GPII Omelie 1996-2005 30400

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1. "Celebrate il Signore perché è buono, perché eterna è la sua misericordia" (
Ps 118,1). Così canta la Chiesa nell'Ottava di Pasqua, quasi raccogliendo dalle labbra di Cristo queste parole del Salmo; dalle labbra di Cristo risorto, che nel Cenacolo porta il grande annuncio della misericordia divina e ne affida agli apostoli il ministero: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi... Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Jn 20,21-23).

Prima di pronunciare queste parole, Gesù mostra le mani e il costato. Addita cioè le ferite della Passione, soprattutto la ferita del cuore, sorgente da cui scaturisce la grande onda di misericordia che si riversa sull'umanità. Da quel cuore suor Faustina Kowalska, la beata che d'ora in poi chiameremo santa, vedrà partire due fasci di luce che illuminano il mondo: "I due raggi – le spiegò un giorno Gesù stesso - rappresentano il sangue e l'acqua" (Diario, Libreria Editrice Vaticana, p. 132).

2. Sangue ed acqua! Il pensiero corre alla testimonianza dell'evangelista Giovanni che, quando un soldato sul Calvario colpì con la lancia il costato di Cristo, vide uscirne "sangue ed acqua" (cfr Jn 19,34). E se il sangue evoca il sacrificio della croce e il dono eucaristico, l'acqua, nella simbologia giovannea, ricorda non solo il battesimo, ma anche il dono dello Spirito Santo (cfr Jn 3,5 Jn 4,14 Jn 7,37-39).

Attraverso il cuore di Cristo crocifisso la misericordia divina raggiunge gli uomini: "Figlia mia, dì che sono l'Amore e la Misericordia in persona", chiederà Gesù a Suor Faustina (Diario, 374). Questa misericordia Cristo effonde sull'umanità mediante l'invio dello Spirito che, nella Trinità, è la Persona-Amore. E non è forse la misericordia un "secondo nome" dell'amore (cfr Dives in misericordia DM 7), colto nel suo aspetto più profondo e tenero, nella sua attitudine a farsi carico di ogni bisogno, soprattutto nella sua immensa capacità di perdono?

E' davvero grande oggi la mia gioia, nel proporre a tutta la Chiesa, quasi dono di Dio per il nostro tempo, la vita e la testimonianza di Suor Faustina Kowalska. Dalla divina Provvidenza la vita di questa umile figlia della Polonia è stata completamente legata alla storia del ventesimo secolo, il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle. E', infatti, tra la prima e la seconda guerra mondiale che Cristo le ha affidato il suo messaggio di misericordia. Coloro che ricordano, che furono testimoni e partecipi degli eventi di quegli anni e delle orribili sofferenze che ne derivarono per milioni di uomini, sanno bene quanto il messaggio della misericordia fosse necessario.

Disse Gesù a Suor Faustina: "L'umanità non troverà pace, finché non si rivolgerà con fiducia alla divina misericordia" (Diario, p. 132). Attraverso l'opera della religiosa polacca, questo messaggio si è legato per sempre al secolo ventesimo, ultimo del secondo millennio e ponte verso il terzo millennio. Non è un messaggio nuovo, ma si può ritenere un dono di speciale illuminazione, che ci aiuta a rivivere più intensamente il Vangelo della Pasqua, per offrirlo come un raggio di luce agli uomini ed alle donne del nostro tempo.

3. Che cosa ci porteranno gli anni che sono davanti a noi? Come sarà l'avvenire dell'uomo sulla terra? A noi non è dato di saperlo. E' certo tuttavia che accanto a nuovi progressi non mancheranno, purtroppo, esperienze dolorose. Ma la luce della divina misericordia, che il Signore ha voluto quasi riconsegnare al mondo attraverso il carisma di suor Faustina, illuminerà il cammino degli uomini del terzo millennio.

Come gli Apostoli un tempo, è necessario però che anche l'umanità di oggi accolga nel cenacolo della storia Cristo risorto, che mostra le ferite della sua crocifissione e ripete: Pace a voi! Occorre che l'umanità si lasci raggiungere e pervadere dallo Spirito che Cristo risorto le dona. E' lo Spirito che risana le ferite del cuore, abbatte le barriere che ci distaccano da Dio e ci dividono tra di noi, restituisce insieme la gioia dell'amore del Padre e quella dell'unità fraterna.

4. E' importante allora che raccogliamo per intero il messaggio che ci viene dalla parola di Dio in questa seconda Domenica di Pasqua, che d'ora innanzi in tutta la Chiesa prenderà il nome di "Domenica della Divina Misericordia". Nelle diverse letture, la liturgia sembra disegnare il cammino della misericordia che, mentre ricostruisce il rapporto di ciascuno con Dio, suscita anche tra gli uomini nuovi rapporti di fraterna solidarietà. Cristo ci ha insegnato che "l'uomo non soltanto riceve e sperimenta la misericordia di Dio, ma è pure chiamato a «usar misericordia» verso gli altri: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia (Mt 5,7)" (Dives in misericordia DM 14). Egli ci ha poi indicato le molteplici vie della misericordia, che non perdona soltanto i peccati, ma viene anche incontro a tutte le necessità degli uomini. Gesù si è chinato su ogni miseria umana, materiale e spirituale.

Il suo messaggio di misericordia continua a raggiungerci attraverso il gesto delle sue mani tese verso l'uomo che soffre. E' così che lo ha visto e lo ha annunciato agli uomini di tutti i continenti suor Faustina, che nascosta nel suo convento di Lagiewniki, in Cracovia, ha fatto della sua esistenza un canto alla misericordia: Misericordias Domini in aeternum cantabo.

5. La canonizzazione di Suor Faustina ha un'eloquenza particolare: mediante questo atto intendo oggi trasmettere questo messaggio al nuovo millennio. Lo trasmetto a tutti gli uomini perché imparino a conoscere sempre meglio il vero volto di Dio e il vero volto dei fratelli.

Amore di Dio e amore dei fratelli sono infatti indissociabili, come ci ha ricordato la prima Lettera di Giovanni: "Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti" (1Jn 5,2). L'Apostolo qui ci richiama alla verità dell'amore, additandocene nell'osservanza dei comandamenti la misura ed il criterio.

Non è facile, infatti, amare di un amore profondo, fatto di autentico dono di sé. Questo amore si apprende solo alla scuola di Dio, al calore della sua carità. Fissando lo sguardo su di Lui, sintonizzandoci col suo cuore di Padre, diventiamo capaci di guardare ai fratelli con occhi nuovi, in atteggiamento di gratuità e di condivisione, di generosità e di perdono. Tutto questo è misericordia!

Nella misura in cui l'umanità saprà apprendere il segreto di questo sguardo misericordioso, si rivela prospettiva realizzabile il quadro ideale proposto nella prima lettura: "La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune" (Ac 4,32). Qui la misericordia del cuore è divenuta anche stile di rapporti, progetto di comunità, condivisione di beni. Qui sono fiorite le «opere della misericordia», spirituali e corporali. Qui la misericordia è divenuta concreto farsi «prossimo» verso i fratelli più indigenti.

6. Suor Faustina Kowalska ha lasciato scritto nel suo Diario: "Provo un dolore tremendo, quando osservo le sofferenze del prossimo. Tutti i dolori del prossimo si ripercuotono nel mio cuore; porto nel mio cuore le loro angosce, in modo tale che mi annientano anche fisicamente. Desidererei che tutti i dolori ricadessero su di me, per portare sollievo al prossimo" (Diario, p. 365). Ecco a quale punto di condivisione conduce l'amore quando è misurato sull'amore di Dio!

E' a questo amore che l'umanità di oggi deve ispirarsi per affrontare la crisi di senso, le sfide dei più diversi bisogni, soprattutto l'esigenza di salvaguardare la dignità di ciascuna persona umana. Il messaggio della divina misericordia è così, implicitamente, anche un messaggio sul valore di ogni uomo. Ogni persona è preziosa agli occhi di Dio, per ciascuno Cristo ha dato la sua vita, a tutti il Padre fa dono del suo Spirito e offre l'accesso alla sua intimità.

7. Questo messaggio consolante si rivolge soprattutto a chi, afflitto da una prova particolarmente dura o schiacciato dal peso dei peccati commessi, ha smarrito ogni fiducia nella vita ed è tentato di cedere alla disperazione. A lui si presenta il volto dolce di Cristo, su di lui arrivano quei raggi che partono dal suo cuore e illuminano, riscaldano, indicano il cammino e infondono speranza. Quante anime ha già consolato l'invocazione "Gesù, confido in Te", che la Provvidenza ha suggerito attraverso Suor Faustina! Questo semplice atto di abbandono a Gesù squarcia le nubi più dense e fa passare un raggio di luce nella vita di ciascuno.

8. Misericordias Domini in aeternum cantabo (Ps 89,2 [89], 2). Alla voce di Maria Santissima, la «Madre della misericordia», alla voce di questa nuova Santa, che nella Gerusalemme celeste canta la misericordia insieme con tutti gli amici di Dio, uniamo anche noi, Chiesa pellegrinante, la nostra voce.

E tu, Faustina, dono di Dio al nostro tempo, dono della terra di Polonia a tutta la Chiesa, ottienici di percepire la profondità della divina misericordia, aiutaci a farne esperienza viva e a testimoniarla ai fratelli. Il tuo messaggio di luce e di speranza si diffonda in tutto il mondo, spinga alla conversione i peccatori, sopisca le rivalità e gli odi, apra gli uomini e le nazioni alla pratica della fraternità. Noi oggi, fissando lo sguardo con te sul volto di Cristo risorto, facciamo nostra la tua preghiera di fiducioso abbandono e diciamo con ferma speranza: Gesù, confido in Te!



CELEBRAZIONE DEL GIUBILEO DEI LAVORATORI A TOR VERGATA (ROMA) 1° maggio 2000

10500
1. "Benedici, Signore, l'opera delle nostre mani" (Sal. resp.).

Queste parole, che abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale, esprimono bene il senso dell'odierna giornata giubilare. Dal vasto e multiforme mondo del lavoro si leva oggi, 1° maggio, una corale invocazione: Signore, benedici e consolida l'opera delle nostre mani!

Il nostro faticare - nelle case, nei campi, nelle industrie, negli uffici - potrebbe risolversi in un logorante affannarsi, vuoto in definitiva di senso (cfr
Qo 1,3). Noi chiediamo al Signore che esso sia piuttosto la realizzazione del suo disegno, così che il nostro lavoro ricuperi il suo significato originario.

E qual è l'originario significato del lavoro? Lo abbiamo ascoltato nella prima Lettura, tratta dal Libro della Genesi. All'uomo creato a sua immagine e somiglianza, Dio dà il comando: "Riempite la terra; soggiogatela..." (Gn 1,28). A queste espressioni fa eco l'apostolo Paolo, che scrive ai cristiani di Tessalonica: "Quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare, neppure mangi", ed esorta a "mangiare il proprio pane lavorando in pace" (2Th 3,10 2Th 3,12).

Nel progetto di Dio il lavoro appare, pertanto, come un diritto-dovere. Necessario per rendere utili i beni della terra alla vita di ogni uomo e della società, esso contribuisce ad orientare l'attività umana a Dio nell'adempimento del suo comando di "soggiogare la terra". Risuona, in proposito, nel nostro spirito un'altra esortazione dell'Apostolo: "Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio" (1Co 10,31).

2. L'Anno giubilare, mentre porta il nostro sguardo sul mistero dell'Incarnazione, ci invita a riflettere con particolare intensità sulla vita nascosta di Gesù a Nazaret. Fu lì che egli passò la maggior parte della sua esistenza terrena. Con la sua operosità silenziosa nella bottega di Giuseppe, Gesù offrì la più alta dimostrazione della dignità del lavoro. Il Vangelo odierno riferisce come gli abitanti di Nazaret, suoi compaesani, lo accolsero con stupore chiedendosi a vicenda: "Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere?" (Mt 13,54-55).

Il Figlio di Dio non ha disdegnato la qualifica di carpentiere, e non ha voluto dispensarsi dalla normale condizione di ogni uomo. "L'eloquenza della vita di Cristo è inequivoca: egli appartiene al mondo del lavoro, ha per il lavoro umano riconoscimento e rispetto; si può dire di più: egli guarda con amore questo lavoro, le sue diverse manifestazioni, vedendo in ciascuna una linea particolare della somiglianza dell'uomo con Dio, Creatore e Padre" (Enc. Laborem exercens LE 26).

Dal Vangelo di Cristo deriva l'insegnamento degli Apostoli e della Chiesa; deriva una vera e propria spiritualità cristiana del lavoro, che ha trovato espressione eminente nella Costituzione Gaudium et spes del Concilio Ecumenico Vaticano II (nn. GS 33-39 e GS 63-72). Dopo secoli di accese tensioni sociali e ideologiche, il mondo contemporaneo, sempre più interdipendente, ha bisogno di questo "vangelo del lavoro", perché l'attività umana possa promuovere l'autentico sviluppo delle persone e dell'intera umanità.

3. Carissimi Fratelli e Sorelle, a voi, che quest'oggi rappresentate l'intero mondo del lavoro raccolto per la celebrazione giubilare, che cosa dice il Giubileo? Che cosa dice il Giubileo alla società, che ha nel lavoro, oltre che una struttura portante, un terreno di verifica delle sue scelte di valore e di civiltà?

Fin dalla sue origini ebraiche, il Giubileo riguardava direttamente la realtà del lavoro, essendo il popolo di Dio un popolo di uomini liberi, che il Signore aveva riscattato dalla condizione di schiavitù (cfr Lv 25). Nel mistero pasquale, Cristo porta a compimento anche questa istituzione della legge antica, conferendole pieno senso spirituale, ma integrandone la valenza sociale nel grande disegno del Regno, che come "lievito" fa sviluppare l'intera società nella linea del vero progresso.

L'Anno giubilare, pertanto, sollecita ad una riscoperta del senso e del valore del lavoro. Invita, inoltre, ad affrontare gli squilibri economici e sociali esistenti nel mondo lavorativo, ristabilendo la giusta gerarchia dei valori, con al primo posto la dignità dell'uomo e della donna che lavorano, la loro libertà, responsabilità e partecipazione. Esso spinge, altresì, a risanare le situazioni di ingiustizia, salvaguardando le culture proprie di ogni popolo ed i diversi modelli di sviluppo.

Non posso, in questo momento, non esprimere la mia solidarietà a tutti coloro che soffrono per mancanza di occupazione, per salario insufficiente, per indigenza di mezzi materiali. Mi sono ben presenti allo spirito le popolazioni costrette ad una povertà che ne offende la dignità, impedendo loro di condividere i beni della terra e obbligandole a nutrirsi con quanto cade dalla mensa dei ricchi (cfr Incarnationis mysterium, 12). Impegnarsi perché queste situazioni vengano sanate è opera di giustizia e di pace.

Mai le nuove realtà, che investono con forza il processo produttivo, quali la globalizzazione della finanza, dell'economia, dei commerci e del lavoro, devono violare la dignità e la centralità della persona umana né la libertà e la democrazia dei popoli. La solidarietà, la partecipazione e la possibilità di governare questi radicali cambiamenti costituiscono, se non la soluzione, certamente la necessaria garanzia etica perché le persone ed i popoli diventino non strumenti, ma protagonisti del loro futuro. Tutto ciò può essere realizzato e, poiché è possibile, diventa doveroso.

Su questi temi sta riflettendo il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che segue da vicino gli sviluppi della situazione economica e sociale nel mondo per studiarne le conseguenze sull'essere umano. Frutto di questa riflessione sarà un Compendio della dottrina sociale della Chiesa, attualmente in elaborazione.

5. Carissimi lavoratori, illumina questo nostro incontro la figura di Giuseppe di Nazaret, la sua statura spirituale e morale, tanto più alta quanto più umile e discreta. In lui si realizza la promessa del Salmo: "Beato l'uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie. Vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai d'ogni bene ... Così sarà benedetto l'uomo che teme il Signore" (Ps 127,1-2). Il Custode del Redentore insegnò a Gesù il mestiere di carpentiere, ma soprattutto gli diede esempio validissimo di ciò che la Scrittura chiama il "timore di Dio", principio stesso della sapienza, che consiste nella religiosa sottomissione a Lui e nell'intimo desiderio di ricercare e compiere sempre la sua volontà. Questa, carissimi, è la vera sorgente della benedizione per ogni uomo, per ogni famiglia e per ogni nazione.

A san Giuseppe, lavoratore e uomo giusto, e alla sua santissima Sposa, Maria, affido questo vostro Giubileo, voi tutti e le vostre famiglie.

"Benedici, Signore, l'opera delle nostre mani".

Benedici, Signore dei secoli e dei millenni, il lavoro quotidiano, con cui l'uomo e la donna procurano il pane per sé e per i loro cari. Alle tue mani paterne offriamo anche le fatiche ed i sacrifici legati al lavoro, in unione con il tuo Figlio Gesù Cristo, che ha riscattato il lavoro umano dal giogo del peccato e l'ha restituito alla sua originaria dignità.

A Te lode e gloria oggi e per sempre. Amen.



COMMEMORAZIONE DEI TESTIMONI DELLA FEDE DEL SECOLO XX - Colosseo, domenica 7 maggio 2000

7500

1. "Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore porta molto frutto" (
Jn 12,24). Con queste parole, Gesù, alla vigilia della passione, annuncia la sua glorificazione attraverso la morte. L'impegnativa affermazione è risonata poc'anzi nell'acclamazione al Vangelo. Essa riecheggia con forza nel nostro animo questa sera, in questo luogo significativo, in cui facciamo memoria dei "testimoni della fede del secolo ventesimo".

E' Cristo il chicco di frumento che morendo ha dato frutti di vita immortale. E sulle orme del Re crocifisso si sono posti i suoi discepoli, diventati nel corso dei secoli schiere innumerevoli "di ogni nazione, razza, popolo e lingua": apostoli e confessori della fede, vergini e martiri, audaci araldi del Vangelo e silenziosi servitori del Regno.

Carissimi Fratelli e Sorelle, accomunati dalla fede in Cristo Gesù! Mi è particolarmente gradito rivolgervi oggi il mio fraterno abbraccio di pace, mentre insieme commemoriamo i testimoni della fede del secolo ventesimo. Saluto calorosamente i rappresentanti del Patriarcato ecumenico e delle altre Chiese sorelle ortodosse, così come quelli delle Antiche Chiese d'Oriente. Ugualmente ringrazio per la loro fraterna presenza i rappresentanti della Comunione Anglicana, delle Comunioni Cristiane Mondiali di Occidente e delle Organizzazioni ecumeniche.

E' per tutti noi motivo di intensa emozione trovarci insieme questa sera, raccolti accanto al Colosseo, per questa suggestiva celebrazione giubilare. I monumenti e le rovine dell'antica Roma parlano all'umanità delle sofferenze e delle persecuzioni sopportate con eroica fortezza dai nostri padri nella fede, i cristiani delle prime generazioni. Queste antiche vestigia ci ricordano quanto vere siano le parole di Tertulliano che scriveva: "sanguis martyrum semen christianorum - il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani" (Apol., 50,13: CCL 1, 171).

2. L'esperienza dei martiri e dei testimoni della fede non è caratteristica soltanto della Chiesa degli inizi, ma connota ogni epoca della sua storia. Nel secolo ventesimo, poi, forse ancor più che nel primo periodo del cristianesimo, moltissimi sono stati coloro che hanno testimoniato la fede con sofferenze spesso eroiche. Quanti cristiani, in ogni Continente, nel corso del Novecento hanno pagato il loro amore a Cristo anche versando il sangue! Essi hanno subito forme di persecuzione vecchie e recenti, hanno sperimentato l'odio e l'esclusione, la violenza e l'assassinio. Molti Paesi di antica tradizione cristiana sono tornati ad essere terre in cui la fedeltà al Vangelo è costata un prezzo molto alto. Nel nostro secolo "la testimonianza resa a Cristo sino allo spargimento del sangue è divenuta patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti" (Tertio millennio adveniente, 37)

La generazione a cui appartengo ha conosciuto l'orrore della guerra, i campi di concentramento, la persecuzione. Nella mia Patria, durante la seconda guerra mondiale, sacerdoti e cristiani furono deportati nei campi di sterminio. Solo a Dachau furono internati circa tremila sacerdoti. Il loro sacrificio si unì a quello di molti cristiani provenienti da altri Paesi europei e talora appartenenti ad altre Chiese e Comunità ecclesiali.

Sono testimone io stesso, negli anni della mia giovinezza, di tanto dolore e di tante prove. Il mio sacerdozio, fin dalle sue origini, "si è iscritto nel grande sacrificio di tanti uomini e di tante donne della mia generazione" (Dono e Mistero, p. 47). L'esperienza della seconda guerra mondiale e degli anni successivi mi ha portato a considerare con grata attenzione, l'esempio luminoso di quanti, dai primi anni del Novecento sino alla sua fine, hanno provato la persecuzione, la violenza, la morte, per la loro fede e per il loro comportamento ispirato alla verità di Cristo.

3. E sono tanti! La loro memoria non deve andare perduta, anzi va recuperata in maniera documentata. I nomi di molti non sono conosciuti; i nomi di alcuni sono stati infangati dai persecutori, che hanno cercato di aggiungere al martirio l'ignominia; i nomi di altri sono stati occultati dai carnefici. I cristiani serbano, però, il ricordo di una grande parte di loro. Lo hanno mostrato le numerose risposte all'invito a non dimenticare, giunte alla Commissione "Nuovi martiri" nell'ambito del Comitato del Grande Giubileo, che ha alacremente lavorato per arricchire ed aggiornare la memoria della Chiesa con le testimonianze di tutte quelle persone, anche sconosciute, che "hanno dato la loro vita per il nome del Nostro Signore Gesù Cristo" (Ac 15,26). Sì, come scriveva - alla vigilia della esecuzione - il metropolita ortodosso di San Pietroburgo, Beniamino, martirizzato nel 1922, "i tempi sono cambiati ed è apparsa la possibilità di patire sofferenze per amore di Cristo...". Con la stessa convinzione, dalla sua cella di Buchenwald, il pastore luterano Paul Schneider riaffermava davanti ai suoi aguzzini: "Così dice il Signore, io sono la Risurrezione e la Vita!".

La partecipazione di Rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali conferisce all'odierna nostra celebrazione un valore e un'eloquenza del tutto singolari, nel corso di questo Giubileo dell'Anno Duemila. Essa mostra come l'esempio degli eroici testimoni della fede sia veramente prezioso per tutti i cristiani. La persecuzione ha toccato quasi tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali nel Novecento, unendo i cristiani nei luoghi del dolore e facendo del loro comune sacrificio un segno di speranza per i tempi che verranno.

Questi nostri fratelli e sorelle nella fede, a cui oggi facciamo riferimento con gratitudine e venerazione, costituiscono come un grande affresco dell'umanità cristiana del ventesimo secolo. Un affresco del vangelo delle Beatitudini, vissuto sino allo spargimento del sangue.

4. "Beati voi quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male a causa mia, rallegratevi ed esultate, poiché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5,11-12). Quanto si addicono queste parole di Cristo agli innumerevoli testimoni della fede del secolo passato, insultati e perseguitati, ma mai piegati dalla forza del male!

Laddove l'odio sembrava inquinare tutta la vita senza la possibilità di sfuggire alla sua logica, essi hanno manifestato come "l'amore sia più forte della morte". All'interno di terribili sistemi oppressivi, che sfiguravano l'uomo, nei luoghi di dolore, tra privazioni durissime, lungo marce insensate, esposti al freddo, alla fame, torturati, sofferenti in tanti modi, essi hanno fatto risuonare alta la loro adesione a Cristo morto e risorto. Ascolteremo tra poco alcune loro incisive testimonianze.

Tanti hanno rifiutato di piegarsi al culto degli idoli del ventesimo secolo, e sono stati sacrificati dal comunismo, dal nazismo, dall'idolatria dello Stato o della razza. Molti altri sono caduti nel corso di guerre etniche o tribali, perché avevano rifiutato una logica estranea al Vangelo di Cristo. Alcuni hanno conosciuto la morte, perché, sul modello del buon Pastore, hanno voluto restare con i loro fedeli, nonostante le minacce. In ogni continente e lungo l'intero Novecento, c'è stato chi ha preferito farsi uccidere, piuttosto che venir meno alla propria missione. Religiosi e religiose hanno vissuto la loro consacrazione sino all'effusione del sangue. Uomini e donne credenti sono morti offrendo la loro esistenza per amore dei fratelli, specie dei più poveri e deboli. Non poche donne hanno perso la vita per difendere la loro dignità e la loro purezza.

5. "Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna" (Jn 12,25). Abbiamo ascoltato poco fa queste parole di Cristo. Si tratta di una verità che spesso il mondo contemporaneo rifiuta e disprezza, facendo dell'amore per se stessi il criterio supremo dell'esistenza. Ma i testimoni della fede, che anche questa sera ci parlano con il loro esempio, non hanno considerato il proprio tornaconto, il proprio benessere, la propria sopravvivenza come valori più grandi della fedeltà al Vangelo. Pur nella loro debolezza, essi hanno opposto strenua resistenza al male. Nella loro fragilità è rifulsa la forza della fede e della grazia del Signore.

Fratelli e Sorelle carissimi, l'eredità preziosa che questi testimoni coraggiosi ci hanno tramandato è un patrimonio comune di tutte le Chiese e di tutte le Comunità ecclesiali. E' un'eredità che parla con una voce più alta dei fattori di divisione. L'ecumenismo dei martiri e dei testimoni della fede è il più convincente; esso indica la via dell'unità ai cristiani del ventunesimo secolo. E' l'eredità della Croce vissuta alla luce della Pasqua: eredità che arricchisce e sorregge i cristiani, mentre si avviano nel nuovo millennio.

Se ci vantiamo di questa eredità non è per spirito di parte e tanto meno per desiderio di rivalsa nei confronti dei persecutori, ma perché sia resa manifesta la straordinaria potenza di Dio, che ha continuato ad agire in ogni tempo e sotto ogni cielo. Lo facciamo, perdonando a nostra volta, sull'esempio dei tanti testimoni uccisi mentre pregavano per i loro persecutori.

6. Resti viva, nel secolo e nel millennio appena avviati, la memoria di questi nostri fratelli e sorelle. Anzi, cresca! Sia trasmessa di generazione in generazione, perché da essa germini un profondo rinnovamento cristiano! Sia custodita come un tesoro di eccelso valore per i cristiani del nuovo millennio e costituisca il lievito per il raggiungimento della piena comunione di tutti i discepoli di Cristo!

E' con animo pieno di intima commozione che esprimo questo auspicio. Prego il Signore perché la nube di testimoni che ci circonda aiuti tutti noi credenti ad esprimere con uguale coraggio il nostro amore per Cristo; per Colui che è sempre vivo nella sua Chiesa: come ieri, così oggi, domani e sempre!



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GIUBILEO NAZIONALE DELLA CHIESA ROMENA

Martedì, 9 Maggio 2000






1. "La luce è venuta nel mondo" (Jn 3,19).

Il Grande Giubileo è stato indetto proprio per celebrare questa venuta: l'ingresso del Verbo eterno, "Dio da Dio, Luce da Luce", nella nostra storia duemila anni or sono. Nascendo dalla Vergine Maria nella nostra carne mortale, Egli ha rivelato al mondo l'amore del Padre: "Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito" (Jn 3,16).

La luce dell'amore di Dio è apparsa a Betlemme nella "pienezza del tempo" e, dopo il "prodigioso duello" con le tenebre del peccato, è sfolgorata nella Pasqua di Risurrezione. Il Grande Giubileo, aperto nel gaudio del Natale, culmina nella gloria di Pasqua.

Nella fede pasquale, la Chiesa annuncia al mondo che in Cristo l'uomo è redento, risanato dalla sua malattia mortale. In questa fede, il Successore di Pietro ha chiamato i fedeli a celebrare l'Anno Giubilare, perché nel nome di Gesù Cristo, crocifisso e risorto, ogni uomo possa trovare salvezza (cfr Ac 4,10). E' il primitivo annuncio apostolico che riecheggia, in virtù del medesimo Spirito, di generazione in generazione, per raggiungere tutte le nazioni.

2. Il Vangelo di Cristo feconda la storia dei popoli e li chiama ad aprirsi al mistero del Regno di Dio, mediante il servizio umile ma necessario della santa Chiesa apostolica, stretta intorno al Vescovo di Roma, servo dei servi di Dio, ed ai Vescovi in comunione con lui. E' con tale consapevolezza che quest'oggi, Fratelli e Sorelle della cara Nazione romena, vi raccogliete qui, nella Basilica vaticana, per celebrare il vostro Giubileo. Sono lieto di dare a tutti voi il mio cordiale benvenuto.

Saluto con affetto, anzitutto, i Vescovi sia della Chiesa Greco-cattolica che della Chiesa Latina, con un particolare pensiero di gratitudine a Mons. Lucian Muresan, Arcivescovo di Fagaras e Alba Julia e Presidente della Conferenza Episcopale Romena. Saluto, poi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose ed i laici che prendono parte numerosi a questo pellegrinaggio nazionale. Estendo il mio cordiale pensiero a tutti i fratelli e sorelle nella fede, che dalla Romania si uniscono spiritualmente a noi per questa importante e quasi storica celebrazione.

3. Sono trascorsi ormai tre secoli dal Sinodo della Chiesa romena della Transilvania, che il 7 maggio 1700, ad Alba Iulia, concluse il cammino verso l'unione con la Sede di Pietro, avviato qualche anno prima. Quell'atto accoglieva la volontà dei Vescovi, dei sacerdoti e dei fedeli, che vedevano così ricostituita l'unione con Roma, pur conservando e salvaguardando il rito orientale, il calendario, la lingua liturgica dei Romeni e i loro usi e tradizioni. Con quell'atto si dava la risposta che i tempi consentivano all'inesausto anelito di unità presente nel cuore di tanti sinceri discepoli di Cristo.

Di cuore rendiamo oggi grazie a Dio onnipotente, per tutti i benefici elargiti in questi trecento anni di comunione e, al tempo stesso, lo imploriamo per un futuro sereno e prospero nel nome del Signore Gesù Cristo.

Nel realizzare le sue grandi opere, Dio si serve di uomini, che sceglie con cura e dona al suo Popolo. Come non ricordare qui i benemeriti Pastori della vostra Chiesa, i Vescovi Atanasio Anghel, Innocenzo Micu-Klein, Pietro Aron, grazie all'opera dei quali l'Unione non soltanto ha resistito alle numerose difficoltà, ma ha prodotto frutti fecondi di bene per l'intera popolazione? Mi limito soltanto a ricordare la rinascita della vita religiosa, lo sviluppo delle scuole, l'attenzione alle condizioni di vita e ai diritti civili della gente, un valido contributo alla cultura nazionale e alla stessa scienza. Il noto scrittore Ion Eliade Radulescu poté affermare che da Blaj "si è levato il sole dei Romeni".

4. La Chiesa Greco-cattolica romena, seguendo fedelmente Cristo suo sposo ha conosciuto la sofferenza e la croce, soprattutto nel corso del secolo passato, quando il crudele regime ateo ne ha decretato la soppressione. Si era tentato di schiacciare l'uomo sulla superficie della terra, di fargli dimenticare che esiste il cielo ed un amore più grande di ogni umana miseria. Grazie a Dio questo disegno non è riuscito ad imporsi definitivamente. Cristo è risorto e con Lui tutte le Comunità cristiane in Romania.

In occasione della mia indimenticabile visita nella vostra Terra, avvenuta lo scorso anno proprio in questi giorni, ho voluto pregare a Bucarest sulle tombe dei martiri per la fede, al cimitero cattolico Belu, rendendo così omaggio all'immenso sacrificio di tanti Vescovi, sacerdoti e fedeli, che hanno accettato il martirio come suprema conferma della loro fedeltà a Cristo ed ai Successori di Pietro.

Oggi, mentre celebriamo il Giubileo dell'Unione, desidero esprimere ancora una volta riconoscenza ed ammirazione per la loro testimonianza. Un grato pensiero va, in particolare, al carissimo Cardinale Alexandru Todea, che nonostante il carcere e l'isolamento, è rimasto intrepido nel compiere i suoi doveri di Pastore ed ha introdotto la Chiesa greco-cattolica nella nuova realtà creatasi con l'avvento delle libertà democratiche.

Conservate, carissimi, nei vostri cuori, la viva memoria del martirio e trasmettetela alle generazioni future, affinché continui a dare ispirazione per una sempre generosa ed autentica testimonianza cristiana. Il martirio è anzitutto una incisiva esperienza spirituale: scaturisce da un cuore che ama il Signore come somma verità e bene massimo e irrinunciabile. Possa questo tesoro della vostra Chiesa portare frutti copiosi anche nella libertà ritrovata.

5. Un saluto carico di particolare affetto voglio ora rivolgere anche ai fedeli della Chiesa Latina. Anch'essi, dopo aver sperimentato a lungo la privazione della libertà, hanno potuto rinsaldare ed allargare le proprie strutture pastorali: la vita religiosa è rifiorita; la catechesi è ripresa con vigore; le opere di carità, spesso progettate insieme e con l'aiuto dei cattolici di altri Paesi, offrono un contributo significativo alla rinascita della Nazione ed aprono ad una collaborazione che allarga gli orizzonti nel nome della solidarietà in Cristo.

Mantenete, cari Fratelli e Sorelle, l'impegno primario di far conoscere ed incontrare il Signore Gesù, perché guarisca i cuori feriti, edifichi coscienze rette e preoccupate del bene comune, apra a speranze fondate non sull'effimero del consumismo e della ricerca del benessere materiale ad ogni costo, ma sui veri valori che, soli, sanno dare un avvenire sicuro e felice, perché fondati sulla Parola che non delude.

6. Carissimi fedeli cattolici della Romania, voi potete essere fieri del valido ruolo che avete avuto nella storia della vostra Nazione e che dovete continuare a svolgere con entusiasmo, facendo tesoro delle vostre ricche tradizioni. Contribuirete così a promuovere la crescita dell'intera società.

Perché ciò possa realizzarsi in modo più celere ed incisivo, è tuttavia necessario ricomporre appieno l'unità fra i discepoli di Cristo. L'unità della Chiesa è un dono del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che dobbiamo invocare incessantemente. Essa è anche un impegno affidato a ciascuno di noi, una strada che non dobbiamo mai stancarci di percorrere con perseveranza, anche se a volte talune difficoltà rischiano di scoraggiarci.

Tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede (cfr He 12,2), approfondite sempre più il vostro impegno per l'unità e non cessate mai di lavorare, affinché un giorno non troppo lontano essa possa diventare una consolante realtà per tutti.

7. "Chi opera la verità viene alla luce" (Jn 3,16).

In questa celebrazione, preghiamo affinché l'intera Comunità cattolica che è in Romania, la Greco-cattolica, la Latina e l'Armena, possa "vivere secondo la verità nella carità" (Ep 4,15), per riflettere pienamente nel proprio volto la luce di Cristo, ed essere così a sua volta luce per le genti a cui è inviata.

Vescovi, sacerdoti, persone consacrate; famiglie, giovani e adolescenti: crescete in ogni cosa verso Cristo, dal quale tutto il corpo riceve forza per edificare se stesso nella carità (cfr Ep 4,16)!

In antiche fonti la vostra patria è chiamata "Giardino della Vergine Maria". Questa bella immagine fa pensare all'amore premuroso con cui la Madre di Dio si prende cura dei suoi figli. Ella, che con la sua presenza e la sua preghiera animò la prima Comunità cristiana, guidi e sostenga la vita della Chiesa Greco-cattolica come anche di quella Latina nelle loro componenti, perché, anche grazie all'Anno giubilare, risplendano senza macchia né ruga per la gloria di Dio. Amen.



GPII Omelie 1996-2005 30400