GPII Omelie 1996-2005 6

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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN CLETO PAPA



Domenica, 28 gennaio 1996

1. "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli" (Mt 5,3).

Queste parole, che leggiamo nel Discorso della Montagna, secondo la versione dell’evangelista Matteo, costituiscono in un certo senso il pensiero guida di tutta la Liturgia odierna. Cristo dice: "Beati i poveri in spirito". Lo stesso udiamo nel ritornello del Salmo responsoriale: "Beati i poveri in spirito". Analogo concetto viene espresso nella prima Lettura, tratta dal Libro del profeta Sofonia: vi si loda "un popolo umile e povero" che "confida nel nome del Signore" (cf. Sof So 3,12).

Chi sono i poveri in spirito? Non si tratta prima di tutto di povertà materiale. Secondo la Sacra Scrittura, la povertà in spirito concerne coloro che vivono in una prospettiva soprannaturale: vivono nel mondo, lavorando e cercando di guadagnarsi il pane quotidiano, ma allo stesso tempo sono consapevoli che ogni bene proviene da Dio. Anche il bene temporale, da loro prodotto con il sudore della fronte, è dono di Dio. Poveri in spirito sono coloro che non attribuiscono a se stessi né ciò che sono, né quanto possiedono. Riconoscono, infatti, che tutto hanno ricevuto dalle mani di Dio, solitamente attraverso l’apporto degli altri. Non si vantano dunque, ma lodano il Signore per il bene che nella vita riescono a conseguire, e in questo modo vivono nella verità. Si potrebbe dire che povero in spirito è proprio chi vive nella verità e mediante essa diventa capace di accogliere beni sempre più grandi.

Gesù assicura che i poveri in spirito possiedono il Regno dei cieli. In effetti, l’atteggiamento interiore di povertà rappresenta un’accesso sicuro al possesso del Regno dei cieli. In un certo senso crea nell’uomo lo spazio interiore necessario per diventare partecipe della vita e della felicità di Dio.

2. Carissimi Fratelli e Sorelle! È passato poco più di un mese dalle feste del Natale. La nascita di Gesù come, del resto, tutta la sua vita, offrono una significativa conferma di questa beatitudine. Cristo venne nel mondo povero, visse nella povertà e morì sulla croce spogliato di tutto. In questa beatitudine Cristo esprime se stesso.E contemporaneamente si rivolge a noi perché lo imitiamo, accogliendo nella nostra vita lo stesso ordine di valori e vivendo nella sua stessa prospettiva.

I poveri in spirito sono oggetto particolare dell’elezione divina. In questo senso, come leggiamo nella seconda Lettura, san Paolo scrive oggi ai Corinzi: "Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio" (1Co 1,27-29). Il poeta Adam Mickiewicz domanda: "Che cosa sono davanti al tuo volto?", e risponde: "Polvere e nulla".

Povertà in spirito indica, secondo il Vangelo, quasi un tipico spazio che l’uomo apre all’azione divina, permettendole di dispiegare la sua potenza salvifica. Lo proclama il Salmo responsoriale: "Il Signore ridona la vista ai ciechi, /il Signore rialza chi è caduto, /il Signore ama i giusti, /il Signore protegge lo straniero. /Egli sostiene l’orfano e la vedova ( . . .) /. Egli è fedele per sempre, /rende giustizia agli oppressi, /dà il pane agli affamati. /Il Signore libera i prigionieri" (Sal 145[146] , 8-9.6-7).

Il Regno di Dio si attua in vari modi: quando l’uomo gli apre lo spazio interiore dell’anima, quando non è pieno di sé, ma si apre alla Pienezza con un atteggiamento di umiltà, perché in lui venga lodato Dio stesso. Allora l’uomo vive della verità della Redenzione, come leggiamo nella Lettera di san Paolo: "Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione" (1Co 1,30).

3. "Considerate, infatti, la vostra vocazione, fratelli"! (1Co 1,26).

Quel che viene proclamato dall’odierna Liturgia, deve indicarci qual è la nostra vocazione e che cosa è la nostra vocazione. La vocazione cristiana si realizza, infatti, nel mettere in pratica le otto beatitudini, secondo il Discorso della Montagna. Realizziamo questa vocazione, quando cerchiamo di essere poveri in spirito, quando siamo afflitti e miti, quando abbiamo fame e sete di giustizia, siamo misericordiosi e conserviamo la purezza del cuore, quando ci adoperiamo per diffondere la pace e quando siamo disposti a sopportare le persecuzioni per la giustizia. La vita, secondo questo programma, ci permette di liberarci da noi stessi, dall’amor proprio; ci permette di aprirci all’azione di Dio che vuole rendere nobile ogni dimensione della nostra esistenza.

Perché il Signore possa compiere questo, dobbiamo essere disponibili ad accogliere la sua azione santificatrice. Le Beatitudini indicano che ciò si compie a prezzo di non pochi sacrifici. "Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia" (Mt 5,11). In mezzo a tante esperienze della vita, l’anima è chiamata a nobilitarsi sempre più aprendosi al bene più prezioso preparatole da Dio: il bene della grazia.Aggiunge Gesù: "Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5,12).

4. Risuonano tra noi queste parole di Cristo, carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia di san Cleto Papa, mentre ci troviamo raccolti attorno all’altare per la celebrazione eucaristica. Sono lieto di incontrarmi con voi e vi saluto tutti cordialmente. In particolare, saluto il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare di Settore, il vostro parroco Padre Paolo Busetti e con lui la Congregazione di Gesù Sacerdote alla quale, fin dal 1958, è affidata la cura pastorale della parrocchia. Saluto le suore della medesima Congregazione che con generosità affiancano i presbiteri nel lavoro pastorale, come pure i laici impegnati in molteplici attività apostoliche: l’Azione Cattolica giovani e ragazzi, gli Scouts, il gruppo dell’Apostolato della preghiera, l’Associazione san Vincenzo, il gruppo sposi ed i catechisti parrocchiali, il Consiglio per gli affari economici ed il Consiglio Pastorale.

Mi rallegro con voi che, grazie all’aiuto dei vostri sacerdoti, cercate di approfondire la spiritualità "sacerdotale", propria di tutti i battezzati. Si tratta di una spiritualità che pone l’Eucaristia al centro della vita e considera la preghiera come il respiro di tutto l’essere. Si diventa così adoratori fedeli di Dio e coraggiosi missionari del Vangelo tra i fratelli.

Questa spiritualità fondata sull’Eucaristia, vivificata da incessante orazione e animata da sincera dedizione verso il prossimo è, per sua natura, missionaria e risulta pertanto di grande aiuto per la missione cittadina che la Chiesa di Roma si prepara ad intraprendere in vista del prossimo Giubileo.

La vita spirituale non può esaurirsi nel rapporto personale con Dio, ma, quando è autentica, apre il cuore alle necessità del mondo intero. E qual è la priorità pastorale, oggi, se non l’annunciare il Vangelo a chi ancora non lo conosce o forse, avendolo un giorno conosciuto, lo ha messo praticamente ai margini della sua esistenza?

Carissimi Fratelli e Sorelle! Questa è la nostra impellente missione: testimoniare ed annunciare il Vangelo della Carità. Missione urgente in vista anche del grande Giubileo del Duemila. Fuori di Dio o, peggio, contro Dio, non si costruisce il vero bene dell’uomo, come dimostrano in modo significativo le vicende di popoli e nazioni, dove l’ateismo ha provocato o continua, purtroppo, a produrre sopraffazione del forte sul debole, mancanza di amore e di perdono, distruzioni, guerre e morte.

Fratelli e Sorelle della Parrocchia di san Cleto Papa, rimanete sempre fedeli alla vostra missione. "Considerate attentamente la vostra vocazione".

5. Considerare la propria vocazione vuol dire, secondo la Liturgia odierna, comprendere ed approfondire i valori umani e cristiani, presenti nella propria vita ed ordinarli secondo una giusta gerarchia. È allora che noi veramente cerchiamo Dio, come ci è stato raccomandato nella prima Lettura: "Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini; cercate la giustizia, cercate l’umiltà" (So 2,3), "confidate nel nome del Signore" (cf. Sof So 3,12).

Quale profondo significato riveste la vocazione cristiana! Quale sfida e quale invito essa costituisce per noi! Come non chiedere a Dio che la nostra vita si formi quotidianamente secondo lo spirito delle otto beatitudini? Solo maturando in tale spirito siamo in grado di consolidare il vero bene nel mondo e di prepararci al Regno dei cieli.

O Signore,
fa’ che possiamo crescere
alla scuola del Tuo Figlio Gesù,
mite e umile di cuore,
per essere associati,
oggi e sempre alla sua beatitudine.

Amen!
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SANTA MESSA PER I MEMBRI DEGLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA



Festa della Presentazione del Signore

Venerdì, 2 febbraio 1996




1. "Lumen ad revelationem gentium" (Lc 2,32).

Le letture, che poc’anzi abbiamo ascoltato, ci rivelano la triplice dimensione dell’odierna celebrazione: la dimensione del tempio, la dimensione del sacrificio e la dimensione della profezia. È con queste tre dimensioni che la festa della Presentazione del Signore ci viene incontro. Festa singolare è quella di oggi, che da una parte richiama il mistero del Natale e, contemporaneamente, ci orienta alla Pasqua del Signore, costituendo così come una sorta di cerniera fra questi due tempi forti dell’anno liturgico.

Seguendo una ormai consolidata tradizione, in questo giorno si incontrano nella Patriarcale Basilica di San Pietro rappresentanti degli Istituti religiosi maschili e femminili, per rinnovare insieme la loro consacrazione a Dio mediante i voti. Lo fanno non soltanto a nome proprio, ma anche a nome dei confratelli e delle consorelle del mondo intero.

"Lumen ad revelationem gentium": la luce di Cristo, che caratterizza la liturgia odierna, ricorda quella "luce per il mondo" che ogni consacrato è chiamato a diventare. "Voi siete la luce del mondo" (Mt 5,14), dice il Signore.

Vi saluto cordialmente, cari Fratelli e Sorelle! Saluto voi, qui presenti, e quanti sono uniti spiritualmente al nostro incontro. Un pensiero speciale rivolgo al Signor Cardinal Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, ringraziandolo per il servizio che, insieme al Segretario e a tutti i suoi collaboratori, egli compie in questo importante settore della vita ecclesiale.

2. La dimensione del tempio: "Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il Bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore" (Lc 2,22). Colui che era atteso da intere generazioni entra nel tempio di Gerusalemme. Ne parla la prima lettura tratta dal Libro del profeta Malachia: "Entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l’angelo dell’alleanza che voi sospirate" (Ml 3,1). Il suo ingresso nel tempio passa inosservato, tuttavia la liturgia gli attribuisce un carattere particolarmente solenne, come ben evidenzia il Salmo responsoriale: "Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria. Chi è questo re della gloria? Il Signore forte e potente, il Signore potente in battaglia (...) Chi è questo re della gloria? Il Signore degli eserciti è il re della gloria" (Ps 23,7-8 Ps 23,10). Il piccolo che viene presentato da Maria e Giuseppe al tempio è vero Dio e vero uomo: il Signore degli eserciti, forte e potente in battaglia. Egli viene al tempio per annunziare il grande combattimento che dovrà intraprendere, affrontando le potenze del male. Redimerà l’uomo mediante il proprio sacrificio.

3. "Mediante il proprio sacrificio". La legge dell’Antico Testamento prescriveva che un maschio primogenito, quaranta giorni dopo la nascita, doveva essere offerto al Signore. Ed in tale occasione veniva presentata al tempio l’offerta di una coppia di tortore o di giovani colombi. Scrive l’Autore della Lettera agli Ebrei: "Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano tenuti in schiavitù per tutta la vita" (He 2,14-15). Egli stesso "doveva rendersi in tutto simile ai fratelli per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova" (He 2,17-18).

Ministro del sacrificio, il sommo sacerdote è descritto dalle parole della Lettera agli Ebrei. L’Autore aggiunge significativamente che Cristo, in questo modo, "della stirpe di Abramo si prende cura" (He 2,16). Lo fa mediante il suo sacrificio, fonte di redenzione e di santificazione per tutti i figli e le figlie del popolo di Dio.

4. La dimensione della profezia: nell’odierna liturgia questa dimensione viene messa in rilievo attraverso le parole del vecchio Simeone. Si può dire che non soltanto le parole, ma tutta l’esistenza di quest’uomo fu una profezia. Non diversamente, del resto, dall’esistenza della profetessa Anna, la quale, essendo vedova, non abbandonava mai il tempio, servendo Dio con digiuni e preghiere. Essa partecipò anche alla presentazione di Cristo al tempio. Benché non siamo a conoscenza delle sue parole, tuttavia l’Evangelista dice che lodava Dio e parlava del Messia a quanti attendevano la liberazione di Gerusalemme.

La profezia di Simeone invece si espresse con parole. Come scrive l’Evangelista, quel giorno venne al tempio mosso dallo Spirito: essendo uomo retto e pio, in attesa della consolazione di Israele, egli agiva sotto il suo influsso. Lo Spirito Santo era su di lui e gli aveva rivelato che non avrebbe conosciuto la morte prima di vedere il Messia del Signore. Lo Spirito aveva preparato entrambi, e specialmente Simeone, a questo momento.

Quando, il quarantesimo giorno dopo la nascita, Maria e Giuseppe portarono Gesù al tempio, Simeone prese dalle loro mani il Bambino e pronunciò sopra di lui quelle meravigliose parole che ben conosciamo, perché fanno parte della Liturgia delle Ore: "Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele" (Lc 2,29-32). "Nunc dimittis servum tuum, Domine...". Che parole stupefacenti! Simeone è testimone del compimento di tutte le profezie. E quasi a coronamento, dopo questo cantico ispirato, aggiunge altre parole, che costituiscono in un certo senso la definizione stessa di Cristo-Redentore del mondo: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione" (Lc 2,34). "Segno di contraddizione!". Cristo è certamente "segno di contraddizione". Segno che lo presenta come indomito annunciatore del Vangelo, ma prima di tutto come "il Crocifisso". Simeone, del resto, si volge a Maria con parole che, in un certo senso, confermano fino in fondo questa visione messianica: "E anche a te una spada trafiggerà l’anima (...) perché siano svelati i pensieri di molti cuori" (Lc 2,35).

5. Carissimi Fratelli e Sorelle! È certamente provvidenziale che da molti anni ormai, in occasione della festa della Presentazione del Signore, il Vescovo di Roma si incontri con i rappresentanti degli Istituti di vita consacrata nella Basilica di San Pietro. Le tre dimensioni dell’odierna liturgia parlano, infatti, sotto vari aspetti, della speciale vocazione dei religiosi e delle religiose. Ne parlano la dimensione del tempio, la dimensione dell’offerta e la dimensione della profezia. La vocazione religiosa non è una singolare partecipazione alla missione profetica di Cristo stesso? Non si tratta forse di un così eloquente segno escatologico che mette in evidenza la vocazione dell’uomo all’eternità, alla partecipazione alla vita di Dio stesso?

La vostra vocazione, carissimi Fratelli e Sorelle, non costituisce, a sua volta, un’offerta? Ciascuno e ciascuna di voi, lasciandosi guidare dall’amore sponsale di Cristo, porta come offerta la sua vita, donata al Signore mediante i voti di povertà, di castità e di obbedienza. Questa vostra vocazione non è dunque legata al tempio, come segno della presenza di Dio nel mondo? In vari modi voi siete al servizio di tale presenza: soprattutto siete voi stessi questo tempio, secondo le parole di san Paolo: "Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?" (1Co 3,16).

Carissimi, cercate, come Cristo, di "prendervi cura della stirpe di Abramo". Cercate di essere per tutti gli uomini luce che illumina il cammino dell’esistenza terrena. Il Sinodo dei Vescovi, dedicato alla vita consacrata nella Chiesa, è stato lo scorso anno un evento di grande importanza. È ormai prossima la pubblicazione dell’Esortazione postsinodale, nella quale intendo raccogliere i frutti del lavoro svolto in tale assemblea. Auspico che essa costituisca una luce, mediante la quale Cristo parli a voi, alla Chiesa e a tutta la famiglia umana: la luce della notte di Betlemme e dell’Epifania, la luce della notte di Pasqua.

"Christus, lumen gentium!". Amen.
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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN GIULIO I PAPA



Domenica, 4 febbraio 1996



1. "Io sono la luce del mondo" (Jn 8,12).

Così dice di sé Cristo, il Figlio del Dio vivente, Colui che la Chiesa proclama, mediante le parole del Simbolo della fede, "Dio da Dio, Luce da Luce".

Proprio Lui, il Verbo eterno di Dio, è la luce del mondo, poiché "per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo". Egli si è fatto uomo per introdurci nella luce di Dio: in quella Luce che è Lui stesso.

Il tema principale dell’odierna Liturgia è contenuto nel Canto al Vangelo, nel quale Cristo ripete a ciascuno di noi: "Chi segue me avrà la luce della vita" (cf. Gv Jn 8,12). In queste parole troviamo un riflesso della luce che risplende nel Natale del Signore, nell’Epifania e nella Presentazione al tempio. Allo stesso tempo esse annunciano già la Pasqua, alla quale ci stiamo gradualmente avvicinando:

"Lumen ad revelationem gentium", "luce per illuminare le genti" (Lc 2,32).

2. Le Letture che abbiamo ascoltato mettono in risalto la vocazione cristiana. La luce di Cristo deve rispecchiarsi e risplendere nella condotta dei suoi discepoli attraverso la testimonianza delle opere buone.

A questo esorta il profeta Isaia: "Spezza il tuo pane con l’affamato, introduci in casa i miseri, senza tetto, vesti chi è nudo, senza distogliere gli occhi dalla tua gente. Allora la tua luce sorgerà come l’aurora" (cf. Is Is 58,7-8).

Lo stesso spirito di solidarietà e di apertura verso il prossimo viene proposto dal Salmo responsoriale, che indica nel timore del Signore la radice della vera pietà e della beatitudine: "Beato l’uomo che teme il Signore... Felice l’uomo pietoso che dà in prestito" (Ps 111,1 Ps 111,5).

Il valore delle opere buone è, infatti, un arricchimento interiore per coloro che le compiono: "Sicuro è il suo cuore, non teme... Egli dona largamente ai poveri, la sua giustizia rimane per sempre" (Ps 111,8 Ps 111,9).

3. Nel brano del Vangelo di Matteo, che è stato poc’anzi proclamato, Cristo sviluppa ed approfondisce queste verità. Nella sua predicazione, infatti, Egli afferma apertamente: "Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa" (Mt 5,14-15).

Se vogliamo essere autentici discepoli di Colui che è Luce del mondo, dobbiamo essere riconoscibili come tali dalle nostre opere. Gesù ribadisce questa esigenza quando afferma: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16).

Il Padre è la Luce primordiale, la Fonte di ogni bene: da Lui trae origine ogni altra luce ed ogni dono per gli uomini. È necessario che la condotta dei credenti testimoni tale originaria verità della fede.

4. L’apostolo Paolo, nella prima Lettera ai Corinzi, offre un esempio singolare di questa testimonianza, presentando la propria esperienza personale. Le sue parole meritano di essere approfondite con particolare attenzione.

Come annunciatore del Vangelo, egli è intimamente persuaso che in quest’opera non è sufficiente una seducente "sublimità di parola o di sapienza" umana (1Co 2,1). È necessaria, invece, un’altra sapienza, con una diversa forza di argomentazione. La potenza di tale testimonianza è fornita unicamente da Cristo crocifisso e risorto. "Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso" (1Co 2,2).

In questa affermazione paolina è racchiuso il nucleo centrale dell’evangelizzazione, proclamato incessantemente nel cuore di ogni Celebrazione Eucaristica: "Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta".

5. Carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia di san Giulio! Sono lieto di essere tra voi in questa Domenica, la quinta del Tempo Ordinario, nella quale la Liturgia ci ha fatto ancora una volta ascoltare le parole del Vangelo di Matteo, con cui inizia il Libro del recente Sinodo della nostra diocesi: "Voi siete la luce del mondo... risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (5, 14-16).

So che la vostra Comunità cerca di realizzare il programma pastorale scaturito dal Sinodo. Esprimo il mio apprezzamento per il vostro impegno e vi incoraggio a proseguire generosamente in questo cammino. Ad esso si collega il programma pastorale diocesano, che voi fedelmente seguite. Esso, in vista del Giubileo del Duemila, ha nella già annunciata missione cittadina uno dei suoi punti qualificanti. Tale missione costituisce, infatti, un forte invito, rivolto a tutti ad imitare l’evangelica "città collocata sopra un monte" (cf. Mt Mt 5,14), che non resta nascosta, ma pone in rilievo le grandi opere di Dio.

6. È invito rivolto a voi, cari parrocchiani di san Giulio, perché facciate risplendere la luce di Cristo nel vostro quartiere! Carissimi, vi saluto tutti con affetto, insieme col Cardinale Vicario, col Vescovo Ausiliare del Settore e col vostro parroco, Padre Riccardo Belleri. Saluto cordialmente il Superiore Generale della Comunità religiosa dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione, a cui è affidato il servizio pastorale nella parrocchia; le Suore Ancelle dell’Immacolata; gli aderenti ai vari gruppi ed Associazioni operanti nella Comunità. Tutti incoraggio ad offrire il proprio contributo, affinché la parrocchia diventi sempre più una Comunità accogliente, giovane nello spirito, assidua nell’ascolto della Parola di Dio, aperta alla condivisione e animata da spirito missionario.

So che la parrocchia di san Giulio è inserita in una zona della Città dove l’età media della popolazione è piuttosto elevata, con un basso indice di natalità. In questa domenica, nella quale la Chiesa che è in Italia celebra la Giornata per la vita, come non esortarvi tutti a testimoniare con coraggio il valore della vita in ogni fase dell’esistenza umana, sapendo anche andare contro-corrente quando occorre? Amate e difendete la vita! Promuovete al riguardo ogni utile iniziativa, coinvolgendo in primo luogo le famiglie. Mi congratulo con voi, poi, per quanto fate a favore degli anziani e dei malati.

Gli anziani, che purtroppo vengono talora emarginati, perché ritenuti poco produttivi, in realtà sono un fondamentale bene per la vita della società. La loro saggezza e la loro esperienza costituiscono un tesoro prezioso da valorizzare per le giovani generazioni. I malati, segno vivo di Cristo sofferente, vanno accompagnati con la preghiera e con le cure suggerite da affetto partecipe e da premurosa attenzione. È necessario che le famiglie, come le istituzioni, se ne facciano carico, garantendo loro un’assistenza rispettosa della loro dignità di persone.

7. Nel brano evangelico odierno troviamo una seconda immagine associata a quella della luce: "Voi siete il sale della terra" (Mt 5,13). Vengono dunque abbinati gli elementi della luce e del sale. La luce divina, infatti, non soltanto illumina, ma anche trasforma, guarendo e garantendo la salvezza di chi l’accoglie.

La luce di Dio è fonte di vitalità spirituale per colui che la lascia penetrare nella propria vita e rimane in comunione con essa, sottomettendosi alla sua azione salvifica. Carissimi Fratelli e Sorelle, lasciamoci illuminare dalla luce di Cristo, per diventare a nostra volta "il sale della terra" e "la luce del mondo"!

La vostra luce risplenda davanti agli uomini ed essi, vedendo le opere buone da voi compiute, rendano gloria al Padre che è nei cieli.

Amen!
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VIAGGIO APOSTOLICO IN GUATEMALA,

NICARAGUA, EL SALVADOR E VENEZUELA

CELEBRAZIONE EUCARISTICA NELLA "VALLE DI MARIA"

PER I FEDELI DELLA DIOCESI DI ZACAPA




Esquipulas (Guatemala) - Martedì, 6 febbraio 1996




1. "Veramente quest’uomo era Figlio di Dio" (Mc 15,39).

Una volta, vicino a Cesarea di Filippi, Gesù chiese agli Apostoli: "la gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?" (Mt 16,13). Gli diedero varie risposte. Alla fine Simon Pietro disse: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (16, 16).

Come Vescovo di Roma e Successore di San Pietro, desidero ripetere le stesse parole durante questa celebrazione. Sono passati quasi duemila anni da quando Pietro le pronunciò. Cristo, il Figlio del Dio vivente fatto uomo, annunciò il Vangelo e in seguito, fu crocifisso per i peccati del mondo e deposto nel sepolcro, il terzo giorno risuscitò. Il vostro Santuario del Santo Cristo di Esquipulas è dedicato a questo mistero della Redenzione.

Il Vangelo secondo Marco, che abbiamo ascoltato, ci ricorda l’agonia di Cristo sulla croce. Ascoltiamo le commoventi parole: "Eloí, Eloí, lema sabactàni? che significa; Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?... Ma Gesù, dando un forte grido, spirò" (Mc 15,34-37). E proprio in quel momento, nello stesso istante della morte del Figlio dell’uomo, il centurione romano, ossia un pagano, fece una straordinaria professione di fede: "Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!" (Mc 15,39). L’Evangelista aggiunge che il centurione pronunciò queste parole nel vedere il modo in cui Gesù spirò.

Vengo, cari fratelli e sorelle, come pellegrino al vostro Santuario di Esquipulas, rinnovando la professione di fede di Pietro e allo stesso tempo la professione di fede del centurione. Pietro dice: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente", e il centurione afferma: "Veramente quest’uomo era Figlio di Dio". Sembra che questa seconda professione di fede, uscita dalla bocca di un pagano, sia come un annuncio della conversione di molti popoli al di fuori di Israele a quella fede che Pietro professò per primo. Per questa fede noi ci troviamo qui, nel Santuario della Passione di Cristo.

Quanto è significativo il fatto che le nazioni dell’America Latina circondino di così grande venerazione e di tanto amore la passione di Cristo! Attorno a questo mistero si concentrano la vostra fede e la vostra vita cristiana.

Saluto con affetto Monsignor Adolfo Quezada Toruño e lo ringrazio per le parole con cui ha introdotto questa celebrazione. Inoltre saluto cordialmente i Signori Cardinali, Vescovi, ed in primo luogo i Vescovi di Guatemala e gli altri Vescovi dell’America Centrale, oltre ai monaci benedettini, i sacerdoti, i religiosi e le religiose. Sono felice di trovarmi con tutti i fedeli guatemaltechi e dei Paesi vicini che professano una così grande devozione per il Cristo di Esquipulas e che oggi partecipano alla Santa Messa.

2. Da quattro secoli si venera questa immagine, "molto ben fatta e rifinita" di Cristo sulla croce, "Il Signore delle Misericordie", come viene chiamato qui. Voi e altri pellegrini giunti dal Messico e dalle Repubbliche sorelle del Centroamerica, vi prostrate dinnanzi al Cristo Nero di Esquipulas e nell’incontro personale con il Redentore chiedete i doni del perdono, della riconciliazione e della pace. Questa splendida e bianca Basilica, affidata ora ai Monaci Benedettini, custodisce da più di duecento anni l’immagine un tempo venerata in un semplice eremo e in seguito nel tempio parrocchiale di Santiago. Tutto ciò dimostra la diffusione di questa devozione nel corso dei secoli.

E i frutti non si sono fatti attendere. Da qui nasce una vita di fede in Cristo, servo sofferente per la nostra salvezza, ma in seguito risorto, che vive e intercede in nostro favore. Egli è il Maestro, la "via, la verità, la vita" (Jn 14,6). Uniti a lui, morti al peccato e chiamati ad una vita nuova, gli uomini si realizzano come persone e figli di Dio e sentono la chiamata alla convivenza sociale, solidamente fondata nella giustizia, nella fraternità e nella pace. Riconciliazione con Dio, riconciliazione fra i figli di Dio: il messaggio del Cristo di Esquipulas continua ad essere vivo e imperituro.

In questa stessa Basilica i Presidenti dell’America Centrale firmarono l’Accordo di Esquipulas del 1986, origine dei processi di pacificazione di questa zona, che hanno già dato frutti positivi nel Salvador e in Nicaragua. Spero vivamente che il Guatemala possa concludere in un futuro molto vicino l’Accordo definitivo di pace. Inoltre, qui ha sede il Parlamento Centroamericano (PARLACEN) che, assieme agli altri organismi del "Sistema di Integrazione Centroamericana" (SICA), favorisce l’unità dell’Istmo.

3. La verità su Cristo, Servo sofferente, è profondamente radicata nell’Antico Testamento. Lo dimostra la prima lettura di oggi, tratta dal Profeta Isaia. Come si sa, questo Profeta viene chiamato a volte "l’Evangelista dell’Antico Testamento".È sorprendente lo stretto rapporto che c’è fra gli avvenimenti della passione di Cristo e quello che il Profeta annunciò molti secoli prima degli eventi della Pasqua del Signore. Basta riflettere, ad esempio, sulle parole che abbiamo ascoltato prima: "Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi" (Is 50,6). In nessun altro testo, forse, viene detto con tanta eloquenza ciò che sarebbe accaduto durante la passione di Cristo, incominciando dall’arresto e dalla prigionia fino alla morte sulla Croce: Cristo è indifeso; i suoi nemici possono impunemente sputare sul suo volto e schiaffeggiarlo; viene condotto alla colonna della flagellazione e terribilmente percosso; prima della crocifissione subisce lo scherno di tutti quelli che lo flagellano e che continueranno a farlo poi durante la crocifissione sul Golgota. Secondo la visione profetica di Isaia, Cristo è il Servo del Signore autenticamente sofferente: quanti onorano il Signore, ascoltino la voce del suo Servo (cf. Is Is 50,10).

Siamo davanti al processo contro Cristo innocente. Gli uomini lo giudicano, lo condannano alla flagellazione, lo incoronano di spine e, infine, lo consegnano alla morte e il Figlio dell’uomo muore sul Golgota. Isaia pone sulle labbra del Servo del Signore le seguenti parole: "Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso. È vicino che mi rende giustizia;... il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?" (Is 50,7-9). In qualsiasi luogo del mondo in cui ci troviamo davanti ad un’immagine di Cristo sofferente, ci rendiamo conto di questo mistero del giudizio dell’uomo su Dio, che si esprime nel corpo torturato di Gesù. Tuttavia, il giudizio dell’uomo sul Figlio di Dio comporta anche un altro giudizio, ossia, il giudizio di Dio sull’umanità, su ogni uomo, sui peccati umani. Colui che muore sulla croce è il vero Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. La giustizia e la misericordia si incontrano nella sua morte redentrice.

4. "Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato" (He 5,5).

Il Padre pronuncia queste parole in eterno e in eterno si realizza la generazione del Verbo, Figlio della stessa natura del Padre. Tuttavia, in quel momento, nel momento della passione e della morte sul Golgota, nel momento della Croce, queste parole del Padre vengono pronunciate con particolare profondità - la profondità dell’amore - che corrisponde alla profondità della sofferenza, del sacrificio e della morte redentrice. Cristo accetta dal Padre la sua filiazione eterna e in essa offre se stesso al Padre come un dono ineffabile per i peccati di tutto il mondo, dono che cancella i peccati con il sangue dell’Agnello senza macchia, dono che santifica, ossia che innalza fino a Dio tutto ciò che era caduto. Proprio per questo, il Padre, nel momento stesso del sacrificio della croce rivela al mondo il sacerdozio di Cristo: "Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchisedek" (He 5,6). Cristo è l’unico sacerdote della Nuova ed Eterna Alleanza. È il sacerdote del suo stesso sacrificio che egli offre sulla croce accettando la morte per i peccati di tutta l’umanità. Il suo sacrificio cruento perdurerà, in modo incruento, nel corso della storia. Lo realizza tutta la Chiesa offrendo il Corpo e il Sangue di Cristo sotto le specie del pane e del vino, sacramento dell’Eucaristia, istituito nel Cenacolo.

5. La liturgia di oggi ci dice tutto questo di Cristo con le parole della Lettera agli Ebrei. Di quello stesso Cristo che voi venerate qui, in pellegrinaggio a Esquipulas, vostro Santuario Nazionale. La verità su Cristo torturato, su Cristo Redentore del mondo, su Cristo unico ed eterno Sacerdote della Nuova Alleanza, la professate con particolare intensità in questo luogo, insieme a tutta la Chiesa universale e in suo nome. Qui, il "mysterium" del Servo sofferente del Signore è stato affidato, in un certo modo, alla vostra particolare devozione.Ciò che la Lettera agli Ebrei dice di Cristo si è trasformato in una sorta di vostro carisma particolare: "Egli nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (He 5,7-9).

È questo il Cristo obbediente fino alla morte, fino alla morte sulla croce. Nel Getsemani supplicava il Padre: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà" (Lc 22,42). E fu ascoltato, come dice la Lettera agli Ebrei. Fu ascoltato per la sua pietà. Come Figlio ricevette dal Padre la grazia dell’obbedienza mediante la quale poté accettare tutto ciò che i suoi persecutori avevano preparato. E, tutto, vuol dire: l’arresto nel Getsemani, l’ingiusto processo, la flagellazione, la corona di spine, il cammino del Calvario, la crocifissione e, infine, quell’orribile agonia fino all’ultimo respiro. Compì tutto. Così testimoniano le ultime parole che pronunciò mentre spirava: "Tutto è compiuto" (Jn 19,30). E subito dopo: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46). In tal modo, al prezzo della sua passione e della sua morte sulla croce, divenne per tutti coloro che lo seguono l’artefice della salvezza eterna.

6. E questa è la commovente profondità del Vangelo, del Nuovo Testamento: Dio, che vuole che l’uomo proceda lungo la via dei suoi comandamenti. Vuole che noi obbediamo a Colui che per noi si è fatto obbediente fino alla morte e che si è donato per la nostra salvezza. Dio vuole che comprendiamo bene la portata di questo dono e che lo accettiamo nella più profonda obbedienza della fede. Vuole che comprendiamo in questo modo come a questo amore oblativo si debba corrispondere con amore e che in esso troviamo la forza spirituale per plasmare la nostra vita e per portare tutte le croci che sperimentiamo nel nostro cammino.

"Salve Croce! Salve, o Croce di Cristo!". Secondo una tradizione, con queste parole, l’Apostolo Andrea, fratello di Pietro, avrebbe accettato la passione che subì alla fine della vita. Il Santuario di Esquipulas ci invita all’adorazione della Croce di Cristo come segno della nostra salvezza nella quale l’uomo, con Cristo, ottiene la vittoria sul peccato, su Satana e sulla morte, per partecipare, assieme a Lui, dell’amore del Padre eterno.

Salve Croce. Amen.

Al termine della Santa Messa il Papa ha aggiunto:

Cari fratelli, molte grazie per la vostra presenza in testimonianza della nostra fede. Abbiamo pregato insieme per la pace e la riconciliazione in tutto il mondo, specialmente in Guatemala. So che ci sono grandi speranze di raggiungere la pace, perché il popolo vuole la pace. Speravo di trovare un clima caldo. Voi avete portato il calore in questa Celebrazione. Molte grazie.
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GPII Omelie 1996-2005 6