GPII Omelie 1996-2005 211

211

VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA (5-17 GIUGNO 1999)

ATTO DI DEVOZIONE AL SACRO CUORE DI GESÙ


E BEATIFICAZIONE DEL VEN. P. FRELICHOWSKI




Spianata dell'Aeroclub (Torun) - Domenica, 7 giugno 1999



1. “Cuore di Gesù, nostra pace e riconciliazione, abbi pietà di noi”.

Ci inchiniamo con fede davanti al grande mistero dell’amore del Divin Cuore e vogliamo rendergli onore e gloria. Ave, Gesù, ave Cuore Divino del Figlio dell’uomo, che ha tanto amato gli uomini.

Rendo grazie a Dio perché oggi mi viene dato di visitare la giovane diocesi di Torun e lodare, insieme a voi, il Sacratissimo Cuore del Salvatore. Ringrazio con gioia la Divina Provvidenza per il dono di un nuovo beato, sacerdote e martire Stefan Wincenty Frelichowski, testimone eroico dell’amore di cui è capace un pastore. Saluto cordialmente tutti i presenti a questa funzione del mese di giugno. Saluto in modo particolare il vescovo Andrzej - Pastore della Chiesa di Torun, il vescovo ausiliare Jan, il clero, le persone consacrate e tutto il Popolo di Dio di questa terra. Saluto Torun, città cara al mio cuore e la bella Pomerania sulla Vistola. Sono lieto di essermi potuto recare nella vostra città, resa famosa da uno dei più grandi astronomi del mondo, Nicolò Copernico. Torun è conosciuta anche grazie agli sforzi intrapresi nel corso della storia a favore della pace. Fu proprio qui che si riuscì per due volte a concludere i trattati di pace, che nella storia ricevettero il nome di Pace di Torun. Anche in questa città ebbe luogo l’incontro dei rappresentanti dei cattolici, dei luterani e dei calvinisti di tutta l’Europa, che ricevette il nome di Colloquium Charitativum, cioè “Colloquio Fraterno”. Un’eloquenza particolare acquistano qui le parole del Salmista: “Per il bene dei miei fratelli e i miei amici io dirò: «Su di te sia pace!». Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene” (Ps 121 [122], 8-9).

2. “Cuore di Gesù, nostra pace e riconciliazione”.

Ecco il Cuore del Salvatore - segno leggibile del suo invincibile amore e fonte inesauribile di una vera pace. In Lui “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). La pace portata sulla terra da Cristo, proviene proprio da questa Pienezza e da quest’Amore. E’ dono di un Dio che ama, che ha amato l’uomo nel Cuore dell’unigenito Figlio. “Egli è la nostra pace” (cfr Ph 2,14) - esclama San Paolo. Sì, Gesù è la pace, è la nostra riconciliazione. E’ stato Lui ad annientare l’inimicizia, nata dopo il peccato dell’uomo ed a riconciliare con il Padre tutti gli uomini, mediante la morte in Croce. Sul Golgota il Cuore di Cristo fu trafitto da una lancia in segno di totale dono di sé, di quell'amore oblativo e salvifico con cui egli “ci amò sino alla fine” (cfr Jn 13,1), gettando il fondamento all’amicizia di Dio con gli uomini.

Ecco perché la pace di Cristo è diversa da quella immaginata dal mondo. Nel Cenacolo, prima della sua morte, rivolgendosi agli Apostoli, Cristo disse chiaramente: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Jn 14,27). Mentre gli uomini intendevano la pace prima di tutto a livello temporale ed esteriore, Cristo dice che essa scaturisce dai beni soprannaturali, è il risultato dell’unione con Dio nell’amore.

La Chiesa vive incessantemente del Vangelo della pace. L’annunzia a tutti i popoli e a tutte le nazioni. Instancabilmente indica le vie della pace e della riconciliazione. Introduce la pace abbattendo le mura di pregiudizi e di ostilità tra gli uomini. Lo fa prima di tutto tramite il Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione: portando la grazia della divina misericordia e del perdono, arriva alle radici stesse delle angosce umane, guarisce le coscienze ferite dal peccato, in modo che l’uomo provi conforto interiore e diventi portatore di pace. La Chiesa condivide anche la pace che essa stessa sperimenta ogni giorno nell’Eucaristia. L’Eucaristia è il culmine della nostra pace. In essa si compie il sacrificio della riconciliazione con Dio e con i fratelli, risuona la parola di Dio che annuncia la pace, si eleva senza mai cessare la preghiera: “Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi”. Nell’Eucaristia riceviamo il dono di Cristo stesso, che si offre e diventa la nostra pace. Allora, con una particolare chiarezza sperimentiamo il fatto che tale pace non la può dare il mondo, perché non la conosce (cfr Jn 14,27).

Lodiamo oggi la pace del nostro Signore Gesù Cristo; la pace che egli ha concesso a tutti coloro che si incontrarono con Lui, durante la sua vita terrena. La pace con la quale salutò gioiosamente i discepoli dopo la sua resurrezione.

3. “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9).

Così ci dice Cristo nel discorso della montagna. Dal profondo del suo Cuore che ama, esprime il desiderio della nostra felicità. Cristo sa che somma felicità è l’unione con Dio che fa dell’uomo un figlio di Dio. Tra le varie vie che conducono alla pienezza della felicità, egli indica anche quella che passa attraverso l’operare a favore della pace e il condividerla con altri. Gli uomini di pace sono degni del nome di figli di Dio. Gesù chiama felici le persone di questo genere.

“Beati gli operatori di pace”. La dignità di tale qialifica spetta giustamente a Don Stefan Wincenty Frelichowski, elevato oggi alla gloria degli altari. Tutta la sua vita infatti è quasi come uno specchio in cui si riflette lo splendore di quella filosofia di Cristo, secondo la quale la vera felicità raggiunge solo colui che, in unione con Dio, diventa un uomo di pace, che è operatore di pace e porta la pace agli altri. Questo sacerdote di Torun, che svolse il servizio pastorale per meno di otto anni, ha dato una testimonianza leggibile del suo donarsi a Dio e agli uomini. Vivendo di Dio, sin dai primi anni del sacerdozio, con la ricchezza del suo carisma sacerdotale andava ovunque c’era bisogno di portare la grazia della salvezza. Apprendeva i segreti dell’animo umano e adattava i metodi della pastorale alle necessità di ogni uomo che incontrava. Tale capacità egli l’aveva attinta dalla scuola dello scautismo da cui aveva acquisito una particolare sensibilità ai bisogni altrui e costantemente la sviluppava nello spirito della parabola del buon Pastore che cerca le pecore smarrite ed è disposto a dare la propria vita per salvarle (cfr Jn 10,1-21). Come sacerdote sempre aveva la consapevolezza di essere testimone di una grande Causa, e al contempo serviva gli uomini con una profonda umiltà. Grazie alla bontà, alla mitezza e alla pazienza guadagnò molti a Cristo, anche nelle tragiche circostanze della guerra e dell’occupazione.

Nel dramma della guerra egli inscriveva in un certo senso un susseguirsi di capitoli del servizio della pace. Il cosiddetto Forte VII, Stutthof, Grenzdorf, Oranienburgo-Sachsenhausen, infine Dachau, sono le progressive stazioni della sua via dolorosa, sulla quale rimase sempre lo stesso: intrepido nell’adempimento del ministero sacerdotale. Andava con esso specialmente da coloro che ne avevano più grande bisogno, a quanti in massa morivano di tifo, del quale alla fine egli stesso cadde vittima. Donò la sua vita sacerdotale a Dio e agli uomini, portando la pace alle vittime della guerra. Condivideva la pace generosamente con gli altri, perché la sua anima attingeva la forza dalla pace di Cristo. E fu una forza così grande, che perfino la morte da martire non riuscì ad annientarla.

4. Cari Fratelli e Sorelle, senza il rinnovamento interiore e senza l'impegno di sconfiggere il male e il peccato nel cuore, e specialmente senza l’amore, l’uomo non conquisterà la pace interiore. Essa è in grado di sopravvivere soltanto quando è radicata nei valori più alti, quando è basata sulle norme morali ed è aperta a Dio. Non può invece resistere, se è stata elevata sul terreno paludoso dell’indifferenza religiosa e di un arido pragmatismo. La pace interiore nasce nel cuore dell’uomo e nella vita della società dall’ordine morale, dall’ordine etico, dall’osservanza dei comandamenti di Dio.

Condividiamo con altri questa pace di Dio, come lo faceva il beato sacerdote e martire Wincenty Frelichowski. Diventeremo così un germoglio di pace nel mondo, nella società, nell’ambiente in cui viviamo e lavoriamo. Mi rivolgo con quest’appello a tutti senza alcuna eccezione, e in modo particolare a voi, cari sacerdoti. Siate testimoni dell’amore misericordioso di Dio. Annunciate con gioia il Vangelo di Cristo, dispensando il perdono di Dio nel Sacramento della Riconciliazione. Mediante il vostro servizio cercate di avvicinare tutti a Cristo - datore della pace.

Rivolgo queste parole anche a voi, cari genitori, che siete i primi educatori dei vostri figli. Siate per essi l’immagine dell’amore e del perdono divino, cercando con tutte le forze di costruire una famiglia unita e solidale. Famiglia, proprio a te è stata affidata una missione di primaria importanza: devi partecipare alla costruzione della pace, del bene che è indispensabile per lo sviluppo e per il rispetto della vita umana.

Chiedo a voi, educatori, che siete chiamati ad inculcare nella giovane generazione i valori autentici della vita: insegnate ai bambini e ai giovani la tolleranza, la comprensione e il rispetto per ogni uomo; educate le giovani generazioni in un clima di vera pace. E’ loro diritto. E’ vostro dovere.

Voi, giovani, che portate nel cuore grandi aspirazioni, imparate a vivere nella concordia e nel reciproco rispetto, aiutandovi con solidarietà gli uni verso gli altri. Sostenete nei vostri cuori l’aspirazione al bene e il desiderio della pace (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 01.01.1997, n° 8).

Le società e le nazioni hanno bisogno di uomini di pace, autentici seminatori della concordia e del rispetto reciproco. Uomini, che colmino i propri cuori con la pace di Cristo e la portino nelle case, negli uffici e nelle istituzioni, nei luoghi di lavoro, nel mondo intero. La storia e i nostri giorni dimostrano che il mondo non può dare la pace. Il mondo è impotente. Perciò occorre indicargli Gesù Cristo, che mediante la morte in croce ha lasciato la sua pace agli uomini, garantendo per noi la sua presenza per tutti i secoli (cfr Jn 14,7-31). Quanto sangue innocente è stato versato nel XX° secolo in Europa e in tutto il mondo, perché alcuni sistemi politici e sociali hanno abbandonato i principi di Cristo che garantiscono una giusta pace. Quanto sangue innocente si sta versando davanti ai nostri occhi. Gli ultimi mesi lo hanno dimostrato in modo drammatico. Siamo testimoni del come la gente invoca e desidera la pace.

Pronuncio queste parole in una terra che nella sua storia sperimentò i tragici effetti della mancanza di pace, divenendo vittima di guerre crudeli e rovinose. Il ricordo della seconda guerra mondiale è sempre vivo, le ferite di quel cataclisma della storia avranno bisogno di molto tempo per essere completamente rimarginate. Che il grido di pace raggiunga da questo luogo tutti nel mondo intero. Voglio ripetere le parole che ho pronunciato quest’anno nel Messaggio Pasquale Urbi et Orbi: “La pace è possibile, la pace è doverosa, la pace è primaria responsabilità di tutti! Possa l’alba del terzo millennio vedere il sorgere d’una nuova era in cui il rispetto per ogni uomo e la fraterna solidarietà tra i popoli sconfiggeranno, con l’aiuto di Dio, la cultura dell’odio, della violenza e della morte”.

5. Accogliamo con grande riconoscenza la testimonianza della vita del beato Wincenty Frelichowski l’eroe dei nostri tempi, sacerdote e uomo di pace, come una chiamata per la nostra generazione. Voglio affidare il dono di questa beatificazione in modo particolare alla Chiesa di Torun, perché custodisca e diffonda la memoria delle grandi opere di Dio, compiutesi nella breve vita di questo sacerdote. Affido questo dono soprattutto ai sacerdoti di questa diocesi e di tutta la Polonia. Don Frelichowski scrisse già all’inizio del suo cammino sacerdotale: “Devo essere un sacerdote secondo il Cuore di Cristo”. Se questa beatificazione è un grande rendimento di grazie a Dio per il suo sacerdozio, è anche una lode di Dio per le meraviglie della sua grazia, che si compiono attraverso le mani di tutti i sacerdoti - anche attraverso le vostre mani. Voglio rivolgermi anche a tutta la famiglia degli scout polacchi, alla quale il neo beato era profondamente legato. Diventi il vostro patrono, maestro di nobiltà d’animo e intercessore di pace e di riconciliazione.

Tra pochi giorni cade il centesimo anniversario della consacrazione dell’umanità al Sacratissimo Cuore di Gesù. Ciò fu fatto in tutte le diocesi per opera del Papa Leone XIII, il quale a questo fine pubblicò l’Enciclica Annum sacrum. Scrisse in essa: “Il Divin Cuore è simbolo e viva immagine dell’infinito amore di Gesù Cristo, che ci sollecita a ricambiarlo a nostra volta con l’amore” (n. 2). Poc’anzi abbiamo rinnovato insieme l’atto di consacrazione al Sacratissimo Cuore di Gesù. In questo modo abbiamo espresso il sommo omaggio, e anche la nostra fede in Cristo - Redentore dell’uomo. Egli è “l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine” (Ap 21,6), a Lui appartiene questo mondo e il suo destino.

Oggi, mentre adoriamo il suo Sacratissimo Cuore, preghiamo con ardore per la pace. Prima di tutto per la pace nei nostri cuori, ma anche per la pace nelle nostre famiglie, nella nostra nazione e in tutto il mondo.

Cuore di Gesù, nostra pace e riconciliazione, abbi pietà di noi!
212

VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA (5-17 GIUGNO 1999)

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA




«Plak Sapera» (Elk) - Martedì, 8 giugno 1999



1. "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,5).

San Luca, nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, ci mostra l’incontro di Gesù con un uomo chiamato Zaccheo, capo dei pubblicani, molto ricco. Dato che era basso di statura, salì su un albero per vedere Cristo. Udì allora le parole del Maestro: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Gesù aveva notato il gesto di Zaccheo: interpretò il suo desiderio e anticipò l’invito. Destò perfino la meraviglia di qualcuno il fatto che Gesù andasse a trovare un peccatore. Zaccheo, felice per la visita “accolse pieno di gioia Cristo” (cfr Lc 19,6), cioè aprì generosamente la porta della sua casa e del suo cuore all’incontro con il Salvatore.

2. Cari fratelli e Sorelle, saluto di tutto cuore i presenti a questa S. Messa. In modo particolare saluto il vescovo Wojciech - Pastore della diocesi di Elk, e il Vescovo ausiliare Edward, ed anche il clero qui presente in gran numero, le persone consacrate e il Popolo di Dio. Saluto questa bella terra e i suoi abitanti. Mi è molto cara, poiché l’ho visitata tante volte, anche in cerca di riposo. Avevo allora la possibilità di ammirare la ricchezza della natura di quest’angolo della mia Patria e di godere la pace dei laghi e dei boschi. Voi stessi siete eredi del ricco passato di questa terra, formato lungo i secoli da varie tradizioni e culture. Lo mette in evidenza la presenza a questa celebrazione intorno all’altare di Dio, non solo dei vescovi polacchi, ma anche dei vescovi di altri paesi. Li ringrazio per essere venuti a Elk. Saluto anche gli studenti dei seminari maggiori, come pure i pellegrini giunti dalle diocesi limitrofe e dall’estero, in modo particolare dalla Bielorussia, dalla Russia e dalla Lituania. Vi prego, portate il mio saluto a tutti quei nostri fratelli e sorelle, che oggi non possono essere qui con noi.

Di tutto cuore saluto la comunità lituana, che abita nel territorio della diocesi di Elk, presente a questa S. Messa, ed anche i pellegrini giunti dalla Lituania. In modo particolare saluto il Signor Presidente della Repubblica di Lituania Signor Valdas Adamkus e coloro che lo accompagnano. Saluto i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, ed anche gli studenti dei seminari maggiori. Per il tramite vostro voglio salutare tutti gli abitanti della terra lituana. Con il pensiero e con il cuore torno spesso alla visita che ho fatto nel vostro paese nel settembre del 1993. Tutti insieme rendemmo allora grazie a Dio e alla Madre della Misericordia nel Santuario della Porta dell’Aurora per l’incrollabile fedeltà al Vangelo in tempi difficili per la vostra nazione. Durante l’Eucaristia celebrata presso il Monte delle Croci vi ringraziai per “questa grande testimonianza data a Dio e all’uomo (. . .) data alla vostra storia e a tutti i popoli dell’Europa e della terra”. Dissi allora: “Che questo Monte rimanga una testimonianza alla fine del secondo millennio dopo Cristo e come annuncio del nuovo millennio, il terzo millennio, della redenzione e della salvezza, che non si trova se non nella Croce e nella Risurrezione del nostro Redentore. (. . .) Questo è il messaggio che lascio a tutti da questo luogo mistico della storia lituana. Lo lascio a tutti. Vi auguro che sia sempre contemplato e vissuto” (Giovanni Paolo II, Omelia, 7.09.1993: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVI, 2 (1993) 668 ss.).

Cari Fratelli e Sorelle Lituani, dopo sei anni vorrei ancora una volta ricordarvi e ripetervi queste parole. Oggi raccomando la vostra patria alla Madonna della Porta dell’Aurora e a San Casimiro, Patrono della Lituania. Presso la sua tomba, nella cattedrale di Vilnius, pregai allora ardentemente per tutta la vostra nazione e ringraziai Dio per esser potuto venire in essa e compiervi il ministero pastorale. Invoco l’intercessione anche di Sant’Edvige, regina, la cui memoria liturgica la Chiesa celebra oggi, ed anche del beato arcivescovo Jurgis Matulaitis, instancabile e intrepido pastore della Chiesa di Vilnius. La fede sia sempre la forza della vostra nazione, e la testimonianza dell’amore per Cristo porti frutti spirituali. Costruite sulla fede il futuro della vostra Patria, la vostra vita, la vostra identità lituana e cristiana per il bene della Chiesa, dell’Europa e dell’umanità.

3. “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri” ( Lc Lc 19,8). Desidero tornare alla lettura dal Vangelo di San Luca: Cristo “la luce del mondo” (cfr Jn 8,12), ha portato la sua luce nella casa di Zaccheo, e in modo particolare nel suo cuore. Grazie alla vicinanza di Gesù, delle sue parole e del suo insegnamento comincia a compiersi la trasformazione del cuore di quest’uomo. Già sulla soglia della propria casa Zaccheo dichiara: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituirò quattro volte tanto” (Lc 19,8). Sull’esempio di Zaccheo vediamo come Cristo rischiari le tenebre della coscienza umana. Alla sua luce si allargano gli orizzonti dell’esistenza: uno comincia a rendersi conto degli altri uomini e delle loro necessità. Nasce il senso del legame con l'altro, la consapevolezza della dimensione sociale dell’uomo e di conseguenza il senso della giustizia. “Il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità - insegna San Paolo (Ep 5,9). La svolta verso l’altro uomo, verso il prossimo, costituisce uno dei principali frutti di una conversione sincera. L’uomo esce fuori dal suo egoistico “essere per se stesso” e si volge verso gli altri, sente il bisogno di “essere per gli altri”, di essere per i fratelli.

Una tale dilatazione del cuore nell’incontro con Cristo è il pegno della salvezza, come mostra il seguito del colloquio con Zaccheo: “Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa (...) il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto»” (Lc 19,9-10).

Anche oggi, la descrizione che Luca fa dell’evento che ebbe luogo a Gerico, non ha perso di importanza. Porta con sé l’esortazione da parte di Cristo, che “è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1Co 1,30). E come una volta di fronte a Zaccheo, così in questo istante Cristo si presenta davanti all’uomo del nostro secolo. Sembra presentare a ciascuno separatamente la sua proposta: “Oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,5).

Cari Fratelli e Sorelle, importante è questo «oggi». Costituisce come un sollecito. Nella vita ci sono delle questioni talmente importanti e talmente urgenti che non possono essere posticipate e non possono essere lasciate per il domani. Devono essere affrontate già oggi. Esclama il Salmista: “Ascoltate oggi la sua voce: «Non indurite il cuore»” (Sal 94[95], 8). “Il lamento dei poveri” (Jb 34,28) di tutto il mondo si alza incessantemente da questa terra e giunge a Dio. E’ il grido dei bambini, delle donne, degli anziani, dei profughi, di chi ha subito torto, delle vittime di guerra, dei disoccupati. I poveri sono anche in mezzo a noi: i senza casa, i mendicanti, gli affamati, i disprezzati, i dimenticati dalle perone più care e dalla società, i degradati e gli umiliati, le vittime di vari vizi. Molti di essi tentano perfino di nascondere la loro miseria umana, ma bisogna saperli riconoscere. Ci sono anche persone sofferenti negli ospedali, i bambini orfani oppure i giovani che sperimentano le difficoltà e i problemi della loro età.

“Vi sono perduranti situazioni di miseria che non possono non scuotere la coscienza del cristiano, e richiamargli il dovere di farvi fronte con urgenza sia personalmente che in modo comunitario. Ancora oggi si dischiudono davanti a noi spazi enormi nei quali la carità di Dio deve farsi presente attraverso l’opera dei cristiani” - come ho scritto nell’ultimo Messaggio per la Quaresima (15.10.1998). L’«oggi» di Cristo dovrebbe dunque risuonare con tutta la forza in ogni cuore e renderlo sensibile alle opere di misericordia. “Il lamento e il grido dei poveri” esige da noi una risposta concreta e generosa. Esige la disponibilità a servire il prossimo. Siamo invitati da Cristo. Siamo costantemente chiamati. Ognuno in un modo diverso. In vari luoghi infatti l’uomo soffre e chiama l’uomo. Ha bisogno della sua presenza, del suo aiuto. Come è importante questa presenza del cuore umano e dell’umana solidarietà!

Non induriamo i nostri cuori quando udiamo “il lamento dei poveri”. Cerchiamo di ascoltare questo grido. Cerchiamo di agire e di vivere in modo che nella nostra Patria a nessuno manchi il tetto sopra la testa e il pane sulla tavola; che nessuno si senta solo, lasciato senza cura. Con questo appello mi rivolgo a tutti i miei connazionali. So quanto viene fatto in Polonia per prevenire la miseria e l’indigenza che dilagano. A questo punto desidero sottolineare l’attività delle sezioni della Caritas della Chiesa - diocesane e parrocchiali. Esse intraprendono infatti varie iniziative, tra le altre durante l’Avvento e nella Quaresima, concedendo in tal modo l’aiuto alle singole persone e ad interi gruppi sociali. Svolgono anche attività formativa e educativa. Tale aiuto più volte oltrepassa i confini della Polonia. Come sono numerosi i centri di assistenza sociale, gli ospizi, le mense, i centri caritativi, le case per le madri sole, gli istituti infantili, i doposcuola, le stazioni di protezione o i centri per i disabili sorti ultimamente. Sono soltanto alcuni esempi di questa enorme opera samaritana. Desidero anche sottolineare lo sforzo da parte dello Stato e delle istituzioni private e quello di singole persone, o dei cosiddetti volontari che vi si impegnano. Occorre nominare qui anche le iniziative miranti a rimediare al preoccupante fenomeno della crescita dell’indigenza in vari ambienti e in varie regioni. E’ un concreto, reale e visibile contributo allo sviluppo della civiltà dell’amore in terra polacca.

Dobbiamo sempre ricordare che lo sviluppo economico del paese deve tenere in considerazione la grandezza, della dignità e della vocazione dell’uomo, che “è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio” (cfr Gn 1,26). Lo sviluppo e il progresso economico non può attuarsi a spese dell’uomo, limitandone le fondamentali esigenze. Deve essere uno sviluppo nel quale l’uomo è il soggetto, cioè il più importante punto di riferimento. Lo sviluppo e il progresso economico non possono essere perseguiti ad ogni costo! Non sarebbero degni dell’uomo, (cfr Sollecitudo rei socialis, 27). La Chiesa di oggi annunzia e cerca di attuare l’opzione preferenziale a favore dei poveri. Non si tratta qui solo di un sentimento fugace, o di un’azione immediata, ma di una reale e perseverante volontà di agire a favore del bene di coloro che si trovano in necessità e che spesso sono privi di speranza per un futuro migliore.

4. “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3).

Sin dall’inizio della sua attività messianica, parlando nella sinagoga di Nazaret, Gesù disse: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4,18). Riteneva i poveri i più privilegiati eredi del regno. Ciò significa che soltanto “i poveri in spirito” sono in grado di ricevere il regno di Dio con tutto il cuore. L’incontro di Zaccheo con Gesù mostra che anche un uomo ricco può diventare partecipe della beatitudine di Cristo per i poveri in spirito.

Povero in spirito è colui che è disposto ad usare con generosità la propria ricchezza a favore di chi è nel bisogno. In tal caso si vede che non è attaccato a quelle ricchezze. Si vede che comprende bene l’essenziale finalità di esse. I beni materiali infatti sono per servire gli altri, specialmente chi si trova nella necessità. La Chiesa ammette la proprietà personale di questi beni, se vengono usati a questo fine.

Oggi ricordiamo Sant’Edvige regina. E’ conosciuta la sua generosità verso i poveri. Benché fosse ricca, non dimenticava gli indigenti. E’ per noi esempio e modello, come bisogna vivere e mettere in pratica l’insegnamento di Cristo sull’amore e sulla misericordia e rendersi simili a colui che, come dice San Paolo “essendo ricco si è fatto povero per noi, perché diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà” (cfr 2Co 8,9).

“Beati i poveri in spirito”. E’ il grido di Cristo che oggi dovrebbe ascoltare ogni cristiano, ogni uomo credente. C’è tanto bisogno di uomini poveri in spirito, cioè aperti ad accogliere la verità e la grazia, aperti alle grandi cose di Dio; di uomini dal cuore grande che non si lasciano incantare dallo splendore delle ricchezze di questo mondo e non permettono che esse abbiano il dominio sui loro cuori. Sono veramente forti, perché colmi della ricchezza della grazia di Dio. Vivono nella consapevolezza di ricevere da Dio incessantemente e senza fine.

“Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” (Ac 3,6) - con queste parole gli Apostoli Pietro e Giovanni rispondono alla richiesta dello zoppo dello storpio. Gli donarono il sommo bene che egli avrebbe potuto desiderare. Poveri trasmisero al povero la più grande ricchezza: nel nome di Cristo gli restituirono la salute. Mediante ciò confessarono la verità che attraverso le generazioni è la parte dei confessori di Cristo.

Ecco i poveri in spirito, senza possedere essi stessi né argento né oro, grazie a Cristo hanno un potere maggiore di quello che possono dare tutte le ricchezze del mondo.

Davvero, sono felici e beati questi uomini, perché ad essi appartiene il regno dei cieli. Amen.


213

VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA (5-17 GIUGNO 1999)

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA




«Blonia Siedleckie» (Siedlce) - Giovedì, 10 giugno 1999



1. “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo” (Rm 8,35).

Abbiamo appena udito le parole di San Paolo, rivolte ai cristiani di Roma. E’ un grande inno di gratitudine a Dio per il suo amore e per la sua bontà. Quest’amore ha trovato il suo apice e la sua più perfetta espressione in Gesù Cristo. Dio infatti, non ha risparmiato nemmeno il proprio Figlio, ma l’ha dato per noi, perché avessimo la vita eterna (cfr Rm 8,32). Inseriti in Cristo mediante il battesimo, siamo figli eletti ed amati di Dio. Questa certezza dovrebbe essere per noi un incoraggiamento a perseverare nella fedeltà a Cristo. San Paolo intende tale fedeltà come unione con Cristo nell’amore.

Cari Fratelli e Sorelle, con quanta eloquenza suonano queste parole dell’Apostolo delle Nazioni in terra di Podlasia, che ha dato intrepidi testimoni del Vangelo di Cristo. Il popolo di questa terra per secoli ha offerto innumerevoli prove della propria fede in Cristo e di attaccamento alla sua Chiesa, specialmente di fronte alle molteplici esperienze, alle cruenti persecuzioni e alle dure prove della storia.

Saluto tutti i presenti a questa S. Messa, tutto il Popolo di Dio della Podlasia unito al proprio Pastore, il Vescovo Jan Wiktor, ai Vescovi emeriti Jan e Waclaw e al Vescovo ausiliare Henryk. Mi rallegro per la presenza dei Vescovi della Bielorussia, del Kazakhstan, della Russia e dell’Ucraina. Saluto anche i Vescovi di rito bizantino-ucraino della Polonia e dell’Ucraina. In modo particolare, saluto l’Arcivescovo Metropolita di Warszawa-Przemysl, Jan Martyniak, il Vescovo di Wroclaw-Gdansk e il Vescovo Lubomyr Huzar di Leopoli, come pure i pellegrini giunti insieme con lui. Saluto i sacerdoti, le persone consacrate, gli studenti del Seminario Maggiore di Siedlce, ed i rappresentanti dei movimenti cattolici, delle associazioni di preghiera e di quelle apostoliche. Saluto i pellegrini di varie parti della Polonia, e quelli della vicina Bielorussia, della Lituania, dell’Ucraina e della Russia.

In questo istante si ravvivano nel mio cuore i ricordi dei precedenti incontri con la Chiesa di Siedlce, specialmente la commemorazione del millennio del Battesimo della Polonia, nel 1966, e del giubileo del 150° della diocesi, quando mi fu dato di celebrare l’Eucaristia a Koden dei Sapieha, ai piedi della Madonna Regina della Podlasia. Oggi con gioia mi presento tra voi e rendo grazie alla divina Provvidenza perché mi è dato di onorare le reliquie dei Martiri della Podlasia. Su di essi si sono adempiute in modo particolare le parole di San Paolo dell’odierna liturgia: “né morte, né vita (. . .) né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,38-39).

2. “Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi” (Jn 17,11).

Cristo pronunziò queste parole il giorno prima della sua passione e morte. In un certo senso sono il suo testamento. Da duemila anni la Chiesa procede lungo la storia con questo testamento, con questa preghiera per l’unità. Ci sono tuttavia alcuni periodi della storia in cui tale preghiera diventa particolarmente attuale. Noi stiamo vivendo proprio in uno di questi periodi. Se il primo millennio della storia della Chiesa fu segnato essenzialmente dall’unità, sin dall’inizio del secondo millennio giunsero le divisioni, avvenute prima in Oriente, più tardi in Occidente. Da quasi dieci secoli il cristianesimo vive disunito.

Ciò ha trovato e trova espressione nella Chiesa che da mille anni svolge la propria missione in terra polacca. Nel periodo della prima Repubblica gli estesi territori polacco-lituano-ruteni costituivano una regione dove entrambe le tradizioni, quella occidentale e quella orientale, coesistevano. Vennero però a manifestarsi gradualmente gli effetti della divisione che, come si sa, avvenne tra Roma e Bisanzio a metà dell’XI· secolo. Gradualmente andava anche maturando la comprensione della necessità di ricostruire l’unità, specialmente in seguito al Concilio di Firenze, nel XV° secolo. L’anno 1596 è collegato all'avvenimento storico della cosiddetta Unione di Brest. Da quel tempo nei territori della I Repubblica, e in modo particolare in quelli orientali, aumentò il numero delle diocesi e delle parrocchie della Chiesa greco-cattolica. Pur conservando la tradizione orientale nell’ambito della liturgia, della disciplina e della lingua, quei cristiani rimasero in unione con la Sede Apostolica.

La diocesi di Siedlce, dove ci troviamo oggi, e in modo particolare la località di Pratulin, è il luogo di una particolare testimonianza di quel processo storico. Qui, infatti, furono martirizzati i confessori di Cristo appartenenti alla Chiesa greco-cattolica, il beato Wincenty Lewoniuk e i suoi dodici compagni.

Tre anni fa, durante la loro beatificazione in Piazza San Pietro, a Roma, dissi che essi: “hanno dato testimonianza di incrollabile fedeltà al Padrone della vigna. Non lo hanno deluso, ma rimanendo uniti a Cristo come i tralci alla vite hanno portato i frutti sperati di conversione e di santità. Hanno perseverato, anche a costo del sacrificio supremo. Quali “servi” fedeli del Signore essi, fidando nella sua grazia, testimoniarono la propria appartenenza alla Chiesa cattolica nella fedeltà alla loro tradizione orientale. Con tale generoso gesto i martiri di Pratulin difesero non solo il tempio sacro davanti al quale furono trucidati ma anche la Chiesa da Cristo affidata all’apostolo Pietro, della quale essi si sentivano pietre vive” (Giovanni Paolo II, Omelia, 6.10.1996: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIX, 2 (1996) 539 s.).

I Martiri di Pratulin difesero la Chiesa, che è la vigna del Signore. Vi rimasero fedeli fino alla fine e non cedettero alle pressioni del mondo di allora, che proprio per questo li ha odiati. Nella loro vita e nella loro morte si è compiuta la domanda di Cristo della preghiera sacerdotale: “Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati (...) Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. (. . .) Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Jn 17,14-15 Jn 17,17-19). Hanno dato testimonianza della loro fedeltà a Cristo nella sua santa Chiesa. Nel mondo in cui vivevano cercarono con coraggio di sconfiggere, mediante la verità ed il bene, il male che dilagava, e con l'amore vollero debellare l’odio che infuriava. Come Cristo, che per loro offrì se stesso in sacrificio, per consacrarli nella verità - così anch’essi per la fedeltà alla verità di Cristo e per la difesa dell’unità della Chiesa, offrirono la loro vita . Questa gente semplice, padri di famiglia, al momento critico preferirono subire la morte piuttosto che cedere a pressioni in disaccordo con la loro coscienza. “Come è dolce morire per la fede” - furono le loro ultime parole.

Li ringraziamo per questa testimonianza che dovrebbe diventare il patrimonio di tutta la Chiesa in Polonia per il terzo millennio che va approssimandosi. Hanno dato il loro grande contributo alla costruzione dell’unità. Il grido di Cristo rivolto al Padre: “custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi” essi l’hanno compiuto fino alla fine, tramite il generoso sacrificio della vita. Con la loro morte hanno confermato la dedizione a Cristo nella Chiesa cattolica di tradizione orientale. Lo stesso spirito ha animato le moltitudini dei fedeli di rito bizantino-ucraino, vescovi, sacerdoti e laici che durante i quarantacinque anni di persecuzioni hanno mantenuto la fedeltà a Cristo, conservando la loro identità ecclesiale. In questa testimonianza la fedeltà a Cristo si intreccia con la fedeltà alla Chiesa e diventa servizio di unità.

3 “Come tu, Padre, mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo” (cfr Jn 17,18).

I Martiri di Pratulin davanti al mondo danno la testimonianza della loro fede, ricordando a noi che Cristo chiamò ed inviò tutti i suoi discepoli, affinché attraverso i secoli, fino alla fine dei giorni fossero annunciatori della venuta del suo regno. Questa chiamata universale a testimoniare Cristo ce l’ha ricordata con molta chiarezza il Concilio Vaticano II, nel Decreto sull’apostolato dei laici: “E’ il Signore stesso (. . .) che ancora una volta (. . .) invita tutti i laici ad unirsi sempre più intimamente a Lui e, sentendo come proprio tutto ciò che è di Lui, si associno alla sua missione salvifica” (n. 33). Quest’invito da parte del Concilio è particolarmente attuale proprio ora all’avvicinarsi del terzo millennio. E’ Cristo a rivolgerlo, verso il termine del XX° secolo, tramite la bocca dei Padri Conciliari non solo ai vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ma a tutti suoi discepoli. Oggi, indicando l’esempio dei tredici uomini di Pratulin, lo rivolge in modo particolare a noi.

Oggi c'è, più che mai, bisogno di un’autentica testimonianza di fede, resa visibile attraverso la vita dei discepoli laici di Cristo: delle donne e degli uomini, dei giovani e degli anziani. C’è bisogno di una decisa testimonianza di fedeltà alla Chiesa e di responsabilità verso la Chiesa, che da venti secoli reca ad ogni popolo e ad ogni nazione la salvezza, annunziando l’immutabile insegnamento del Vangelo. L’umanità si trova dinanzi a difficoltà di vario genere, a problemi ed a violente trasformazioni; molte volte sperimenta drammatici sussulti e lacerazioni. In un simile mondo, molti, specialmente i giovani, si sentono smarrire e restano feriti. Alcuni cadono vittime delle sette e di deformazioni religiose, oppure di manipolazioni della verità. Altri soccombono ad altre forme di schiavitù. Si diffondono atteggiamenti di egoismo, d’ingiustizia e di mancanza di sensibilità nei riguardi delle necessità altrui.

La Chiesa si trova di fronte a queste e a tante altre sfide dei nostri tempi. Vuole portare agli uomini un aiuto efficace e perciò ha bisogno dell’impegno dei fedeli laici i quali, sotto la guida dei loro Pastori, devono prendere parte attiva alla sua missione salvifica.

Cari Fratelli e Sorelle, mediante il santo Battesimo siete stati innestati in Cristo. Formate la Chiesa, suo Corpo mistico. Per vostro mezzo Cristo vuole agire con la potenza del suo Spirito. Tramite voi, Egli vuole ”annunziare ai poveri il lieto messaggio, proclamare ai prigionieri la liberazione, e ai ciechi la vista”. Attraverso di voi, vuole “rimettere in libertà gli oppressi e proclamare un anno di grazia del Signore” (cfr Lc 4,18-19). Come laici, fedeli alla vostra identità, vivendo nel mondo potete in modo attivo ed efficace trasformarlo nello spirito del Vangelo. Siate il sale che conferisce alla vita il sapore cristiano. Siate la luce, che risplende nelle tenebre dell’indifferenza e dell’egoismo.

Nella Lettera a Diogneto leggiamo: “Ciò che l’anima è per il corpo, questo sono per il mondo i cristiani. L’anima è diffusa in tutte le membra del corpo, così i cristiani sono disseminati in tutte le città del mondo” (2, 6). La nuova evangelizzazione ci pone davanti a delle grandi sfide. Il mio predecessore, il Papa Paolo VI, scrisse nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi: “Il campo proprio della loro [dei laici] attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione, quali l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza” (n. 69).

Con grande gioia constato che in Polonia si sta sviluppando in modo vivace l’Azione Cattolica, vari tipi di organizzazioni, associazioni e i movimenti cattolici, e tra essi movimenti giovanili, con a capo l’Associazione Cattolica dei Giovani e il movimento Luce-Vita. E’ un nuovo soffio dello Spirito Santo sulla nostra Patria. Siano rese grazie a Dio per questo. Siate fedeli alla vostra vocazione cristiana. Siate fedeli a Dio e a Cristo vivente nella Chiesa.

4. Oggi veneriamo le reliquie dei martiri della Podlasia e adoriamo la Croce di Pratulin che fu muta testimone della loro eroica fedeltà. Essi tenevano questa Croce nelle mani e la portavano nel profondo del cuore, come segno dell’amore del Padre e dell’unità della Chiesa di Cristo. La Croce diede loro la forza per testimoniare Cristo e la sua Chiesa. Su di essi si sono avverate le parole di Paolo dell’odierna liturgia: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rm 8,32). Mediante la loro morte, furono inseriti in modo speciale nel grande patrimonio della fede, a cominciare da Sant’Adalberto, da San Stanislao e da San Giosafat, sino ai tempi nostri.

E’ incalcolabile il numero di coloro che in terra polacca soffrirono per la Croce di Cristo e subirono per essa i più grandi sacrifici. Più volte nella sua storia la nostra nazione dovette difendere la propria fede e sopportare l’oppressione e la persecuzione per la fedeltà alla Chiesa. Specialmente il lungo periodo del dopoguerra si è caratterizzato come il tempo di una lotta particolarmente intensa contro la Chiesa, condotta dal sistema totalitario. Si cercava allora di proibire l’insegnamento della religione nella scuola; si ostacolava la pubblica professione di fede, come pure la costruzione di chiese e di cappelle. Quanti sacrifici si dovevano affrontare, quanto coraggio è servito per conservare l’identità cristiana. Tuttavia non si riuscì ad eliminare la Croce, questo segno di fede e d’amore, dalla vita personale e sociale, perché era radicata profondamente nella terra dei cuori e delle coscienze. Essa divenne per la nazione e per la Chiesa fonte di forza e segno di unità tra gli uomini.

La nuova evangelizzazione ha bisogno di autentici testimoni della fede. Di persone radicate nella croce di Cristo e pronte per essa ad affrontare sacrifici. La vera testimonianza infatti riguardo alla vivificante potenza della Croce la dà colui che, nel suo nome, sconfigge in sé il peccato, l’egoismo e ogni male, e desidera imitare l’amore di Cristo fino alla fine.

Bisogna che, come nel passato, la Croce continui ad essere presente nella nostra esistenza come un chiaro indicatore della via da seguire e come la luce che rischiara tutta la nostra vita. La Croce, che con le sue braccia unisce il cielo alla terra e gli uomini tra di loro, cresca sulla nostra terra e formi un grande albero carico di frutti di salvezza. Generi nuovi e coraggiosi annunciatori del Vangelo, che amano la Chiesa e sono di essa responsabili, veri araldi della fede, stirpe di uomini nuovi. Siano essi ad accendere la fiaccola della fede ed a portarla accesa oltre la soglia del terzo millennio.

Croce di Cristo, sii lodata,
Ti salutiamo in ogni tempo,
da te scaturisce forza e fortezza,
In te la nostra vittoria!
214
GPII Omelie 1996-2005 211