misterioso ma vero, anche noi diveniamo misticamente partecipi dell’Ultima Cena quando, nell’imporre le mani sopra il pane e il vino, chiediamo: “Santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito, perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore” (Ivi).

È dunque lo Spirito Santo a far sì che i doni umani del pane e del vino diventino, come allora nel Cenacolo, il Corpo e il Sangue di Cristo. Molto opportunamente, pertanto, l’odierna liturgia ci ricorda il simbolo dell’unzione, di cui parla il profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is 61,1).

Servitori del mistero della redenzione

4. Cinquant’anni fa, nell’ordinarci sacerdoti, il Vescovo unse le nostre mani, per esprimere che proprio le mani di quei giovani, che allora noi eravamo, sarebbero diventate uno strumento privilegiato di Cristo, Sommo Sacerdote. Con quelle mani, infatti, i nuovi sacerdoti avrebbero tenuto prima il pane sacrificale e, poi, il calice colmo di vino. Su di essi - sul pane e sul vino - avrebbero pronunciato le stesse parole dette da Cristo nel Cenacolo, compiendone la consacrazione e trasformandone la sostanza nel Corpo e nel Sangue di Lui.

È così che, per opera del Sacerdote, l’assemblea dei fedeli, nella celebrazione di questo grande mistero della fede, riceve sotto le specie del pane e del vino il grande Sacramento della redenzione del mondo.

Ciascuno di noi, cari e venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, sa di essere, sull’esempio di Cristo, servitore del mistero della redenzione. Durante l’Ultima Cena Cristo lavò i piedi agli Apostoli, per manifestare che Egli stesso, per primo, intendeva restare in mezzo a loro innanzitutto come “colui che serve” e che, per questo, anch’essi erano chiamati a servire tutti i loro fratelli. Il sacerdozio, che ricevevano dalle mani del Redentore, - anche questo gli Apostoli avrebbero poco a poco capito - era un sacerdozio ministeriale.

Proprio Pietro aveva diritto di dire così; anzi: doveva dire così.

5. In questa liturgia abbiamo ascoltato anche le parole che l’apostolo Pietro rivolgeva agli anziani, cioè ai presbiteri, che è come dire a tutti noi. Egli così scriveva: “Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri, secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce” (1P 5,1-4).

Queste parole scriveva Pietro, l’apostolo che aveva attraversato una particolare prova di fede: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,31-32).

Come è chiara, nelle successive parole dell’odierna lettura, l’eco della sofferta esperienza compiuta la notte del Giovedì Santo! L’apostolo Pietro scriveva: “Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede” (1P 5,6-9). Proprio Pietro, rafforzato dall’esperienza compiuta e dalla preghiera di Gesù, aveva diritto di dire così; anzi: doveva dire così. Egli esprimeva con queste parole la coscienza della propria fragilità e insieme della chiamata al ministero e, al tempo stesso, tracciava il programma di impegno e di ascesi di ogni esistenza sacerdotale.

Il caloroso grazie del Successore di Pietro

6. “Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore”. Venerati e cari Fratelli, oggi il Successore di Pietro, come un tempo lo stesso Apostolo, prende il calice della salvezza e celebra il Sacrificio eucaristico nel cinquantesimo anniversario del suo sacerdozio.

Vi saluto tutti con grande affetto. Il mio pensiero va, in special modo, al Cardinale Bernardin Gantin, Decano del Collegio cardinalizio, che ringrazio di cuore per le cortesi espressioni augurali rivoltemi poc’anzi a nome di tutti. Con lui saluto gli altri Cardinali, riservando un particolare pensiero a quelli fra loro che celebrano il giubileo sacerdotale. Estendo il mio cordiale saluto a tutti voi, carissimi Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, che ricordate quest’anno il cinquantesimo anniversario della vostra Ordinazione.

A voi che siete raccolti in questa patriarcale Basilica per festeggiare una così significativa ricorrenza; a voi che qui rappresentate la Chiesa di Roma e la Chiesa sparsa su tutta la terra, il Successore di Pietro esprime il proprio caloroso grazie. Nel celebrare insieme l’unico Sacrificio di Cristo, noi testimoniamo la stessa fede eucaristica, grati per il dono fattoci da Dio quando, cinquant’anni fa, ci chiamò a svolgere il ministero sacerdotale in favore del Popolo di Dio presente nel mondo intero.

Mi è spontaneo, in questa solenne Celebrazione, evocare il motto del mio pontificato “Totus Tuus”, per affidare alla Madre di Cristo Sacerdote questa nostra Comunità giubilare. Che Maria rimanga accanto a ciascuno di noi nell’ulteriore cammino della nostra vita e del nostro ministero!

Regina degli Apostoli, Madre dei Sacerdoti, prega per noi!

Amen!
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PROCLAMAZIONE SOLENNE DI TRE NUOVI BEATI :

OTTO NEURURER, JAKOB GAPP E CATHERINE JARRIGE


Solennità di Cristo Re - Domenica, 24 novembre 1996




1. Oggi, ultima domenica dell’Anno Liturgico, la Chiesa celebra la solennità di Cristo Re e fissa lo sguardo sulla figura del Buon Pastore. Cristo, Buon Pastore, conduce il suo gregge, lo custodisce dagli assalti del nemico, procura il nutrimento per le pecore (cf. Ez Ez 34, 11ss.) e, soprattutto, cerca di condurle nella casa del Padre, in quel regno, cioè, che il Padre gli ha affidato, perché ne renda partecipi gli uomini.

Cristo, Buon Pastore, è colui che “offre la vita per le pecore” (Jn 10,11). Cristo crocifisso e risorto: come crocifisso dà la sua vita, come risorto dona la vita.

L’apostolo Paolo scrive: “Se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo” (1Co 15,21-22). E aggiunge: “Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il Regno a Dio Padre . . . Bisogna, infatti, che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” (1Co 15,24-26).

Così, dunque, Cristo riceve il Regno e, allo stesso tempo, Gli viene dato il compito di offrirlo a noi: Regno di grazia e di verità, regno di giustizia, di amore, di pace.

2. In questo Regno il Figlio esercita il potere. Non soltanto il potere del pastore, ma anche quello del giudice, come indica l’odierno Vangelo. Cristo è Re poiché a lui appartiene il giudizio sulle nazioni, il giudizio su ogni uomo.

San Matteo ha delineato in modo impressionante lo svolgimento di questo giudizio. Il giudice dice: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,34-36). I giusti domanderanno: quando mai abbiamo fatto tutto questo? Ed Egli risponderà: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

Cristo è Re d’amore e perciò il giudizio finale sull’uomo e sul mondo sarà un giudizio sull’amore. Dall’aver amato o dal non aver amato dipenderà la nostra collocazione dall’una o dall’altra parte. Il Regno offertoci da Cristo è, allo stesso tempo, un compito dato a ciascuno di noi. Sta a noi attuarlo mediante quegli atti d’amore descritti con grande realismo dal Vangelo.

3. Oggi la Chiesa ci pone dinanzi come modelli due uomini ed una donna che, proprio mediante le opere di una generosa dedizione a Dio e ai fratelli, hanno realizzato, ognuno nel proprio ambito, il Regno di Dio e ne sono diventati eredi. Nell’ora del giudizio, essi si sono sentiti dire: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25,34). Con l’odierno rito di beatificazione vogliamo confessare il mistero del Regno di Dio ed onorare Cristo Re, Pastore pieno d’amore per il suo gregge.

Pubblichiamo una nostra traduzione in italiano delle parole pronunciate in tedesco e in francese dal Papa durante l’omelia della Santa Messa di Beatificazione:

4. Gesù, che è venuto per testimoniare la verità, non è solo l’oggetto di una disquisizione filosofica, ma la verità vivente del Dio che si rivela. Si tratta della verità che porta la salvezza e trasforma la vita. Per questa verità il Signore ha recato la propria testimonianza. E per questa verità che sta a fondamento del suo Regno è morto.

I due martiri del Tirolo, il presbitero e parroco Otto Neururer e il sacerdote dell’Ordine dei Marianisti Jakob Gapp stanno, per così dire, con la loro testimonianza di vita accanto a quel Cristo incatenato, che era stato consegnato al potere di Pilato.

Padre Jakob Gapp recò la propria testimonianza con la forza della Parola coraggiosa e della profonda convinzione come fra l’ideologia pagana del nazionalsocialismo e il cristianesimo non si potesse giungere ad alcun compromesso. In questa contrapposizione vide, a ragione, una lotta apocalittica. Sapeva da che parte stare e per questo venne condannato a morte.

5. Il semplice parroco Otto Neururer recò la propria testimonianza della verità di Cristo, difendendo nelle circostanze più difficili e più pericolose la santità del matrimonio cristiano e venendo per questo imprigionato dalla Gestapo. Nel campo di concentramento fu il suo senso del dovere sacerdotale a spingerlo a impartire lezioni di fede, nonostante il severo divieto della direzione del campo.

Per punizione fu appeso a testa in giù fino a quando morì. Entrambi i sacerdoti hanno difeso la verità, hanno recato la loro testimonianza, lasciati a se stessi, abbandonati, derisi, inermi, ma fedeli fino alla morte. Oggi, in occasione della beatificazione, un raggio dell’eterno Regno di Dio si proietta su questi due testimoni martiri.

Appartengono alla schiera di coloro che siedono con Lui sul trono, poiché, come afferma l’Apocalisse “non avevano adorato la bestia e la sua statua” (Ap 20,4).

I due Martiri Otto Neururer e Jakob Gapp offrono a tutti noi, in un periodo che vorrebbe relegare il cristianesimo alle scelte personali e relativizzare tutti gli obblighi, la testimonianza di una lealtà alla verità di Cristo che non accetta compromessi, laddove essa sempre risplende. In tal modo essi possono essere nostri intercessori celesti in quanto Patroni del coraggio nell’annuncio e della santità del matrimonio e del servizio sacerdotale.

6. “Il Signore è il mio Pastore: non manco di nulla” (Ps 22,1). Animata da questa certezza, Catherine Jarrige donò tutta la sua vita al servizio di Dio e del prossimo. Quando percorreva di notte le vallate del Cantal, quando attraversava la “valle oscura” (Ps 22,4) per soccorrere i sacerdoti perseguitati, quando passava per le case a mendicare per i poveri nei quali aveva riconosciuto il volto di Cristo sofferente, ella continuava a portare nel suo cuore la presenza del Signore, suo baluardo e suo scudo (cf. Sal Ps 84,12). Terziaria domenicana, figlia spirituale di santa Caterina da Siena ella predicava Cristo e il Vangelo mediante le sue azioni. Il suo messaggio è un messaggio di gioia, di amore e di speranza.

Messaggio di gioia: Cristo, Re dell’universo, può impossessarsi completamente di un’anima per farne un’immagine vivente della sua carità. Come ha fatto per Catherine, Egli non cessa di attirarci a lui. Messaggio d’amore: di fronte ai suoi persecutori, Catinon-Menette trovava la pronta risposta, quella punta d’umorismo che disarmava l’avversario che dentro di sé continuava ad amare. Messaggio di speranza: la pecora smarrita (cf. Ez Ez 34,16) viene trasportata sulle spalle dal Pastore e da quanti l’accompagnano. Catherine è vissuta accanto a numerose povertà materiali e spirituali e le ha soccorse. Tutto ciò che ha fatto a un fratello più piccolo, l’ha fatto a Cristo (cf. Mt Mt 25,40).E Cristo stesso l’ha accolta presso di Lui facendola partecipe della sua Resurrezione beata.

7. “Venite, benedetti del Padre mio” (Mt 25,34): questo dolce invito hanno udito i tre Beati che oggi ho avuto la gioia di elevare agli onori degli altari. La Chiesa li propone alla venerazione di tutti i battezzati.

Carissimi Fratelli e Sorelle, imitiamo la loro fede, imitiamo la loro carità, perché la nostra speranza si rivesta di immortalità. Non lasciamoci distrarre da altri interessi terreni e passeggeri. I beati Otto Neururer, Jakob Gapp e Catherine Jarrige ci indicano la strada: seguiamone le orme!

Ci guidi nel cammino verso il Regno dei Cieli, Maria, Regina di tutti i Santi, così che anche a noi sia dato, un giorno, di ascoltare le parole di Cristo: “Venite, benedetti del Padre mio”. Amen.


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SOLENNE CELEBRAZIONE DEI PRIMI VESPRI

DELLA PRIMA DOMENICA DI AVVENTO


Sabato, 30 novembre 1996




“Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre” (He 13,8).

1. La liturgia ci propone oggi queste parole, nella vigilia della prima domenica d’Avvento, tempo che ci prepara al Santo Natale. Esse, però, riguardano l’intera vicenda di Cristo, dal suo Natale fino al Mistero pasquale. Durante la Veglia pasquale il celebrante le pronuncia, mentre compie la benedizione del cero: Christus heri et hodie; Principium et Finis; Alpha et Omega. Ipsius sunt tempora et saecula. Ipsi gloria et imperium, per universa aeternitatis saecula.A Cristo appartengono i millenni: tutti i millenni della storia, ma, in modo speciale, i due che noi computiamo a partire dalla sua venuta nel mondo. A Lui appartiene questo secondo millennio dell’era cristiana, al cui termine ci stiamo rapidamente avvicinando, mentre già si profila l’inizio del terzo: Tertio millennio adveniente.

Facendosi uomo, il Figlio di Dio, il Verbo consostanziale al Padre, ha preso possesso del nostro tempo, in ogni sua dimensione, e lo ha aperto all’eternità. L’eternità, infatti, è la dimensione propria di Dio. Facendosi uomo, il Figlio di Dio ha abbracciato con la sua umanità il tempo umano, per guidare l’uomo attraverso tutte le misure di questo tempo verso l’eternità e per condurlo alla partecipazione della vita divina, vera eredità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

2. Per questo noi uomini, pellegrini nel tempo, mediante Cristo “offriamo a Dio un sacrificio di lode”, come scrive l’Autore della Lettera agli Ebrei (cf He 13,15), cioè “il frutto di labbra che confessano il suo nome” (He 13,15).

Dice la Didaché con parola che riecheggia questo passo: “Noi ti rendiamo grazie, o Padre santo, per il santo tuo nome che hai fatto abitare nei nostri cuori” (10,2). Il nome di Dio, conosciuto nell’Antico Testamento come Jahvè, Colui che è (cf. Es Ex 3,14), nel Nuovo Testamento riceve una tipica espressione umana: Gesù Cristo.

È nel nome di Cristo che iniziamo, in questi primi Vespri d’Avvento, la preparazione immediata al Grande Giubileo dell’anno Duemila. La Chiesa rivolge il suo sguardo verso la notte di Natale, ma al tempo stesso guarda già alla grande Veglia di Pasqua.

3. Poc’anzi abbiamo ascoltato: “Il Dio della pace, che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli” (He 13,20-21). Con quanta chiarezza le parole della Lettera agli Ebrei presentano il mistero della morte e della risurrezione di Cristo! Colui che, oltrepassando i confini della morte si rivela vincitore del peccato e di satana, ha il potere di rendere anche noi capaci di compiere il bene.

Il programma di preparazione al terzo millennio ci stimola a prendere coscienza di questa consolante verità, contenuta nella Lettura breve che abbiamo or ora ascoltato. L’Autore sacro così ci ha esortati: “Non dimenticatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace” (He 13,16). Non è proprio questa l’indicazione che davo nella Lettera apostolica Tertio Millennio adveniente? In essa esortavo all’amore del prossimo ed alla giustizia sociale, facendo riferimento allo spirito del Giubileo, così come ci è stato tramandato dalla tradizione veterotestamentaria (nn. 12-13).

4. Opus iustitiae, pax.Carissimi Fratelli e Sorelle, impetriamo con la preghiera la pace autentica, frutto della giustizia e dell’amore. Opus iustitiae, opus laudis. Tutto il programma di preparazione al terzo millennio dovrebbe aiutarci a scoprire la gloria di Dio che sì è rivelata in Cristo.

La gloria di Dio è inscritta in ogni creatura, visibile ed invisibile. In modo eminente è inscritta nell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio ed elevato dalla grazia alla filiazione divina. Questa gloria è data, al tempo stesso, come missione da realizzare all’uomo, alla Chiesa. Proprio questo ha costituito il programma di innumerevoli santi. Basti ricordare san Benedetto: “ut in omnibus glorificetur Deus”, e sant’Ignazio di Loyola: “omnia ad maiorem Dei gloriam”.

Nell’annunziare questo programma, la Chiesa è lontanissima dal proporre una qualche forma di alienazione dell’uomo! Lo aveva ben capito quel grande Padre della Chiesa che fu sant’Ireneo. Egli affermava: “Gloria Dei vivens homo”, gloria di Dio è l’uomo che vive in pienezza (Adv. Haer., IV, 20, 7).

Ecco la verità sulla gloria di Dio che ci presenta il Vangelo! Alla luce di essa vogliamo iniziare l’itinerario di immediata preparazione al Giubileo dell’anno Duemila, ed in questo spirito intendiamo proseguirlo in ogni angolo della terra: in Urbe et in Orbe.Quest’itinerario ci condurrà fin sulla soglia della Porta Santa, che sarà aperta, a Dio piacendo, la notte di Natale del 1999, dando inizio così al Grande Giubileo.

5. A Te, Madre di Cristo, Madre del primo avvento e di ogni avvento, affidiamo questo programma: opus iustitiae et opus laudis.

A Te, Maria, che la liturgia dell’Avvento ci invita ad onorare con la nota antifona:

Alma Redemptoris Mater,
quae pervia caeli porta manes...
“O Santa Madre del Redentore,
porta dei cieli, stella del mare,
soccorri il tuo popolo
che anela a risorgere.
Tu che accogliendo il saluto dell’angelo,
nello stupore di tutto il creato,
hai generato il tuo Creatore,
Madre sempre vergine,
pietà di noi peccatori!”.
Amen!
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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA

DI SAN GIROLAMO EMILIANI


Domenica, 1° dicembre 1996




1. Regem venturum, Dominum, venite adoremus! Con questa esortazione, la liturgia dell’Avvento ci introduce quotidianamente nel mistero di Dio che viene. Essa parla di una prima e seconda venuta di Cristo: la prima nella notte di Betlemme, quando il Figlio di Dio si fece uomo e nacque dalla Vergine Maria; la seconda si avrà nel giudizio finale. Col tempo, la riflessione ecclesiale sulla venuta di Dio nel mondo si è ulteriormente ampliata, ed ha riconosciuto una prima venuta nella creazione all’inizio dei tempi, ed una seconda nell’Incarnazione per la redenzione del mondo.

Sia il primo che il secondo avvento si sono già realizzati; viviamo, invece, in attesa della terza venuta di Cristo, in cui la creazione e la redenzione troveranno il loro definitivo compimento. Colui che una volta per sempre ha redento il mondo, deve realizzare la grande ricapitolazione del creato, e, prima di tutto, della storia dell’uomo, per condurre ogni realtà verso quella pienezza che può trovarsi solo in Dio. Regem venturum, Dominum, venite adoremus!

2. Il profeta Isaia, nella prima Lettura dell’odierna liturgia, annunzia tale venuta in modo in un certo senso sconvolgente: “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema?... Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti... Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia: tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento” (Is 63,17 Is 63,19 Is 64,4-5).

È difficile non cogliere l’eloquenza straordinaria di questo testo penetrante che contiene, in un certo senso, tutta la teologia dell’Avvento. Il Profeta si rivolge a Dio Creatore a nome dell’intero creato; parla a nome dell’uomo, di questo singolare essere creato ad immagine e somiglianza di Dio, che è cosciente dei doni ricevuti ma anche della propria peccaminosità e della deformazione in lui operata dal peccato.

Questa consapevolezza pone in luce il profondo bisogno di salvezza che è nel cuore dell’essere umano. Il grido per la venuta di Dio è, dunque, il grido di attesa del Salvatore. A pronunciarlo è il Profeta, consapevole della fondamentale verità dell’Avvento. Egli conosce il mistero della creazione e dell’elevazione dell’uomo, conosce la sua dignità, ma non dimentica la realtà del suo peccato.

Isaia crede che Dio vuole salvare l’uomo; non vuole lasciarlo nel peccato e nella situazione di lontananza, conseguita alla caduta originale; Dio vuole venire incontro all’uomo come Salvatore. È lo stato d’animo espresso dall’odierno canto al Vangelo: “Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza” (Sal 84[85], 9).

3. Carissimi Fratelli e Sorelle della parrocchia di san Girolamo Emiliani! Ieri sera, nella Basilica di san Pietro, ho avuto la gioia di inaugurare la fase preparatoria al grande Giubileo del Duemila. E sono lieto di potermi incontrare questa mattina con la vostra parrocchia che, insieme con tuta la Diocesi, si sta preparando a quell’evento mediante la grande missione cittadina. Attuando le indicazioni scaturite dal recente Sinodo diocesano, la missione cittadina vuole aiutare i romani ad aprire, anzi a spalancare le porte del cuore e della vita a Cristo.

So che sono già oltre diecimila gli uomini e le donne, i giovani e gli anziani che, nel contesto della missione, stanno preparandosi per recarsi nelle case e negli ambienti della Città al fine di annunciare il Vangelo. Oggi li saluto e li incoraggio nel cammino formativo che stanno compiendo. L’efficacia del loro compito apostolico dipenderà da come apriranno essi stessi l’animo a Gesù Salvatore.

Auspico che le iniziative programmate circa il tema della fede e della ricerca di Dio, la consegna del Vangelo di Marco in ogni casa e gli Esercizi spirituali nelle parrocchie durante la Quaresima favoriscano l’accoglienza di Gesù da parte di tanti che lo stanno cercando forse senza saperlo.

4. Carissimi Fratelli e Sorelle! Vi saluto tutti con affetto. Saluto il Cardinale Vicario, Mons. Vicegerente, il vostro zelante Parroco, Padre Vincenzo Gorga, e i cari Padri Somaschi, suoi collaboratori.

La vostra parrocchia, nata durante l’Anno Santo del 1975, è posta sotto la protezione di san Girolamo Emiliani, che dedicò tutta la sua vita ai poveri e in particolare all’educazione cristiana dei ragazzi e dei giovani abbandonati. Se gli inizi della vostra comunità non furono dei più facili a causa della mancanza di una sede idonea, ora, grazie al vostro impegno straordinariamente generoso, potete finalmente disporre di una chiesa e di un buon complesso di opere parrocchiali per le molteplici iniziative pastorali. Perseverate nell’impegno di catechesi sia ai fanciulli che ai giovani ed agli stessi genitori di coloro che si accostano ai sacramenti, proseguendo nella missione di annunciare il Vangelo a tutti.

In questo anno pastorale, nel quale la Diocesi di Roma riserva una particolare attenzione alla gioventù, non posso non ricordare i giovani che vivono in questo territorio. Abbiate cura di essi, specialmente di coloro che sono più bisognosi, seguendo il carisma dei Padri Somaschi, sorti nella Chiesa per essere al servizio dei fanciulli in difficoltà. E come non apprezzare, a questo proposito, anche lo sforzo che state compiendo per aiutare economicamente 160 bambini brasiliani a rischio? Questa iniziativa è segno di una sensibilità missionaria che vi spinge ad allargare lo spirito alle esigenze dell’intera umanità.

5. Regem venturum, Dominum, venite adoremus! Questo grido è il primo annuncio della liturgia dell’Avvento, che esprime l’attesa per la venuta di Dio; ad esso risponde l’esortazione contenuta nel Vangelo di Marco. Cristo, il Dio che è venuto, dice agli uomini che attendono il suo definitivo ritorno: “State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso” (Mc 13,33). Pensiamo alla parabola dell’odierno Vangelo. Essa parla del padrone che si è recato in viaggio ed ha lasciato la sua casa, ha affidato ai servi la cura di ogni cosa, assegnando a ciascuno un compito specifico. Cristo estende quest’impegno a tutti: “Vigilate . . ., poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all’improvviso trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!” (Mc 13,35-37).

“Vegliate”: ecco la parola che la Chiesa proclama con insistenza durante questo periodo liturgico. Non si tratta soltanto di un’attesa gioiosa della notte del Natale del Signore, ma del compimento di tutta l’opera della redenzione iniziata a Betlemme. L’annuncio della salvezza è missione affidata alla Chiesa ed agli uomini, consapevoli di essere stati redenti a prezzo del sacrificio di Cristo ed introdotti così nella dimensione escatologica del Regno di Dio.

Tale coscienza dovrebbe suscitare in essi il senso di una speciale responsabilità. Proprio questo significa la parola “vegliate”: vegliate perché il Signore verrà! La vita umana ha su questa terra il suo termine temporale ma anche il suo inizio escatologico. Ben lo sottolinea il Concilio Vaticano II nella Costituzione sulla Chiesa Lumen gentium, quando afferma che tutti siamo chiamati a preparare il definitivo compimento, che Cristo opererà alla fine dei tempi (cf. n. 48).

Carissimi Fratelli e Sorelle, vegliamo e preghiamo per essere pronti; vegliamo e preghiamo insieme con tutta la Chiesa. Saremo così pronti ad accogliere il Signore che viene.

Amen!
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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA

DI NOSTRA SIGNORA DI VALME, A VILLA BONELLI


Domenica, 15 dicembre 1996




1. "Gaudete in Domino semper. Iterum dico: Gaudete! ( . . .) Dominus prope”.
“Rallegratevi sempre nel Signore; ve lo ripeto ancora, rallegratevi... Il Signore è vicino” (Ph 4,4-5).

Da queste parole, tolte dalla Lettera di san Paolo ai Filippesi, l’odierna domenica prende il nome liturgico “Gaudete”. Oggi, la liturgia ci esorta ad essere lieti perché si avvicina il Natale del Signore: da esso ci separano infatti soltanto dieci giorni.

L’Apostolo, nella Lettera ai Tessalonicesi, così esorta: “State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie. Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo” (1Th 5,16-18 1Th 5,23).

È dunque una tipica esortazione d’Avvento. L’Avvento è il tempo liturgico che ci prepara al Natale del Signore, ma è anche il tempo dell’attesa del ritorno definitivo di Cristo per il giudizio finale e san Paolo si riferisce, in primo luogo, a questa seconda venuta. Il fatto stesso che la conclusione dell’anno liturgico combaci con l’inizio dell’Avvento suggerisce che “l’inizio del tempo della salvezza” è in qualche modo legato alla “fine dei tempi”. Sempre vale questa esortazione propria dell’Avvento: “Il Signore è vicino!”.

2. Nella liturgia odierna sembra prevalere la prospettiva della venuta di Cristo nel Natale, ormai vicino. L’eco della gioia per la nascita del Messia risuona nel Magnificat, cantico che sgorga in Maria durante la sua visita all’anziana sposa di Zaccaria. Elisabetta saluta Maria con le parole: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,43-45). Avanzata in età, e ormai fuori dalla prospettiva di una possibile maternità, Elisabetta si era resa conto che la grazia straordinaria a Lei concessa era strettamente unita al piano divino di salvezza. Il figlio che doveva nascere da lei, era stato previsto da Dio come il Precursore chiamato a preparare la strada a Cristo (cf. Lc Lc 1,76). E Maria risponde con le parole del Magnificat, riprese oggi nel Salmo Responsoriale: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva (. . .) Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome (. . .)” (Lc 1,46-49).

3. Giovanni Battista è una delle significative figure bibliche che incontriamo in questo tempo forte dell’Anno Liturgico. Nel quarto Vangelo leggiamo: “Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce” (Jn 1,6-8). Alla domanda “Chi sei tu?”, Giovanni Battista risponde: “Io non sono il Cristo”, né Elia, né un altro dei profeti (cf. Gv Jn 1,19-20). E dinanzi all’insistenza degli inviati da Gerusalemme dichiara: “Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore” (Jn 1,23).

Mediante questa citazione di Isaia, egli, in un certo senso, rivela la propria identità, precisando con chiarezza il suo peculiare ruolo nella storia della salvezza. E quando i rappresentanti del Sinedrio gli domandano perché battezzi, pur non essendo né il Messia, né Elia o un altro dei Profeti, egli risponde: “Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo” (Jn 1,26-27).

La testimonianza di Giovanni Battista riecheggia nel versetto dell’Avvento: “Il Signore è vicino!”. Le differenti prospettive della notte di Betlemme e del battesimo al Giordano s’incontrano nella medesima verità: occorre scuotersi dal torpore e preparare la via al Signore che viene.

4. Carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia di Nostra Signora di Valme! Sono lieto di celebrare l’Eucaristia insieme con voi in questa Terza Domenica di Avvento! Saluto con affetto il Cardinale Vicario, il nuovo Vescovo Ausiliare del Settore Ovest, Monsignor Vincenzo Apicella, il vostro Parroco e i suoi collaboratori, sacerdoti e laici, dell’Opera della Chiesa. Fin dall’inizio la vostra Parrocchia è stata affidata a questa Famiglia religiosa, della quale saluto la fondatrice, Madre Trinidad Sánchez Moreno, che quest’anno, il 7 dicembre, ha ricordato il cinquantesimo di vita consacrata.

Questo giorno di festa permette a tutti noi di rendere grazie a Dio per questa bella chiesa, recentemente inaugurata e dedicata a Nostra Signora di Valme. “Valme”, come è noto, è un’invocazione in lingua spagnola che risale al tredicesimo secolo, quando il Re san Fernando, in difficoltà nel suo tentativo di riconquistare Siviglia, chiese aiuto alla Madre celeste: “Valimi Signora”, “Aiutami Signora”! Da allora tanti fedeli in Spagna e in altre parti del mondo continuano a ripetere “Valimi”, aiutami Maria, e sii il nostro sostegno.

Anche noi ci rivolgiamo questa mattina con fiducia alla Vergine Santa, affidando a Lei i progetti e le speranze della vostra Comunità parrocchiale. Conosco il vostro impegno nel mettere al centro di tutta la vita parrocchiale la Santa Messa e l’adorazione dell’Eucaristia, come pure la cura che avete per le celebrazioni liturgiche e la devozione a Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa, che vi anima. So con quanta fede voi coltivate l’adesione cordiale al Successore di Pietro, ai vostri Pastori sforzandovi di crescere nella carità fraterna e, nel desiderio ardente di portare a tutti il Vangelo di Cristo, unico salvatore dell’umanità.

Vi incoraggio a proseguire nel cammino intrapreso congratulandomi, tra l’altro, per l’iniziativa denominata “Collegamenti di palazzina”, valida forma di apostolato per far sentire agli abitanti del quartiere la vicinanza di Gesù e della Comunità ecclesiale.

5. Questa attività apostolica, come pure ogni altro vostro sforzo pastorale, bene si inserisce nella Missione cittadina, che interessa l’intera Città. Nel quadro del suo progressivo sviluppo, è previsto che dopo il Natale ad ogni famiglia della Città venga consegnato il Vangelo di Marco, che riporta l’insegnamento dell’apostolo Pietro, di cui l’Evangelista fu discepolo fedele ed interprete proprio qui a Roma. Ho voluto accompagnare questo dono con una mia lettera con la quale consegno quasi personalmente il testo evangelico a tutti i Romani.

L’augurio è che la buona Novella di Cristo possa entrare in ogni casa ed aiutare le famiglie a riscoprire che solo in Cristo c’è salvezza per l’uomo. In Lui è possibile trovare la pace interiore, la speranza e la forza necessarie per affrontare ogni giorno le diverse situazioni della vita, anche quelle più pesanti e difficili. Nella lettera che accompagnerà il Vangelo, ho ricordato che Gesù non è un personaggio del passato. Egli è la Parola di Dio che ancora oggi continua ad illuminare il cammino dell’uomo; i suoi gesti sono la manifestazione dell’amore del Padre verso ogni essere umano.

6. “Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore” (Is 61,1-2).

Queste parole del profeta Isaia Cristo applicherà a sé nella sinagoga di Nazaret al momento di iniziare la sua missione pubblica. Oggi le ripete per noi in questa assemblea liturgica, e le ripete invitandoci alla gioia ancora con le parole di Isaia: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia” (Is 61,10).

L’annuncio gioioso del Profeta trova eco in quanto scrive san Paolo nel brano della Lettera ai Tessalonicesi proclamato poc’anzi. Isaia afferma: “Io gioisco pienamente nel Signore” (Is 61,10), e Paolo esorta: “Rallegratevi! Il Signore è vicino!” (cf. Fil Ph 4,4-5 1Th 5,16 1Th 5,23). Vicino è il Signore Gesù in ogni momento della nostra esistenza. È vicino se lo consideriamo nella prospettiva del Natale, ma vicino è anche se lo guardiamo sulle sponde del Giordano, quando riceve ufficialmente dal Padre l’investitura messianica; e vicino è, infine, nella prospettiva del suo ritorno alla fine dei tempi.

Cristo è vicino! Egli viene in virtù dello Spirito Santo per annunziare la buona Novella; viene per curare e per liberare, per proclamare un tempo di grazia e di salvezza, per iniziare, già nella notte di Betlemme, l’opera della redenzione del mondo.

Rallegriamoci, dunque, ed esultiamo! Il Signore è vicino; Egli viene a salvarci.

Amen!
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GPII Omelie 1996-2005 52