GPII Omelie 1996-2005 38

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VISITA PASTORALE IN GERMANIA (21-23 GIUGNO 1996)

CELEBRAZIONE ECUMENICA DELLA PAROLA


DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II


Duomo di Paderborn - Sabato, 22 giugno 1996




Cari Fratelli e care Sorelle nel Signore!

1. Nella città di Troade, in Asia Minore, l’apostolo Paolo durante il suo secondo viaggio ebbe una visione notturna: "gli stava davanti un Macedone e lo supplicava: "passa in Macedonia e aiutaci!"" (Ac 16,9). Paolo interpretò questa visione come chiamata di Dio a recarsi immediatamente in Europa, per annunciarvi la Buona Novella del Signore: "Dopo che ebbe avuto questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore" (Ac 16,10). Questo fatto segna un momento importante nella storia dell’Europa: lo Spirito stesso ha indicato al Vangelo la via verso l’Europa.

2. Dal corso della storia sappiamo con quale instancabile impegno l’apostolo Paolo, insieme ai suoi collaboratori, ha risposto alla chiamata di Dio. Con la fondazione delle prime comunità ha gettato quelle basi sulle quali ogni missione successiva ha potuto operare. Impegnarsi per l’evangelizzazione non era né è tuttora un’impresa facile. Già l’apostolo Paolo dovette sperimentarlo durante l’annuncio del Vangelo ad Atene, a Corinto e a Roma. In modo simile lo hanno sperimentato coloro che nei secoli successivi hanno portato il Vangelo a nuovi popoli: san Patrizio, san Bonifacio, san Chiliano, san Villibrordo, sant’Emmerano, i santi fratelli Cirillo e Metodio. E la stessa cosa hanno sperimentato nel nostro secolo quei cristiani evangelici, cattolici e ortodossi che, di fronte alle dittature totalitarie, hanno testimoniato con coraggio e senza timore la Verità del Vangelo: Edith Stein, Alfred Delp, Bernhard Lichtenberg, Karl Leisner e Bernhard Letterhaus, Dietrich Bonhoeffer e Helmut Graf Moltke.

3. "Passa di qua e aiutaci!". La chiamata a testimoniare la Verità del Vangelo è oggi rivolta a noi. Molto dipende dal fatto che il Vangelo venga annunciato e vissuto in modo credibile. Dalla mia ultima visita in Germania nel 1987 il quadro politico dell’Europa è cambiato in modo quasi inimmaginabile. Il muro è caduto; dopo 40 anni di dittatura comunista, gli uomini che si trovavano dall’altra parte della cortina di ferro hanno ricevuto il dono prezioso della libertà. Tutti insieme dobbiamo ora plasmare questa libertà. Si presentano nuove possibilità e nuovi impegni per affrontare e superare le nuove sfide sia nell’Est che nell’Ovest.

Nell’Est i regimi atei hanno lasciato nei cuori di molte persone, e soprattutto dei giovani, deserti spirituali, mentre ad Ovest si constata il pericolo di un eccessivo orientamento verso il consumismo, che minaccia di soffocare i valori spirituali della società. La nuova evangelizzazione è dunque l’imperativo del momento. Non si tratta di "restaurare" un’epoca già da tempo passata. Bisogna piuttosto osare passi nuovi. Insieme dobbiamo nuovamente annunciare alle genti d’Europa il messaggio gioioso e liberatore del Vangelo. Così allo stesso tempo dobbiamo riscoprire le radici cristiane dell’Europa, per creare una civiltà in cui i valori di vera umanità trasmessi dalla fede cristiana occupino un posto stabile.

4. Saluto di cuore tutti i partecipanti alla Giornata della Chiesa di Eisleben, alla cui preparazione hanno collaborato i cristiani cattolici ed evangelici. Essi si sono riuniti in occasione del 450 anniversario della morte di Martin Lutero. Che la loro riflessione comune contribuisca ad avvicinarci!

"Passa da qui e aiutaci!". Oggi non dobbiamo esitare ad affrontare l’impegno pressante della nuova Evangelizzazione. Il suo messaggio centrale è: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16). In Gesù Cristo noi abbiamo parte alla sua vittoria sul peccato e sulla morte; in Gesù Cristo ci vengono promesse la risurrezione e la vita eterna. Questa consapevolezza circa il peccato e la morte e circa la risurrezione e la vita eterna relativizza le potenze e i potenti di questo mondo e ci dona la forza di collaborare a modellare l’Europa in un mondo che diventa sempre più una cosa sola, affinché le forze morali derivanti dalla fede possano in essa diventare nuovamente efficaci.

5. Il compito dell’evangelizzazione riguarda ugualmente tutti i cristiani; siano essi cattolici, ortodossi o protestanti. Dobbiamo portare concordemente nel mondo la testimonianza di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, che è risorto dai morti e ha rivelato a tutti gli uomini il volto dell’unico Dio. Tutti i cristiani sono chiamati a svolgere questa missione a seconda della loro vocazione. Il compito dell’evangelizzazione comprende il procedere l’uno verso l’altro e il procedere insieme dei Cristiani, che deve partire dall’interno; evangelizzazione e unità, evangelizzazione ed ecumenismo sono indissolubilmente legati tra di loro. Come ho sottolineato nella mia Enciclica sull’impegno ecumenico Ut unum sint: "È evidente, comunque, che la divisione dei cristiani è in contraddizione con la Verità che essi hanno la missione di diffondere, e dunque essa ferisce gravemente la loro testimonianza" (Ut unum sint UUS 98). Per questa ragione, citando le parole del mio predecessore Papa Paolo VI, "la sorte dell’evangelizzazione è certamente legata alla testimonianza di unità data dalla chiesa" (Evangelii nuntiandi EN 77). Poiché la questione della nuova evangelizzazione mi sta molto a cuore, come Vescovo di Roma considero il superamento della divisione della cristianità "una delle priorità pastorali". "Come, infatti, annunciare il Vangelo della riconciliazione, senza al contempo impegnarsi ad operare per la riconciliazione dei cristiani?" (Ut unum sint UUS 98).

6. Il nostro impegno odierno per una testimonianza comune a favore dell’unità non può rinunciare a occuparsi di Martin Lutero. Oggi, 450 anni dopo la sua morte, il tempo che è passato permette di comprendere meglio la persona e l’opera del riformatore tedesco e di essere più equi con lui. Non sono state solo le ricerche di importanti studiosi evangelici e cattolici a contribuire alla creazione di una immagine più completa e differenziata della personalità di Martin Lutero. Anche il dialogo tra luterani e cattolici ha dato un importante contributo al superamento delle antiche polemiche e all’avvicinamento a una visione comune.

Il pensiero di Lutero era caratterizzato da una notevole enfasi posta sull’individuo che indeboliva la consapevolezza delle esigenze della comunità. La richiesta di riforma della Chiesa fatta da Lutero, nel suo intento originario, era un appello alla penitenza e al rinnovamento che devono cominciare nella vita di ogni singola persona. Molti sono i motivi per i quali da quell’inizio si è poi arrivati a questa scissione. Tra questi vi sono la non corrispondenza della Chiesa cattolica, di cui già si era rattristato Papa Adriano VI con parole commoventi, il subentrare di interessi politici ed economici, e anche la stessa passione di Lutero, che lo trascinò ben oltre le sue intenzioni iniziali, fino a una critica radicale della Chiesa cattolica, della sua struttura e della sua dottrina. Tutti abbiamo delle colpe. Per questo tutti siamo sollecitati alla penitenza e tutti abbiamo bisogno di essere sempre di nuovo purificati dal Signore.

7. "Passa da qui e aiutaci!". Oggi è più importante che mai che tutti i cristiani portino nella vita spirituale dell’Europa i loro doni e carismi particolari, cosicché l’uno possa imparare dalla ricchezza dell’altro. La cristianità protestante ha arricchito tutta la cristianità con i suoi canti religiosi, la sua grande musica religiosa e le sue costanti riflessioni teologiche. La liturgia divina, il monachesimo e la devozione mistica dell’ortodossia, così come il suo pensiero tenacemente alimentato dai Padri, sono un tesoro che va a beneficio di tutti noi. La Chiesa cattolica possiede grazie all’abbondanza degli ordini religiosi che svolgono attività missionaria e sociale, alla devozione eucaristica, all’amore verso Maria, condiviso con l’ortodossia, alla forza del suo Magistero, e in particolare alla voce dei Pontefici che viene udita in tutto il mondo, propri doni senza i quali non si potrebbe pensare a una testimonianza cristiana nel mondo di oggi.

È cosa da tutti riconosciuta che i cristiani nella nuova Europa riescono a farsi ascoltare soprattutto quando testimoniano insieme la verità del Vangelo e la responsabilità di fronte al mondo. È quindi indispensabile rafforzare questa testimonianza comune.

8. In Germania esiste già una buona tradizione di intensa collaborazione in campo etico-sociale tra le diverse confessioni: a iniziare dall’impegno per affrontare le sfide e i compiti relativi alla tutela della vita umana fino all’elaborazione di prospettive comuni per la responsabilità economica e sociale.

Desideriamo ringraziare il Signore perché oggi è possibile che i protestanti, gli ortodossi e i cattolici parlino all’unisono circa molte questioni centrali. Questo non è che il frutto di un annoso impegno a riesaminare, in un dialogo ecumenico, le differenze dottrinali esistenti. Eminenti teologi tedeschi hanno offerto un notevole contributo a quest’opera, sia a livello nazionale che a livello internazionale. In seguito alla mia prima visita in Germania un gruppo di esperti si è impegnato ad affrontare storicamente e sistematicamente, in un dialogo ecumenico, le condanne dottrinali del XVI secolo. Proprio poco fa, durante il mio incontro con il Presidente del Consiglio delle Chiese Evangeliche (EKD), ho parlato in modo più approfondito dei risultati di questo Studio grazie al quale molte delle controversie allora esistenti appaiono oggi sotto una nuova luce. Sono stati colmati fossati che le generazioni precedenti ritenevano incolmabili. I risultati elaborati in Germania, per il loro significato nel processo di riavvicinamento fra cattolici e protestanti, vanno ben oltre i confini nazionali e infondono speranza alle soglie del Terzo Millennio della storia cristiana.

9. Solo pochi anni ci separano dal 2000. Questo tempo rappresenta per tutti i cristiani un’opportunità straordinaria per l’annuncio del Vangelo. Contemporaneamente "l’avvicinarsi della fine del secondo millennio sollecita tutti ad un esame di coscienza e ad opportune iniziative ecumeniche, così che al Grande Giubileo ci si possa presentare, se non del tutto uniti, almeno molto prossimi a superare le divisioni del secondo millennio" (Tertio Millennio adveniente, 34). L’imminente passaggio al nuovo millennio dovrebbe spingere tutti noi a testimoniare in maggior misura le verità centrali della nostra fede "perché il mondo creda" (Jn 17,21).

"Passa di qua e aiutaci!". È questa la supplica che in questo momento rivolgo al Signore, perché sono consapevole del fatto che l’evangelizzazione può riuscire solo se Egli ci aiuta. "Passa di qua e aiutaci!". Questa supplica esige però allo stesso tempo che noi tutti prendiamo sul serio questo appello e ci lasciamo inviare come testimoni del Signore. È in gioco il futuro del mondo. Possa la preghiera unanime di tutti i cristiani (cf. At Ac 1,14) fare in modo che giunga al più presto possibile il giorno in cui il Signore davanti agli occhi di tutti porterà a compimento l’opera buona che ha iniziato in noi (cf. Fil Ph 1,6).

Amen!
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VISITA PASTORALE IN GERMANIA (21-23 GIUGNO 1996)

SOLENNE CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA


PER LA BEATIFICAZIONE DEI SERVI DI DIO


BERNHARD LICHTENBERG E KARL LEISNER




Stadio Olimpico di Berlino - Domenica, 23 giugno 1996

Cari fratelli e sorelle!


1. "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima" (Mt 10,28).

Le parole rivolte un tempo da Cristo ai suoi discepoli in Terra Santa si estendono, superando i secoli, a tutti i cristiani. Valgono per tutte le latitudini e le longitudini. Hanno acquistato un significato particolare per quei discepoli di Cristo la cui beatificazione celebriamo oggi a Berlino: Bernhard Lichtenberg e Karl Leisner.

Questa celebrazione è un’ora di grazia per la Chiesa di Berlino e di Münster. È un momento di grazia per tutto il popolo tedesco. Nella grande espressione di ringraziamento della Chiesa, l’Eucaristia, possiamo rivolgere in questa giornata un ulteriore ringraziamento particolare. È il ringraziamento a Dio, che ha donato alla sua Chiesa e al mondo due uomini che hanno recato testimonianza della incondizionata sequela di Cristo per la vittoria della fede.

La storia ha posto entrambi di fronte a una dura prova, ma essi non hanno avuto paura "di quelli che uccidono il corpo". Il terribile sistema totalitario procurava, con una generosità senza precedenti, la morte per coloro che non si sottomettevano al sistema. In questo modo si cercava di dominare le anime. I nostri beati però hanno attinto dalle parole di Cristo la certezza che quelli "non hanno potere di uccidere l’anima". Partendo da qui si comprende la loro vittoria. Essi hanno conseguito questa vittoria in quanto hanno testimoniato Cristo dinnanzi agli uomini: "Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli" (Mt 10,32).

La loro fortezza era il Cristo confessato davanti agli uomini. Cristo rimase loro fedele anche dopo il martirio. È il loro testimone davanti al Padre, e in questa testimonianza è racchiuso il "giudizio della loro santità", il "giudizio" che oggi viene ufficialmente proclamato dalla Chiesa nello stadio olimpionico di Berlino. Oggi due beati martiri celebrano il loro trionfo, proprio nel luogo in cui, 60 anni or sono, il regime nazionalsocialista volle la celebrazione dei giochi olimpici al fine di far trionfare la sua disumana ideologia; nel luogo in cui l’idealismo della gioventù venne profanato, e gli uomini incitati all’odio e all’inimicizia, invece che alla pacifica convivenza.

Vi salutiamo, intrepidi servitori di Cristo, del Re con la corona di spine. Possa questa città, che fu testimone del combattimento di Bernhard Lichtenberg contro il potere del male e testimone della prigionia, delle torture e della morte, diventare oggi testimone della vostra esaltazione nella Chiesa del Dio vivente.

2. Per comprendere le condizioni in cui entrambi i nostri beati di oggi hanno combattuto il loro combattimento spirituale, la liturgia si richiama al profeta Geremia: "Sentivo le insinuazioni di molti: terrore all’intorno! Denunciatelo e lo denunceremo" (Jr 20,10). Queste parole furono scritte duemilacinquecento anni fa, ma risuonano come se si riferissero al tempo recente. Il sistema si serviva del metodo "terrore ovunque", per trasformare uomini liberi in delatori.

Geremia è l’immagine di Cristo e attraverso Cristo di tutti coloro che non si sono fatti sedurre (cf. Ger Jr 20,10); di tutti coloro che hanno avuto fiducia nella potenza di Dio e che hanno conseguito la vittoria. "Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori cadranno e non potranno prevalere" (Jr 20,11). Il Signore "ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori" (Jr 20,13).

Nel testo del profeta Geremia troviamo un riferimento sufficientemente chiaro ai due beati di oggi: Bernhard e Karl. Vissero nei tempi del terrore sistematico. Hanno vinto con la loro fede e con la loro confessione.

Non il plauso del mondo, ma la fedele testimonianza a Cristo Gesù è la prova di una sequela autentica di Cristo. Il Signore non richiede ai propri discepoli una confessione di compromesso al mondo, bensì una confessione di fede, che è pronta anche a offrirsi in sacrificio. Bernhard Lichtenberg e Karl Leisner hanno dato questa testimonianza non solo con parole, ma anche con la loro vita e con la loro morte: in un mondo diventato disumano hanno testimoniato Cristo, che solo è Via, Verità e Vita.

3. Cristo è la via. Bernhard Lichtenberg e Karl Leisner hanno recato questa testimonianza in un tempo in cui molti avevano abbandonato la retta via, e per opportunismo o per paura si erano smarriti. Chi osserva la vita dei due martiri lo sa: il loro martirio non è stato, nel loro itinerario esistenziale, un incidente della sorte, ma l’ultima e ineluttabile conseguenza di una vita vissuta nella sequela di Cristo.

Già nella prima giovinezza si avviarono entrambi per la strada sulla quale li ha chiamati Dio, la strada che Egli voleva percorrere con loro. "Cristo, tu mi hai chiamato. Io dico, umile e deciso: "Sono qui, mandami"", scrive Karl Leisner all’inizio dei suoi studi di Teologia. Presago, fin dagli inizi, del carattere anticristiano dell’allora partito dominante, egli si sentì chiamato a insegnare agli uomini, mediante il servizio sacerdotale tanto desiderato, la via di Dio, senza concessioni di sorta a quella che si chiamava "visione popolare del mondo". Ancor prima di essere fatto prigioniero a Dachau, si fece apostolo di una profonda devozione mariana, alla quale fu stimolato da padre Kentenich e dal movimento di Schönstatt.

Il coraggio della sua fede e il suo entusiasmo per Cristo devono essere stimolo e modello soprattutto per i giovani, che vivono in un ambiente caratterizzato da miscredenza e indifferenza. Non sono solo i dittatori politici a limitare la libertà; c’è bisogno uguale di forza e coraggio per contrapporsi al risucchio dello spirito del tempo, che è orientato al consumo e al godimento egoistico della vita o, all’occasione, getta sguardi compiacenti nei confronti dell’ostilità alla Chiesa, o perfino dell’ateismo militante. Il servizio a favore degli uomini richiese a Bernhard Lichtenberg tutto il suo impegno e tutta la sua abnegazione. La sua fede incrollabile gliene diede la forza. "Egli era se stesso, in ogni sua fibra, dietro ogni parola: predicava attraverso se stesso... Aveva la fede che sposta le montagne", scrisse in seguito uno dei suoi contemporanei.

Bernhard e Karl ci incoraggiano a rimanere sulla via che si chiama Cristo. Non dobbiamo stancarci, anche se talvolta questa via sembra oscura e richiede sacrificio. Guardiamoci dai falsi profeti che ci vogliono indicare altre vie. Cristo è la via che porta alla vita. Tutte le altre vie mostreranno o vie non rette o vie erronee.

4. Cristo è la Verità. Bernhard Lichtenberg lo ha testimoniato fino al suo ultimo respiro. Contro la menzogna dell’ideologia nazionalsocialista Lichtenberg dichiarò coraggiosamente: "La mia guida è Cristo!". Ogni giorno, egli pregava nella recita del Vespro "per i "cristiani non ariani", gravemente oppressi; per gli ebrei perseguitati, per i prigionieri nei campi di concentramento . . . ".

Che il nuovo beato fosse stato un santo della preghiera di intercessione si desume non solo da questa preghiera per gli ebrei e per i prigionieri dei campi di concentramento, ma anche dalla sua preghiera per le vocazioni. Fu un instancabile promotore dell’apostolato per le vocazioni al sacerdozio e religiose. La sua beatificazione deve quindi essere un’esortazione a vivere la giornata mondiale e le giornate di preghiera mensili per le vocazioni sacerdotali e religiose con nuova dedizione e fiducia. Vorrei anche incoraggiarvi a farvi carico della preoccupazione della Chiesa nelle comunità e soprattutto nella Pontificia Opera per le Vocazioni secondo lo spirito di Bernhard Lichtenberg.

Bernhard Lichtenberg riconobbe chiaramente che lì, dove la verità di Dio non viene più rispettata, si lede anche la dignità dell’uomo. Dove domina la menzogna, domina sempre l’agire falso e cattivo: "le azioni di un uomo sono le conseguenze dei suoi principi. Se i principi sono sbagliati, anche le azioni non saranno giuste .. . io combatto i principi sbagliati, dai quali derivano necessariamente azioni sbagliate", scrive egli nel verbale della sua prima testimonianza di fronte ai giudici nazisti. E chiamò anche chiaramente e precisamente per nome alcuni di questi falsi principi: ". . . l’eliminazione dell’ora di religione nelle scuole. La lotta contro la croce... la secolarizzazione del matrimonio, l’uccisione intenzionale di vite considerate indegne di essere vissute (eutanasia), la persecuzione degli ebrei...".

Sulla base dei suoi chiari principi Bernhard Lichtenberg parlò e agì in maniera autonoma e coraggiosa. Fu quasi sopraffatto dalla felicità e dalla gioia quando il suo Vescovo Konrad von Preysing, durante la sua ultima visita in prigione, alla fine del settembre 1943, gli portò un messaggio del mio predecessore Pio XII, in cui gli venivano partecipati interiore vicinanza e paterno riconoscimento. Chi non si limita a polemiche di poco conto sa molto bene cosa pensava Pio XII del regime nazista e quanto ha fatto per aiutare le innumerevoli persone perseguitate da quel regime.

Per Bernhard Lichtenberg la coscienza era "il luogo, lo spazio santo nel quale Dio parla all’uomo" (Enciclica Veritatis splendor VS 58). E la dignità della coscienza deriva per lui sempre dalla verità (cf. Ivi, 63).

Cari fratelli e care sorelle! L’esempio del beato Bernhard ci esorta ad essere "cooperatori della verità" (cf. 3Gv 3Jn 8). Non fatevi trarre in inganno, se Dio e la fede cristiana vengono diffamati e scherniti anche ai nostri giorni. Rimanete fedeli alla verità che è Cristo. Prendete coraggiosamente la parola quando principi sbagliati conducono di nuovo ad azioni sbagliate, quando la dignità degli uomini viene ferita o viene messo in discussione l’ordine morale di Dio.

In questo contesto la Seconda Lettera ai Romani ci mostra, in un certo senso, una dimensione più profonda della verità, in cui si collocava la vita e la chiamata di entrambi i beati. Si tratta delle radici del male stesso nella storia della discendenza di Adamo ("a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte" [ Rm 5, 12]).

"Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo morirono tutti, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini" (Rm 5,15).

Nei tempi in cui "il peccato" dominava attraverso il sistema della violenza assoluta e della crudeltà, questi due testimoni di Cristo, che dalla sua grazia hanno attinto la forza per la vittoria, rivestono un significato particolare.Le beatificazioni di oggi ne sono una dimostrazione. In essa trova espressione la memoria della Chiesa: non dimenticare "le opere di Dio" (Sal 77[78], 7). Con l’aiuto di Dio potremo dire alle generazioni future, come Bernhard Lichtenberg e l’apostolo Paolo: ". . . ad essi però non cedemmo . . . perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra voi" (Ga 2,5).

5. Cristo è la Vita: questa era la convinzione per la quale Karl Leisner è vissuto e per la quale infine è morto. Per tutta la vita ha cercato la vicinanza di Cristo nella preghiera, nella lettura quotidiana della Scrittura e nella meditazione. Infine ha trovato questa vicinanza in modo particolare nell’incontro eucaristico con il Signore. Il sacrificio eucaristico, che Karl Leisner poté celebrare dopo la sua ordinazione sacerdotale nel campo di concentramento di Dachau, non fu per lui solo un incontro con il Signore e con la fonte della forza della sua vita. Karl Leisner sapeva anche che chi vive con Cristo, entra con il Signore in una comunanza di destini.

Karl Leisner e Bernhard Lichtenberg non sono testimoni di morte, sono testimoni di vita: una vita che va oltre la morte. Sono testimoni di Cristo, che è la Vita, e che è venuto perché abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza (cf. Gv Jn 10,10). In una cultura della morte hanno entrambi recato testimonianza per la vita.

Come i due beati, siamo tutti chiamati a recare testimonianza per la vita. Per questo tenetevi saldi alla vita, che è Cristo. Opponetevi alla cultura dell’odio e della morte sotto qualunque forma essa si presenti. E non stancatevi di impegnarvi a favore di coloro la cui vita e la dignità vengono minacciate: i non nati, i malati terminali, gli anziani e i numerosi bisognosi del nostro mondo. Con la loro morte Bernhard Lichtenberg e Karl Leisner hanno reso visibile la vita che Cristo è e che Cristo offre. La Chiesa terrà in onore loro e la loro testimonianza.

6. La testimonianza che hanno recato entrambi i beati fu loro possibile, non da ultimo, grazie al luminoso esempio dato loro dai rispettivi Vescovi: Konrad von Preysing a Berlino e Clemens August von Galen a Münster. Proprio in un tempo e in un mondo che spesso non può o non vuole più riconoscere il valore della fede cristiana e con essa mette in discussione anche il fondamento della sua cultura, una tale testimonianza è necessaria. Non si tratta solo della testimonianza della parola, ma anche della testimonianza di una vita che ha il suo fondamento nella parola di Dio, così come si è espresso Karl Sonnenschein, l’apostolo di Berlino, nel 1927: "Davanti ai pagani della metropoli l’apologetica della parola è infruttuosa... solo una cosa raggiunge questi uomini, che non conoscono più il Cristianesimo dai racconti dei loro padri, dal Rosario della madre, e dalle lezioni di religione del loro tempo scolastico: la bontà di questa religione espressa dai suoi rappresentanti e da essi vissuta nel fisico, nello spirito, nella sofferenza". Vescovi e laici hanno offerto con grande fede questa testimonianza di Parola e di vita non solo in questa città divisa per così tanto tempo in due parti, ma anche nel territorio della ex-RDT. Ricordo con gratitudine i berlinesi, Vescovo Wilhelm Weskamm, Cardinale Julius Döpfner, Cardinale Alfred Bengsch e infine ringrazio il Cardinale Joachim Meisner che è tra noi. Oggi, desidero ringraziare di cuore anche i numerosi laici, uomini e donne, bambini e giovani, che nei decenni di oppressione sono rimasti fedeli alla fede cattolica e alle loro comunità.

7. Cari fratelli e sorelle! Il nostro compito nel mondo postula da noi cristiani non di assimilarvisi e di divenire comodi contemporanei rinunciando così alla nostra identità. Essa richiede invece che rimaniamo cristiani, che difendiamo e viviamo la nostra fede e offrendola come contributo essenziale alla società umana. In questo compito non dobbiamo farci ostacolare da nessuno, neanche dallo Stato. Nella tutela della reciproca libertà e indipendenza, in Germania il rapporto tra Chiesa e Stato è improntato sulla cooperazione e non sulla divisione. Il rapporto evolutosi nel corso della Storia obbliga lo Stato alla difesa delle istituzioni, che garantiscono l’adempimento dei compiti socialmente importanti, e vieta qualsiasi forma di ingerenza statale. In questo contesto, si dovrà porre attenzione a che la piena applicazione della legge fondamentale sia nello spirito che nella lettera, venga tenuta in conto anche nei nuovi Länder. In considerazione di questa funzione di servizio dello Stato, la libertà di religione va garantita, soprattutto nel campo educativo e nell’educazione religiosa. È lo Stato a essere neutrale, non l’insegnamento di religione!

8. Desidero in questo momento esprimere la mia spirituale vicinanza all’Arcivescovo di Berlino, Cardinale Georg Maximilian Sterzinsky, ai Cardinali qui presenti, al Vescovo di Münster, in quanto Vescovo della terra di Karl Leisner, al Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca e ai Vescovi della Germania e dei Paesi vicini; inoltre a tutti i sacerdoti, i diaconi e i religiosi. Saluto cordialmente il Presidente della Repubblica Federale Tedesca, e la Presidente del Bundestag tedesco, il Cancelliere federale, i ministri, il sindaco di Berlino con i membri del Senato, i Presidenti del Consiglio dei Ministri dei Länder del Brandeburgo, del Meclemburgo-Pomerania Anteriore, del Saarland e della Turingia, come anche i rappresentanti dei Governi e dei parlamenti dei Länder, degli altri organi costituzionali e i numerosi rappresentanti del Corpo Diplomatico.

Saluto infine tutti voi, innumerevoli fedeli, e vi ringrazio per essere venuti e aver celebrato insieme a me. In particolare saluto i parenti dei nostri due nuovi beati, come anche gli uomini e le donne appartenenti al gruppo degli ex-prigionieri del campo di concentramento.

Soprattutto saluto i numerosi giovani. La notte scorsa avete vegliato e pregato e siete venuti questa mattina presto nello stadio con la croce dell’Anno Santo, che è diventata il simbolo della Giornata Mondiale della Gioventù. Vi ringrazio dal profondo del cuore per questa coraggiosa testimonianza della vostra fede! Come potrei, in questo momento, dimenticare che nell’agosto del prossimo anno vorrei recarmi a Parigi per un rinnovato incontro con la gioventù di tutto il mondo! Già da oggi vi invito di cuore a questa grande festa. Venite e portate con voi molti altri coetanei. Le Giornate Mondiali della Gioventù sono sempre, per tutti coloro che vi partecipano, un momento di grazia straordinaria.

Saluto inoltre il gran numero di miei compatrioti. La vostra presenza odierna a Berlino e la celebrazione comune sono un segno eloquente della riconciliazione tra tedeschi e polacchi, alla cui riuscita hanno dato un contributo essenziale i Vescovi e i fedeli dei due Paesi. Sarei lieto di poter salutare di nuovo le numerose sorelle e i numerosi fratelli della Germania nel maggio del prossimo anno, a Breslavia, in occasione del Congresso mondiale dell’Eucaristia.

9. Vorrei infondere coraggio a tutta la Chiesa della Germania, affinché rimanga fedele alla sua missione e sempre volga lo sguardo all’esempio dei due martiri beati Bernhard Lichtenberg e Karl Leisner. "Mater habebit curam", la Madre celeste si prenderà cura! Con queste parole di gioiosa speranza di Karl Leisner vi affido alla intercessione di Maria, che come prima cristiana ha detto sì alla imperscrutabile volontà di Dio.

Di cuore benedico tutti voi nell’amore di nostro Signore Gesù Cristo, cui siano rese grazia e gloria nell’eternità.
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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA E IMPOSIZIONE DEL PALLIO

A TRENTA ARCIVESCOVI METROPOLITI


Solennità dei Santi Pietro e Paolo

Basilica Vaticana - Sabato 29 giugno 1996




1. "Il Signore... mi ha strappato dalla mano di Erode" (Ac 12,11).

Nell’odierna solennità, riascoltiamo queste parole di Pietro e quelle analoghe di Paolo: "Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno eterno; a lui la gloria nei secoli dei secoli" (2Tm 4,18).

Oggi la Chiesa intera e, in modo particolare, la Chiesa che è in Roma, rende gloria a Dio per i santi apostoli Pietro e Paolo: "Benedetto il Signore che libera i suoi amici" (Ritornello al Salmo Responsoriale, cf. Sal Ps 33,5). Gli Apostoli furono liberati da ogni timore in virtù della potenza che proviene da Dio. Umanamente parlando, anch’essi, come tutti i mortali, erano deboli creature. Debolezza che in Pietro si manifestò più volte e specialmente al momento della prova, quando rinnegò il suo stesso Maestro (cf. Gv Jn 18,15-27). La debolezza di Paolo risalta nell’accanimento, che sconfina quasi nella crudeltà, con cui perseguitò i seguaci di Cristo.

Il Signore, tuttavia, agì in loro come se non tenesse conto di questa umana fragilità, come se vi passasse sopra, procedendo secondo il proprio misterioso piano di salvezza. A Pietro rivelò che egli era la "pietra" su cui avrebbe edificato la sua Chiesa (cf. Mt 16,18). Di Paolo disse che era "strumento eletto" per annunziare il Vangelo in mezzo a tutti i popoli (cf. At Ac 9,15). Entrambi erano consapevoli di compiere la missione loro affidata mediante la potenza dello stesso Signore. Lo compresero in modo particolare proprio qui, a Roma, mentre si disponevano ad affrontare la prova suprema del martirio.

2. Negli Atti degli Apostoli leggiamo che il re Erode "fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che questo era gradito ai Giudei, decise di arrestare anche Pietro" (Ac 12,2-3), con il proposito "di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua" (Ac 12,4).

Pietro allora, chiuso in prigione durante le feste di Pasqua, ebbe modo di meditare con particolare intensità sugli eventi dell’Ultima Cena e della Passione di Gesù arrestato, condannato, flagellato, caricato della croce, crocifisso sul Golgota. Veramente Egli era stato "obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Ph 2,8). Erano passati alcuni anni da quella Pasqua ed ora Pietro si trovava ad attendere, a sua volta, in carcere la condanna a morte, che Erode avrebbe emesso in modo analogo a quanto aveva fatto Pilato. Il movente sarebbe ancora stato quello di accattivarsi la simpatia della folla. L’Apostolo sentiva di avere poco tempo davanti a sé, ma non dimenticava le parole di Cristo: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,18).

3. Ed ecco accadere qualcosa di inaspettato. Per la potenza di Dio, manifestata mediante l’intervento di un angelo, egli fu liberato dalla prigione di Gerusalemme: la porta del carcere si aprì da sola e si ritrovò libero. "Dunque, non è ancora la mia ora" - dovette pensare in quel momento l’Apostolo, e poco dopo lasciò Gerusalemme per recarsi ad Antiochia e successivamente a Roma. A Roma, ad oltre venti anni dagli avvenimenti della Pasqua di Cristo, Pietro avvertì che il suo momento era ormai giunto. Avvenne all’epoca della persecuzione dell’imperatore Nerone, quando tanti fratelli e sorelle nella fede morirono martiri. Con loro pure Pietro.

Quanto a Paolo, che da qualche tempo dimorava a Roma, anch’egli suggellò nel sangue la propria testimonianza a Cristo. Nella Lettera a Timoteo scrive: "Il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno" (2Tm 4,6-8).

Paolo, cittadino romano, fu sottoposto al supplizio non della croce, ma della decapitazione mediante la spada.

Analoghe considerazioni avrebbe potuto svolgere Pietro il giorno in cui, raggiunto dalla mano del persecutore, venne condannato a morte sulla croce. Una venerabile tradizione narra che egli chiese di morire con la testa in giù, poiché non si sentiva degno di essere crocifisso come il divino Maestro.

4. "In nessun altro c’è salvezza" (Ac 4,12). Nell’odierna solennità, la Chiesa ricorda e si sofferma in meditazione. Al culmine di una grande epopea apostolica, se ne vanno questi grandi pionieri del Vangelo, che non solo con le parole e con le opere, ma soprattutto con la testimonianza della vita hanno trasmesso la verità di Cristo crocifisso e risorto.

Grazie al dono dello Spirito Santo, erano diventati uomini nuovi, sì che forse era difficile perfino a loro riconoscere dentro di sé quelli che erano stati un tempo. Il Signore comunicò ad essi una misteriosa potenza divina. Così avvenne per Paolo sulla via di Damasco. Così successe a Pietro quando, nei pressi di Cesarea di Filippo, rispose alla domanda del Maestro riguardo a chi fosse il Figlio dell’uomo. Soltanto Pietro, a differenza della gente, proclamò la verità su Cristo, posta a fondamento della Chiesa: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). Gesù di Nazaret è più grande di Mosè e di Elia, più dei profeti, più di Giovanni Battista: Egli è il Figlio del Dio vivente.

"Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre": così i Concili di Nicea e di Costantinopoli hanno enucleato la fede della Chiesa. Questa solenne professione, tramandata dai cristiani fino a noi, è contenuta già in quella di Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente".

Si tratta di un’espressione-chiave del "Credo", da cui la Chiesa non può allontanarsi, se non vuole rinnegare se stessa. È una professione di fede che non è opera soltanto di un uomo, di Pietro, come afferma lo stesso Maestro: "Beato te, Simone figlio di Giona; perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17). In un certo senso, in essa è contenuto l’inizio della Chiesa. Lo evidenzia il seguito della risposta di Gesù: "E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (Mt 16,18-19).

5. Questa professione di fede costituisce il fondamento del singolare ruolo che, all’interno del Collegio apostolico, riveste Pietro, il primo nel giorno di Pentecoste ad annunciare Cristo e ad accogliere i convertiti provenienti dal popolo di Israele. In virtù della sua professione di fede si è, dunque, formata la Chiesa, che si è diffusa dappertutto nello spirito di tale professione e della risposta di Cristo.

Quanto accadde nei pressi di Cesarea di Filippo si ripete in ogni luogo e in ogni tempo con l’annuncio della Buona Novella. Si rinnova a Roma, in particolare, quando Pietro, a capo della Comunità cristiana della Città, sente avvicinarsi l’ora della suprema testimonianza del sangue ed è consapevole che la sua confessione di fede insieme alla risposta di Cristo rimangono stabilmente nella Chiesa. La verità da lui pronunciata con la forza di un’illuminazione divina sopravvive alla sua morte. Questa verità rappresenta un elemento decisivo per l’identità apostolica della Chiesa di generazione in generazione, lungo lo scorrere dei millenni.

6. L’intera Comunità ecclesiale, raccolta nel ricordo di Pietro e di Paolo, ripete oggi questa professione di fedeltà a Cristo. Tale comunione di fede si esprime nell’odierna solenne celebrazione anche mediante il significativo gesto dell’imposizione del Sacro Pallio da parte del Successore di Pietro a numerosi Arcivescovi Metropoliti, provenienti da diverse parti del mondo.

Venerati Fratelli nell’Episcopato, i palli che voi oggi ricevete sono espressione di quella unità con la Sede di Pietro e di quella concorde testimonianza della fede cristiana, che debbono caratterizzare il vostro Ministero episcopale. Nell’accogliere ciascuno di voi come fratelli diletti nel Signore, saluto con affetto le Comunità ecclesiali affidate alle vostre cure pastorali ed a tutti assicuro uno speciale ricordo nella preghiera.

7. La solennità e la gioia di questo giorno è arricchita, inoltre, dalla presenza della Delegazione fraterna, che Sua Santità Bartolomeo I ha qui inviato, per prendere parte insieme con noi alla festa dei santi Pietro e Paolo.

Cari Fratelli in Cristo, sono lieto di rivolgervi un cordiale benvenuto e vi ringrazio per la vostra partecipazione a questa liturgia. L’incontro fraterno nella preghiera rafforza davanti al Signore l’impegno di fare tutto il possibile per superare le difficoltà che ancora permangono, al fine di vedere presto realizzato il desiderio della piena comunione e della partecipazione all’unica Eucarestia. La preghiera comune è, infatti, il nutrimento dei pellegrini; essa ci fortifica nel cammino, orientandoci verso la meta di ogni serio sforzo ecumenico. A tutti voi giunga il mio cordiale e fraterno saluto, insieme con quello dell’intera Comunità ecclesiale di Roma!

8. "O Roma felix, quae tantorum principum es purpurata pretioso sanguine" (Inno dei primi Vespri nella Solennità dei SS. Pietro e Paolo).

Così canta la Chiesa, venerando i santi apostoli Pietro e Paolo, "colonna e fondamento della città di Dio" (Inno Ufficio delle Letture).

Ti rendiamo grazie, o Dio, per la particolare forza che hai donato a questi deboli uomini, affidando loro la missione evangelizzatrice.

Pietro e Paolo hanno suggellato tale missione con la suprema testimonianza del martirio. Hanno donato se stessi per la salvezza del mondo.

Ti lodiamo, o Signore, per la fede che essi hanno conservato; Ti ringraziamo per la Verità per la quale hanno sparso il loro sangue.

"Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Celebrate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome" (Ps 33,2 Ps 33,4).

Esaltiamolo insieme, nella speranza che venga presto il giorno in cui tutti i credenti in Cristo possano ritrovarsi pienamente uniti a lodare quel Nome, al di fuori del quale non è data agli uomini possibilità di salvezza (cf. At Ac 4,12).

Amen!
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GPII Omelie 1996-2005 38