GPII Omelie 1996-2005 147

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SANTA MESSA IN CENA DOMINI



Giovedì Santo, 9 aprile 1998



1. "Verbum caro, panem verum / Verbo carnem efficit...".

"La parola del Signore / pane e vino trasformò: / pane in carne, vino in sangue, / in memoria consacrò. / Non i sensi, ma la fede prova questa verità".

Queste poetiche espressioni di san Tommaso d'Aquino riassumono bene l'odierna Liturgia vespertina "in Cena Domini", e ci aiutano ad entrare nel cuore del mistero che celebriamo. Leggiamo nel Vangelo: "Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Jn 13,1). Oggi è il giorno nel quale ricordiamo l'istituzione dell'Eucaristia, dono dell'amore e sorgente inesauribile di amore. In essa è scritto e radicato il nuovo comandamento: "Mandatum novum do vobis...": "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri" (Jn 13,34).

2. L'amore raggiunge il suo vertice nel dono che la persona fa di se stessa, senza riserve, a Dio ed ai fratelli. Lavando i piedi agli Apostoli, il Maestro propone loro un atteggiamento di servizio: "Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri" (Jn 13,13-14). Con questo gesto, Gesù rivela un tratto caratteristico della sua missione: "Io sto in mezzo a voi come colui che serve" (Lc 22,27). Vero discepolo di Cristo è, pertanto, solamente colui che «prende parte» alla sua vicenda, rendendosi come Lui sollecito nel servizio agli altri anche con sacrificio personale. Il servizio, infatti, cioè la cura delle necessità del prossimo, costituisce l'essenza di ogni potere ben ordinato: regnare significa servire. Il ministero sacerdotale, di cui oggi celebriamo e veneriamo l'istituzione, presuppone un atteggiamento di umile disponibilità, soprattutto verso i più bisognosi. Solo in questa luce possiamo cogliere appieno l'evento dell'ultima Cena, che stiamo commemorando.

3. Il Giovedì Santo è qualificato dalla Liturgia come «l'eucaristico oggi», giorno in cui "Gesù Cristo nostro Signore affidò ai suoi discepoli il mistero del suo Corpo e del suo Sangue, perché lo celebrassero in sua memoria" (Canone romano per il Giovedì Santo). Prima di essere immolato sulla Croce il Venerdì Santo, Egli istituì il Sacramento che perpetua questa sua offerta in tutti i tempi. In ogni Santa Messa, la Chiesa fa memoria di quell'evento storico decisivo. Con viva trepidazione il sacerdote si china all'altare sopra i doni eucaristici, per pronunciare le medesime parole dette da Cristo "nella notte in cui fu tradito". Egli ripete sul pane: "Questo è il mio corpo, che è (dato) per voi" (1Co 11,24), e poi sul calice del vino: "Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue" (1Co 11,25). Da quel Giovedì Santo di quasi duemila anni or sono fino a questa sera, Giovedì Santo del 1998, la Chiesa vive mediante l'Eucaristia, si lascia plasmare dall'Eucaristia, e continua a celebrarla in attesa del ritorno del suo Signore.

Facciamo nostro, questa sera, l'invito di sant'Agostino: O Chiesa amatissima "manduca vitam, bibe vitam: habebis vitam, et integra est vita!": "mangia la vita, bevi la vita: avrai la vita ed essa resterà intatta!" (Sermo CXXXI, I, 1).

4. "Pange, lingua, gloriosi / Corporis mysterium / Sanguinisque pretiosi... ". Adoriamo questo «mysterium fidei», di cui si nutre la Chiesa incessantemente. Si ridesti nei nostri cuori il senso vivo e trepido del sommo dono che è per noi l'Eucaristia.

E si ridesti la gratitudine, legata al riconoscimento del fatto che non vi è nulla in noi che non ci sia stato donato dal Padre di ogni misericordia (cfr 2Co 1,3). L'Eucaristia, il grande «mistero della fede», rimane innanzitutto e soprattutto un dono, qualcosa che abbiamo «ricevuto». Lo ribadisce san Paolo, introducendo il racconto dell'ultima Cena con queste parole: "Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso" (1Co 11,23). La Chiesa l'ha ricevuto da Cristo e nel celebrare questo sacramento rende grazie al Padre celeste per quanto Egli in Gesù, suo Figlio, ha fatto per noi.

Accogliamo ad ogni celebrazione eucaristica questo dono sempre nuovo; lasciamo che il suo potere divino pervada i nostri cuori e li renda capaci di annunciare la morte del Signore nell'attesa della sua venuta. «Mysterium fidei» canta il sacerdote dopo la consacrazione; ed i fedeli rispondono: "Mortem tuam annuntiamus, Domine... ": "Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta". La somma della fede pasquale della Chiesa è contenuta nell'Eucaristia.

Anche questa sera rendiamo grazie al Signore che ha istituito questo grande Sacramento. Noi lo celebriamo e lo riceviamo per trovare in esso la forza di avanzare sulla strada dell'esistenza attendendo il giorno del Signore. Allora saremo introdotti anche noi nella dimora dove Cristo, Sommo Sacerdote, è entrato mediante il sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue.

5. "Ave, verum corpus, natum de Maria Virgine": "Ave, vero corpo, nato da Maria Vergine", così prega quest'oggi la Chiesa. In questa "attesa della sua venuta", ci accompagni Maria, dalla quale Gesù ha preso il corpo, lo stesso corpo che questa sera condividiamo fraternamente nel banchetto eucaristico.

"Esto nobis praegustatum mortis in examine": "Ci sia dato di pregustarti nel momento decisivo della morte ". Sì, prendici per mano, o Gesù eucaristico, in quell'ora suprema che ci introdurrà nella luce della tua eternità: "O Iesu dulcis! O Iesu pie! O Iesu, fili Mariae!"



OMELIA DEL SANTO PADRE


GIOVANNI PAOLO II


NELLA MESSA DELLA VEGLIA PASQUALE


Sabato Santo, 11 aprile 1998



1. "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza" (Gn 1,26). "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" (Gn 1,27).

In questa Veglia pasquale, la Liturgia proclama il primo capitolo del Libro della Genesi, che rievoca il mistero della creazione e, in particolare, della creazione dell'uomo. Ancora una volta la nostra attenzione si concentra sul mistero dell'uomo, che si manifesta pienamente in Cristo e mediante Cristo.

"Fiat lux", "faciamus hominem": queste parole della Genesi rivelano tutta la loro verità, quando vengono passate al crogiuolo della Pasqua del Verbo (cfr Ps 12,7). Durante la quiete del Sabato Santo, attraverso il silenzio della Parola, esse giungono alla pienezza del loro significato: quella "luce" è luce nuova, che non conosce tramonto; quell'"uomo" è "l'uomo nuovo, creato secondo Dio, nella giustizia e nella santità vera" (Ep 4,24).

La nuova creazione si realizza nella Pasqua. Nel mistero della morte e risurrezione di Cristo tutto è redento, e tutto ridiventa perfettamente buono, secondo il disegno originario di Dio.

Soprattutto l'uomo, figlio prodigo che ha dissipato nel peccato il bene prezioso della libertà, riacquista la sua dignità perduta. "Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram". Come risuonano vere e profonde queste parole nella notte di Pasqua! E quale ineffabile attualità esse rivestono per l'uomo del nostro tempo, così consapevole delle sue possibilità di dominio sull'universo, ma spesso tanto confuso circa il senso autentico della sua esistenza, nella quale non sa più riconoscere le tracce del Creatore.

2. A tal proposito, mi vengono alla mente alcuni passi della Costituzione Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, che ben si armonizzano con la mirabile sinfonia delle Letture della Veglia pasquale. Questo documento conciliare, infatti, ad una considerazione approfondita, rivela un intimo carattere pasquale, sia nel contenuto che nella sua originaria ispirazione. Vi leggiamo: "In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (cfr Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo... è «immagine dell'invisibile Dio» (Col 1,15). Egli è l'uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato... Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito, in un certo modo, ad ogni uomo... Soffrendo per noi non solo ci ha dato l'esempio perché seguiamo le sue orme, ma ci ha anche aperto la strada, percorrendo la quale la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato. Il cristiano, poi, reso conforme all'immagine del Figlio che è il Primogenito tra molti fratelli, riceve «le primizie dello Spirito» (Rm 8,23)... In virtù di questo Spirito, che è il «pegno della eredità» (Ep 1,14), tutto l'uomo viene interiormente rifatto, fino al traguardo della «redenzione del corpo» (Rm 8,23): «Se in voi dimora lo Spirito di Colui che risuscitò Gesù da morte, Egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà la vita anche ai vostri corpi mortali, a motivo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,21). Il cristiano... associato al mistero pasquale, come si assimila alla morte di Cristo così anche andrà incontro alla risurrezione confortato dalla speranza" (n. 22).

3. Queste parole del recente Concilio ci ripropongono il mistero della vocazione di ogni battezzato. Lo ripropongono in modo particolare a voi, carissimi Catecumeni, che, secondo l'antichissima tradizione della Chiesa, state per ricevere il santo Battesimo nel corso di questa Veglia santa. Noi vi salutiamo con affetto e vi ringraziamo per la vostra testimonianza.

Voi provenite da varie Nazioni del mondo: Canada, Cina, Colombia, India, Italia, Polonia, Sud Africa.

Carissimi, il Battesimo costituisce, in un senso tutto speciale, la vostra Pasqua, il sacramento della vostra redenzione, della vostra nuova nascita in Cristo, per la fede e l'opera dello Spirito Santo, in forza del quale potrete chiamare Dio con il nome di "Padre", e sarete figli nel Figlio.

Noi vi auguriamo che la vita nuova, che riceverete in dono in questa santissima notte, si sviluppi fino alla sua pienezza, recando frutti abbondanti di amore, di gioia e di pace, frutti di vita eterna.

4. "O vere beata nox!", canta la Chiesa nel Preconium pasquale, ricordando le grandi opere di Dio compiute nell'Antica Alleanza, durante l'esodo degli Israeliti dall'Egitto. E' l'annuncio profetico dell'esodo del genere umano dalla schiavitù della morte alla vita nuova per mezzo della Pasqua di Cristo.

O vere beata nox!, vogliamo ripetere con l'inno pasquale, contemplando il mistero universale dell'uomo alla luce della risurrezione di Cristo. In principio Dio lo creò a propria immagine e somiglianza. Per opera di Cristo crocifisso e risorto, tale somiglianza con Dio, offuscata dal peccato, è stata ripristinata e portata al suo culmine. E possiamo ripetere con un antico autore: Uomo, guarda te stesso! Riconosci la tua dignità e la tua vocazione! Cristo, sconfiggendo in questa santa notte la morte, schiude dinnanzi a te le porte della vita e dell'immortalità.

Facendo eco al diacono, che ha proclamato nel canto l'annuncio pasquale, ripeto con gioia: Annuntio vobis gaudium magnum: surrexit Dominus vere! Surrexit hodie!

Amen!


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CAPPELLA PAPALE PER L'APERTURA DELL'ASSEMBLEA SPECIALE

PER L'ASIA DEL SINODO DEI VESCOVI


Domenica, 19 aprile 1998



1. "Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese" (Ap 1,11). Le parole del Libro dell'Apocalisse suonano così attuali oggi. Le Chiese a cui si riferiscono erano, infatti, situate tutte nell'Asia. E noi siamo qui riuniti, stamane, per dare inizio, con una solenne Liturgia eucaristica, all'Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l'Asia.

Sono convenuti a Roma per questo importante appuntamento Vescovi del continente asiatico, insieme a rappresentanti di altre Comunità ecclesiali. Il frutto dei lavori sinodali sarà poi raccolto in un libro, che costituirà il documento postsinodale destinato a tutte le Chiese dell'Asia. In esso verrà "scritto" ciò che lo Spirito suggerirà, analogamente a quanto, al termine del primo secolo dopo Cristo, fece Giovanni, indirizzando l'Apocalisse alle Comunità cristiane presenti allora in Asia.

Rapito in estasi, mentre si trovava nell'isola di Patmos, egli udì una voce potente (cfr Ap 1,10) che gli ingiungeva di scrivere le cose viste per poi inviarle alle Chiese dell'Asia. Giovanni riferisce che era la voce del Figlio dell'Uomo, presentatosi a lui nella gloria. Egli lo vide e cadde ai suoi piedi come morto. Cristo posò su di lui la mano e disse: "Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo" (Ap 1,17-19).

Queste stesse parole, venerati Fratelli delle Chiese dell'Asia, sono, in un certo senso, indirizzate anche a noi. Nel corso dei lavori del Sinodo, noi dovremo scrivere ciò di cui saremo testimoni. Come successori degli Apostoli, siamo chiamati ad annunciare Cristo crocifisso e risorto. E' questa, infatti, la verità con cui avanziamo verso il terzo millennio: "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!" (He 13,8).

2. Nous ouvrons cette Assemblée synodale le deuxième dimanche de Pâques. La liturgie rappelle aujourd'hui ce qui se produisit au Cénacle de Jérusalem, le dimanche après la Résurrection, lorsque le Christ apparut de nouveau aux Apôtres, cette fois en présence de Thomas. En effet, une apparition avait déjà eu lieu huit jours avant, mais Thomas était absent et, quand les autres lui dirent: "Nous avons vu le Seigneur!", il refusa de croire et déclara: "Si je ne vois pas dans ses mains la marque des clous, si je ne mets pas mon doigt à l'endroit des clous, si je ne mets pas la main dans son côté, non, je ne croirai pas!" (Jn 20,25).

Thomas l'incrédule! C'est justement à cause de lui que le Christ apparut huit jours plus tard au Cénacle, entrant alors que les portes étaient closes. Il dit à ceux qui étaient là: "La paix soit avec vous!", puis s'adressa à Thomas: "Avance ton doigt ici, et vois mes mains; avance ta main, et mets-la dans mon côté: cesse d'être incrédule, sois croyant!" (Jn 20,27). Thomas prononça alors les paroles qui expriment toute la foi de l'Église apostolique: "Mon Seigneur et mon Dieu!" (Jn 20,28). Et le Christ déclara: "Parce que tu m'as vu, tu crois. Heureux ceux qui croient sans avoir vu" (Jn 20,29).

3. "Heureux ceux qui croient sans avoir vu". Les Apôtres furent des témoins oculaires de la vie, de la passion, de la mort et de la résurrection du Christ. Après eux, d'autres, qui n'ont pu voir tout cela de leurs yeux, devront accepter la vérité transmise par les premiers témoins pour devenir eux-mêmes à leur tour des témoins. La foi de l'Église se transmet et demeure vivante grâce à cette chaîne de témoins qui s'allonge de génération en génération. Ainsi, du Cénacle de Jérusalem, l'Église s'est répandue dans tous les pays et sur tous les continents.

Selon une tradition très ancienne, l'Évangile fut apporté en Inde par saint Thomas, l'Apôtre auquel le Seigneur a dit: "Parce que tu m'as vu, tu crois". Thomas, non plus incrédule mais désormais convaincu de la résurrection de son Seigneur, transmit à beaucoup d'autres personnes la certitude exprimée dans sa confession de foi: "Mon Seigneur et mon Dieu!". Sa foi est toujours vivante en Inde et en Asie.

Chers Frères dans l'épiscopat venus ici, l'Église que vous représentez, édifiée sur les fondations des Apôtres, se réunit à Rome aujourd'hui, au seuil du troisième millénaire, pour les travaux synodaux, dans le but de transmettre aux générations à venir le témoignage rendu au Christ par les Apôtres, le témoignage que Thomas rendait il y a près de vingt siècles.

4. "Jesus Christ the Saviour and his Mission of Love and Service in Asia: '. . . that they may have life, and have it abundantly' (Jn 10,10)". This is the theme of the Special Assembly of the Synod of Bishops which we are beginning today with this solemn liturgical celebration. The theme invites us to direct our gaze to Christ, from whose pierced Heart flows the inexhaustible source of eternal life which vivifies our human existence.

This Synodal Assembly is a providential time of grace for the whole Christian people, and especially for the faithful in Asia, who are called to a fresh missionary outreach. In order that this favourable "time" may be truly fruitful, the figure of Jesus and his saving mission need to be presented once more in their full light. On everyone's lips there must resound with renewed awareness the profession of faith of the Apostle Thomas: "My Lord and my God!"

In effect, it is only by keeping her gaze fixed on Christ that the Church can adequately respond to the hopes and challenges of the Asian Continent, as to those of the rest of the world. The launch of the new evangelization for the Third Millennium demands an ever deeper knowledge of Jesus and unfailing fidelity to his Gospel.

5. At the same time, the new evangelization calls for respectful attention to "Asian realities" and healthy discernment in their regard. This vast continent, rich in history and age-old wisdom, is coming to the dawn of the Year 2000 with all the variety of its peoples, its cultures, its traditions and its religions.

Alongside the heritage of ancient civilizations, we see the signs of truly advanced technological and economic progress. There exists a notable difference between peoples, cultures and ways of living. And yet, there has been a long tradition of peaceful coexistence and mutual tolerance. Almost everywhere there are signs of the struggle for human advancement, and while difficulties and causes for concern are not lacking, notable signs of hope can also be seen. The ancient cultures of the continent, with their acknowledged wisdom, offer solid grounds for building the Asia of the future.

How can we ignore the fact that more than three fifths of the world's inhabitants are Asian and that an important part of them are young people? To this vast portion of the humanity of our time, dwelling on the continent of Asia, we must bring with enthusiasm and vigour the Easter proclamation echoed in today's Liturgy: "We have contemplated, O God, the wonders of your love" (Responsorial Psalm); "We have seen the Lord" (Gospel).

6. Dear Brothers and Sisters, the first Reading, taken from the Acts of the Apostles, speaks of the fervour uniting the early community and of its missionary activity, to the amazement of the people (cf. Acts 5:12-13). May all this be a model for us, who have been called together by the Spirit of the Lord for this special Synodal Assembly.

We ask ourselves: what must we do to proclaim and bear witness to Christ before the men and women living in Asia? At the threshold of the Year 2000, what must be the Church's commitment in this vast continent, ancient and yet abounding in new developments? Essentially, we find the answer in today's Liturgy: we must bear witness to Christ Crucified and Risen, Redeemer of the world. At the same time we must carry on, for our part, the history initiated by the Apostles: ours is the task of writing new chapters of Christian witness in every part of the world, and in Asia: from India to Indonesia, from Japan to Lebanon, from Korea to Kazakhstan, from Vietnam to the Philippines, from Siberia to China. And it is precisely to the Catholics of Mainland China and to their Pastors that the thoughts of all of us go at this moment. In order that also the Episcopate there might be represented in this Synodal Assembly, in addition to the Bishops who work in the Diocese of Hong Kong I have invited to take part two other Bishops, namely Bishop Matthias Duan Yinming, Bishop of Wanhsien, and his Coadjutor, Bishop Joseph Xu Zhixuan. I hope that they will soon be able to take their places among us and bear witness to the vitality of those communities.

At this time all the Churches must feel mobilized, since they all take their origin from that dynamic Jerusalem community which had such a lively sense of its duty to proclaim the Gospel. All originate from the same Apostles, witnesses of Christ's Cross and Resurrection - the same Apostles who, on the day of Pentecost, by the power of the Holy Spirit, received the light and power needed to set out on the paths of the world and to raise up everywhere new communities of believers. We are the successors of these Apostles, and we must be ready to take up their missionary heritage.

7. "Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese". Queste parole le sentiamo rivolte in maniera particolare a noi. Durante il Sinodo vogliamo testimoniare ciò che lo Spirito di Cristo dice alle Chiese del grande continente asiatico. Ci chiederemo come esse ascoltino la sua voce, come vivano nella comunione della parola di Dio e dell'Eucaristia; come possano incentivare l'azione evangelizzatrice tra i popoli dell'Asia.

Vogliamo metterci in ascolto di quanto lo Spirito dice alle Chiese, perché sappiano annunciare Cristo nel contesto dell'induismo, del buddismo, dello scintoismo e di tutte quelle correnti di pensiero e di vita che erano già radicate in Asia prima che vi giungesse la predicazione del Vangelo. Ed ancora, vogliamo riflettere insieme su come il messaggio di Cristo sia accolto dagli uomini di oggi e come oggi continui tra loro la storia della salvezza e con quale eco si ripercuotano nelle anime le parole della Buona Novella. Ci chiederemo nella preghiera e nell'ascolto reciproco come Cristo, "la pietra scartata dai costruttori" (Sal 117[118],22), possa ancora essere la pietra angolare per la costruzione della Chiesa in Asia.

Tutto questo alla luce della Pasqua, che inonda il nostro cuore della gioia e della pace del Signore risorto.

"Haec est dies quam fecit Dominus. Exultemus et laetemur in ea!" (Sal 117[118],24).

Amen!



CAPPELLA PAPALE PER LE ESEQUIE


DELL'EM.MO CARD. ALBERTO BOVONE




Lunedì, 20 aprile 1998




1. "Pater, in manus tuas commendo spiritum meum" (Lc 23,46).

Le parole di Gesù, la sua estrema invocazione al Padre sulla croce, ci guidano nella meditazione e nella preghiera, mentre siamo raccolti qui, nella Basilica Vaticana, per celebrare il sacro rito di suffragio per il venerato Fratello Cardinale Alberto Bovone, scomparso venerdì scorso. Creato Cardinale alla vigilia del Tempo quaresimale, egli è partito per la Gerusalemme del cielo, dopo una dolorosa malattia, sul finire dell'ottava di Pasqua, anticipazione nel tempo del giorno senza tramonto dell'eternità.

La sua ultima Pasqua egli l'ha vissuta da Cardinale, e la Provvidenza gli ha domandato subito la definitiva testimonianza, perché il valore della sua fede - secondo le parole dell'apostolo Pietro - tornasse a sua lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo (cfr 1P 1,7).

Il mistero della Pasqua lo ha configurato pienamente al suo Signore, per il quale egli ha speso la sua vita, amando fino alla fine la Chiesa e quanti, in essa, erano affidati alle sue cure di Pastore sollecito e buono.

2. Lo spirare di Gesù sulla croce spalanca per ogni uomo che viene in questo mondo, e che da questo mondo se ne va, un oceano di speranza. "Spirò", annota l'Evangelista (Lc 23,46 cfr Jn 19,30). Quest'ultimo respiro di Cristo è il centro della storia, che proprio in forza di esso è storia di salvezza.

Nello spirare di Gesù sulla croce, Dio s'è donato all'umanità interamente, Padre Figlio e Spirito Santo, vincendo il peccato e la morte. Quel respiro umano che si esauriva era sacramento dell'inesauribile Spirito di vita, che al terzo giorno risuscitò il Figlio dell'uomo, "il testimone fedele", facendone "il primogenito dei morti" (Ap 1,5).

Chi muore nel Signore è "beato fin d'ora" (cfr Ap 14,13), perché unisce il suo spirare a quello di Cristo, nella sicura speranza che "colui che ha risuscitato il Signore Gesù risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui" (2Co 4,14).

3. "Beati mortui qui in Domino moriuntur" (Ap 14,13). La Sacra Scrittura ci ricorda che per morire nel Signore occorre vivere nel Signore, affidandosi quotidianamente, momento per momento, alla sua grazia e sforzandosi di corrispondere ad essa con tutte le forze.

Vivere nel Signore! Come non ringraziare Iddio in questo momento, mentre il cuore soffre per il distacco da questo nostro venerato Fratello, per la testimonianza di fedeltà che egli ci lascia? Durante la sua esistenza ci ha offerto un luminoso esempio di docile sequela di Cristo. Sì, questa Eucaristia che insieme celebriamo è anzitutto rendimento di grazie per il dono di un cristiano e di un Pastore che con grande discrezione ha edificato la Chiesa, nei diversi incarichi che gli sono stati affidati, soprattutto nella Curia Romana.

4. Fu, in effetti, proprio nell'ambito della Curia che egli incominciò il suo servizio nel 1951, proseguendolo senza sosta fino alla morte. La sua profonda ed equilibrata formazione spirituale, apostolica e dottrinale, e più ancora le sue virtù di fedele laboriosità e di cordiale apertura, come pure la sua saggezza, gli hanno permesso di prestare per lunghi anni una preziosa collaborazione dapprima nella Congregazione del Concilio, divenuta poi Congregazione del Clero, e successivamente in quella per la Dottrina della Fede, della quale io stesso lo nominai Segretario nel 1984, elevandolo alla dignità Arcivescovile. Per undici anni fu validissimo collaboratore del Cardinale Ratzinger, che lo consacrò Vescovo e lo ebbe sempre fraternamente caro.

Ha concluso il suo servizio alla Sede Apostolica come Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Dicastero importante per la vita della Chiesa, il cui scopo essenziale è di vivere e testimoniare in ogni momento la santità di Dio. Sono certo che la dedizione al Vangelo e l'anelito verso la santità, che il suo peculiare ministero di questo ultimo periodo gli ha dato modo di intensificare esaminando la vita di tanti Servi di Dio e Beati, oggi trovano presso il Padre quel compimento che ogni battezzato costantemente auspica. Possano ora in cielo venirgli incontro i beati ed i santi che qui sulla terra egli ha contribuito a far riconoscere e lo introducano alla gioia del Paradiso.

5. Vogliamo unire a tal fine la nostra preghiera, riconoscendo che, nonostante le umane imperfezioni sempre presenti nell'esistenza di chi è pellegrino quaggiù, il nostro venerato Fratello Cardinale Bovone è stato un sacerdote dalla fede cristallina, alimentata da costante orazione. Una spiritualità robusta, radicata nell'educazione familiare, parrocchiale e seminaristica, lo ha sostenuto nel fedele esercizio del ministero sacerdotale, consentendogli di realizzare un ammirevole equilibrio tra il lavoro nella Curia e l'attività pastorale.

Questa ricchezza di doni del Signore, che egli ha saputo così bene far fruttare durante il pellegrinaggio terreno, fa pensare agli aromi che le donne, discepole di Gesù, portavano con sé, secondo le parole dell'Evangelista, recandosi al sepolcro di buon mattino (cfr Lc 24,1).

6. Egli stesso, però, il caro Cardinale Bovone, con la caratteristica modestia pervasa da una vena di sapido umorismo, ci invita a non indugiare sulla sua persona, ma a rivolgere piuttosto lo sguardo al mistero: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato" (Lc 24,5-6). Egli ci invita - come battezzato, come Pastore, come Cardinale - all'indomani dell'Ottava di Pasqua, di questo "giorno che ha fatto il Signore", a fare nostre le parole dell'apostolo Pietro: "Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce" (1P 1,3-4).

La nostra vita è nelle mani del Signore, sempre, in ogni istante. Soprattutto nel momento della morte. "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Per questo il nostro compianto Fratello ci chiede di accompagnarlo con la preghiera, mentre compie il suo passaggio da questo mondo al Padre.

Sostenuto dalla materna intercessione di Maria Santissima, possa egli "conseguire la meta della sua fede, cioè la salvezza dell'anima" (cfr 1P 1,9). Possa "esultare di gioia indicibile e gloriosa" (cfr 1P 1,8), contemplando finalmente, e per sempre, Colui che ha amato in terra senza vederlo: Gesù Cristo, nostro Signore, al quale sia gloria e lode nei secoli eterni.

Amen.


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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA

DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE


Domenica 26 aprile 1998



1. "E' il Signore!" (Jn 21,7). Questa esclamazione dell'apostolo Giovanni pone in risalto l'intensa emozione provata dai discepoli nel riconoscere Gesù risorto, apparso loro per la terza volta sulle rive del mare di Tiberiade.

Giovanni si fa come portavoce dei sentimenti di Pietro e degli altri Apostoli di fronte alla presenza del Signore risuscitato. Dopo una lunga notte di solitudine e di fatica, arriva l'alba e la sua apparizione cambia radicalmente ogni cosa: il buio è vinto dalla luce, il lavoro infruttuoso diviene pesca facile ed abbondante, il senso di stanchezza e di solitudine si trasforma in gioia e pace.

Da allora questi stessi sentimenti animano la Chiesa. Se ad uno sguardo superficiale può a volte sembrare che le tenebre del male e la fatica del vivere quotidiano abbiano il sopravvento, la Chiesa sa con certezza che su quanti seguono Cristo risplende ormai intramontabile la luce della Pasqua. Il grande annuncio della Risurrezione infonde nei cuori dei credenti un'intima gioia ed una rinnovata speranza.

2. Il Libro degli Atti degli Apostoli, che la Liturgia ci fa rileggere durante questo tempo pasquale, descrive la vitalità missionaria, ricca di gioia, da cui era animata la Comunità cristiana delle origini, pur tra difficoltà ed ostacoli d'ogni tipo. Questa stessa vitalità si è prolungata nei secoli grazie all'azione dello Spirito Santo ed alla cooperazione docile e generosa dei credenti.

Leggiamo oggi nella prima Lettura: "Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo" (Ac 5,32). Lo Spirito Santo vivifica l'impegno apostolico dei discepoli di Cristo, sostenendoli nelle prove, illuminandoli nelle scelte, assicurando efficacia al loro annuncio del mistero pasquale.

3. Cristo è veramente risorto! Alleluia! Anche oggi la Chiesa continua a proporre lo stesso annuncio festoso. "Cristo è veramente risorto!", queste parole sono un grido di gioia ed un invito alla speranza. Se Cristo è risorto, osserva san Paolo, la nostra fede non è vana. Se con Cristo noi siamo morti, con Lui siamo risorti: dobbiamo quindi ora vivere da risorti.

Carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia di Santo Stefano Protomartire! Vi saluto tutti con affetto. La mia presenza in mezzo a voi si ricollega idealmente alla visita che il mio venerato Predecessore, il servo di Dio Paolo VI, compì in questa vostra Comunità, in occasione della Pasqua del 1966.

Saluto cordialmente il Cardinale Vicario, Monsignor Vicegerente, il vostro zelante Parroco, Monsignor Vincenzo Vigorito, e tutti coloro che collaborano con lui nella guida della Comunità parrocchiale. Rivolgo un particolare pensiero a quanti, soprattutto in quest'ultimo periodo, sono impegnati nella Missione cittadina. Vorrei incoraggiarli a proseguire in questo sforzo missionario, annunciando e testimoniando con ogni mezzo ed in ogni ambiente il Vangelo che rinnova l'esistenza dell'uomo.

Tutti hanno bisogno di questa Parola che salva; a tutti la porta personalmente il Signore risorto. Comunicate, carissimi parrocchiani, questo messaggio di speranza a quanti incontrate nelle case, nelle scuole, negli uffici, nei posti di lavoro. Avvicinate soprattutto chi è solo, chi si trova in momenti di sofferenza ed in condizioni precarie, gli ammalati e gli emarginati. A tutti ed a ciascuno proclamate: Cristo è veramente risorto!

4. In questo modo, la vostra Comunità che, come molte altre parrocchie romane, ha avuto origini recenti e già possiede una storia densa di problematiche sociali ed umane, diventerà sempre più luogo di solidarietà e di incontro, di gioia e di rinvigorimento spirituale. Questo ha voluto essere la vostra Parrocchia da quando nacque nel 1953, ad opera dei Padri Passionisti. Nei due successivi decenni la Comunità è notevolmente cresciuta, grazie all'afflusso di molti immigrati provenienti soprattutto dalle zone del centro e del sud dell'Italia.

Tante persone in quegli anni si sono trasferite a Roma in cerca di fortuna, staccandosi forzatamente dalle tradizioni e dai valori dei loro paesi. Fra voi c'è chi ricorda le difficoltà delle origini, con le connesse problematiche umane e sociali, quando gli archi dell'acquedotto erano diventati luogo di riparo per tanti nuclei familiari di immigrati. A tali difficili situazioni, la Parrocchia ha cercato di dare risposte concrete, secondo le proprie possibilità, sempre mostrando grande coraggio e generosità pastorale.

Lo stesso Papa Paolo VI, rimasto impressionato dalla situazione di povertà qui incontrata, sostenne personalmente varie iniziative, fra le quali la creazione di un centro socio-sanitario. Provvidenzialmente ad aiutare gli abitanti di Tor Fiscale sono in seguito venute le Suore Figlie di Cristo Re, che hanno fondato una scuola ed un asilo.

Non posso, poi, non ricordare la cara Madre Teresa di Calcutta, che qui aprì la sua prima casa in Europa, divenuta ora comunità di formazione dei Missionari della Carità.

5. Grazie a Dio, negli ultimi anni la situazione è notevolmente migliorata dopo la costruzione di nuovi insediamenti a Tor Bella Monaca ed a Nuova Ostia. Permangono però sacche di povertà e di solitudine; preoccupanti sono la carenza di alloggi, la disoccupazione, specialmente giovanile, l'evasione scolastica, le piaghe della droga, della microcriminalità e della prostituzione.

Di fronte a tutto ciò, voi non restate indifferenti. So bene che vi impegnate generosamente con gesti di coraggiosa solidarietà a portare l'annuncio di Cristo. Il Papa, oggi in mezzo a voi, vuole con la sua presenza sostenervi in questa non facile, ma esaltante missione apostolica e missionaria. Guardate a Cristo: Egli è la vita che non muore. Questa vita Egli dona a chiunque si rivolge a Lui con fede sincera. Siate testimoni e promotori di questa vita, ponendo i valori del Vangelo a fondamento di una società più giusta e solidale.

Il Papa è qui oggi anche per lodarvi ed incoraggiarvi. Per incoraggiare i Sacerdoti e le Religiose che qui profondono le loro energie, i laici impegnati che qui, come in tante altre periferie romane, troppo spesso abbandonate a se stesse, hanno dato e continuano ad offrire una preziosa testimonianza di amore e di cura per la vita umana in tutte le sue fasi. Voglio incoraggiare soprattutto quanti si dedicano con perseveranza a trasmettere i valori della fede ai fratelli, in particolare agli ultimi ed agli emarginati.

6. "L'Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione" (Ap 5,12).

In questa terza Domenica di Pasqua, facciamo nostre le parole della liturgia celeste riportate dall'Apocalisse. Mentre contempliamo la gloria del Risorto, chiediamo al Signore che alla vostra Comunità sia concesso di contare su di un futuro più sereno e ricco di speranza. Il Signore renda ciascuno sempre più consapevole della sua missione al servizio del Vangelo.

Carissimi Fratelli e Sorelle, il Cristo risorto vi doni il coraggio dell'amore; vi renda suoi testimoni! Vi riempia del suo Spirito affinché, con tutta la Chiesa, sostenuti dall'intercessione di Maria, possiate proclamare il cantico di gloria dei redenti: "A Colui che siede sul trono e all'Agnello lode, onore, gloria e potenza" (Ap 5,13).

Amen!



GPII Omelie 1996-2005 147