GPII Omelie 1996-2005 132

132

VIAGGIO APOSTOLICO

DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

A CUBA (21-26 GENNAIO 1998)


Piazza «José Martí» di La Habana

25 gennaio 1998



1. «Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio; non fate lutto e non piangete!» (Ne 8,9). Con grande gioia presiedo la Santa Messa su questa Piazza «José Martí», la domenica, giorno del Signore, che deve essere dedicato al riposo, alla preghiera e alla convivenza familiare. La Parola di Dio ci esorta a crescere nella fede e a celebrare la presenza del Risorto in mezzo a noi, poiché «noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo» (1Co 12,13), il Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Gesù Cristo unisce tutti i battezzati. Da Lui fluisce l'amore fraterno sia tra i cattolici cubani, sia tra coloro che vivono in qualunque altro luogo, poiché sono «corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte» (1Co 12,27). La Chiesa a Cuba, quindi, non è né sola né isolata, al contrario fa parte della Chiesa universale diffusa nel mondo intero.

2. Saluto con affetto il Card. Jaime Ortega, Pastore di questa Arcidiocesi e lo ringrazio per le amabili parole con le quali, all'inizio di questa celebrazione, mi ha presentato le realtà e le aspirazioni che caratterizzano la vita di questa comunità ecclesiale. Saluto parimenti i Signori Cardinali qui presenti, provenienti da diversi luoghi, così come tutti i miei fratelli Vescovi di Cuba e di altri Paesi che hanno voluto partecipare a questa solenne celebrazione. Saluto cordialmente i sacerdoti, i religiosi e le religiose e i fedeli riuniti in così gran numero. Assicuro ognuno del mio affetto e della vicinanza nel Signore. Saluto con deferenza il signor Presidente, dottor Fidel Castro Ruz, che ha voluto partecipare a questa Santa Messa.

Ringrazio pure per la loro presenza le Autorità civili che hanno voluto essere qui oggi e sono loro riconoscente per la cooperazione offerta.

3. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare un lieto messaggio» (Lc 4,18). Ogni ministro di Dio deve far sue nella propria vita queste parole pronunciate da Gesù di Nazareth. Per questo, trovandomi qui tra voi, voglio recarvi la buona notizia della speranza in Dio. Come servitore del Vangelo, vi porto questo messaggio d'amore e di solidarietà che Gesù Cristo, con la sua venuta, offre agli uomini di ogni tempo. Non si tratta né di un'ideologia né di un sistema economico o politico nuovo, bensì di un cammino di pace, giustizia e libertà autentiche.

4. I sistemi ideologici ed economici succedutisi negli ultimi secoli hanno spesso enfatizzato lo scontro come metodo, poiché contenevano nei propri programmi i germi dell'opposizione e della disunione. Questo ha condizionato profondamente la concezione dell'uomo e i rapporti con gli altri. Alcuni di questi sistemi hanno preteso anche di ridurre la religione alla sfera meramente individuale, spogliandola di ogni influsso o rilevanza sociale. In tal senso, è bene ricordare che uno Stato moderno non può fare dell'ateismo o della religione uno dei propri ordinamenti politici. Lo Stato, lontano da ogni fanatismo o secolarismo estremo, deve promuovere un clima sociale sereno e una legislazione adeguata, che permetta ad ogni persona e ad ogni confessione religiosa di vivere liberamente la propria fede, esprimerla negli ambiti della vita pubblica e poter contare su mezzi e spazi sufficienti per offrire alla vita della Nazione le proprie ricchezze spirituali, morali e civiche.

D'altro canto, in vari luoghi si sviluppa una forma di neoliberalismo capitalista che subordina la persona umana e condiziona lo sviluppo dei popoli alle forze cieche del mercato, gravando dai propri centri di potere sui popoli meno favoriti con pesi insopportabili. Avviene così che, spesso, vengono imposti alle Nazioni, come condizione per ricevere nuovi aiuti, programmi economici insostenibili. In tal modo si assiste, nel concerto delle Nazioni, all'arricchimento esagerato di pochi al prezzo dell'impoverimento crescente di molti, cosicché i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

5. Carissimi fratelli: la Chiesa è maestra in umanità. Perciò, di fronte a questi sistemi, essa propone la cultura dell'amore e della vita, restituendo all'umanità la speranza e il potere trasformante dell'amore, vissuto nell'unità voluta da Cristo. Per questo è necessario percorrere un cammino di riconciliazione, di dialogo e di accoglienza fraterna del prossimo, chiunque esso sia. Questo si può dire il Vangelo sociale della Chiesa.

La Chiesa, nel portare a termine la propria missione, propone al mondo una giustizia nuova, la giustizia del Regno di Dio (cfr Mt 6,33). In diverse occasioni ho fatto riferimento ai temi sociali. È necessario continuarne a parlare fino a quando nel mondo ci sarà un'ingiustizia, per piccola che sia, dato che in caso contrario la Chiesa non si dimostrerebbe fedele alla missione affidatale da Gesù Cristo. La posta in gioco è l'uomo, la persona in carne ed ossa. Anche se i tempi e le circostanze cambiano, ci sono sempre persone che hanno bisogno della voce della Chiesa perché vengano riconosciute le loro angosce, i loro dolori e le loro miserie. Coloro che si trovano in simili situazioni possono essere sicuri che non verranno defraudati, poiché la Chiesa è con loro e il Papa abbraccia, con il cuore e con la sua parola di incoraggiamento, tutti coloro che subiscono l'ingiustizia.

(Giovanni Paolo II, dopo essere stato a lungo applaudito, ha aggiunto:)

Io non sono contrario agli applausi, perché quando applaudite il Papa può riposarsi un po'.

Gli insegnamenti di Gesù conservano integro il loro vigore alle soglie dell'anno 2000. Sono validi per tutti voi, miei cari fratelli. Nella ricerca della giustizia del Regno, non possiamo fermarci di fronte a difficoltà e incomprensioni. Se l'invito del Maestro alla giustizia, al servizio e all'amore viene accolto come Buona Novella, allora il cuore si allarga, si trasformano i criteri e nasce la cultura dell'amore e della vita. Questo è il grande cambiamento che la società attende e di cui ha bisogno; lo si potrà raggiungere solo se prima avrà luogo la conversione del cuore di ognuno come condizione per i necessari mutamenti nelle strutture della società.

6. «Lo Spirito del Signore mi ha mandato per proclamare ai prigionieri la liberazione (...) per rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,18). La buona novella di Gesù deve essere accompagnata da un annuncio di libertà, basato sul solido fondamento della verità: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Jn 8,31-32). La verità a cui si riferisce Gesù non è solo la comprensione intellettuale della realtà, bensì la verità sull'uomo e la sua condizione trascendente, sui suoi diritti e doveri, sulla sua grandezza e i suoi limiti. È la stessa verità che Gesù proclamò con la sua vita, riaffermò di fronte a Pilato e, con il suo silenzio, di fronte ad Erode; è la stessa che lo portò alla croce salvifica e alla risurrezione gloriosa.

La libertà che non è fondata sulla verità condiziona l'uomo a tal punto che a volte lo rende oggetto anziché soggetto del contesto sociale, culturale, economico e politico, lasciandolo quasi totalmente privo d'iniziativa riguardo allo sviluppo personale. Altre volte, questa libertà è di tipo individualistico e, non tenendo conto della libertà degli altri, chiude l'uomo nel proprio egoismo. La conquista della libertà nella responsabilità rappresenta un compito imprescindibile per ogni persona. Per i cristiani, la libertà dei figli di Dio non è soltanto un dono e un compito; il suo conseguimento implica pure un'inestimabile testimonianza e un genuino contributo nel cammino di liberazione di tutto il genere umano. Questa liberazione non si riduce agli aspetti sociali e politici, ma raggiunge la sua pienezza nell'esercizio della libertà di coscienza, base e fondamento degli altri diritti umani.

(Rispondendo all'invocazione elevata dalla folla: «Il Papa vive e ci vuole tutti liberi!», Giovanni Paolo II ha aggiunto:)

Sì, vive con quella libertà alla quale Cristo vi ha liberato.

Per molti dei sistemi politici ed economici vigenti oggi, la sfida più grande continua ad essere rappresentata dal coniugare libertà e giustizia sociale, libertà e solidarietà, senza che nessuna di esse venga relegata ad un livello inferiore. In tal senso, la Dottrina sociale della Chiesa costituisce uno sforzo di riflessione e una proposta che cerca di illuminare e di conciliare i rapporti tra i diritti inalienabili di ogni uomo e le esigenze sociali, in modo che la persona porti a compimento le sue aspirazioni più profonde e la propria realizzazione integrale secondo la sua condizione di figlio di Dio e di cittadino. Di conseguenza, il laicato cattolico deve contribuire a questa realizzazione mediante l'applicazione degli insegnamenti sociali della Chiesa nei diversi ambienti, aperti a tutti gli uomini di buona volontà.

7. Nel Vangelo proclamato oggi la giustizia appare intimamente legata alla verità. È quello che si osserva anche nel pensiero lucido dei padri della Patria. Il Servo di Dio Padre Félix Varela, animato dalla fede cristiana e dalla fedeltà al ministero sacerdotale, pose nel cuore del popolo cubano i semi della giustizia e della libertà che egli sognava di veder germogliare in una Cuba libera e indipendente.

La dottrina di José Martí sull'amore tra tutti gli uomini ha radici profondamente evangeliche, superando così il falso conflitto tra la fede in Dio e l'amore e il servizio alla Patria. Scrive Martí: «Pura, disinteressata, perseguitata, martirizzata, poetica e semplice, la religione del Nazareno ha sedotto tutti gli uomini onesti... Ogni popolo ha bisogno di essere religioso. Lo deve essere non solo nella sua essenza, ma anche per sua utilità... Un popolo non religioso è destinato a morire, poiché in esso nulla alimenta la virtù. Le ingiustizie umane la disprezzano; è necessario che la giustizia celeste la garantisca».

Come sapete, Cuba possiede un'anima cristiana, e questo l'ha portata ad avere una vocazione universale. Chiamata a vincere l'isolamento, deve aprirsi al mondo e il mondo deve avvicinarsi a Cuba, al suo popolo, ai suoi figli, che ne rappresentano senza dubbio la maggiore ricchezza. È giunta l'ora di intraprendere i nuovi cammini che i tempi di rinnovamento in cui viviamo esigono, all'approssimarsi del Terzo millennio dell'era cristiana!

8. Carissimi fratelli: Dio ha benedetto questo popolo con autentici formatori della coscienza nazionale, chiari e fermi esponenti della fede cristiana, che è il più valido sostegno della virtù e dell'amore. Oggi i Vescovi, insieme ai sacerdoti, ai consacrati, alle consacrate e ai fedeli laici, si sforzano di costruire ponti per avvicinare le menti e i cuori, propiziando e consolidando la pace, preparando la civiltà dell'amore e della giustizia. Sono qui fra voi come messaggero della verità e della speranza. Per questo desidero ripetere il mio appello a lasciarvi illuminare da Gesù Cristo, ad accettare senza riserve lo splendore della sua verità, affinché tutti possano seguire il cammino dell'unità attraverso l'amore e la solidarietà, evitando l'esclusione, l'isolamento e lo scontro, che sono contrari alla volontà del Dio-Amore.

Che lo Spirito Santo illumini con i suoi doni quanti hanno responsabilità diverse nei confronti di questo popolo, che ho nel cuore. Che la «Virgen de la Caridad de El Cobre», Regina di Cuba, ottenga per i suoi figli i doni della pace, del progresso e della felicità.

Questo vento di oggi è molto significativo, perché il vento simboleggia lo Spirito Santo. «Spiritus spirat ubi vult, Spiritus vult spirare in Cuba». Le ultime parole sono in lingua latina perché Cuba appartiene anche alla tradizione latina. America latina, Cuba latina, lingua latina! «Spiritus spirat ubi vult et vult Cubam». Arrivederci.


133

VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA

DEL SACRO CUORE DI GESÙ IN PRATI


Domenica, 1° febbraio 1998


1. "Oggi si è adempiuta questa Scrittura" (Lc 4,21). Gesù dà inizio alla sua predicazione nella sinagoga di Nazareth, annunciando ai suoi concittadini che in Lui si compiono le antiche profezie riguardanti l'atteso Messia. L'"oggi", proclamato da Cristo quel giorno, vale ormai per ogni tempo. Esso risuona stamani anche per noi in questa chiesa, ricordandoci l'attualità della salvezza. Dio viene incontro agli uomini ed alle donne di tutte le epoche nella situazione concreta in cui essi si trovano e li invita ad accogliere la verità del Vangelo ed a camminare sulle vie del bene.

Le parole di Gesù a Nazareth provocarono una forte reazione in chi le ascoltava: alcuni rimasero positivamente affascinati, mentre altri le respinsero e tentarono perfino di ucciderlo (cfr Lc 4,28-30). Gesù si rivela così, fin dall'inizio, un segno di contraddizione per quanti lo incontrano e tale rimane ancora oggi per l'umanità del nostro tempo alle soglie del terzo millennio.

2. "Ti ho stabilito profeta delle nazioni" (Jr 1,5). Anche il racconto della vocazione di Geremia, che abbiamo ascoltato nella prima Lettura, sottolinea l'universalità della salvezza. In effetti, la missione del profeta non si limita al popolo d'Israele, ma si apre su orizzonti universali. Il testo biblico si sofferma a descrivere i dolori e le difficoltà che Geremia incontrerà nell'adempimento del suo compito. Al profeta, però, viene in pari tempo assicurata la forza necessaria per portare a compimento quanto gli è stato affidato. Il Signore lo rassicura: "Io sono con te per salvarti" (Jr 1,19). Iddio è pienamente coinvolto nella missione del profeta ed è proprio su questa promessa che si fonda la certezza di fede del superamento di ogni ostacolo.

Quanto proclama questo significativo passaggio del Libro di Geremia troverà pieno compimento nella missione di Gesù e poi in quella affidata alla Chiesa. Nell'adempiere il mandato ricevuto da Cristo, la Comunità cristiana dovrà affrontare non poche difficoltà nel corso dei secoli. Tuttavia, essa sa di poter contare sulla forza dello Spirito Santo e sulla presenza, misteriosa ma reale, del Risorto.

3. Carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù in Prati! Sono lieto di celebrare oggi l'Eucaristia insieme con voi, nella vostra bella chiesa parrocchiale, che si trova a poca distanza dalla casa del Papa. Tante volte sono passato davanti a questo tempio e sono rimasto colpito dalla sua caratteristica facciata, ricca di guglie, pinnacoli e statue, singolare esempio di stile neo-gotico a Roma.

Saluto cordialmente il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il vostro zelante Parroco, Padre Roberto Zambolin, e tutti i suoi collaboratori della famiglia religiosa dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù. Il mio affettuoso pensiero va inoltre agli operatori parrocchiali, ai membri dei vari gruppi e a tutti coloro che hanno offerto la loro disponibilità per sostenere le varie iniziative della Missione cittadina.

Proprio oggi, io stesso darò inizio alla fase della Missione denominata "visita alle famiglie". Al termine della Santa Messa, infatti, avrò la gioia di visitare una famiglia di questa Comunità a cui lascerò in ricordo il libro degli Atti degli Apostoli, accompagnato dalla lettera che, come Vescovo di Roma, ho indirizzato a tutte le famiglie di questa amata Città. Incontrando queste persone, vorrei in qualche modo essere vicino a tutte le famiglie della parrocchia e rivolgere loro l'invito che desidero estendere a tutti i nuclei familiari della città: "Aprite la porta a Cristo!".

Nelle prossime settimane oltre tredicimila missionari visiteranno le famiglie romane e le inviteranno a far spazio nella loro vita a Cristo, unico Redentore dell'uomo. Chiedo a tutti di accogliere con fiducia e con gioia questi missionari, che recano un messaggio di speranza. Essi vanno nelle case per annunciare e testimoniare Cristo e, nello stesso tempo, per esprimere solidarietà ed amicizia, offrendo attenzione ai problemi e recando il conforto della fede. Sarà cura dei parroci promuovere incontri nei numerosi centri di ascolto che durante il tempo della Quaresima si terranno in tutte le parrocchie. Ricorderanno a tutti ed a ciascuno le varie iniziative che in ogni parrocchia si programmano in occasione della Missione cittadina, che vuole essere una risposta al profondo bisogno di Dio presente nella nostra Città.

4. La Missione cittadina intende essere, altresì, una preparazione all'Anno Santo del Duemila, fatta non soltanto di opere esteriori, ma soprattutto di rinnovamento interiore, affinché la Chiesa e la popolazione di Roma possano accogliere fraternamente i pellegrini del Duemila, testimoniando una fede coraggiosa e ricca di gioia.

Carissimi parrocchiani! La vostra Comunità, proprio a motivo della sua vicinanza alla Sede di Pietro, durante l'Anno Santo costituirà un significativo luogo di incontro con molti pellegrini. Vi invito fin d'ora a prepararvi a questo vostro compito di accoglienza fraterna e di testimonianza generosa, di comune coinvolgimento nella preghiera di lode e di ringraziamento e d'intercessione a Dio, che duemila anni fa è venuto a visitare l'umanità e continuamente visita la sua Chiesa.

Già ora la vostra parrocchia, che conta un considerevole numero di abitanti, rappresenta un punto di passaggio e di confluenza di pellegrini, cittadini, uomini politici, professionisti. Numerosi sono i luoghi di ospitalità e di ritrovo per giovani e adulti. Molte istituzioni pubbliche hanno qui la loro sede, a cominciare dal Palazzo di Giustizia. Fate in modo che non manchi l'attenzione per nessuno, offrendo a tutti l'opportunità di ascoltare l'annuncio del Vangelo.

5. Con singolare attenzione, pensate alla famiglia ed ai giovani. Proprio oggi la Chiesa italiana celebra la Giornata per la Vita, e la nostra comunità diocesana inizia la Settimana per la Famiglia, che concluderemo insieme sabato prossimo nell'Aula Paolo VI, in Vaticano. Ogni nucleo familiare, grande o piccolo, composto da persone giovani o meno giovani, deve sentirsi amato e sostenuto dalla Chiesa. In ogni famiglia si dia spazio e accoglienza alla vita. Essa va sempre e comunque servita con generosità; è un bene inviolabile che va accolto, amato e difeso dal momento del concepimento fino al suo termine naturale.

Vi esorto ad impegnarvi, in particolare, nel sostegno alla vita di chi è povero, anziano o solo, favorendo l'opera del Volontariato Vincenziano e del Gruppo Anziani, che tanto già fanno nella vostra parrocchia.

Riservate una speciale attenzione ai giovani, la cui presenza in questa parrocchia è numerosa ed attiva. La comunità cristiana li aiuti ad aprirsi all'amore, a vivere il tempo del fidanzamento come tempo di grazia, a prepararsi bene al matrimonio. Le famiglie cristiane già formate hanno qui un ruolo particolare ed impegnativo da compiere: quello di trasmettere ai figli e nipoti i valori fondamentali del matrimonio, quali la fedeltà, l'indissolubilità e l'apertura al dono della vita.

E che dire poi della scuola cattolica, che ha un importante servizio formativo da svolgere in questo compito di preparazione alla vita e di educazione all'amore cristiano? In questa sua fondamentale missione essa si senta incoraggiata dal Papa e aiutata da tutti i credenti. Vorrei salutare con affetto l'Istituto delle Maestre Pie Venerini, che hanno qui anche la loro Casa Generalizia, e l'Istituto delle Religiose di Nazareth, che pure operano a servizio della gioventù. Possa Iddio benedire e rendere fruttuosi gli sforzi che si compiono al servizio dell'educazione cristiana nell'ambito scolastico, grazie anche al contributo delle famiglie.

6. "Se... non avessi la carità, niente mi giova" (1Co 12,3). Dopo aver presentato la molteplicità dei doni e dei carismi, san Paolo indica nella suprema legge dell'amore la "via migliore di tutte" (1Co 12,31). Questo testo biblico, che l'odierna Liturgia propone nella seconda Lettura, ci ricorda che la carità deve sempre essere considerata al primo posto: nella famiglia, nella società, nella parrocchia, nella Chiesa. E' la carità l'anima di tutto. Essa è divino dinamismo che dà vigore ai credenti e li rende missionari al servizio del Vangelo.

Cari fedeli di questa Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù, siate testimoni del Vangelo della carità. Diffondete l'amore di Dio fra tutti coloro che vivono, lavorano, studiano o trascorrono il loro tempo libero in questo quartiere. Servite la verità di Cristo con tenacia, coraggio e fedeltà. Il Signore, che ha promesso di restare sempre con i suoi discepoli, vi accompagni nel vostro cammino. A lui volgete lo sguardo.

Maria, Madre di Gesù, che la Chiesa invoca incessantemente, vi accompagni nella missione alle famiglie e renda la vostra comunità parrocchiale sempre più fervorosa e zelante.

Amen!


134

GIOVANNI PAOLO II

SANTA MESSA PER I RELIGIOSI E LE RELIGIOSE, NELLA FESTA


DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE,


E SECONDA GIORNATA DELLA VITA CONSACRATA


OMELIA


2 febbraio 1998



1. Lumen ad revelationem gentium! "Luce per illuminare le genti" (Lc 2,32).

Queste parole risuonano nel tempio di Gerusalemme, mentre Maria e Giuseppe, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, si apprestano ad "offrirlo al Signore" (Lc 2,22). L'evangelista Luca, sottolineando il contrasto tra l'iniziativa modesta ed umile dei due genitori e la gloria dell'avvenimento percepita da Simeone ed Anna, sembra voler suggerire che il tempio stesso attenda la venuta del Bambino. Nell'atteggiamento profetico dei due vegliardi, infatti, è tutta l'Antica Alleanza che esprime la gioia dell'incontro con il Redentore.

Entrambi in attesa del Messia, entrambi ispirati dallo Spirito Santo, Simeone ed Anna si recano al tempio mentre Maria e Giuseppe, in obbedienza alle prescrizioni della Legge, vi portano Gesù. Alla vista del Bambino essi, Simeone e Anna, intuiscono che è proprio Lui l'Atteso, e Simeone, quasi in estasi, proclama: "Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele" (Lc 2,29-32).

2. Lumen ad revelationem gentium!

Simeone, l'uomo dell'Antica Alleanza, l'uomo del tempio di Gerusalemme, con le sue parole ispirate esprime la convinzione che quella Luce è destinata non soltanto ad Israele, ma anche ai pagani ed a tutti i popoli della terra. Con lui la "vecchiaia" del mondo accoglie tra le braccia lo splendore dell'eterna "giovinezza" di Dio. Sullo sfondo, però, già si profila l'ombra della Croce, perché le tenebre rifiuteranno quella Luce. Infatti Simeone, rivolgendosi a Maria, profetizza: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima" (Lc 2,34-35).

3. Lumen ad revelationem gentium!

Le parole del Cantico di Simeone risuonano in tanti templi della Nuova Alleanza, dove i discepoli di Cristo ogni sera terminano con la recita della Compieta la preghiera liturgica delle Ore. In questo modo la Chiesa, popolo della Nuova Alleanza, accoglie quasi l'ultima parola dell'Alleanza Antica e proclama il compimento della divina promessa, annunciando che la "luce per illuminare le genti" si è diffusa su tutta la terra ed è presente dappertutto nell'opera redentrice di Cristo.

Insieme al Cantico di Simeone, la liturgia delle Ore ci fa ripetere le ultime parole pronunciate da Cristo sulla croce: In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum - "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (cfr Lc 23,46). Ci invita, altresì, a contemplare con stupore e gratitudine l'azione salvifica di Cristo, "luce che illumina le genti", nei confronti dell'umanità: Redemisti nos, Domine, Deus veritatis - "Ci hai redenti, Signore, Dio di verità". La Chiesa annuncia così che si è compiuta la redenzione del mondo, attesa dai profeti ed annunciata da Simeone nel tempio di Gerusalemme.

4. Lumen ad revelationem gentium!

Oggi anche noi, con le candele accese, andiamo incontro a Colui che è "la Luce del mondo" e l'accogliamo nella sua Chiesa con tutto lo slancio della nostra fede battesimale. A quanti professano sinceramente questa fede è promesso l'"incontro" ultimo e definitivo con il Signore nel suo Regno. Nella tradizione polacca, come pure in quella di altre Nazioni, queste candele benedette hanno un significato speciale perché, portate a casa, vengono accese nei momenti di pericolo, durante i temporali e i cataclismi, in segno di affidamento di sé, della famiglia e di quanto si possiede alla protezione divina. Ecco perché, in polacco, questi ceri si chiamano "gromnice", cioè candele che allontanano i fulmini e proteggono contro il male e questa festa prende il nome di Candelora (letteralmente: Santa Maria delle Candele ["gromnice"]).
Ancor più eloquente è l'usanza di mettere la candela, benedetta in questo giorno, tra le mani del cristiano, sul letto di morte, perché illumini gli ultimi passi del suo cammino verso l'eternità. Con tale gesto si intende affermare che il morente, seguendo la luce della fede, attende d'entrare nelle eterne dimore, dove non si ha più "bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio lo illuminerà" (cfr Ap 22,5).

A questo ingresso nel Regno della luce allude anche l'odierno Salmo responsoriale: "Sollevate, porte, i vostri frontali,/ alzatevi, porte antiche,/ ed entri il re della gloria" (Sal 23[24],7). Sono parole che si riferiscono direttamente a Gesù Cristo, il quale entra nel tempio dell'Antica Alleanza, recato in braccio dai suoi genitori, ma per analogia le possiamo riferire ad ogni credente che varca la soglia dell'eternità, portato tra le braccia dalla Chiesa. I credenti ne accompagnano l'estremo passaggio pregando: "Risplenda a lui la luce eterna!", perché gli angeli e i santi l'accolgano e Cristo, Redentore dell'uomo, lo circondi con la sua luce eterna.

5. Carissimi Fratelli e Sorelle!

Celebriamo, quest'oggi, la seconda Giornata della Vita Consacrata, che intende suscitare nella Chiesa una rinnovata attenzione per il dono della vocazione alla vita consacrata. Cari religiosi e religiose, cari membri degli Istituti Secolari e delle Società di Vita Apostolica, il Signore vi ha chiamati alla sua sequela in modo più stretto e singolare! Nel nostro tempo, dominato dal secolarismo e dal materialismo, voi costituite con la vostra totale e definitiva donazione a Cristo il segno di una vita alternativa alla logica del mondo, perché radicalmente ispirata al Vangelo e proiettata verso le realtà future, escatologiche. Rimanete sempre fedeli a questa vostra speciale vocazione! Vorrei, quest'oggi, rinnovarvi l'espressione del mio affetto e della mia stima. Saluto innanzitutto il Cardinale Eduardo Martínez Somalo, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che presiede questa Celebrazione eucaristica. Insieme a lui saluto i membri di quel Dicastero e quanti operano al servizio della vita consacrata. Penso specialmente a voi, giovani aspiranti alla vita consacrata, a voi, uomini e donne già professi nelle varie Congregazioni religiose e negli Istituti Secolari, a voi che per l'età avanzata o per la malattia siete chiamati ad offrire il contributo prezioso della vostra sofferenza alla causa dell'evangelizzazione. A tutti ripeto: "Voi sapete a chi avete creduto (cfr 2Tm 1,12): dategli tutto!... Vivete la fedeltà al vostro impegno verso Dio, in mutua edificazione e con mutuo sostegno... Non dimenticate che voi, in modo particolarissimo, potete e dovete dire non solo che siete di Cristo, ma che «siete divenuti Cristo»" (Esort. ap. Vita consecrata, 109).

I ceri accesi, recati da ciascuno nella prima parte di questa solenne liturgia, manifestano la vigile attesa del Signore che deve caratterizzare la vita di ogni credente e specialmente di coloro che il Signore chiama ad una speciale missione nella Chiesa. Sono un forte richiamo a testimoniare al mondo Cristo, la luce che non tramonta: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli" (Mt 5,16).

Carissimi Fratelli e Sorelle, la vostra totale fedeltà a Cristo povero, casto e obbediente sia per quanti incontrate sorgente di luce e di speranza.

6. Lumen ad revelationem gentium!

Maria, Colei che ha compiuto la volontà del Padre, pronta all'obbedienza, coraggiosa nella povertà, accogliente nella verginità feconda, ottenga da Gesù che "quanti hanno ricevuto il dono di seguirlo nella vita consacrata lo sappiano testimoniare con un'esistenza trasfigurata, camminando gioiosamente con tutti gli altri fratelli e sorelle verso la patria celeste e la luce che non conosce tramonto" (Ibid., 112).

Sia lodato Gesù Cristo!


ESEQUIE DI S.Em. CARD. EDUARDO FRANCISCO PIRONIO




7 Febbraio 1998

1. «Questa è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in Lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Jn 6,40).

La promessa di Cristo, che abbiamo poc'anzi ascoltato nel Vangelo, apre il nostro cuore alla speranza: Egli, che è il Signore della vita, è venuto perché "nulla vada perduto di quanto il Padre gli ha affidato". Dinanzi alla morte, l'essere umano proprio questa paura avverte, di essere perduto. Il suo cuore vacilla, ogni sua certezza si fa precaria e il buio dell'incognito lo getta nello sgomento.

La parola di Cristo diventa allora l'unica chiave per sciogliere l'enigma della morte. Essa è la luce che rischiara il cammino della vita e dà valore ad ogni suo attimo: anche al dolore, alla sofferenza e all'estremo distacco. "Chiunque vede il Figlio e crede in lui ha la vita eterna", afferma Gesù. Credere in Lui è fidarsi della sua parola, contando solo sulla potenza del suo amore misericordioso.

Queste considerazioni, carissimi Fratelli e Sorelle, sorgono spontanee nel nostro cuore, mentre ci troviamo raccolti in preghiera accanto alla salma del nostro Fratello, il caro Cardinale Eduardo Francisco Pironio, che oggi accompagniamo all'estrema dimora. Egli è stato testimone di quella fede coraggiosa che sa fidarsi di Dio anche quando, nei disegni misteriosi della sua Provvidenza, Egli consente la prova.

2. Sì, questo nostro venerato Fratello ha creduto con fede incrollabile nelle promesse del Redentore. Con queste parole inizia il suo Testamento spirituale: «Fui battezzato nel nome della Trinità Santissima; credetti fermamente in Essa, per la misericordia di Dio; ne gustai l'amorosa presenza nella piccolezza della mia anima... Ora entro nella "gioia del mio Signore", nella contemplazione diretta, "faccia a faccia", della Trinità. Finora "ho pellegrinato da lontano verso il Signore", adesso "lo vedo quale Egli è". Sono felice. Magnificat!»

La sua era una fede appresa sulle ginocchia della madre, donna di salda seppur semplice formazione cristiana, che seppe imprimere nel cuore dei figli il genuino senso evangelico dell'esistenza. «Nella storia della mia famiglia - ebbe a dire un giorno il compianto Cardinale - c'è del miracoloso. Quando ebbe il suo primo figlio, mia madre aveva appena diciotto anni e si ammalò gravemente. Guarita, i medici le dissero che non avrebbe più potuto avere figli senza mettere a repentaglio la propria vita. Andò allora a consultare il Vescovo ausiliare di La Plata che le disse: "I medici possono sbagliare: si metta nelle mani di Dio e compia i suoi doveri di sposa". Mia madre da allora mise al mondo altri ventuno figli. Io sono l'ultimo nato e lei è vissuta fino ad ottantadue anni. Ma la storia non finisce qui, perché negli anni successivi venni nominato Vescovo ausiliare di La Plata, proprio al posto di colui che aveva benedetto mia madre. Nel giorno della mia ordinazione episcopale - continua sempre il Cardinale Pironio - l'Arcivescovo mi consegnò in regalo la croce pettorale di quel Vescovo senza sapere la storia che c'era dietro. Quando gli rivelai che dovevo la vita al proprietario di quella croce, egli pianse».

Ho voluto riferire questo episodio narrato dallo stesso Cardinale, perché pone in evidenza le ragioni che hanno sostenuto il suo cammino di fede. La sua esistenza è stata un cantico di fede al Dio della vita. Lo dice ancora lui nel suo Testamento spirituale: «Quanto è bello vivere! Tu ci hai fatti, Signore, per la vita. L'amo, la offro, l'attendo. Tu sei la Vita, come sei sempre stato la mia Verità e la mia Via».

3. Abbiamo ascoltato poc'anzi le parole della lettera di san Pietro: «Siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere per un po' di tempo afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede... torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo» (1P 1,6-7). Esse fotografano il ministero sacerdotale del Cardinale Pironio. Egli ha testimoniato la sua fede nella gioia: gioia di essere sacerdote e desiderio costante di «comunicarla ai giovani d'oggi, quale mio migliore testamento ed eredità», come egli stesso ha lasciato scritto. Gioia di servire il Vangelo, nei vari ed onerosi compiti che gli furono affidati.

Nato il 3 dicembre 1920, fu ordinato sacerdote nella Basilica di Nostra Signora di Luján il 5 dicembre 1943. Nei primi anni di ministero svolse un'intensa attività educativa e didattica nel Seminario di Buenos Aires. Durante l'Assise ecumenica del Vaticano II gli fu chiesto di intervenire ai lavori quale perito conciliare. Nel 1964 Paolo VI lo affiancò quale Ausiliare all'Arcivescovo di La Plata. Fu poi nominato Amministratore Apostolico di Avellaneda e Segretario Generale del CELAM, di cui divenne anche Presidente. Successivamente fu promosso alla sede di Mar del Plata. Paolo VI lo volle accanto a sé, affidandogli l'allora Congregazione per i Religiosi e per gli Istituti secolari, e lo elevò nel 1976 alla dignità cardinalizia. Io stesso, l'8 aprile 1984, lo chiamai a reggere il Pontificio Consiglio per i Laici, dove rimase fino al 20 agosto 1996, lavorando sempre con giovanile entusiasmo e profonda competenza.

4. Il suo servizio alla Chiesa, dunque, andò man mano assumendo una dimensione sempre più vasta ed universale: dapprima una diocesi in Argentina, poi il continente latino-americano e successivamente, chiamato nella Curia Romana, l'intera comunità cattolica. Qui a Roma egli continuò con lo stile pastorale di sempre, manifestando uno spiccato amore per la vita consacrata e per i laici, in particolare per i giovani. Nel suo Testamento spirituale ha scritto: «Come amo i religiosi e le religiose e tutti i laici consacrati nel mondo! Come invoco Maria Santissima per loro! Come offro oggi con gioia la mia vita perché siano fedeli!... Li amo intensamente, li abbraccio e li benedico». Ed aggiunge: «Rendo grazie a Dio per aver potuto consumare le mie povere forze e talenti nella dedizione ai carissimi laici, l'amicizia e la testimonianza dei quali mi hanno arricchito spiritualmente».

Come dimenticare il grande apporto da lui dato alle celebrazioni delle Giornate Mondiali della Gioventù? Vorrei rendere qui pubblicamente un cordiale grazie a questo Fratello, che mi è stato di grande aiuto nell'esercizio del ministero petrino.

5. Questa sua incessante cooperazione si è fatta ancor più apostolica in questi ultimi suoi anni segnati dalla malattia. L'apostolo Pietro ci ha parlato poc'anzi del "valore della fede, molto più preziosa dell'oro", e ci ha ricordato che non dobbiamo meravigliarci se siamo sottoposti alla prova, dal momento che quel metallo, «pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco» (1P 1,7). La fede del Cardinale Pironio fu provata duramente nel crogiolo della sofferenza. Minato nel fisico da una grave malattia, ha saputo accettare con rassegnazione e pazienza la pesante prova che gli veniva richiesta. Di questa sua ardua esperienza ha lasciato scritto: «Ringrazio il Signore per il privilegio della croce. Mi sento felicissimo di aver molto sofferto. Solo mi dispiace di non aver sofferto bene e di non aver assaporato sempre in silenzio la mia croce. Desidero che, almeno ora, la mia croce inizi ad essere luminosa e feconda».

Ed al tramonto dell'esistenza, ha saputo trarre ancora dalla fede quell'ottimismo e quella speranza che hanno contraddistinto l'intera sua vita. «Tutte le cose... sono tue, Signore amante della vita» (Sg 11,26), amava ripetere ed il suo motto cardinalizio ne era quasi il sigillo: «Cristo in voi, speranza della gloria».

6. Nell'affidare alla misericordia del Signore l'anima eletta di questo carissimo Fratello, facciamo nostre le parole del libro della Sapienza che abbiamo ascoltato: Tu, o Signore, «non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento» (11, 23).

Il Cardinale Pironio aveva un vivo senso della fragilità umana: nel suo Testamento spirituale, che ci ha fatto da guida in queste nostre riflessioni, più volte domanda perdono. Lo chiede con umiltà, con fiducia. Dinanzi alla santità di Dio, ogni umana creatura non può che battersi il petto e confessare: «Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi» (Sg 11,23).

Lo accompagniamo con la preghiera, ora che entra nella casa del Padre. Lo affidiamo a Maria, Madre della speranza e della gioia, verso la quale grande fu la sua devozione. Sul finire dei giorni, quando ormai era tempo di sciogliere le vele per l'ultimo viaggio, scriveva nel suo Testamento: «Tutti abbraccio di vero cuore per l'ultima volta nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Tutti depongo nel cuore di Maria, la Vergine povera, contemplativa e fedele. Ave Maria! A lei chiedo: "Mostraci dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del tuo seno!"».

Voglia la Madre di Dio accoglierlo tra le sue braccia e introdurlo nella dimora eterna che il Signore prepara per i suoi servi fedeli.

E tu, caro Fratello, riposa in pace! Amen.



GPII Omelie 1996-2005 132