GPII Omelie 1996-2005 66

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VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SANT'ANDREA AVELLINO



Domenica, 16 febbraio 1997




1. “Ecco io stabilisco la mia alleanza” (Gn 9,8).

La Liturgia della Parola di questa prima domenica di Quaresima ci presenta l’alleanza stretta da Dio con gli uomini e con il creato, dopo il diluvio, attraverso Noè. Abbiamo riascoltato le solenni parole pronunciate da Dio: “Ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi; con ogni essere vivente che è con voi . . . Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra” (Gn 9,9-11).

Questa alleanza ha un suo tipico valore all’interno dell’Antico Testamento. Dio, creatore dell’uomo e di tutti gli esseri viventi, con il diluvio aveva annientato, in un certo senso, quanto egli stesso aveva posto in essere. Tale decisione punitiva era stata causata dal peccato diffuso nel mondo, dopo la prima caduta dei progenitori.

Le acque avevano tuttavia risparmiato Noè e la sua famiglia, insieme con gli animali che egli aveva preso con sé nell’arca. In questo modo furono salvati l’uomo e gli altri esseri viventi che, sopravvissuti alla punizione del Creatore, dopo il diluvio costituirono l’inizio di una nuova alleanza tra Dio ed il creato.

Tale alleanza ebbe il segno tangibile nell’arcobaleno: “Il mio arco - dice Dio - pongo sulle nubi ed esso sarà il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando radunerò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi” (Gn 9,13-15).

2. Le odierne Letture ci permettono, dunque, di guardare in un modo nuovo l’uomo e il mondo in cui viviamo. Il mondo e l’uomo rappresentano, infatti, non soltanto la realtà dell’esistenza in quanto espressione dell’opera creativa di Dio, ma sono anche immagine dell’alleanza. Tutto il creato parla di quest’alleanza.

Nel corso delle epoche della storia gli uomini hanno continuato a commettere peccati, forse perfino maggiori di quelli descritti prima del diluvio. Tuttavia, dalle parole dell’alleanza stretta da Dio con Noè si comprende che ormai nessun peccato potrà portare Dio ad annientare il mondo da Lui stesso creato.

L’odierna Liturgia apre ai nostri occhi una visione nuova del mondo. Ci aiuta a prendere consapevolezza del valore che il mondo ha agli occhi di Dio, il quale ha inscritto l’intera opera della creazione nell’alleanza stretta con Noè, e si è impegnato a salvaguardarla dalla distruzione.

3. Mercoledì scorso, con l’imposizione delle Ceneri, è iniziata la Quaresima ed oggi è la prima domenica di questo tempo forte, che fa riferimento al digiuno di quaranta giorni, iniziato da Cristo dopo il battesimo nel Giordano. Scrive, in proposito, san Marco, che ci accompagna quest’anno nella Liturgia domenicale: “Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto ed Egli vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano” (Mc 1,12-13).

San Matteo, nel passo parallelo, annota solamente la risposta data dal Signore al tentatore che lo provocava a trasformare i sassi in pane: “Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane” (Mt 4,3). Gesù rispose: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4)(cfr Canto al Vangelo). È, questa, una delle tre risposte di Cristo a satana, che cercava di insidiarlo e di vincerlo facendo riferimento alle tre concupiscenze della natura umana decaduta.

Alla soglia della Quaresima, la vittoria di Cristo sul diavolo costituisce come un’indicazione a sconfiggere il male con l’impegno ascetico, di cui il digiuno è una manifestazione, così da vivere questo periodo con autenticità.

4. Carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia di Sant’Andrea Avellino! Sono lieto di essere tra voi, oggi, per celebrare il Giorno del Signore in questa prima domenica di Quaresima! Saluto il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il vostro zelante Parroco, don Giuseppe Grazioli, e tutti voi, che partecipate a questa Celebrazione Eucaristica. Rivolgo un affettuoso pensiero ai bambini in età prescolare con le loro mamme, ai ragazzi che si preparano a ricevere la Cresima o la Prima Comunione, ai giovani come pure ai membri del Centro anziani, al gruppo culturale ed alla corale, ai redattori del giornalino parrocchiale nonché ai volontari della Caritas, ai catechisti ed ai componenti del Consiglio Pastorale. A tutti, indistintamente, giunga il mio saluto e il mio incoraggiamento a vivere in profondità la comunione ecclesiale ed a testimoniare generosamente il Vangelo.

Carissimi Fratelli e Sorelle, la vostra Parrocchia, che costituisce un significativo centro di aggregazione di questa borgata, sia sempre più luogo sicuro per i ragazzi e i giovani, punto di incontro per gli adulti e gli anziani, e spazio di ascolto e di condivisione per tutti. Questa nuova e funzionale chiesa, inaugurata e dedicata dal Cardinale Vicario il 20 ottobre scorso, non mancherà di favorire la partecipazione alla vita liturgica e permetterà a ciascuno di voi una sempre maggior comunione ed autentica solidarietà spirituale.

5. “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). Risuonano nel nostro cuore queste parole dell’evangelista Marco. Il Vangelo comincia con la missione di Gesù, missione che si compirà con gli eventi pasquali. La Chiesa prosegue nel tempo questa missione, alla quale ciascuno di noi è chiamato ad offrire il proprio apporto personale, annunciando e testimoniando Cristo, morto e risorto per la salvezza del mondo.

In questo contesto si colloca la Missione cittadina, che a livello parrocchiale si svolgerà nella Quaresima del prossimo anno. Oggi, proprio in preparazione a tale missione, s’avvia ufficialmente la distribuzione del Vangelo, perché esso giunga in ogni famiglia ed ambito della Città. Con grande gioia anch’io ho consegnato poc’anzi ad alcuni vostri rappresentanti una copia del Vangelo di Marco, discepolo e fedele interprete dell’apostolo Pietro.

6. Scrive san Pietro nella sua Prima Lettera: “Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti... E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione; essi avevano un tempo rifiutato di credere quando la magnanimità di Dio pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua” (1P 3,18-20). Queste parole di Pietro fanno riferimento all’alleanza di Noè, di cui ci ha parlato la prima Lettura. Quest’alleanza rappresenta un modello, un simbolo, una figura della Nuova Alleanza conclusa da Dio con l’intera umanità in Gesù Cristo, per mezzo della sua morte in Croce e della sua risurrezione. Se l’alleanza antica interessava innanzitutto la creazione, la Nuova Alleanza, fondata sul mistero pasquale di Cristo, è l’Alleanza della Redenzione.

Nel testo che abbiamo ascoltato l’apostolo Pietro si ricollega al sacramento del Battesimo. Le acque distruttrici del diluvio cedono il posto alle acque battesimali che santificano. Il Battesimo è il fondamentale sacramento in cui si attua l’Alleanza della redenzione dell’uomo. Fin dall’origine della tradizione cristiana la Quaresima era tutta una preparazione al Battesimo che veniva amministrato ai catecumeni nella solenne Vigilia di Pasqua.

Fratelli e Sorelle carissimi, rinnoviamo in noi stessi, specialmente in questo periodo quaresimale, la consapevolezza della nostra Alleanza con Dio. Dio ha stretto un’Alleanza con Noè e l’ha inscritta nell’opera della creazione. Cristo, Redentore dell’uomo e di tutto l’uomo, ha portato a compimento l’opera del Creatore con la sua morte e la sua resurrezione.

Siamo stati redenti dal sangue di Cristo. Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti.

Amen!
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VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA DI S. CROCE AL FLAMINIO



Domenica, 23 febbraio 1997




1. “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!” (Mc 9,7).

Le parole, che risuonarono al momento del battesimo di Gesù al Giordano (cfr Mt 3,17), le riascoltiamo quest’oggi nel contesto della trasfigurazione del Signore. “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni . . . e . . . si trasfigurò davanti a loro . . . Apparve Elia con Mosè e discorrevano con Gesù . . . Pietro disse: “Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!” (Mc 9,2-5). In quel preciso istante si udì una voce: “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!” (Mc 9,7).

Non durò a lungo questa straordinaria manifestazione della figliolanza divina di Gesù. Quando gli Apostoli alzarono nuovamente gli occhi, non videro più alcun’altra persona all’infuori di Gesù, il quale, “mentre scendevano dal monte, - prosegue l’Evangelista - ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti” (Mc 9,9).

Così, dunque, in questa seconda domenica di Quaresima, ascoltiamo insieme con gli Apostoli l’annuncio della Risurrezione. Lo ascoltiamo mentre siamo incamminati con loro verso Gerusalemme, ove rivivremo il mistero della passione e morte del Signore. È proprio a questo evento-chiave dell’intera economia salvifica che è, infatti, orientato il digiuno e la penitenza di questo tempo sacro.

2. La trasfigurazione del Signore, che secondo la tradizione ebbe luogo sul monte Tabor, pone in primo piano la persona e l’opera di Dio Padre, presente accanto al Figlio invisibilmente ma realmente. Si spiega con ciò il fatto che sullo sfondo del Vangelo della trasfigurazione venga collocato dall’odierna Liturgia un importante episodio dell’Antico Testamento, in cui la paternità viene posta in particolare rilievo.

La prima Lettura, tratta dal Libro della Genesi, ci ricorda in effetti il sacrificio di Abramo. Egli aveva un figlio, Isacco, natogli in vecchiaia. Era il figlio della promessa. Ma un giorno Abramo riceve da Dio il comando di offrirlo in sacrificio. L’anziano patriarca si trova di fronte alla prospettiva di un sacrificio che per lui, padre, è sicuramente il più grande che si possa immaginare.

Tuttavia non esita neppure un istante e, dopo aver preparato il necessario, parte insieme ad Isacco per il luogo stabilito. Costruisce un altare, colloca la legna e, legato il ragazzo, afferra il coltello per immolarlo. Solo allora viene fermato da un ordine dall’alto: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio” (Gn 22,12).

Ha qualcosa di sconvolgente questo evento in cui la fede e l’abbandono in Dio di un padre raggiungono l’apice. A ragione san Paolo chiama Abramo “padre di tutti i credenti” (cfr Rm 4,11 Rm 4,17). Alla sua fede fanno riferimento la religione ebraica e quella cristiana. Anche il Corano non ignora la figura di Abramo. La fede del padre dei credenti è specchio nel quale si riflette il mistero di Dio, mistero di amore che unisce il Padre ed il Figlio.

3. Carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia di Santa Croce a Via Flaminia! È per me una grande gioia celebrare oggi la Santa Messa in questa bella chiesa, costruita per volontà del mio venerato predecessore san Pio X e visitata nel 1964 dal Servo di Dio Papa Paolo VI, e da lui elevata a Basilica Minore. Saluto il Cardinale Vicario, saluto il Cardinale Baum, titolare della Basilica, il Vescovo Ausiliare incaricato del Settore, il Parroco, Padre Carlo Zanini, i Vicari parrocchiali ed i Padri Stimmatini, ai quali fin dall’inizio è stata affidata la cura pastorale della vostra Comunità. Molti di essi, svolgendo qui il loro ministero, hanno profondamente inciso nella vita della parrocchia. Tra i tanti che meriterebbero di essere particolarmente menzionati, vorrei citare, insieme con Padre Emilio Recchia per lunghi anni parroco della vostra comunità, il noto filosofo e teologo, Padre Cornelio Fabro, scomparso due anni or sono.

Carissimi Fratelli e Sorelle, so che la Missione cittadina, da poco iniziata, ha avuto pronta e generosa adesione anche nella vostra Parrocchia. Esprimo apprezzamento per la vostra disponibilità e vi esorto ad essere testimoni del Vangelo in questo quartiere che, come altre zone di Roma, va subendo rapidi mutamenti sociali.

Ma perché l’annuncio risulti efficace, bisogna che i credenti siano ed operino profondamente uniti. Valorizzate pertanto al massimo, in questa prospettiva, le multiformi energie apostoliche qui presenti. Penso agli Istituti religiosi dei Fratelli delle Scuole Cristiane, delle Suore Elisabettine, delle Figlie della Misericordia e delle Apostole della Vita Interiore, come pure alla ricchezza di gruppi parrocchiali impegnati nei vari campi della catechesi, della liturgia, della carità.

Penso all’Oratorio parrocchiale che, una volta ristrutturato, potrà costituire un luogo privilegiato di incontro formativo per l’intero quartiere. Diventino sempre più, la Chiesa e le opere parrocchiali, un punto di riferimento per tutti. Sia la vostra Comunità pronta ad accogliere ogni persona, specialmente i numerosi immigrati filippini e peruviani, che spesso vivono qui come “parrocchiani senza casa in Parrocchia”.

4. “Dio che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?” (Rm 8,32). Queste parole di san Paolo nella Lettera ai Romani ci riportano al tema fondamentale dell’odierna Liturgia: il mistero dell’amore divino rivelato nel sacrificio della Croce.

Il sacrificio di Isacco anticipa quello di Cristo: il Padre non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha donato per la salvezza del mondo. Egli, che fermò il braccio di Abramo nel momento in cui stava per immolare Isacco, non ha esitato a sacrificare il proprio Figlio per la nostra redenzione. Il sacrificio di Abramo mette così in rilievo che mai ed in nessun luogo si devono compiere sacrifici umani, poiché l’unico vero e perfetto sacrificio è quello dell’unigenito ed eterno Figlio del Dio vivente. Nato per noi e per la nostra salvezza da Maria Vergine, Gesù si è volontariamente immolato una volta per sempre, come vittima di espiazione per i nostri peccati, procurandoci così la totale e definitiva salvezza (cfr He 10,5-10). Dopo il sacrificio del Figlio di Dio, non occorre nessun’altra umana espiazione, poiché quel suo sacrificio sulla Croce comprende e supera tutti gli altri che l’uomo potrebbe offrire a Dio. Siamo qui al centro del mistero pasquale.

Dal Tabor, il monte della trasfigurazione, l’itinerario quaresimale ci conduce fino al Golgota, monte del supremo sacrificio dell’unico Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza. In quel sacrificio è racchiusa la più grande forza di trasformazione dell’uomo e della storia. Assumendo su di sé ogni conseguenza del male e del peccato, Gesù risorgerà il terzo giorno ed uscirà da questa drammatica esperienza come vincitore della morte, dell’inferno e di Satana. La Quaresima ci prepara a partecipare personalmente a questo grande mistero della fede, che celebreremo nel Triduo della passione, della morte e della risurrezione di Cristo.

Chiediamo al Signore di poterci preparare in modo conveniente: “Gesù, Figlio prediletto del Padre, dacci di ascoltarti e seguirti fin sul Calvario, fin sulla Croce, per poter partecipare con Te alla gloria della risurrezione”.

Amen!
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SANTA MESSA IN SUFFRAGIO DEL CARDINALE UGO POLETTI



Altare della Confessione della Basilica Vaticana

Giovedì, 27 febbraio 1997




1. «Scio quod Redemptor meus vivit» (Jb 19,25).

Nel grande silenzio che avvolge il mistero della morte, si leva colma di speranza la voce dell’antico credente. Giobbe implora salvezza dal Vivente, nel quale ogni umana vicenda trova il suo senso e il suo approdo definitivo.

«Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero» (Jb 19,27), prosegue il testo ispirato lasciando intravedere, al termine del pellegrinaggio terreno, il Volto misericordioso del Signore. «Il mio Redentore si ergerà sulla polvere», sottolinea l’autore sacro, che nella bontà soccorrevole dell’Onnipotente ripone il fondamento della sua attesa e il sostegno della sua speranza.

2. Questa ferma speranza ha guidato il cammino del nostro compianto e amatissimo Cardinale Poletti lungo tutto l’arco della sua esistenza fra noi: una speranza che poggiava sulla fede incrollabile e semplice, appresa in famiglia e nella comunità cristiana di Omegna, in Diocesi di Novara, dove era nato ottantatré anni or sono.

Fu proprio questo rapporto di confidenza e dialogo col Signore a portare il giovane Ugo a percepire la divina chiamata e ad entrare nel seminario di Novara. Fu questo rapporto, alimentato quotidianamente nella preghiera, a sostenere i suoi primi passi nel ministero sacerdotale. Dal Maestro divino si lasciò guidare in ogni successivo servizio alla Diocesi novarese, di cui fu nominato prima Pro-Vicario e, successivamente, Vicario Generale. Accanto al suo Vescovo e maestro, Mons. Gilla Gremigni, già parroco romano, il Signore lo preparava ad assumere maggiori responsabilità.

Nominato Ausiliare di Novara nel 1958, sei anni dopo Mons. Poletti si vide affidata la direzione delle Pontificie Opere Missionarie. Nel 1967 divenne Arcivescovo di Spoleto e, dopo appena due anni, fu chiamato a Roma come Vicegerente e collaboratore del compianto Cardinal Dell’Acqua. Nel 1972 il Papa Paolo VI lo nominò Pro-Vicario della Diocesi di Roma e, nell’anno successivo Cardinale, e suo Vicario generale. Nel 1985 gli affidai la presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, incarico che egli accettò con grande disponibilità e svolse con la consueta generosità fino al gennaio del 1991.

Lasciata la guida della Diocesi di Roma assunse volentieri l’incarico di Arciprete della Basilica Liberiana, passando all’ombra della «Salus Populi Romani» - «Spes certa poli», come recita il suo motto episcopale - gli ultimi silenziosi e non certo meno fecondi anni della sua vita.

3. «Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo per diventarne partecipe con loro» (1Co 9,22-23). Queste parole dell’apostolo Paolo, poc’anzi proclamate, ben si addicono alla costante preoccupazione apostolica del compianto Cardinale Ugo Poletti. Lo ricordiamo quest’oggi nel suo instancabile donarsi alla causa del Vangelo, soprattutto nell’incarico di Cardinal Vicario, nel quale egli espresse le sue energie più mature al servizio della Chiesa.

Un amore particolare lo legò alla città di Roma, che egli considerava sua seconda patria. Ebbe verso il mio venerato predecessore, il servo di Dio Paolo VI, sentimenti di venerazione e di obbedienza sincera, che indirizzò in seguito con altrettanta cordialità verso la mia persona, introducendomi nel servizio pastorale di questa singolare Città, quando fui chiamato dalla Provvidenza alla cattedra di Pietro. Ricordo con commozione i molti incontri avuti con Lui e la passione con cui egli parlava della Diocesi, dei Sacerdoti, dei Religiosi, del laicato, dei problemi della gente comune, delle luci e delle ombre rilevabili nelle rapide trasformazioni del tessuto cittadino.

Fu soprattutto lui ad introdurmi nella conoscenza delle parrocchie, che andavo via via visitando. Grazie alla sua guida esperta e saggia, ho potuto leggere con particolare acutezza la complessa realtà cittadina, entrando in sintonia sempre più profonda col gregge che la Provvidenza mi ha affidato. Per tutto questo sento oggi il dovere di esprimere al carissimo Cardinal Poletti la mia sincera riconoscenza.

4. «Tutto io faccio per il Vangelo! ». Il defunto Porporato, dal quale oggi prendiamo spirituale congedo, ha fatto proprie queste parole di san Paolo. Egli vedeva la missione della Chiesa strettamente collegata con la concreta realtà umana ed ecclesiale della Città eterna. Con particolare zelo si dedicò a suscitare nella Diocesi, accanto alla consapevolezza del profondo legame che la unisce al Romano Pontefice, la coscienza e la gioia di contribuire al suo ministero universale, riscoprendo la propria identità di Chiesa locale.

Accogliendo l’impulso del Concilio Ecumenico Vaticano II, seppe imprimere alla Diocesi di Roma nelle sue diverse componenti una vitalità nuova: pietre miliari per la crescita della vita diocesana furono i convegni ecclesiali, che miravano a recuperare alla evangelizzazione della Città forze vive e preziose per inserirle armonicamente nell’attività diocesana.

5. «Guai a me se non predicassi il Vangelo!». Si direbbe che questo grido dell’Apostolo echeggiasse costantemente nell’animo del defunto Cardinale. La sua azione mirava a suscitare nei Romani viva consapevolezza dello straordinario patrimonio di valori ereditato dai padri e impegno sempre maggiore nei confronti della missione storica della Città in vista del futuro.

Ponendosi in ascolto dei vicini e dei lontani, degli uomini di cultura e della gente più semplice, dei responsabili della pubblica Amministrazione e di quanti erano critici nei confronti delle istituzioni, egli contribuì a suscitare nei sacerdoti, nei religiosi, nei laici impegnati un atteggiamento di accoglienza e di tolleranza, che non mancò di influenzare anche la vita della comunità civile.

Con tali intenti avviò la preparazione del Sinodo diocesano, che costituì un ulteriore momento di leale e positivo confronto tra i cristiani ed i cittadini dell’Urbe.

6. «Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me» (Jn 10,14).

Le parole del Vangelo, che poco fa sono risuonate in questa Basilica, indicano quale deve essere lo stile del Pastore verso le persone a lui affidate. Non fu questo il modo di operare che contraddistinse il ministero episcopale del Cardinal Poletti? Non si impegnò egli a stabilire con tutti un rapporto personale ed affettuoso?

Possiamo dire che forse sta proprio qui il segreto del suo proficuo servizio ecclesiale. «Non sono un intellettuale, ma un uomo che cerca di stare vicino alla gente», disse un giorno ad un amico. Il suo cuore di pastore lo portava a porre questo «stare vicino alla gente» al primo posto, finalizzando ad esso sia le sue energie sia la notevole competenza teologica, pastorale e amministrativa, accumulata nei lunghi anni di sacerdozio e di episcopato.

La gente di Roma lo conosceva ed era da lui conosciuta. Al di là dei momenti ufficiali, il suo zelo pastorale lo rendeva capace di rapporti pieni di umanità nei numerosi contatti durante la visita alle parrocchie, alle scuole, alle sedi delle associazioni, alle comunità religiose, come pure nei pellegrinaggi diocesani a Lourdes, cui cercò di essere sempre presente.

Per questo era amato dal clero e dal popolo. Saluto quanti sono venuti a testimoniargli il loro affetto anche in questo estremo commiato: il Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro, il Ministro Giovanni Maria Flick, le Autorità cittadine, i numerosi Sacerdoti, Religiosi e Religiose e la vasta rappresentanza di fedeli laici.

7. «Il Buon Pastore offre la vita per le pecore».

Con l’odierna liturgia funebre, illuminata dalla presenza di Cristo risorto, noi porgiamo l’estremo saluto alle spoglie mortali di questo amato Fratello, mio validissimo collaboratore. Lo affidiamo fiduciosi al Buon Pastore, mentre invochiamo per la sua anima eletta la divina misericordia.

Rendiamo grazie al Padre per averlo donato alla sua Chiesa. Lo accolga Cristo Buon Pastore nella sua dimora di luce e di pace e gli doni la ricompensa riservata ai servi buoni e fedeli.

E la Vergine Maria, «Salus Populi Romani», della quale egli fu figlio devoto, lo introduca nella gioiosa liturgia del Cielo.

«In paradisum deducant te Angeli », dilectissime Frater! Amen.
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VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN GIULIANO MARTIRE



Domenica, 2 marzo 1997




1. «Signore, tu hai parole di vita eterna» (cfr Jn 6,68).

Il Salmo responsoriale poc’anzi proclamato ci conduce al cuore del messaggio dell’odierna liturgia. La potenza della Parola divina si manifestò per la prima volta nella creazione del mondo, quando Dio disse: «Sia» (cfr Gn 1,3) chiamando all’esistenza tutte le creature. Ma le letture bibliche di questa terza Domenica di Quaresima pongono in luce un’altra dimensione della potenza della Parola di Dio: quella che riguarda l’ordine morale.

Jahwè consegnò al popolo eletto il Decalogo sul monte Sinai, montagna che riveste singolare valenza simbolica nella storia della salvezza. Proprio per questo, in occasione del Grande Giubileo del Duemila è stato proposto un incontro su tale monte (cfr Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, TMA 53). Dei comandamenti dati ad Israele, l’odierna prima lettura, tratta dal Libro dell’Esodo, sviluppa in modo particolare i primi tre, quelli della «cosiddetta prima tavola»: «Io sono il Signore, tuo Dio... Non avrai altri dei di fronte a me. Non pronunzierai invano il nome del Signore, tuo Dio ( . . .) Ricordati del giorno di sabato per santificarlo» (Ex 20,2 Ex 20,7-8).

2. Fondamentale è il primo comandamento, nel quale viene solennemente affermata l’unicità di Dio: non vi sono accanto a Lui altre divinità. Nella Legge data a Mosè, si manifesta il Dio invisibile, che nessuna immagine prodotta delle mani dell’uomo può degnamente rappresentare. Con l’incarnazione del Verbo, Dio si è fatto uomo e così l’invisibile Dio si è reso visibile e, da quel momento, all’umanità è dato di contemplare la sua gloria. La questione della raffigurazione artistica di Dio fu ampiamente esaminata nel secondo Concilio di Nicea e fu chiarito allora che, essendosi il Dio invisibile fatto uomo nell’Incarnazione, la sua riproduzione artistica, per i cristiani, era legittima.

Connesso col primo è il secondo comandamento che non mira soltanto a condannare l’abuso del nome di Dio, ma ha pure lo scopo di mettere in guardia dal seguire l’idolatria diffusa nelle religioni pagane.

Anche per quanto concerne il terzo comandamento: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo» (Ex 20,8) la normativa è particolareggiata, e vien fatta risalire al modello originario del riposo di cui Dio ha dato esempio al termine della creazione.

In maniera sintetica sono invece descritti i comandamenti della cosiddetta «seconda tavola».

3. «Signore, tu hai parole di vita eterna». Le parole pronunciate da Dio nell’Antico Testamento trovano pieno compimento in Cristo, Parola di Dio incarnata. Nell’Antica Alleanza, la potenza creativa di Dio in ambito morale si è espressa nel Decalogo; nella Nuova Alleanza, invece, è Cristo l’attuazione piena di tale potenza: dunque, non una legge scritta, ma la stessa Persona del Salvatore.

Si tratta di una verità che san Paolo esprime con efficacia scrivendo ai Galati ed ai Romani: egli contrappone alla giustificazione mediante l’osservanza della legge, la giustificazione mediante la fede in Cristo. Oggi invece, nella seconda lettura, tratta dalla Prima Lettera ai Corinzi, leggiamo così: «Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Co 1,22-24).

La potenza e la sapienza, che Dio ha manifestato nel creare il mondo e l’uomo fatto «a sua immagine e somiglianza» (cfr Gn 1,26), vengono espresse pienamente nell’ordine morale. Esso è pertanto al servizio del bene dell’uomo e dell’umana società. Ciò è confermato nel Nuovo Testamento che, con chiarezza, determina il ruolo della morale al servizio dell’eterna salvezza dell’uomo.

Proprio per questo, nell’acclamazione al Vangelo, sono state proclamate poco fa le parole pronunciate da Gesù nel colloquio notturno con Nicodemo: «Dio . . . ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui . . . abbia la vita eterna» (Jn 3,16). Non soltanto i comandamenti, ma soprattutto il Verbo eterno che si è fatto uomo è la fonte della vita eterna.

4. Carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia di San Giuliano Martire! Sono lieto di essere qui con voi, oggi, a celebrare l’Eucaristia nella terza Domenica di Quaresima. Saluto il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il vostro zelante parroco Don Luciano D’Erme, il vicario parrocchiale, le religiose che vivono in questo territorio e tutti voi che appartenete a questa Comunità parrocchiale, dedicata in modo particolare al Cuore Immacolato di Maria e al Cuore Misericordioso di Gesù.

Il pensiero va oggi naturalmente al venerato e caro Fratello, il Cardinale Ugo Poletti, scomparso qualche giorno fa. Questa vostra parrocchia, eretta nel 1980, è una delle oltre settanta da lui costruite nel corso del suo lungo servizio alla diocesi di Roma. Mentre ringrazio ancora una volta il Signore per avermelo concesso quale valido Vicario Generale, invito tutti a pregare per lui affidando la sua eletta anima alla divina Misericordia.

Seguo con affetto e attenzione le fasi progressive della Missione ed in modo speciale accompagno la consegna del Vangelo di Marco nelle famiglie e la pratica degli Esercizi spirituali, che si stanno svolgendo durante questo tempo quaresimale. Veramente opportuna è l’iniziativa degli Esercizi spirituali, che costituiscono un forte aiuto per i cristiani, chiamati a «rinnovarsi nello spirito ... e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera» (cfr Ep 4,23-24). Frutto della ricca tradizione spirituale della Chiesa, gli Esercizi spirituali rispondono autenticamente alle profonde domande dell’uomo. Li raccomando, dunque, ai giovani, nell’ambito del loro cammino di discernimento vocazionale, agli sposi cristiani, alle famiglie e a tutti coloro che sono alla ricerca sincera di Dio.

5. «Egli parlava del tempio del suo corpo» (Jn 2,21).

Nel Vangelo abbiamo riletto l’episodio della cacciata dei venditori dal tempio. La descrizione di san Giovanni è viva ed eloquente: da una parte c’è Gesù, che «fatta una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi» (Jn 2,14-15) e dall’altra ci sono i Giudei, in particolare i Farisei. Il contrasto è forte, al punto che alcuni dei presenti domandano a Gesù: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?» (Jn 2,18).

«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Jn 2,19), risponde il Cristo. Al che replica la gente: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?» (Jn 2,20). Non avevano compreso - osserva san Giovanni - che il Signore stava parlando del tempio vivo del suo corpo, che, nel corso degli eventi pasquali, sarebbe stato distrutto nella morte in croce, ma che sarebbe risorto il terzo giorno. «Quando poi fu risuscitato dai morti, - scrive l’Evangelista - i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù» (Jn 2,22).

È l’evento pasquale che dà significato autentico a tutti i vari elementi presenti nelle odierne letture. Nella Pasqua si rivela in pienezza la potenza del Verbo incarnato, potenza dell’eterno Figlio di Dio, fattosi uomo per noi e per la nostra salvezza.

«Signore, tu hai parole di vita eterna».

Noi crediamo che Tu sei veramente il Figlio di Dio.

E Ti ringraziamo per averci fatti partecipi della tua stessa vita divina.

Amen.
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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA

DI SAN GAUDENZIO A TORRE NOVA


IV Domenica di Quaresima, 9 marzo 1997

1. "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16).

Queste parole, pronunciate da Gesù durante il colloquio con Nicodemo, esprimono in modo sintetico ed efficace il tema principale dell'odierna liturgia. Esse infatti fanno riferimento alla salvezza portata al mondo dall'unigenito Figlio di Dio, rivelandola nella sua realtà profonda, in quanto opera del "Dio ricco di misericordia": Dives in misericordia.

Al Vangelo fa eco san Paolo, il quale scrive agli Efesini: "Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo"(Ep 2,4-5). Veniamo così introdotti nella prospettiva pasquale: che cos'è infatti la salvezza se non la partecipazione alla morte ed alla risurrezione di Cristo?

L'Apostolo presenta poi l'opera della salvezza indicandone i frutti di bene che produce nella vita dei credenti. Egli considera la redenzione come una nuova creazione; quella creazione che radica l'uomo in Gesù Cristo, mettendolo in grado di compiere le buone opere secondo il piano di Dio (cfr Ep 2,10).

2. La salvezza e la redenzione, che Dio dona all'umanità con la morte del suo Figlio unigenito, vengono descritte nella Prima Lettura e nel Salmo Responsoriale come liberazione dalla schiavitù, con riferimento alla schiavitù babilonese, sperimentata dai figli di Israele alla caduta del regno di Giuda. Tale dolorosa esperienza risuona in forma altamente poetica nei lamenti del Salmista:

"Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion . . . (cfr Ps 136,1). L'autore di questo Salmo ricorda con immagini vivaci la sofferenza dell'esilio e la nostalgia per Gerusalemme, provate dai deportati: "Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra. Mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo" (cfr Ps 136,5-6).

Il Secondo Libro delle Cronache ci ricorda che la deportazione in Babilonia fu una punizione inflitta da Jahvè al suo popolo a causa dei suoi gravi peccati, specialmente per quello di idolatria. Il periodo della schiavitù, tuttavia, era finalizzato al suo ravvedimento ed alla sua conversione ed ebbe termine quando Ciro, re di Persia, permise agli Israeliti di tornare in patria e di ricostruire a Gerusalemme il tempio distrutto.

Ciro rappresenta in un certo senso il Messia atteso da Israele. Egli è immagine del Redentore promesso, che doveva liberare il Popolo di Dio dalla schiavitù del peccato per introdurlo nel Regno della vera libertà.

3. Carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia di san Gaudenzio a Torre Nova! Con grande gioia celebro oggi l'Eucaristia in questa nuova chiesa parrocchiale insieme alla vostra giovane Comunità. Saluto cordialmente il Cardinale Vicario e Mons. Vicegerente, il vostro caro Parroco, Don Virginio Bolchini, il Vicario parrocchiale e tutti i Presbiteri che collaborano con lui nella guida della Parrocchia. Il vostro parroco proviene della diocesi di Novara e questo mi offre l'opportunità di esprimere viva riconoscenza al Vescovo ed all'intera Diocesi di Novara, per la generosità con la quale sono stati offerti alla Chiesa di Roma alcuni sacerdoti, perché svolgano tra noi il loro ministero.

Rivolgo poi un particolare pensiero alle Suore di Maria Ausiliatrice e di Nostra Signora della Mercede e specialmente ai membri della Comunità di sant'Egidio che, fin dal 1977, hanno sostenuto, animato e promosso la pastorale e la carità in questo quartiere.

La nuova chiesa è dedicata a san Gaudenzio, Patrono di Novara. Come non pensare in questo momento al compianto Cardinale Ugo Poletti, anche lui originario di quella amata Diocesi e che Dio ha recentemente chiamato a sé? Sotto la protezione di san Gaudenzio, questo mio illustre e generoso collaboratore iniziò a Novara il proprio ministero sacerdotale ed episcopale, che poi continuò in questa Chiesa di Roma, da lui tanto amata. Il Signore lo ricompensi per l'instancabile servizio al Vangelo profuso a piene mani in tutta la sua vita!

4. Carissimi! La vostra è una Comunità giovane. Giovane la parrocchia, perché di recente fondazione e giovane è soprattutto l'età dei parrocchiani, che registra un numero rilevante di ragazzi e ragazze. L'attenzione alle nuove generazioni deve pertanto essere una delle vostre priorità pastorali. Troppo spesso, infatti, i giovani così ricchi di potenzialità e di doni, si trovano senza lavoro, senza un'adeguata formazione, senza il sostegno di una autentica famiglia. Essi sono perciò spesso facile preda della solitudine, della mancanza di progetti, della disillusione, quando non finiscono nella rete della tossicodipendenza, della criminalità e di altre forme di devianza.

La vostra Comunità parrocchiale è stata istituita di recente, tuttavia il primo insediamento in questa zona risale al 1600, quando Beatrice Cenci fece costruire nel Castello una torre ed una chiesa dedicata a san Clemente. Essi divennero così un naturale punto di sosta per i pellegrini desiderosi di visitare le memorie degli Apostoli, giunti ormai in prossimità della città di Roma. Nei prossimi anni un gran numero di fedeli e turisti verrà a Roma in occasione del Grande Giubileo del 2000. Auspico che possano trovare Comunità accoglienti e vive nella fede. La Missione cittadina, che anche in questa Parrocchia state celebrando con entusiasmo e generosità, sia come un cantiere dello Spirito, aperto ed operoso, per costruire una Comunità diocesana sempre più generosa e solidale.

5. "La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce" (Jn 3,19)

L'odierna Liturgia della Parola presenta l'antitesi fra la schiavitù e la libertà, illustrata dalle letture dell'Antico Testamento, parallelamente all'antitesi fra le tenebre e la luce, sviluppata nel Vangelo. Quest'ultima contrapposizione è proposta da Gesù nel colloquio con Nicodemo e riprende in una forma discorsiva uno dei tratti caratteristici del Vangelo di Giovanni, presente già fin dalle prime espressioni del Prologo: "In principio era il Verbo... In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta" (Jn 1,1 Jn 1,4-5).

Nel colloquio con Nicodemo è presente questa stessa radicale contrapposizione tra la luce e le tenebre "La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce... Chiunque infatti fa il male, odia la luce . . . Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio" (Jn 3,19-21).

Come non sottolineare l'accenno al giudizio divino? L'uomo viene giudicato non soltanto da un giudice esterno, ma da quella luce interiore che si manifesta mediante la voce di una coscienza retta. E' quanto il Concilio Vaticano Secondo ha ricordato nella Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes: "Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire . . . La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria" (n. 16).

Carissimi Fratelli e Sorelle, nel nostro itinerario quaresimale verso la Pasqua ormai vicina, lasciamoci guidare dalla voce di Dio che ci chiama attraverso la coscienza. Potremo così andargli incontro con una vita santa e ricca di opere buone sempre conforme al suo volere e secondo il suo cuore. Amen!.
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GPII Omelie 1996-2005 66