GPII Omelie 1996-2005 167

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VIAGGIO APOSTOLICO

DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

IN CROAZIA (2-4 OTTOBRE 1998)

SANTA MESSA

NELLA SPIANATA DI ZNJAN A SPLIT


4 Ottobre 1998



1. «Siamo servi inutili» (Lc 17,10).

L'eco di queste parole di Cristo non cessò sicuramente di risonare nell'animo degli Apostoli quando, ubbidendo al suo comando, si avviarono sulle strade del mondo per annunziare il Vangelo. Passavano da una città all'altra, da una regione all'altra, faticando a servizio del Regno, e sempre custodendo nel cuore l'ammonimento di Gesù: "Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17,10).

Questa stessa consapevolezza essi trasmisero ai loro discepoli, anche a quelli che per primi attraversarono il Mar Adriatico, portando il Vangelo nella Dalmazia romana, ai popoli che in quell'epoca abitavano questa bellissima costa e le altre terre non meno belle fino alla Pannonia. La fede cominciò così a diffondersi tra i vostri antenati, i quali a loro volta la consegnarono a voi. È un lungo processo storico, che risale all'epoca di San Paolo e che riparte con nuovo slancio nel VII secolo all'arrivo delle popolazioni croate.

Oggi vogliamo ringraziare la Santissima Trinità per il Battesimo che hanno ricevuto i vostri avi. Il cristianesimo è arrivato qui dall'Oriente e dall'Italia, da Roma, e ha plasmato la vostra tradizione nazionale. Questo ricordo risveglia nell'animo un vivo senso di gratitudine verso la divina Provvidenza per questo duplice dono: anzitutto il dono della vocazione alla fede, e poi quello dei frutti che ne sono maturati nella vostra cultura e nelle vostre consuetudini.

Sulla costa croata, lungo i secoli, sono fioriti meravigliosi capolavori di architettura, che hanno suscitato l'ammirazione di innumerevoli persone in ogni epoca. Tutti potevano godere di questo splendido patrimonio inserito in un incantevole paesaggio. Purtroppo, a causa delle guerre, parte di questi tesori è andata distrutta o è stata danneggiata. L'occhio umano ormai non potrà più gioirne. Come non provarne rimpianto?

2. «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare». La parola di Gesù pone degli interrogativi che non è possibile evitare: abbiamo veramente fatto quanto dovevamo? E che cosa dovremmo fare ora? Quali sono i compiti che stanno davanti a noi? Quali mezzi e quali forze abbiamo a disposizione? Le domande sono complesse e la risposta dovrà quindi essere articolata. Oggi noi ci poniamo queste domande come cristiani, come seguaci di Cristo, e con questa consapevolezza leggiamo la pagina della Lettera di San Paolo a Timoteo. In essa l'Apostolo, elencando i nomi di alcuni discepoli, menziona anche quello di Tito, del quale ricorda la missione in Dalmazia. Tito fu dunque uno di coloro che per primi evangelizzarono queste terre, a singolare testimonianza della preoccupazione apostolica di far giungere il Vangelo fin qui.

Nelle parole di Paolo, di un Paolo ormai provato dagli anni, sentiamo echeggiare l'ansia apostolica di tutta una vita. Ora che è giunto per lui il momento di sciogliere le vele (cfr 2Tm 4,6), scrive al discepolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» (2Tm 4,7). È una testimonianza ed è anche un testamento. In questa prospettiva acquistano maggiore importanza le parole conclusive: «Il Signore (...) mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del Messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili» (2Tm 4,17).

Coloro che oggi, alla fine del secondo millennio, devono continuare l'opera dell'evangelizzazione possono attingere qui luce e conforto. In questa opera, che è divina e al tempo stesso umana, bisogna fare appello alla potenza del Signore. Giustamente, alle soglie del nuovo millennio, parliamo della necessità di una nuova evangelizzazione: nuova quanto al metodo, ma sempre identica quanto alle verità proposte. Ora, la nuova evangelizzazione è un compito immane: universale nei contenuti e nella destinazione, essa deve diversificarsi nella forma adattandosi alle esigenze dei vari luoghi. Come non sentire il bisogno dell'intervento di Dio a sostegno della nostra pochezza?

Preghiamo, affinché la Chiesa nel vostro Paese cattolico sappia leggere bene, con l'aiuto di Dio, esigenze e compiti della nuova evangelizzazione e orientarne l'impegno nella giusta direzione "tertio millennio adveniente".

3. Ringrazio l'Arcivescovo Metropolita Mons. Ante Juric, per le parole di benvenuto, che in qualità di Ospitante mi ha rivolto all'inizio di questa Celebrazione eucaristica, a nome di tutti voi e di tutti gli uomini di buona volontà di queste care regioni croate.

Saluto i Vescovi della Provincia ecclesiastica di Split-Makarska e tutti gli altri Vescovi della Croazia, con un particolare pensiero per il Card. Franjo Kuharic. Porgo altresì il mio benvenuto riconoscente ai Pastori della Chiesa che è nella vicina Bosnia ed Erzegovina: all'Arcivescovo di Sarajevo, il Card. Vinko Puljic, qui giunto con l'Ausiliare Mons. Pero Sudar, e poi al Vescovo di Mostar-Duvno ed Amministratore apostolico di Trebinje-Mrkan, Mons. Ratko Peric, e al Vescovo di Banja Luka, Mons. Franjo Komarica. Saluto pure tutti gli altri Presuli presenti. Sono contento e grato per la presenza del Metropolita serbo ortodosso Jovan e del Vescovo luterano Deutsch. La nostra preghiera ci riunisce insieme attorno a Gesù. Saluto anche gli appartenenti ad altre comunità religiose presenti qui con noi.

Saluto infine il Presidente della Repubblica, il Capo del Governo e le Autorità civili e militari, che hanno voluto essere presenti qui con noi.

4. Carissimi, Spalato e Salona rappresentano la seconda e conclusiva tappa di questa mia Visita pastorale in Croazia. Le due località rivestono un'importanza del tutto particolare nello sviluppo del cristianesimo in questa regione, a partire dall'epoca romana e poi in quella successiva, croata, e rievocano una lunga e mirabile storia di fede dai tempi degli apostoli fino ai nostri giorni.

«Se aveste fede quanto un granellino di senapa ...» (Lc 17,6), ci ha detto Gesù poco fa nel Vangelo. La grazia di Dio ha fatto sì che quel granellino di fede germogliasse e crescesse fino a diventare un albero grande, ricco di frutti di santità. Anche nei periodi più duri della vostra storia, non sono mancati uomini e donne che non hanno cessato di ripetere: «La fede cattolica è la mia vocazione» (Servo di Dio Ivan Merz, in Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis, Roma 1998, p. 477); uomini e donne che hanno fatto della fede il programma della loro vita. Così è stato per il martire Domnio, in epoca romana, così per i numerosi martiri durante l'occupazione turca, sino al Beato martire Alojzije Stepinac, nei giorni nostri.

La decisione dei vostri padri di accogliere la fede cattolica, la fede annunciata e professata dai Santi Apostoli Pietro e Paolo, ha avuto un ruolo centrale nella storia religiosa e civile della Nazione. «Questo fu un evento di capitale importanza per i Croati, perché da quel momento accettarono con grande prontezza il Vangelo di Cristo come veniva propagato e insegnato da Roma. La fede cattolica ha permeato la vita nazionale dei Croati»: così hanno scritto i vostri Vescovi (Lettera pastorale del 16 marzo 1939), in vista della celebrazione giubilare dell'evangelizzazione dei Croati, programmata per il 1941 e rinviata, poi, a causa di eventi che hanno sconvolto la vostra Patria, l'Europa e il mondo intero.

5. È un'eredità che obbliga. Nella Lettera che vi ho scritto per l'Anno di Branimir, una delle tappe della celebrazione del Giubileo del Battesimo del vostro Popolo, vi dicevo: «Con la vostra perseveranza avete stretto una specie di patto con Cristo e con la sua Chiesa: dovete restare fedeli a questo patto quanto più i tempi vi si oppongono. Quali siete stati da quel glorioso anno 879, tali rimanete sempre» (15 maggio 1979). Queste parole vi ripeto anche oggi, nel nuovo clima sociale e politico che si è instaurato nella vostra Patria.

Il Signore non ha mancato di illuminare di speranza i vostri giorni (cfr Ep 1,17-18), Ed ora, con l'avvento della libertà e della democrazia, è legittimo attendere una nuova primavera di fede in queste terre croate. La Chiesa ha oggi la possibilità di servirsi di molteplici mezzi di evangelizzazione e di accedere a tutti gli spazi della società. È questa un'occasione propizia che la Provvidenza offre a questa generazione per annunciare il Vangelo e rendere testimonianza a Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo, contribuendo così all'edificazione di una società a misura d'uomo.

Concretamente, i cristiani delle terre croate sono oggi chiamati a dare un volto nuovo alla loro Patria, soprattutto impegnandosi per il ripristino nella società dei valori etici e morali minati dai precedenti totalitarismi e dalla recente violenza bellica. È compito che richiede molte energie e ferma volontà. Ed è compito urgente, perché senza valori non vi può essere vera libertà né vera democrazia. Fondamentale, tra i valori, è il rispetto della vita umana, dei diritti e della dignità della persona, come anche dei diritti e della dignità dei popoli.

Il cristiano sa di avere una responsabilità ben precisa, accanto agli altri cittadini, per le sorti della propria Patria e per la promozione del bene comune. La fede impegna sempre al servizio degli altri, dei concittadini visti come fratelli. E non vi può essere testimonianza efficace senza una fede profondamente vissuta, senza una vita ancorata al Vangelo e permeata di amore verso Dio e verso il prossimo, sull'esempio di Gesù Cristo. Testimoniare, per il cristiano, vuol dire rivelare agli altri le meraviglie dell'amore di Dio, costruendo unitamente ai fratelli quel Regno, di cui la Chiesa "costituisce in terra il germe e l'inizio" (Lumen gentium LG 5).

6. «Se aveste fede... Siamo servi inutili... ». La fede non cerca cose straordinarie, ma si sforza di rendersi utile servendo i fratelli nella prospettiva del Regno. La sua grandezza sta nell'umiltà: «Siamo servi inutili...». Una fede umile è una fede autentica. E una fede autentica, anche se piccola "come un granellino di senapa", può operare cose straordinarie.

Quante volte ciò ha trovato attuazione in queste regioni! Possa il futuro recare nuove conferme di questa parola del Signore, così che il Vangelo continui a portare abbondanti frutti di santità tra le generazioni che verranno.

Il Signore della storia accolga le suppliche che si innalzano oggi da questa terra croata ed esaudisca la preghiera di quanti confessano il santo Nome di Dio e chiedono di rimanere fedeli alla grande Alleanza battesimale dei loro avi.

Sorretto dalla fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, questo popolo sappia costruire il proprio futuro sulle sue antiche radici cristiane, che risalgono ai tempi apostolici!

Siano lodati Gesù e Maria!


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GIOVANNI PAOLO II

OMELIA


Domenica, 11 ottobre 1998



1. Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo (cfr Ga 6,14).

Le parole di San Paolo ai Galati, che poc'anzi abbiamo ascoltato, ben si addicono all'esperienza umana e spirituale di Teresa Benedetta della Croce, che oggi solennemente viene iscritta nell'albo dei santi. Anche lei può ripetere con l'Apostolo: Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo.

La croce di Cristo! Nella sua costante fioritura l'albero della Croce porta sempre rinnovati frutti di salvezza. Per questo, alla Croce guardano fiduciosi i credenti, traendo dal suo mistero di amore coraggio e vigore per camminare fedeli sulle orme di Cristo crocifisso e risorto. Il messaggio della Croce è così entrato nel cuore di tanti uomini e di tante donne cambiandone l'esistenza.

Un esempio eloquente di questo straordinario rinnovamento interiore è la vicenda spirituale di Edith Stein. Una giovane donna in cerca della verità, grazie al lavorio silenzioso della grazia divina, è diventata una santa ed una martire: è Teresa Benedetta della Croce, che quest'oggi dal cielo ripete a tutti noi le parole che hanno segnato la sua esistenza: "Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce di Gesù Cristo".

2. Il primo maggio 1987, nel corso della mia visita pastorale in Germania, ho avuto la gioia di proclamare Beata, nella città di Colonia, questa generosa testimone della fede. Oggi, a undici anni di distanza, qui a Roma, in Piazza San Pietro, mi è dato di presentare solennemente come Santa davanti a tutto il mondo questa eminente figlia d'Israele e figlia fedele della Chiesa.

Come allora, così quest'oggi ci inchiniamo dinanzi alla memoria di Edith Stein, proclamando l'invitta testimonianza da lei resa durante la vita e soprattutto con la morte. Accanto a Teresa d'Avila ed a Teresa di Lisieux, quest'altra Teresa va a collocarsi fra lo stuolo di santi e sante che fanno onore all'Ordine carmelitano.

Carissimi Fratelli e Sorelle, che siete convenuti per questa solenne celebrazione, rendiamo gloria a Dio per l'opera da lui compiuta in Edith Stein.

3. Saluto i numerosi pellegrini venuti a Roma, con un particolare pensiero per i membri della famiglia Stein, che hanno voluto essere con noi per questa lieta circostanza. Un saluto cordiale va anche alla rappresentanza della Comunità carmelitana, la quale è diventata la "seconda famiglia" per Teresa Benedetta della Croce.

Rivolgo, poi, il mio benvenuto alla delegazione ufficiale della Repubblica Federale di Germania, guidata del Cancelliere Federale uscente, Helmut Kohl, che saluto con deferente cordialità. Saluto, inoltre, i rappresentanti dei Länder Nordrhein-Westfalen e Rheinland-Pfalz, come anche il Primo Sindaco della Città di Colonia.

Anche dalla mia patria è venuta una delegazione ufficiale guidata dal Primo Ministro Jerzy Buzek. Rivolgo ad essa un cordiale saluto.

Una speciale menzione voglio poi riservare ai pellegrini delle diocesi di Breslavia (Wroclaw), di Colonia, Münster, Spira, Kraków e Bielsko-Zywiec, presenti con i loro Vescovi e sacerdoti. Essi si uniscono alla numerosa schiera di fedeli venuti dalla Germania, dagli Stati Uniti d'America e dalla mia patria, la Polonia.

4. Cari Fratelli e Sorelle! Perché ebrea, Edith Stein fu deportata insieme con la sorella Rosa e molti altri ebrei dei Paesi Bassi nel campo di concentramento di Auschwitz, ove insieme con loro trovò la morte nelle camere a gas. Di tutti facciamo oggi memoria con profondo rispetto. Pochi giorni prima della sua deportazione la religiosa, a chi le offriva di fare qualcosa per salvarle la vita, aveva risposto: "Non lo fate! Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta".

Nel celebrare d'ora in poi la memoria della nuova Santa, non potremo non ricordare di anno in anno anche la Shoah, quel piano efferato di eliminazione di un popolo, che costò la vita a milioni di fratelli e sorelle ebrei. Il Signore faccia brillare il suo volto su di loro e conceda loro la pace (cfr Nb 6,25 s.).

Per amor di Dio e dell'uomo ancora una volta io levo un grido accorato: mai più si ripeta una simile iniziativa criminale per nessun gruppo etnico, nessun popolo, nessuna razza, in nessun angolo della terra! E' un grido che rivolgo a tutti gli uomini e le donne di buona volontà; a tutti coloro che credono all'eterno e giusto Iddio; a tutti coloro che si sentono uniti in Cristo, Verbo di Dio incarnato. Tutti dobbiamo trovarci in questo solidali: è in gioco la dignità umana. Esiste una sola famiglia umana. Questo ha ribadito la nuova Santa con grande insistenza: "Il nostro amore verso il prossimo - scriveva - è la misura del nostro amore a Dio. Per i cristiani - e non solo per loro - nessuno è «straniero». L'amore di Cristo non conosce frontiere".

5. Cari Fratelli e Sorelle! L'amore di Cristo fu il fuoco che incendiò la vita di Teresa Benedetta della Croce. Prima ancora di rendersene conto, essa ne fu completamente catturata. All'inizio il suo ideale fu la libertà. Per lungo tempo Edith Stein visse l'esperienza della ricerca. La sua mente non si stancò di investigare ed il suo cuore di sperare. Percorse il cammino arduo della filosofia con ardore appassionato ed alla fine fu premiata: conquistò la verità, anzi ne fu conquistata. Scoprì, infatti, che la verità aveva un nome: Gesù Cristo, e da quel momento il Verbo incarnato fu tutto per lei. Guardando da carmelitana a questo periodo della sua vita, scrisse ad una benedettina: "Chi cerca la verità, consapevolmente o inconsapevolmente cerca Dio".

Pur essendo stata educata nella religione ebraica dalla madre, Edith Stein a quattordici anni "si era consapevolmente e di proposito disabituata alla preghiera". Voleva contare solo su se stessa, preoccupata di affermare la propria libertà nelle scelte della vita. Alla fine del lungo cammino le fu dato di giungere ad una constatazione sorprendente: solo chi si lega all'amore di Cristo diventa veramente libero.

L'esperienza di questa donna, che ha affrontato le sfide di un secolo travagliato come il nostro, diventa esemplare per noi: il mondo moderno ostenta la porta allettante del permissivismo, ignorando la porta stretta del discernimento e della rinuncia. Mi rivolgo specialmente a voi, giovani cristiani, in particolare ai numerosi ministranti convenuti in questi giorni a Roma: guardatevi del concepire la vostra vita come una porta aperta a tutte le scelte! Ascoltate la voce del vostro cuore! Non restate alla superficie, ma andate al fondo delle cose! E quando sarà il momento, abbiate il coraggio di decidervi! Il Signore attende che voi mettiate la vostra libertà nelle sue mani misericordiose.

6. Santa Teresa Benedetta della Croce giunse a capire che l'amore di Cristo e la libertà dell'uomo s'intrecciano, perché l'amore e la verità hanno un intrinseco rapporto. La ricerca della verità e la sua traduzione nell'amore non le apparvero in contrasto; essa, anzi, capì che si richiamavano a vicenda.

Nel nostro tempo la verità viene scambiata spesso con l'opinione della maggioranza. Inoltre è diffusa la convinzione che ci si debba servire della verità anche contro l'amore o viceversa. Ma la verità e l'amore hanno bisogno l'una dell'altro. Suor Teresa Benedetta ne è testimone. La "martire per amore", che donò la sua vita per gli amici, non si fece superare da nessuno nell'amore. Allo stesso tempo ella cercò con tutta se stessa la verità, della quale scriveva: "Nessuna opera spirituale viene al mondo senza grandi travagli. Essa sfida sempre l'uomo intero".

Suor Teresa Benedetta della Croce dice a noi tutti: Non accettate nulla come verità che sia privo di amore. E non accettate nulla come amore che sia privo di verità! L'uno senza l'altra diventa una menzogna distruttiva.

7. La nuova Santa ci insegna, infine, che l'amore per Cristo passa attraverso il dolore. Chi ama davvero non si arresta di fronte alla prospettiva della sofferenza: accetta la comunione nel dolore con la persona amata.

Consapevole di ciò che comportava la sua origine ebraica, Edith Stein ebbe al riguardo parole eloquenti: "Sotto la croce ho compreso la sorte del popolo di Dio... Infatti, oggi conosco molto meglio ciò che significa essere la sposa del Signore nel segno della Croce. Ma poiché è un mistero, con la sola ragione non potrà mai essere compreso".

Il mistero della Croce pian piano avvolse tutta la sua vita, fino a spingerla verso l'offerta suprema. Come sposa sulla Croce, Suor Teresa Benedetta non scrisse soltanto pagine profonde sulla "scienza della croce", ma fece fino in fondo il cammino alla scuola della Croce. Molti nostri contemporanei vorrebbero far tacere la Croce. Ma niente è più eloquente della Croce messa a tacere! Il vero messaggio del dolore è una lezione d'amore. L'amore rende fecondo il dolore e il dolore approfondisce l'amore.

Attraverso l'esperienza della Croce, Edith Stein poté aprirsi un varco verso un nuovo incontro col Dio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe, Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Fede e croce le si rivelarono inseparabili. Maturata alla scuola della Croce, ella scoprì le radici alle quali era collegato l'albero della propria vita. Capì che era molto importante per lei "essere figlia del popolo eletto e di appartenere a Cristo non solo spiritualmente, ma anche per un legame di sangue".

8. "Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità" (Jn 4,24).

Carissimi Fratelli e Sorelle, con queste parole il divino Maestro s'intrattenne con la Samaritana presso il pozzo di Giacobbe. Quanto egli donò alla sua occasionale ma attenta interlocutrice lo troviamo presente anche nella vita di Edith Stein, nella sua "salita al Monte Carmelo". La profondità del mistero divino le si rese percettibile nel silenzio della contemplazione. Man mano che, lungo la sua esistenza, essa maturava nella conoscenza di Dio, adorandolo in spirito e verità, sperimentava sempre più chiaramente la sua specifica vocazione a salire sulla Croce con Cristo, ad abbracciarla con serenità e fiducia, ad amarla seguendo le orme del suo diletto Sposo: Santa Teresa Benedetta della Croce ci viene additata oggi come modello a cui ispirarci e come protettrice a cui ricorrere.

Rendiamo grazie a Dio per questo dono. La nuova Santa sia per noi un esempio nel nostro impegno a servizio della libertà, nella nostra ricerca della verità. La sua testimonianza valga a rendere sempre più saldo il ponte della reciproca comprensione tra ebrei e cristiani.

Tu, Santa Teresa Benedetta della Croce, prega per noi! Amen.
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GIOVANNI PAOLO II

OMELIA


Domenica, 18 ottobre 1998

XX Anniversario del Pontificato



1. "Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" (Lc 18,8).

Questa domanda, posta un giorno da Cristo ai suoi discepoli, nell'arco dei duemila anni dell'era cristiana ha interpellato molte volte gli uomini che la Divina Provvidenza ha chiamato ad assumere il ministero petrino. Penso in questo momento a tutti i miei lontani e vicini Predecessori. Penso, in maniera speciale, a me ed a quanto avvenne il 16 ottobre del 1978. Con l'odierna celebrazione rendo grazie al Signore, insieme a tutti voi, per questi vent'anni di pontificato.

Mi torna alla memoria il 26 agosto del 1978, quando nella Cappella Sistina risuonarono le parole del Cardinale primo dell'Ordine dei Vescovi e Camerlengo di Santa Romana Chiesa, rivolte al mio immediato Predecessore: "Accetti la tua elezione canonica a Sommo Pontefice?". "Accetto", rispose il Cardinale Albino Luciani. "Come vuoi essere chiamato?", continuò il Cardinale Villot. "Giovanni Paolo" fu la risposta.

Chi avrebbe pensato allora che, dopo appena alcune settimane, le stesse domande sarebbero state indirizzate a me, come suo successore? Alla prima richiesta: "Accetti?", risposi: "Nell'obbedienza della fede davanti a Cristo mio Signore, abbandonandomi alla Madre di Cristo e della Chiesa, consapevole delle grandi difficoltà, accetto". Ed alla successiva domanda: "Come vuoi essere chiamato?", dissi anch'io: "Giovanni Paolo".

Dopo la risurrezione, Cristo per tre volte domandò a Pietro: "Mi ami tu?" (cfr Jn 21,15-17). L'Apostolo, consapevole della propria debolezza, rispose: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo", e ricevette da Lui il mandato: "Pasci le mie pecorelle" (Jn 21,17). Questa missione il Signore l'ha affidata a Pietro e, in lui, a tutti i suoi successori. Le stesse parole ha rivolto anche a colui che oggi vi parla, nel momento in cui gli veniva affidato il compito di confermare la fede dei fratelli.

Quante volte sono riandato col pensiero alle parole di Gesù, che Luca ci ha conservato nel suo Vangelo. Poco prima di affrontare la passione Gesù dice a Pietro: "Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,31-32). "Confermare nella fede i fratelli" è, dunque, uno degli aspetti essenziali del servizio pastorale affidato a Pietro ed ai suoi successori. Nella Liturgia odierna, Gesù pone la domanda: "Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?". E' una domanda che interpella tutti, ma in particolare i successori di Pietro.

"Quando verrà, troverà... ?". Al trascorrere di ogni anno, si avvicina la sua venuta. Celebrando il Santo Sacrificio della Messa, dopo la consacrazione, ripetiamo sempre: "Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta".

Venendo, troverà la fede sulla terra?

2. Le Letture liturgiche di questa domenica possono suggerire una duplice risposta a questa domanda.

La prima la ricaviamo dall'esortazione che san Paolo rivolge al suo fidato collaboratore Timoteo. Scrive l'Apostolo: "Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina" (2Tm 4,1-2).

E' qui sintetizzato un preciso programma d'azione. Infatti, il ministero apostolico, e specialmente il ministero di Pietro, consiste in primo luogo nell'insegnamento. Per insegnare la verità divina, chi lo fa deve essere egli stesso "saldo - come scrive ancora l'Apostolo a Timoteo - in quello che ha imparato e di cui è convinto" (2Tm 3,14).

Il Vescovo, ed a maggior ragione il Papa, deve tornare continuamente alle fonti della sapienza che portano alla salvezza. Deve amare la Parola di Dio. Dopo vent'anni di servizio sulla sede di Pietro, non posso quest'oggi non pormi alcune domande: Hai mantenuto tutto questo? Sei stato maestro diligente e vigile della fede nella Chiesa? Hai cercato di avvicinare agli uomini di oggi la grande opera del Concilio Vaticano II? Hai cercato di soddisfare le attese dei credenti nella Chiesa, ed anche quella fame di verità, che si fa sentire nel mondo, fuori della Chiesa?

Ed echeggia nel mio spirito l'invito di san Paolo: "Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti - e che giudicherà anche te -: annuncia la parola" (2Tm 4,1-2)! Annunciare la Parola! Questo è il mio compito, facendo tutto il possibile, affinché il Figlio dell'uomo, quando verrà, possa trovare la fede sulla terra.

3. C'è poi un'altra risposta, che possiamo ricavare dalla prima Lettura biblica, tratta dal Libro dell'Esodo. Essa presenta l'immagine emblematica di Mosè in preghiera con le mani levate al cielo, mentre da un'altura segue la battaglia del suo popolo contro gli Amaleciti. Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte e poiché Mosè sentiva le sue braccia appesantite, gli offrirono una pietra perché si sedesse, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l'altro dall'altra, sostenevano le sue mani. Ed egli rimase in preghiera fino al tramonto, sino alla sconfitta di Amalek da parte di Giosuè (cfr Ex 17,11-13).

Ecco un'icona di straordinaria forza espressiva: l'icona del pastore orante. E' difficile trovare un riferimento più eloquente per tutte le situazioni in cui il nuovo Israele, la Chiesa, si trova a combattere contro i vari "Amaleciti". In un certo senso, tutto dipende dalle mani di Mosè tese verso l'alto.

La preghiera del pastore sostiene il gregge. E' cosa certa. Resta vero, però, anche che la preghiera del popolo sostiene chi ha il compito di guidarlo. Così è stato fin dall'inizio. Quando a Gerusalemme Pietro venne incarcerato per essere, come Giacomo, condannato a morte dopo le feste, tutta la Chiesa pregava per lui (cfr Ac 12,1-5). Raccontano gli Atti degli Apostoli che egli fu miracolosamente tratto fuori dalla prigione (cfr Ac 12,6-11).

Così è stato innumerevoli volte attraverso i secoli. Io stesso ne sono testimone per averlo sperimentato in prima persona. La preghiera della Chiesa è una grande potenza!

4. Vorrei qui ringraziare tutti coloro che in questi giorni mi hanno espresso la loro solidarietà. Grazie per i tanti messaggi d'augurio inviatimi; grazie soprattutto per il costante ricordo nella preghiera. Penso in maniera speciale agli ammalati ed ai sofferenti, che mi sono vicini con l'offerta delle loro pene. Penso ai monasteri di clausura ed ai tanti religiosi e religiose, ai giovani ed alle famiglie che non cessano di elevare al Signore una corale invocazione per la mia persona e per il mio universale ministero. Ho sentito, in questi giorni, pulsare accanto a me il cuore della Chiesa!

Grazie a tutti voi qui presenti in Piazza San Pietro, che oggi vi unite alla mia preghiera di lode a Dio per i vent'anni di servizio alla Chiesa e al mondo come Vescovo di Roma. Una speciale parola di riconoscenza va al Presidente della Repubblica Italiana ed a quanti lo hanno accompagnato stamani per onorarmi della loro presenza.

Con fraterno affetto ringrazio poi il Cardinale Camillo Ruini, che all'inizio della celebrazione s'è fatto interprete della fedeltà di tutti voi a Cristo e al Successore di Pietro. Sono commosso per la presenza così numerosa di Cardinali, Arcivescovi e Vescovi, e in particolare di Sacerdoti della Diocesi di Roma e della Curia, che prendono parte a questa solenne Concelebrazione eucaristica. Vorrei in questo momento dire a tutti voi, carissimi, quanto prezioso sia stato per me il vostro sostegno durante questi anni di servizio alla Chiesa sulla Cattedra di Pietro. Vorrei testimoniare la mia gratitudine per il calore con cui la Città di Roma e l'Italia mi hanno accolto fin dai primi giorni del mio ministero petrino. Chiedo al Signore di ricompensarvi generosamente per quanto avete fatto e fate per agevolarmi nel compito che mi è affidato.

Carissimi Fratelli e Sorelle di Roma, d'Italia e del mondo! Questo è il significato della nostra assemblea orante in Piazza San Pietro: rendere grazie a Dio per la provvida sollecitudine con cui continuamente guida e sostiene il suo Popolo in cammino nella storia; rinnovare, da parte mia, il "sì" pronunziato vent'anni or sono, fidando nella grazia divina; offrire, da parte vostra, l'impegno di pregare sempre per questo Papa, perché possa compiere fino in fondo la sua missione.

Rinnovo con tutto il cuore l'affidamento della mia vita e del mio ministero alla Vergine Maria, Madre del Redentore e Madre della Chiesa. A Lei ripeto con filiale abbandono: Totus tuus!

Amen.



OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


NELLA SANTA MESSA PER L’INAUGURAZIONE


DELL’ANNO ACCADEMICO


DELLE UNIVERSITA’ ECCLESIASTICHE ROMANE


Venerdì, 23 ottobre 1998



1. "Del Signore è la terra e quanto contiene,
l'universo e i suoi abitanti.
E' lui che l'ha fondata sui mari,
e sui fiumi l'ha stabilita" (Sal 23[24],1-2).

Le parole del Salmista, risuonate nell'odierna Liturgia, richiamano la signoria di Dio sul mondo. Egli l'ha creato e l'ha affidato all'uomo come compito; un compito che riguarda sia il campo del conoscere che quello dell'operare. Il mondo è, in questo senso, la vocazione dell'uomo.

L'apostolo Paolo esorta a comportarsi in modo degno della vocazione ricevuta (cfr Ep 4,1). Egli si riferisce alla vocazione cristiana, che impegna il battezzato a seguire Cristo e a conformarsi a Lui. Ma possiamo intendere l'espressione anche in un senso più lato, secondo il quale il mondo stesso può costituire per la persona umana come una chiamata, alla quale, in effetti, l'uomo da sempre ha cercato di rispondere. Da qui è nata la scienza, quell'immenso insieme di conoscenze che è frutto di meraviglia, di intuizioni, di ipotesi e di esperienze. Così, attraverso i secoli e le generazioni, nelle varie epoche storiche è andato formandosi il patrimonio scientifico dell'umanità.

2. Noi tutti qui riuniti siamo eredi di questa progressiva maturazione del sapere, elaborata dalle precedenti generazioni. In particolare voi, carissimi Rettori, docenti e studenti delle Università ecclesiastiche romane, vi inserite con il vostro impegno scientifico in questo itinerario di ricerca nelle varie discipline teologiche, filosofiche, umanistiche, storiche e giuridiche. A tutti voi rivolgo il mio cordiale pensiero. Saluto con animo grato il Signor Cardinale Pio Laghi, che presiede l'odierna Celebrazione, e con lui i Gran Cancellieri delle Università Pontificie. E' importante iniziare un nuovo anno accademico con la consapevolezza di recepire il tesoro della cultura come un retaggio di quanti ci hanno preceduto, e al tempo stesso come compito per la propria creatività conoscitiva e operativa.

Mediante il sapere l'uomo si pone in relazione, secondo la sua peculiare natura, con il mondo creato e lo riferisce a se stesso. Tuttavia, il mondo non esaurisce la vocazione dell'uomo.

3. Il Salmista parla del "salire sul monte del Signore":

"Chi salirà il monte del Signore,
chi starà nel suo luogo santo?" (Sal 23[24],3).

In questa immagine troviamo il completamento della verità sull'uomo: creato nel mondo e per il mondo, egli è allo stesso tempo chiamato a salire verso Dio.

Facendo l'essere umano a propria immagine e somiglianza, Dio l'ha chiamato alla ricerca del suo "Prototipo", di Colui a cui assomiglia più che a qualsiasi creatura e, conoscendo il quale, conosce anche se stesso. Da qui proviene tutta la tensione metafisica dell'uomo. Da qui nasce la sua apertura alla parola di Dio, la disposizione a cercare Colui che è invisibile e allo stesso tempo costituisce la pienezza della realtà.

4. Prosegue il Salmista:

"Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non pronunzia menzogna,
chi non giura a danno del suo prossimo...
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe" (Sal 23[24],4.6).

Mentre ripeto queste parole, il mio pensiero va spontaneamente a voi, carissimi studenti, convenuti numerosi a questa celebrazione ormai tradizionale: sacerdoti, persone consacrate e laici. Attraverso lo studio delle diverse discipline voi siete chiamati a cercare il "volto" del Signore, vale a dire la rivelazione del suo mistero, così come Gesù Cristo l'ha compiuta in modo pieno e definitivo.

"Nessuno sa chi è... il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Lc 10,22), abbiamo ascoltato poc'anzi dal Vangelo di Luca. La mediazione di Cristo è assolutamente necessaria per conoscere il vero volto di Dio. La sua mediazione riguarda inscindibilmente la ragione e il "cuore", l'ordine delle conoscenze e quello delle intenzioni e dei comportamenti. "Chi non ama - osserva l'apostolo Giovanni - non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore" (1Jn 4,8). "Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui" (1Jn 2,4).

5. Proprio sul piano del "cuore" si pone il messaggio contenuto nelle Letture bibliche di questa celebrazione. Esse ricordano che il volto del Signore si cerca e si trova nella carità (prima Lettura) e nella semplicità (Vangelo).

Scrivendo agli Efesini, l'Apostolo richiama con forza il primato della carità al servizio dell'unità, la quale ha il suo fondamento in Dio Uno e Trino: "un solo Spirito... un solo Signore... un solo Dio Padre" (Ep 4,4-6).

Ciascuno è portatore di doni per l'edificazione della comunità; e dono prezioso è anche lo studio, specialmente quello approfondito e sistematico. Per portare frutto a vantaggio di chi lo possiede e dei fratelli, anch'esso chiede di essere fecondato dalla carità, senza la quale a nulla giova possedere tutta la scienza (cfr 1Co 13,2).

La carità si accompagna con la semplicità di cuore, propria di coloro che il Vangelo, riecheggiando i detti del Signore Gesù, chiama i "piccoli". "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli" (Lc 10,21). Questa stupenda benedizione, sgorgata dal cuore di Cristo, ci ricorda che l'autentica maturità intellettuale va sempre di pari passo con la semplicità. Questa non consiste nella superficialità della vita e del pensiero né nella negazione della problematicità del reale, bensì nel saper cogliere il centro di ogni questione e nel saperla ricondurre al suo significato essenziale ed al suo rapporto con l'insieme. La semplicità è sapienza.

6. A tutti voi, carissimi Fratelli e Sorelle, che componete la grande comunità accademica ecclesiastica di Roma, auguro che l'anno appena iniziato vi aiuti a maturare nella conoscenza della verità, che costituisce la vocazione e il destino dell'uomo. Con le parole della mia recente enciclica Fides et ratio, auspico che "chiunque ha nel cuore l'amore per [la vera sapienza] possa intraprendere la giusta strada per raggiungerla e trovare in essa riposo nella sua fatica e gaudio spirituale" (n.6).

Considerate bene che il tempo dello studio non è tolto alla missione, ma è per la missione. Domenica scorsa abbiamo celebrato la Giornata Missionaria Mondiale. Desidero ricordare che la Missione cittadina della Diocesi di Roma si svolgerà il prossimo anno in particolare nei diversi ambienti e, quindi, anche nelle Università. Le Università ecclesiastiche costituiscono luoghi privilegiati di testimonianza, nella forma della mediazione culturale, e di preparazione di quanti sono chiamati a seminare nel vasto campo della Chiesa il buon seme della verità evangelica.

Possa ciascuno di voi cercare, trovare e contemplare il volto del Signore, per riflettere efficacemente la sua luce, che ricolma di significato la vita dell'uomo.

Maria, meridiana fiaccola di carità e sede delle sapienza, interceda per voi e vi accompagni in questa ricerca.
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GPII Omelie 1996-2005 167