GPII Omelie 1996-2005 143

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VIAGGIO APOSTOLICO

DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

IN NIGERIA (21-23 MARZO 1998)

MESSA DI BEATIFICAZIONE DI PADRE CYPRIAN TANSI



Domenica, 22 marzo 1998



«È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2Co 5,19).

Cari Fratelli e Care Sorelle,

1. Dio mi ha donato per la seconda volta la gioia di venire qui a Onitsha per celebrare il Santo Sacrificio della Messa con voi. Sedici anni fa mi avete accolto in questa bella terra e ho potuto provare il calore e il fervore di un popolo pieno di fede, uomini e donne riconciliati con Dio e desiderosi di diffondere la Buona Novella della salvezza fra persone vicine e lontane. San Paolo parla della nuova creazione in Cristo (cfr 2Co 5,17) e continua dicendoci: «E' stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. ...Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Co 5,19-20). L'Apostolo affronta qui la storia di ogni uomo e di ogni donna: Dio, nel suo Figlio unigenito Gesù Cristo, ci ha riconciliati a sé.

Questa stessa verità viene presentata in maniera ancor più vivida nel Vangelo di oggi. San Luca ci racconta di un giovane che abbandona la casa del padre, subisce le conseguenze dolorose di quest'azione e poi trova la strada della riconciliazione. Il giovane torna dal padre e dice «Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni» (Lc 15,18-19). Il padre accoglie di nuovo il figlio a braccia aperte e gioisce perché suo figlio è tornato. II padre della parabola rappresenta il nostro Padre celeste, che desidera riconciliare tutti a sé in Cristo. Questa è la riconciliazione che la Chiesa proclama.

I Vescovi di tutta l'Africa, riuniti per una Sessione Speciale del Sinodo per affrontare i problemi di questo continente, hanno detto che la Chiesa in Africa è diventata, grazie alla testimonianza resa dai suoi figli e dalle sue figlie, luogo di autentica riconciliazione (cfr Ecclesia in Africa, n. 79). Riconciliandosi per primi fra di loro, i membri della Chiesa porteranno alla società il perdono e la riconciliazione di Cristo nostra pace (cfr Ep 2,14). «Altrimenti - hanno detto i Vescovi - «il mondo assomiglierà sempre più ad un campo di battaglia, dove contano solo gli interessi egoistici e dove regna la legge della forza» (Ibid., n. 79).

Oggi, desidero proclamare l'importanza della riconciliazione: riconciliazione con Dio e riconciliazione delle persone fra di loro. Questo è il compito della Chiesa in questa terra di Nigeria, in questo continente d'Africa e in mezzo a tutti i popoli e tutte le nazioni del mondo. «Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo» (2Co 5,20). Per questo motivo, i cattolici della Nigeria devono essere autentici e efficaci testimoni della fede in tutti gli aspetti della vita,sia a livello pubblico come a livello privato.

2. Oggi uno dei figli della Nigeria, Padre Cyprian Michael Iwene Tansi, è stato proclamato «Beato» proprio nella terra in cui ha predicato la Buona Novella della salvezza e ha cercato di riconciliare i suoi concittadini con Dio e fra di loro. Infatti, la Cattedrale nella quale Padre Tansi è stato ordinato e le parrocchie in cui ha esercitato il suo ministero sacerdotale non sono lontane da Oba, luogo nel quale siamo riuniti. Alcune persone alle quali egli ha annunciato il Vangelo e ha amministrato i sacramenti sono qui con noi oggi. Fra queste c'è il Cardinale Francis Arinze, che è stato battezzato da Padre Tansi e ha ricevuto la sua prima educazione in una delle sue scuole. Nella grande gioia di questo evento, saluto quanti partecipano a questa liturgia, in particolare l'Arcivescovo Albert Obiefuna, Pastore di questa Chiesa locale di Onitsha, e tutti i Vescovi della Nigeria e dei Paesi vicini. Con particolare affetto, saluto i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i catechisti e tutti i fedeli laici. Ringrazio i membri delle altre comunità ecclesiali cristiane, della comunità musulmana e delle altre Tradizioni Religiose che si sono uniti a noi oggi, e le varie autorità statali e locali presenti alla nostra celebrazione. In modo particolare, chiedo a Dio di ricompensare coloro che hanno lavorato tanto duramente, dedicando con generosità tempo, talento e risorse affinché questa beatificazione potesse svolgersi sul suolo nigeriano. Faccio mie le parole del Salmista e invito tutti voi: «Io mi glorio nel Signore; esaltiamo insieme il suo nome» (Ps 34,3)!

3. La vita e la testimonianza di Padre Tansi sono fonte d'ispirazione per tutti in Nigeria, Paese che egli ha amato così tanto. Era soprattutto uomo di Dio: le lunghe ore trascorse davanti al Santissimo Sacramento riempivano il suo cuore di amore generoso e coraggioso. Coloro che lo hanno conosciuto testimoniano il suo grande amore per Dio. Quanti lo hanno incontrato sono rimasti colpiti dalla sua bontà personale. E' stato poi uomo del popolo: ha messo sempre gli altri prima di se stesso ed è stato particolarmente attento alle necessità pastorali delle famiglie. Si è adoperato molto affinché le coppie venissero ben preparate al Santo Matrimonio e ha predicato l'importanza della castità. Ha cercato in tutti i modi di promuovere la dignità delle donne. In particolare, considerava preziosa l'educazione delle giovani. Anche quando venne inviato dal Vescovo Heerey nell'Abbazia Cistercense di Mount Saint Bernard, in Inghilterra, per seguire la propria vocazione monastica, con la speranza di poter riportare in Africa la vita contemplativa, non dimenticò mai il suo popolo e non mancò di elevare preghiere e di offrire sacrifici per la sua continua santificazione.

Padre Tansi sapeva che in ogni essere umano c'è qualcosa del figliuol prodigo. Sapeva che tutti gli uomini e tutte le donne subiscono la tentazione di separarsi da Dio, per condurre un'esistenza indipendente ed improntata all'egoismo. Sapeva che poi sarebbero rimasti delusi dalla vacuità dell'illusione che li aveva affascinati e che alla fine avrebbero trovato in fondo al proprio cuore la strada che li avrebbe riportati alla casa del Padre (cfr Riconciliatio et Paenitentia, n. 5). Incoraggiò le persone a confessare i propri peccati e a ricevere il perdono di Dio nel Sacramento della Riconciliazione. Le supplicò di perdonarsi reciprocamente come Dio perdona noi, di trasmettere il dono della riconciliazione, concretizzandolo a tutti i livelli della vita nigeriana. Padre Tansi ha cercato di imitare il padre della parabola: era sempre disponibile per coloro che cercavano la riconciliazione. Diffondeva la gioia della comunione ritrovata con Dio. Esortava le persone ad accogliere la pace di Cristo e le incoraggiava ad alimentare la vita di grazia con la Parola di Dio e con la Santa Comunione.

4. «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2Co 5,19).

Quando parliamo del mondo riconciliato con Dio, parliamo non solo di individui, ma anche di tutte le comunità: famiglie, clan, tribù, nazioni, stati. Nella Sua provvidenza, Dio ha stretto con l'umanità alleanza dopo alleanza: l'alleanza con i nostri primi genitori nel Giardino dell'Eden, l'alleanza con Noè dopo il Diluvio, l'alleanza con Abramo. La lettera odierna dal Libro di Giosuè ci ricorda l'alleanza stretta con Israele, quando Mosè liberò gli Israeliti dalla schiavitù nella terra d'Egitto. E Dio ha ora stretto l'Alleanza finale e definitiva con tutta l'umanità in Gesù Cristo, che ha riconciliato i singoli uomini e le singole donne, - così come intere nazioni -, con Dio attraverso la sua Passione, Morte e Resurrezione.

Cristo è dunque parte della storia delle nazioni. E' parte della storia della vostra nazione in questo continente d'Africa. Più di cento anni fa, i missionari arrivarono nella vostra terra proclamando il Vangelo della riconciliazione, la Buona Novella della salvezza. I vostri predecessori cominciarono a conoscere il mistero della redenzione del mondo e giunsero a condividere la Nuova Alleanza in Cristo. In tal modo, la fede cristiana si è saldamente radicata in questa terra e continua a crescere e a produrre molti frutti.

Il Beato Cyprian Michael Tansi è un primo esempio dei frutti di santità che sono cresciuti e maturati nella Chiesa in Nigeria, poiché il Vangelo è stato predicato prima in questa terra. Egli ha ricevuto il dono della fede grazie agli sforzi dei missionari e, facendo suo lo stile di vita cristiana, lo ha reso realmente africano e nigeriano. Così anche i nigeriani di oggi, giovani e anziani, sono chiamati a far maturare i frutti spirituali che sono stati piantati fra di loro e che ora sono pronti per essere raccolti. A questo proposito, desidero ringraziare e incoraggiare la Chiesa in Nigeria per la sua opera missionaria nella stessa Nigeria, in Africa e altrove. La testimonianza che Padre Tansi ha reso del Vangelo e della carità cristiana è un dono spirituale che questa Chiesa locale ora offre alla Chiesa universale.

5. Dio, infatti, ha benedetto questa terra con il benessere umano e naturale e tutti hanno il dovere di garantire che queste risorse vengano impiegate per il bene di tutto il popolo. Tutti i nigeriani devono operare per liberare la società da tutto ciò che offende la dignità della persona umana o che viola i diritti umani. Ciò significa riconciliare le diversità, superare le rivalità etniche e infondere onestà, efficienza e competenza all'arte di governare. Poiché la vostra nazione persegue una transizione pacifica verso un governo civile e democratico, occorrono politici, sia uomini sia donne, che amino fino in fondo il proprio popolo e desiderino servire piuttosto che essere serviti (cfr Ecclesia in Africa, n. 111). Non può esserci spazio per l'intimidazione e per l'oppressione dei poveri e dei deboli, per l'esclusione arbitraria di individui e di gruppi dalla vita politica, per l'uso errato dell'autorità o per l'abuso di potere. Infatti, la chiave per risolvere i conflitti economici, politici, culturali ed ideologici è la giustizia; e la giustizia non è completa senza l'amore per il prossimo, senza un atteggiamento di servizio umile e generoso.

Quando considereremo gli altri come fratelli e sorelle, allora sarà possibile dare avvio al processo di risanamento delle divisioni all'interno della società e fra i gruppi etnici. Questa riconciliazione è la via che conduce alla vera pace e al progresso autentico della Nigeria e dell'Africa. Questa riconciliazione non è debolezza o codardia. Al contrario essa esige coraggio e a volte perfino eroismo: è vittoria su se stessi piuttosto che sugli altri. Non dovrebbe mai essere considerata come un disonore. In realtà si tratta della paziente, saggia arte della pace.

6. Il brano dal Libro di Giosuè che abbiamo ascoltato nella Prima Lettura della liturgia di oggi parla della Pasqua che i figli di Israele celebrarono dopo essere arrivati nella Terra Promessa.

La celebrarono con gioia perché vedevano con i propri occhi che il Signore aveva mantenuto le promesse fatte loro. Dopo aver errato per quaranta anni nel deserto, erano giunti nella terra che Dio donava loro. La Pasqua dell'Antico Testamento, il ricordo dell'esodo dall'Egitto, è l'immagine della Pasqua del Nuovo Testamento, il ricordo del passaggio di Cristo dalla morte alla vita, che evochiamo e celebriamo in ogni Messa.

Di fronte all'Altare del Sacrificio, per essere fra breve nutriti e rafforzati dal Corpo e dal Sangue di Cristo, dobbiamo essere convinti del fatto che ognuno di noi, secondo la sua particolare condizione di vita, è chiamato a fare non meno di quanto ha compiuto Padre Tansi.

Essendo stati riconciliati a Dio, dobbiamo essere strumenti di riconciliazione, trattando tutti gli uomini e e tutte le donne come fratelli e sorelle, chiamati a essere membri dell'unica famiglia di Dio.

La riconciliazione implica necessariamente la solidarietà. L'effetto della solidarietà è la pace, i cui frutti sono la gioia e l'unità nelle famiglie, la cooperazione e lo sviluppo nella società, la verità e la giustizia nella vita della nazione. Che questo possa essere il futuro luminoso della Nigeria!

«Il Dio della pace sia con tutti voi» (Rm 15,32).
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VIAGGIO APOSTOLICO

DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

IN NIGERIA (21-23 MARZO 1998)


Kubwa Arena, Abuja

Lunedì 23 marzo 1998

«Siete concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ep 2,19).


Cari Fratelli e care Sorelle in Cristo,

1. Queste parole della Lettera di San Paolo agli Efesini assumono un particolare significato qui, nella nuova Capitale Federale, la Città di Abuja. In un senso molto reale, questa Città intende rappresentare l'alba di una nuova era per la Nigeria e per i Nigeriani, un'era colma di speranza in cui ogni cittadino nigeriano, ogni uomo e ogni donna, è chiamato a svolgere un ruolo nella costruzione di una nuova realtà in questa terra. La Nigeria, come tutta l'Africa, è alla ricerca di un modo per soddisfare le aspirazioni della sua gente, per lasciarsi alle spalle gli effetti della povertà, dei conflitti, delle guerre, della disperazione, per poter utilizzare in modo adeguato le immense risorse del continente e raggiungere la stabilità politica e sociale. L'Africa ha bisogno di speranza, pace, gioia, armonia, amore e unità: è questo che hanno affermato i Padri dell'Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi (cfr Ecclesia in Africa, n. 40). È questo che oggi, nella nostra preghiera, chiediamo a Dio.

Da Abuja desidero esprimere la mia stima e il mio affetto a tutti i nigeriani: a voi, presenti a questa Liturgia Eucaristica e a quanti la seguono attraverso la televisione o la radio. Rivolgo un particolare saluto all'Arcivescovo John Onaiyekan, agli altri Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli laici di tutte le Chiese locali della Nigeria e di altre parti dell'Africa. Saluto i funzionari del Governo, i capi tradizionali e le altre autorità presenti questa mattina. Porgo un cordiale benvenuto ai membri delle altre Chiese e comunità ecclesiali cristiane, rappresentate dalla Christian Association of Nigeria, e ai seguaci delle altre Tradizioni Religiose che si sono uniti a noi, in particolare ai membri della Comunità musulmana.

2. Cari Fratelli e Sorelle in Cristo, sono ormai trascorsi sedici anni dalla mia ultima visita in Nigeria. Il calore con il quale mi avete accolto mi fa, ancora una volta, sentire come a casa. E non siamo forse tutti esortati a sentirci a casa in quanto membri dell'unica grande famiglia di Dio? È proprio questo che ci dice San Paolo: siamo «familiari di Dio», ovvero membri della famiglia di Dio!

Nell'ordine naturale, la famiglia rappresenta il fondamento e la base di tutte le comunità e le società umane. Dal nucleo rappresentato dalla famiglia derivano clan, tribù, popoli e stati; anche la grande famiglia delle nazioni africane nasce, in definitiva, dalla famiglia umana composta da marito e moglie, madre e padre e figli.

La cultura e la tradizione africane tengono nella più alta considerazione la famiglia. È per questo che i popoli dell'Africa gioiscono del dono della nuova vita, una vita concepita e nata; essi respingono spontaneamente l'idea che la vita possa essere distrutta nel grembo materno, anche quando le cosiddette «civiltà progredite» cercano di condurli in questa direzione; essi mostrano rispetto per la vita umana fino alla sua conclusione naturale e riservano in seno alla famiglia un posto ai genitori e ai parenti anziani (cfr Ecclesia in Africa, n. 43). Le culture africane hanno un senso acuto della solidarietà e della vita comunitaria, in particolare per quanto riguarda la famiglia allargata e il villaggio (cfr ibid.). Questi sono segni che comprendete e che soddisfano le esigenze di quella giustizia e di quella integrità di cui parla il profeta Isaia nella Prima Lettura (cfr Is 56,1). Proprio nei rapporti all'interno della famiglia e tra le famiglie, la giustizia e l'integrità diventano una realtà immediata e un impegno pratico.

3. Quando questo ordine naturale viene elevato all'ordine soprannaturale diveniamo membri della famiglia di Dio e veniamo edificati in una casa spirituale dove dimora lo Spirito di Dio. Tuttavia come può ciò che è naturale accedere a ciò che è soprannaturale? Come mai diventiamo membri della famiglia di Dio e veniamo resi templi sacri per lo Spirito di Dio?

La realtà della famiglia, così come esiste a livello culturale e sociale, viene elevata dalla grazia e portata a un livello superiore. Tra i battezzati, i rapporti in seno alla famiglia assumono un carattere nuovo: diventano una comunione di vita e di amore colma di grazia, al servizio della comunità più ampia. Inoltre essi edificano la Chiesa, la famiglia di Dio (cfr Lumen gentium LG 6). La Chiesa, attraverso la sua missione evangelizzatrice e la sua presenza attiva in ogni parte del mondo, conferisce un nuovo significato al concetto stesso di famiglia e, di conseguenza, al concetto di nazione come «famiglia di famiglie» e a quello di mondo come «famiglia di nazioni».

Meraviglioso segno del carattere universale della famiglia di Dio, che include realmente tutti i popoli, è stata ieri, a Onitsha, la beatificazione, prima cerimonia di questo genere mai svoltasi sul suolo nigeriano, in onore di uno dei figli della Nigeria. Si è trattato di una festa in famiglia per il popolo e la nazione nigeriani. Al contempo è stata una celebrazione per tutta la famiglia di Dio: l'intera Chiesa di Dio, in tutto il mondo, ha gioito con la Chiesa in Nigeria e ha ora ricevuto dalla Nigeria l'edificante esempio della vita e della testimonianza del Beato Cyprian Michael Iwene Tansi.

In termini umani, Padre Tansi era figlio di questo Paese, nato nello Stato di Anambra. Nell'ordine soprannaturale della grazia, tuttavia, egli è divenuto qualcosa di più: senza perdere la sua origine naturale, ha trasceso le sue origini terrene ed è divenuto, secondo le parole di san Paolo, uno dei «familiari di Dio», «edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù» (Ep 2,19-20).

Mediante la grazia egli è stato colmato «di gioia nella ... casa di preghiera» (Is 56,7). Ha compreso che la casa di Dio è una «casa di preghiera per tutti i popoli» (ibid.). È una casa di preghiera per gli Housa, gli Yoruba, gli Igbo. È una casa di preghiera per gli Efik, i Tiv, gli Edo, i Gwari, e per i molti altri popoli, troppo numerosi per essere citati, che abitano in questa terra di Nigeria. Non lo è però solo per questi popoli, ma per tutti i popoli dell'Africa, dell'Europa, dell'Asia, dell'Oceania e delle Americhe: «il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli»!

4. Nel Vangelo di oggi, Gesù stesso ci insegna come intendere la famiglia di Dio e come essa possa comprendere tutti i popoli. Egli ci dice: «chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12,50).

Con questa frase Gesù rivela un segreto del suo Regno.

Egli ci parla del rapporto con Maria, sua madre. Per quanto Gesù l'amasse perché era sua madre, egli l'amava ancor più perché faceva la volontà del Padre celeste. Durante l'Annunciazione ha risposto «sì» alla volontà di Dio, manifestata dall'angelo Gabriele (cfr Lc 1,26-38). Ha condiviso ogni fase della vita e della missione del Figlio, fino ai piedi della Croce (cfr Jn 19,25). Come Maria, anche noi impariamo ed accettare che ogni rapporto umano viene rinnovato, elevato, purificato e riceve nuovo significato attraverso la grazia di Cristo: per mezzo di Lui tutti noi troviamo, in un solo spirito, il cammino verso il Padre ... edificati in una dimora dove abita Dio, nello Spirito (cfr ).

È questa la casa spirituale che i missionari hanno iniziato a edificare più di cento anni fa. La Nigeria ha nei loro confronti un grande debito di gratitudine per i loro sforzi di evangelizzazione, profusi soprattutto nelle scuole, negli ospedali e in altri ambiti di servizio sociale. Seguendo l'esempio di questi intrepidi messaggeri del Vangelo, la Chiesa cattolica in Nigeria è profondamente impegnata nella lotta per lo sviluppo umano integrale. Dio ha benedetto la Chiesa in Nigeria al punto che i missionari nigeriani lavorano al di fuori delle proprie Diocesi, in altri Paesi africani e in altri continenti. Guidata dai vostri Vescovi e sacerdoti, l'intera Comunità cattolica deve continuare a seguire questo cammino, collaborando con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, attraverso un intenso dialogo ecumenico e interreligioso.

Al fine di edificare la casa spirituale di Dio, la Chiesa esorta tutti i suoi membri a rispondere con inesauribile compassione ai bisognosi: ai poveri, ai malati e agli anziani, ai rifugiati che sono dovuti sfuggire alla violenza e ai conflitti nei loro Paesi nativi, agli uomini, alle donne e ai bambini colpiti dall'Aids, che continua a mietere numerose vittime in questo continente e in tutto il mondo, a tutte le persone che subiscono persecuzioni, dolore e povertà. La Chiesa insegna il rispetto per ogni persona, per ogni vita umana. Predica giustizia e amore e insiste sui doveri oltre che sui diritti: i diritti e doveri dei cittadini, dei datori di lavoro e dei lavoratori, del governo e del popolo.

Esistono, infatti, dei diritti umani fondamentali, di cui nessun individuo potrà mai essere legittimamente privato, dal momento che essi sono radicati nella natura stessa della persona umana e riflettono le esigenze oggettive e inviolabili di una legge morale universale. Tali diritti servono da fondamento e da parametro per qualsiasi società e organizzazione umana. Il rispetto per ogni persona umana, per la sua dignità e i suoi diritti, deve sempre fungere da ispirazione ed essere il principio alla base dei vostri sforzi per incrementare la democrazia e rafforzare il tessuto sociale del vostro Paese. La dignità di ogni essere umano, i suoi diritti fondamentali inalienabili, l'inviolabilità della vita, della libertà e della giustizia, il senso di solidarietà e il rifiuto della discriminazione: sono queste le pietre con le quali costruire una Nigeria nuova e migliore.

5. L'intera Chiesa sta preparandosi a celebrare il secondo millennio della nascita di Cristo, il Verbo di Dio fattosi uomo. Pertanto vi dico: oggi voi siete la speranza di questa nostra Chiesa che compie duemila anni. Essendo giovani nella fede, dovete essere come i primi cristiani e irradiare entusiasmo e coraggio. Ponetevi sulla via della santità. Sarete in tal modo segno di Dio nel mondo e rivivrete nel vostro Paese l'epopea missionaria della Chiesa primitiva (cfr Ecclesia in Africa, n. 136).

Il Grande Giubileo intende dare vita allo spirito di rinnovamento proclamato dal profeta Isaia e confermato da Gesù: annunziare il lieto messaggio ai poveri, proclamare la liberazione ai prigionieri e la vista ai ciechi, rimettere in libertà gli oppressi (cfr Lc 4,18). Fate che questo spirito sia l'autentico clima della vostra vita nazionale. Che questo tempo di transizione sia un tempo di libertà, di perdono, di unione e di solidarietà!

Il Beato Cyprian Michael Tansi comprese chiaramente che è impossibile ottenere qualcosa di duraturo al servizio di Dio e del Paese senza una vera santità e una vera carità. Prendetelo come esempio. Rivolgete a lui le vostre preghiere per i bisogni delle vostre famiglie e di tutta la nazione.

Con gratitudine per tutto ciò che la Divina Provvidenza continua a fare per il popolo della Nigeria, ripetiamo le parole del Salmista:

«Cantate al Signore, benedite il suo nome...
In mezzo ai popoli narrate la sua gloria,
a tutte le nazioni dite i suoi prodigi» (Ps 95,2-3). Amen.


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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI GESÙ ADOLESCENTE



V Domenica di Quaresima, 29 marzo 1998





1. "Io non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva" (Canto al Vangelo; cfr Ez 33,11).

Le parole del Canto al Vangelo, poc'anzi proclamate, introducono il consolante messaggio della misericordia di Dio, che è stato poi illustrato dall'odierno brano dell'evangelista Giovanni. Alcuni scribi e farisei, "per avere di che accusarlo" (Jn 8,6), conducono a Gesù una donna sorpresa in flagrante adulterio. Essi intendono porre il suo insegnamento sull'amore misericordioso di Dio in contraddizione con la Legge, che puniva il peccato di adulterio con la lapidazione.

Gesù ne smaschera però la malizia: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei" (Jn 8,7). Questa autorevole risposta, mentre ci ricorda che il giudizio appartiene solo al Signore, ci rivela il vero intento della misericordia divina, che lascia aperta la possibilità del ravvedimento, e pone in luce il grande rispetto per la dignità della persona, che neppure il peccato toglie. "Va' e d'ora in poi non peccare più" (Jn 8,11). Le parole conclusive dell'episodio indicano che Dio vuole non la morte del peccatore, ma che si ravveda dal male commesso e viva.

2. "Tutto io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù" (Ph 3,8). L'apostolo Paolo ha personalmente sperimentato la giustizia salvifica. Il suo incontro con Gesù sulla via di Damasco gli ha aperto la strada verso una profonda comprensione del mistero pasquale. Paolo ha capito con chiarezza quanto sia illusoria la pretesa di costruirsi una giustizia fondata unicamente sull'osservanza della Legge. Solo Cristo giustifica l'uomo, ogni uomo, mediante il sacrificio della Croce.

Toccato dalla grazia, Paolo, da persecutore accanito dei cristiani, diventa l'instancabile annunciatore del Vangelo, perché "conquistato da Gesù Cristo" (ibid.). Anche noi siamo invitati, specialmente durante questo tempo di Quaresima, a lasciarci conquistare dal Signore: dal fascino della sua parola di salvezza, dalla forza della sua grazia, dall'annuncio del suo amore redentore.

3. Carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia di Gesù Adolescente! Sono lieto di celebrare con voi questa quinta domenica di Quaresima, che segna un'altra tappa nell'itinerario liturgico verso la Pasqua ormai vicina. Saluto cordialmente il Cardinale Vicario, Mons. Vicegerente, il vostro zelante Parroco, Don Enzo Policari, con i suoi Collaboratori, la Comunità salesiana che vive ed opera in Parrocchia ed i Seminaristi ucraini, qui ospitati durante l'attuale periodo di ristrutturazione del loro collegio.

Desidero rivolgere un particolare pensiero all'intera famiglia Salesiana che, proprio domenica scorsa, ha ricordato il cinquantesimo anniversario della sua presenza e della sua attività in questa borgata romana. Si tratta di una presenza assai apprezzata, perché collegata con l'Istituto "Borgo Ragazzi Don Bosco", benemerita istituzione, sorta nell'immediato dopoguerra, per offrire ospitalità agli adolescenti senza famiglia o senza casa, costretti a vivere di espedienti.

Commemorando i cinquant'anni del "Borgo Ragazzi Don Bosco", tanto caro al mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Papa Paolo VI, vorrei rendere merito ai numerosi Salesiani che, seguendo il carisma di san Giovanni Bosco, si sono qui succeduti dedicandosi con generosità alle giovani generazioni di questa ampia zona della periferia di Roma. Grazie, carissimi, per il bene che instancabilmente avete operato e continuate a svolgere mediante le vostre attività a favore dei giovani. Penso, in particolare, all'oratorio interparrocchiale, alla scuola popolare a sostegno dei ragazzi e delle ragazze privi di titoli di studio, alla preparazione ai sacramenti nei numerosi gruppi giovanili ed a tante altre iniziative formative e ricreative.

4. I giovani sono il futuro dell'umanità. Preoccuparsi della loro maturazione umana e cristiana rappresenta un prezioso investimento per il bene della Chiesa e della società. Mi rallegro per quanto già state facendo ed auspico che, in sintonia con le direttive pastorali diocesane, il vostro lodevole sforzo in questo settore si intensifichi sempre di più. Come ai primi tempi del "Borgo Ragazzi Don Bosco", anche oggi non mancano, purtroppo, i cosiddetti "ragazzi in difficoltà", senza lavoro e privi di punti saldi di riferimento, coinvolti in microcriminalità o dediti all'ozio, con tutti i rischi che comporta un'esistenza sbandata. Non abbandonate questi giovani e ragazzi in difficoltà; offrite loro amicizia sincera ed aprite loro il vostro cuore, perché sperimentino la tenerezza dell'amore divino.

Carissimi Parrocchiani di Gesù Adolescente! Il titolo stesso della vostra Parrocchia rappresenta uno stimolo a prestare attenzione e cura alle nuove generazioni. Si tratta d'un impegno che domanda la collaborazione di tutti coloro che hanno compiti di responsabilità educativa.

Uguale sinergia di intenti e di sforzi esige il lavoro missionario che ogni Comunità parrocchiale è chiamata a svolgere. Fate in modo che la Parrocchia sia per ciascuno una casa ospitale, capace - soprattutto a partire da questo tempo speciale di grazia che è la grande Missione cittadina - di non escludere nessuno dall'annuncio personale di Gesù morto e risorto per la nostra salvezza. Annuncio che va sempre accompagnato da una reale attenzione alle necessità del prossimo, ben sapendo che la carità costituisce la via migliore per aprire gli animi a Cristo.

Parrocchia di Gesù Adolescente, imita la Santa Famiglia di Nazaret! Cerca di offrirti come un sereno ambiente educativo; fa' respirare a tutti aria di famiglia, favorendo la collaborazione e la corresponsabilità nell'opera evangelizzatrice.

5. "Non ricordate più le cose passate... Ecco, faccio una cosa nuova" (Is 43,18-19). Il profeta Isaia ci invita quest'oggi a guardare con occhi attenti alle novità che Dio ogni giorno compie per i suoi fedeli. "Ecco, faccio una cosa nuova". Lo Spirito è sempre all'opera ed i suoi frutti sono le meraviglie che Egli non cessa di realizzare per noi.

"Non ricordate più le cose passate". Non volgete lo sguardo - dice il Profeta - al passato; volgetelo piuttosto verso Cristo "ieri, oggi e sempre". Egli, nel mistero della sua morte e della sua risurrezione, ha capovolto definitivamente le sorti dell'umanità. Alla luce degli eventi pasquali, l'umana esistenza non teme la morte, perché il Risorto riapre ai credenti le porte della vita vera. In questi ultimi giorni della Quaresima che ci separano dal Triduo pasquale, disponiamo il cuore ad accogliere la grazia del Redentore morto e risorto, che rinvigorisce i passi della nostra fede.

Maria, che è rimasta silenziosa ai piedi della Croce, ed ha poi ritrovato il suo Figlio risuscitato, ci aiuti a prepararci a celebrare degnamente le feste pasquali.


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CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME

E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE


Giornata Mondiale della Gioventù

5 aprile 1998



1. "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore" (Lc 19,38).

La Domenica delle Palme ci fa rivivere l'ingresso di Gesù a Gerusalemme, in prossimità della Pasqua. Il brano evangelico ce lo ha presentato mentre entra in città attorniato da una folla festosa. Si può dire che, in quel giorno, raggiunsero il culmine le aspettative di Israele nei confronti del Messia. Erano attese alimentate dalle parole degli antichi profeti e confermate da Gesù di Nazaret mediante il suo insegnamento, e specialmente mediante i segni compiuti.

Ai farisei che gli chiedevano di far tacere la folla, Gesù rispose: "Se questi taceranno, grideranno le pietre" (Lc 19,40). Egli si riferiva, in particolare, alle mura del tempio di Gerusalemme, costruito in vista della venuta del Messia e ricostruito con grande cura dopo essere stato distrutto al momento della deportazione babilonese. La memoria della distruzione e della ricostruzione del tempio era rimasta viva nella coscienza d'Israele e Gesù faceva riferimento a tale consapevolezza, affermando: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere" (Jn 2,19). Come l'antico tempio di Gerusalemme fu distrutto e ricostruito, così il nuovo e perfetto tempio del corpo di Gesù doveva morire sulla Croce e risorgere il terzo giorno (cfr Ibid., 2,21-22).

2. Entrando in Gerusalemme, Gesù sa però che l'esultanza da parte della folla lo introduce nel cuore del "mysterium" della salvezza. E' consapevole che va incontro alla morte e non riceverà una corona regale, ma una corona di spine.

Le Letture dell'odierna celebrazione portano l'impronta della sofferenza del Messia e trovano il loro culmine nella descrizione che l'evangelista Matteo ne fa nel racconto della passione. Questo indicibile mistero di dolore e di amore viene proposto dal profeta Isaia, considerato quasi l'evangelista dell'Antico Testamento, come pure dal Salmo responsoriale e dal ritornello poc'anzi cantato: "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?". Lo riprende san Paolo nella Lettera ai Filippesi, a cui si ispira l'antifona che ci accompagnerà durante il "Triduum Sacrum": "Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte, alla morte di croce" (cfr 2,8). Nella Veglia pasquale aggiungeremo: "Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome" (Ph 2,9).

La Chiesa ogni giorno, nella celebrazione eucaristica, torna a far memoria della passione, della morte e della risurrezione del Signore: "Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta".

3. Da oltre dieci anni, la Domenica delle Palme è diventata un atteso appuntamento per la celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù. Il fatto che la Chiesa rivolga proprio in questo giorno la sua particolare attenzione ai giovani è, di per sé, assai eloquente. E ciò non soltanto perché, duemila anni or sono, ad accompagnare festosi il Cristo nel suo trionfale ingresso a Gerusalemme furono i giovani - pueri Hebraeorum -, ma soprattutto perché, dopo venti secoli di storia cristiana, i giovani, guidati dalla loro sensibilità e da una giusta intuizione, scoprono nella Liturgia della Domenica delle Palme un messaggio a loro singolarmente indirizzato.

Cari giovani, a voi è oggi riproposto il messaggio della Croce. A voi, che sarete gli adulti del terzo millennio, è affidata questa Croce che proprio tra poco sarà consegnata da un gruppo di giovani francesi ad una rappresentanza della gioventù di Roma e d'Italia. Da Roma a Buenos Aires; da Buenos Aires a Santiago de Compostela; da Santiago de Compostela a Czestochowa; da Jasna Góra a Denver; da Denver a Manila; da Manila a Parigi, questa Croce ha peregrinato con i giovani da un Paese all'altro, da un Continente all'altro. La vostra scelta, giovani cristiani, è chiara: scoprire nella Croce di Cristo il senso della vostra esistenza e la fonte del vostro entusiasmo missionario.

Da oggi essa si farà pellegrina per le Diocesi d'Italia, fino alla Giornata Mondiale della Gioventù del Duemila, che sarà celebrata qui a Roma, in occasione del Grande Giubileo. Poi, con l'arrivo del nuovo millennio, riprenderà il suo cammino per il mondo intero, mostrando in tal modo che la Croce cammina con i giovani ed i giovani camminano con la Croce.

4. Come non rendere grazie a Cristo per questa singolare alleanza che stringe i giovani credenti? In questo momento vorrei ringraziare tutti coloro che, guidando i giovani in questa provvidenziale iniziativa, hanno contribuito al grande pellegrinaggio della Croce per le vie del mondo. Penso con affetto e gratitudine specialmente al carissimo Cardinale Eduardo Pironio, scomparso di recente. Egli fu presente e presiedette molte celebrazioni della Giornata Mondiale della Gioventù. Il Signore lo colmi delle ricompense celesti promesse ai servi buoni e fedeli!

Mentre tra poco la Croce passerà idealmente da Parigi a Roma, permettete che il Vescovo di questa Città esclami insieme con la Liturgia: Ave Crux, spes unica! Noi ti salutiamo, o Croce santa! In te viene a noi Colui che a Gerusalemme, venti secoli fa, fu acclamato da altri giovani e dalla folla: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore".

Tutti noi ci uniamo a questo canto, ripetendo: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!

Sì! Benedetto tu, o Cristo, che anche oggi vieni a noi col tuo messaggio di amore e di vita. E benedetta la tua santa Croce, dalla quale sgorga la salvezza del mondo ieri, oggi e sempre.

Amen!



SANTA MESSA DEL CRISMA




Giovedì, 9 aprile 1998



1. "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione" (Lc 4,18).

Queste parole del Libro del profeta Isaia, riferite dall'evangelista Luca, ritornano più volte nell'odierna Liturgia crismale e ne costituiscono quasi il filo conduttore. Esse richiamano un gesto rituale che nell'Antica Alleanza ha una lunga tradizione, perché nella storia del Popolo eletto si ripete per la consacrazione di sacerdoti, profeti e re. Con il segno dell'unzione, Dio stesso affida la missione sacerdotale, regale e profetica agli uomini che Egli chiama, e rende visibile la sua benedizione per il compimento dell'incarico loro affidato.

Quanti nell'Antica Alleanza sono stati unti, lo sono stati in vista di una sola persona, di colui che doveva venire: il Cristo, l'unico e definitivo "Consacrato", l'"Unto" per eccellenza. Sarà l'Incarnazione del Verbo a rivelare il mistero di Dio Creatore e Padre che, attraverso l'unzione dello Spirito Santo, invia nel mondo il suo Figlio unigenito.

Ora Egli è presente nella sinagoga di Nazaret. Nazaret è il suo paese: qui Egli ha vissuto e lavorato per anni all'umile banco del carpentiere. Oggi, però, Egli è presente nella sinagoga in una veste nuova: sulle sponde del Giordano, dopo il battesimo di Giovanni, ha ricevuto l'investitura solenne dello Spirito, che lo ha spinto ad iniziare la missione messianica in adempimento della volontà salvifica del Padre. Ed ora Egli si presenta ai suoi concittadini con le parole del testo di Isaia: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore" (Lc 4,18-19). Qui conclude la lettura e, dopo una pausa, pronuncia alcune parole che mozzano il fiato agli ascoltatori: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi" (Lc 4,21). La dichiarazione non lascia adito a dubbi: Lui è l'"Unto", a cui allude il profeta Isaia. In Lui si compie la promessa del Padre.

2. Oggi, Giovedì Santo, siamo raccolti nella Basilica di san Pietro a meditare su quell'evento: come i consacrati dell'Antica Alleanza, anche noi volgiamo lo sguardo verso Colui che il Libro dell'Apocalisse chiama "il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra" (1,5). Guardiamo verso Colui che hanno trafitto (cfr Jn 19,37). Dando la vita per liberarci dal peccato (cfr Jn 15,13), Egli ci ha rivelato il suo "grande amore"; si è manifestato come il vero e definitivo Consacrato con l'unzione che, nella potenza dello Spirito Santo, ci redime per mezzo della Croce. E' sul Calvario che si attuano in pienezza le parole: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione" (Lc 4,18).

Questa consacrazione ed il sacrificio della Croce costituiscono rispettivamente l'inaugurazione ed il compimento della missione del Verbo incarnato. Del supremo atto di amore consumato sul Golgota, il Giovedì Santo commemora la manifestazione sacramentale istituita da Gesù nel Cenacolo, mentre il Venerdì Santo evidenzia l'aspetto drammatico e cruento. Nella sua duplice dimensione, questo sacrificio segna l'inizio della "nuova" unzione nello Spirito Santo e rappresenta il pegno della discesa del Paraclito sugli Apostoli e sulla Chiesa, che perciò, in un certo senso, celebra oggi la sua nascita.

3. Cari fratelli sacerdoti, siamo riuniti questa mattina intorno alla mensa eucaristica nel giorno santo, in cui facciamo memoria della nascita del nostro sacerdozio! Oggi celebriamo la particolare "unzione" che in Cristo è divenuta anche nostra. Quando, nel corso del rito della nostra Ordinazione, ci sono state unte dal Vescovo le mani con il sacro crisma, siamo diventati ministri dei sacri ed efficaci segni della redenzione e siamo stati resi partecipi dell'unzione sacerdotale del Cristo. Da quel momento, la potenza dello Spirito Santo, riversatasi su di noi, ha trasformato per sempre la nostra esistenza. Questa potenza divina perdura in noi e ci accompagnerà sino alla morte.

Mentre ci apprestiamo ad entrare nei giorni santissimi in cui commemoreremo la morte e risurrezione del Signore, vogliamo rinnovare la nostra gratitudine allo Spirito Santo per l'inestimabile dono che ci è stato fatto col sacerdozio. Come non sentirci debitori verso Colui che ha voluto associarci a tale mirabile dignità? Questo sentimento ci porti a rendere grazie al Signore per le meraviglie che ha compiuto nella nostra esistenza; ci aiuti a guardare con salda speranza al nostro ministero, chiedendo umilmente perdono delle nostre eventuali infedeltà.

Ci sostenga Maria perché, come Lei, ci lasciamo condurre dallo Spirito per seguire Gesù sino al termine della nostra missione terrena.

"Accompagnato da Maria - ho scritto nella Lettera di quest'anno ai Sacerdoti - il sacerdote saprà rinnovare ogni giorno la sua consacrazione fino a quando, sotto la guida dello stesso Spirito invocato con fiducia nell'itinerario umano e sacerdotale, entrerà nell'oceano di luce della Trinità" (n. 7).

Con questa prospettiva e con questa speranza proseguiamo fiduciosamente nel cammino che il Signore ci apre dinanzi giorno per giorno. Il suo divino Spirito ci sostiene e ci guida.

Veni, Sancte Spiritus! Amen.



GPII Omelie 1996-2005 143