GPII Omelie 1996-2005 267

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CAPPELLA PAPALE PER LA BEATIFICAZIONE DI 5 SERVI DI DIO


OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


Domenica, 3 Settembre 2000



1. Nel contesto dell'Anno Giubilare, è con intima letizia che procedo alla beatificazione di due Pontefici, Pio IX e Giovanni XXIII, e di tre altri servitori del Vangelo nel ministero e nella vita consacrata: l'Arcivescovo di Genova Tommaso Reggio, il sacerdote diocesano Guillaume-Joseph Chaminade, il monaco benedettino Columba Marmion.

Cinque personalità diverse, ciascuna con una sua fisionomia e una sua missione, tutte accomunate dall'anelito alla santità. E' appunto la loro santità che oggi riconosciamo: santità che è rapporto profondo e trasformante con Dio, costruito e vissuto nel quotidiano impegno di adesione alla sua volontà. La santità vive nella storia e ogni santo non è sottratto ai limiti e condizionamenti propri della nostra umanità. Beatificando un suo figlio la Chiesa non celebra particolari opzioni storiche da lui compiute, ma piuttosto lo addita all'imitazione e alla venerazione per le sue virtù, a lode della grazia divina che in esse risplende.

Rivolgo il mio deferente saluto alle Delegazioni ufficiali di Italia, Francia, Irlanda, Belgio, Turchia, Bulgaria, qui convenute per la solenne circostanza. Saluto pure i parenti dei nuovi Beati, insieme con i Cardinali, i Vescovi, le personalità civili e religiose che hanno voluto prendere parte a questa celebrazione. Saluto infine voi tutti, cari Fratelli e Sorelle, che siete accorsi in grande numero a rendere omaggio ai Servi di Dio che la Chiesa oggi iscrive nell'Albo dei Beati.

2. Ascoltando le parole dell'acclamazione al Vangelo: "Signore, guidaci sul retto cammino", il pensiero è andato spontaneamente alla vicenda umana e religiosa del Papa Pio IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti. In mezzo agli eventi turbinosi del suo tempo, egli fu esempio di incondizionata adesione al deposito immutabile delle verità rivelate. Fedele in ogni circostanza agli impegni del suo ministero, seppe sempre dare il primato assoluto a Dio ed ai valori spirituali. Il suo lunghissimo pontificato non fu davvero facile ed egli dovette soffrire non poco nell'adempimento della sua missione al servizio del Vangelo. Fu molto amato, ma anche odiato e calunniato.

Ma fu proprio in mezzo a questi contrasti che brillò più vivida la luce delle sue virtù: le prolungate tribolazioni temprarono la sua fiducia nella divina Provvidenza, del cui sovrano dominio sulle vicende umane egli mai dubitò. Da qui nasceva la profonda serenità di Pio IX, pur in mezzo alle incomprensioni ed agli attacchi di tante persone ostili. A chi gli era accanto amava dire: "Nelle cose umane bisogna contentarsi di fare il meglio che si può e nel resto abbandonarsi alla Provvidenza, la quale sanerà i difetti e le insufficienze dell'uomo".

Sostenuto da questa interiore convinzione, egli indisse il Concilio Ecumenico Vaticano I, che chiarì con magisteriale autorità alcune questioni allora dibattute, confermando l'armonia tra fede e ragione. Nei momenti della prova, Pio IX trovò sostegno in Maria, di cui era molto devoto. Proclamando il dogma dell'Immacolata Concezione, ricordò a tutti che nelle tempeste dell'esistenza umana brilla nella Vergine la luce di Cristo, più forte del peccato e della morte.

3. "Tu sei buono e pronto al perdono" (Ant. d'ingr.). Contempliamo quest'oggi nella gloria del Signore un altro Pontefice, Giovanni XXIII, il Papa che colpì il mondo per l'affabilità del tratto, da cui traspariva la singolare bontà dell'animo. I disegni divini hanno voluto che la beatificazione accomunasse due Papi vissuti in contesti storici ben diversi, ma legati, al di là delle apparenze, da non poche somiglianze sul piano umano e spirituale. E' nota la profonda venerazione che Papa Giovanni aveva per Pio IX, del quale auspicava la beatificazione. Durante un ritiro spirituale, nel 1959, scriveva nel suo Diario: "Io penso sempre a Pio IX di santa e gloriosa memoria, ed imitandolo nei suoi sacrifici, vorrei essere degno di celebrarne la canonizzazione" (Giornale dell'Anima, p. 560).

Di Papa Giovanni rimane nel ricordo di tutti l'immagine di un volto sorridente e di due braccia spalancate in un abbraccio al mondo intero. Quante persone sono restate conquistate dalla semplicità del suo animo, congiunta ad un'ampia esperienza di uomini e di cose! La ventata di novità da lui portata non riguardava certamente la dottrina, ma piuttosto il modo di esporla; nuovo era lo stile nel parlare e nell'agire, nuova la carica di simpatia con cui egli avvicinava le persone comuni e i potenti della terra. Fu con questo spirito che egli indisse il Concilio Ecumenico Vaticano II, col quale aprì una nuova pagina nella storia della Chiesa: i cristiani si sentirono chiamati ad annunciare il Vangelo con rinnovato coraggio e con più vigile attenzione ai "segni" dei tempi. Il Concilio fu davvero un'intuizione profetica di questo anziano Pontefice che inaugurò, pur tra non poche difficoltà, una stagione di speranza per i cristiani e per l'umanità.

Negli ultimi momenti della sua esistenza terrena, egli affidò alla Chiesa il suo testamento: "Ciò che più vale nella vita è Gesù Cristo benedetto, la sua Santa Chiesa, il suo Vangelo, la verità e la bontà". Questo testamento vogliamo raccogliere oggi anche noi, mentre rendiamo gloria a Dio per avercelo donato come Pastore.

4. "Siate di quelli che mettono in pratica e non soltanto ascoltatori" (Jc 1,22). A queste parole dell'apostolo Giovanni fa pensare l'esistenza e l'apostolato di Tommaso Reggio, sacerdote e giornalista, divenuto poi Vescovo di Ventimiglia e infine Arcivescovo di Genova. Fu uomo di fede e di cultura e, come Pastore, seppe farsi guida attenta dei fedeli in ogni circostanza. Sensibile alle molteplici sofferenze e povertà del suo popolo si fece carico di un aiuto tempestivo in tutte le situazioni di bisogno. Proprio in questa prospettiva egli diede inizio alla Famiglia religiosa delle Suore di Santa Marta, affidando ad esse il compito di prestare il loro aiuto ai Pastori della Chiesa, soprattutto nel campo caritativo ed educativo.

Il suo messaggio è riconducibile a due parole: verità e carità. La verità innanzitutto, che significa ascolto attento della parola di Dio e slancio coraggioso nel difendere e diffondere gli insegnamenti del Vangelo. E poi la carità, che spinge ad amare Dio e, per amore suo, ad abbracciare tutti, perché fratelli in Cristo. Se una preferenza ci fu nelle scelte di Tommaso Reggio, essa fu per quanti si trovavano nella difficoltà e nella sofferenza. Ecco perché egli viene oggi proposto come modello a Vescovi, sacerdoti e laici, oltre che a quanti fanno parte della sua Famiglia spirituale.

5. La béatification, durant l’année jubilaire, de Guillaume-Joseph Chaminade, fondateur des marianistes, rappelle aux fidèles qu’il leur appartient d’inventer sans cesse des manières nouvelles d’être témoins de la foi, notamment pour rejoindre ceux qui sont loin de l’Église et qui n’ont pas les moyens habituels de connaître le Christ. Guillaume-Joseph Chaminade invite chaque chrétien à s’enraciner dans son Baptême, qui le conforme au Seigneur Jésus et lui communique l’Esprit Saint.

L'amour du Père Chaminade pour le Christ, qui s'inscrit dans la spiritualité de l’École française, le pousse à poursuivre inlassablement son oeuvre par des fondations de familles spirituelles, dans une période troublée de l’histoire religieuse de France. Son attachement filial à Marie l'a maintenu dans la paix intérieure en toute circonstance, l’aidant à faire la volonté du Christ. Son souci de l’éducation humaine, morale et religieuse est pour toute l’Église un appel à une attention renouvelée pour la jeunesse, qui a besoin tout à la fois d’éducateurs et de témoins pour se tourner vers le Seigneur et prendre sa part dans la mission de l’Église.

6. Aujourd’hui, l’Ordre bénédictin se réjouit de la béatification d’un de ses plus illustres fils, Dom Columba Marmion, moine et Abbé de Maredsous. Dom Marmion nous a légué un authentique trésor d’enseignement spirituel pour l’Église de notre temps. Dans ses écrits, il enseigne un chemin de sainteté, simple et pourtant exigeant, pour tous les fidèles, que Dieu par amour a destinés à être ses fils adoptifs dans le Christ Jésus (cf. Ep Ep 1,5). Jésus Christ, notre Rédempteur et source de toute grâce, est le centre de notre vie spirituelle, notre modèle de sainteté.

Before entering the Benedictine Order, Columba Marmion spent some years in the pastoral care of souls as a priest of his native Archdiocese of Dublin. Throughout his life Blessed Columba was an outstanding spiritual director, having particular care for the interior life of priests and religious. To a young man preparing for ordination he once wrote: "The best of all preparations for the priesthood is to live each day with love, wherever obedience and Providence place us" (Letter, 27 December 1915). May a widespread rediscovery of the spiritual writings of Blessed Columba Marmion help priests, religious and laity to grow in union with Christ and bear faithful witness to him through ardent love of God and generous service of their brothers and sisters.

7. Ai novelli Beati Pio IX, Giovanni XXIII, Tommaso Reggio, Guillaume-Joseph Chaminade e Columba Marmion chiediamo con fiducia che ci aiutino a vivere in modo sempre più conforme allo Spirito di Cristo. Il loro amore a Dio ed ai fratelli sia luce ai nostri passi in quest'alba del Terzo Millennio!



GIUBILEO DEI DOCENTI UNIVERSITARI




Domenica, 10 settembre 2000




1. "Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti" (Mc 7,37).

Nel clima giubilare di questa celebrazione siamo innanzitutto invitati ad unirci allo stupore e alla lode di quanti assistettero al miracolo poc’anzi narrato nel testo evangelico. Come tanti altri episodi di guarigione, esso attesta la venuta, nella persona di Gesù, del Regno di Dio. In Cristo si realizzano le promesse messianiche enunciate dal profeta Isaia: "Si schiuderanno gli orecchi dei sordi […] griderà di gioia la lingua del muto" (Is 35,5-6). In Lui si è aperto, per tutta l’umanità, l’anno di grazia del Signore (cfr Lc 4,17-21).

Questo anno di grazia attraversa i tempi, segna ormai tutta la storia, è principio di resurrezione e di vita, che coinvolge non solo l’umanità ma anche il creato (cfr Rm 8,19-22).

Di questo anno di grazia siamo qui a fare rinnovata esperienza, in questo Giubileo delle Università, che vede raccolti voi, illustri Rettori, Docenti, Amministratori e Cappellani, convenuti da vari Paesi, e voi, carissimi studenti, provenienti dal mondo intero.

A tutti voi va il mio cordiale saluto. Ringrazio per la loro presenza i Signori Cardinali e i Vescovi concelebranti. Saluto pure il Signor Ministro per le Università e le altre Autorità qui convenute.

2. "Effatà, apriti!" (Mc 7,34). La parola, detta da Gesù nella guarigione del sordomuto, riecheggia oggi per noi; è parola suggestiva, di grande intensità simbolica, che ci chiama ad aprirci all’ascolto e alla testimonianza.

Il sordomuto, di cui parla il Vangelo, non evoca forse la situazione di chi non riesce ad instaurare una comunicazione che dia senso vero all'esistenza? In qualche modo fa pensare all'uomo che si chiude in una presunta autonomia, nella quale finisce per trovarsi isolato nei confronti di Dio e spesso anche del prossimo. A quest'uomo Gesù si rivolge per restituirgli la capacità di aprirsi all’Altro e agli altri, in atteggiamento di fiducia e di amore gratuito. Gli offre la straordinaria opportunità di incontrare Dio, che è amore e che si lascia conoscere da chi ama. Gli offre la salvezza.

Sì, Cristo apre l'uomo alla conoscenza di Dio e di se stesso. Lo apre alla verità, Egli che è la verità (cfr Jn 14,6), toccandolo interiormente e guarendo così "dall'interno" ogni sua facoltà.

Per voi, carissimi Fratelli e Sorelle impegnati nell'ambito della ricerca e dello studio, questa parola costituisce un appello ad aprire lo spirito alla verità che rende liberi! Al tempo stesso, la parola di Cristo vi chiama a farvi intermediari, presso innumerevoli schiere di giovani, di questo "Effatà", che apre lo spirito all’accoglienza dell’uno o dell’altro aspetto della verità nei diversi campi del sapere. Visto in questa luce, il vostro impegno quotidiano diventa un seguire Cristo sulla strada del servizio ai fratelli nella verità dell’amore.

Cristo è colui che "ha fatto bene ogni cosa" (Mc 7,37). Egli è il modello a cui guardare costantemente per fare della propria attività accademica un servizio efficace all’anelito umano verso una conoscenza sempre più piena della verità.

3. "Dite agli smarriti di cuore: Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio… Egli viene a salvarvi" (Is 35,4).

In queste parole di Isaia ben si inscrive anche la vostra missione, carissimi uomini dell’Università. Voi siete ogni giorno impegnati ad annunciare, difendere, diffondere la verità. Spesso si tratta di verità riguardanti le più diverse realtà del cosmo e della storia. Non sempre, come negli ambiti della teologia e della filosofia, il discorso tocca direttamente il problema del senso ultimo della vita e il rapporto con Dio. Ma questo rimane, comunque, l’orizzonte più vasto di ogni pensiero. Anche nelle ricerche su aspetti della vita che sembrano del tutto lontani dalla fede, si nasconde un desiderio di verità e di senso che va oltre il particolare e il contingente.

Quando l’uomo non è spiritualmente "sordo e muto", ogni percorso del pensiero, della scienza e dell’esperienza, gli porta anche un riflesso del Creatore e gli suscita un desiderio di Lui, spesso nascosto e forse anche represso, ma insopprimibile. Ben lo aveva capito Sant’Agostino che esclamava: "Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te" (Conf. 1,1).

La vostra vocazione di studiosi e docenti che avete aperto il cuore a Cristo è quella di vivere e di testimoniare efficacemente questa relazione tra i singoli saperi e quel "sapere" supremo che riguarda Dio, e in certo senso coincide con Lui, con il suo Verbo fatto uomo e con lo Spirito di verità da Lui donato. L’Università diventa così, attraverso il vostro contributo il luogo dell’Effatà, dove Cristo, servendosi di voi, continua a compiere il miracolo di aprire le orecchie e le labbra, suscitando un nuovo ascolto e una comunicazione vera.

Da questo incontro con Cristo non ha da temere la libertà della ricerca. Da esso non è nemmeno pregiudicato il dialogo e il rispetto delle persone, giacché la verità cristiana per sua natura va proposta e mai imposta, e ha come suo punto fermo il profondo rispetto del "sacrario della coscienza" (Redemptoris missio RMi 39 cfr Redemptor hominis RH 12 Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae DH 3).

4. Il nostro è un tempo di grandi trasformazioni, che coinvolgono anche il mondo universitario. Il carattere umanistico della cultura appare talora marginale, mentre si accentua la tendenza a ridurre l'orizzonte della conoscenza a ciò che è misurabile e a trascurare ogni questione che tocchi il significato ultimo della realtà. Ci si può chiedere quale uomo prepari oggi l'Università. Di fronte alla sfida di un nuovo Umanesimo che sia autentico ed integrale, l'Università ha bisogno di persone attente alla Parola dell'unico Maestro; ha bisogno di qualificati professionisti e di credibili testimoni di Cristo. Missione certo non facile, che chiede impegno costante, si nutre di preghiera e di studio, e si esprime nella normalità del quotidiano.

A sostegno di tale missione si pone la pastorale universitaria, che è al tempo stesso cura spirituale delle persone e azione efficace di animazione culturale, in cui la luce del Vangelo orienta e umanizza i percorsi della ricerca, dello studio e della didattica.

Centro di una simile azione pastorale sono le Cappelle universitarie, ove, docenti, studenti e personale trovano sostegno e aiuto per la loro vita cristiana. Poste come luoghi significativi nel contesto dell'Università, esse alimentano l’impegno di ciascuno nelle forme e nei modi che l’ambiente universitario suggerisce: sono luoghi dello spirito, palestre di virtù cristiane, case accoglienti e aperte, centri vivi e propulsivi di animazione cristiana della cultura, nel dialogo rispettoso e franco, nella proposta chiara e motivata (cfr 1P 3,15), nella testimonianza che interroga e convince.

5. Carissimi, è per me una grande gioia quest’oggi celebrare insieme con voi il Giubileo delle Università. La vostra folta e qualificata presenza costituisce un segno eloquente della fecondità culturale della fede.

Fissando lo sguardo sul mistero del Verbo incarnato (cfr Bolla Incarnationis mysterium, 1), l'uomo ritrova se stesso (cfr Gaudium et spes GS 22). Egli sperimenta pure un'intima gioia, che si esprime nello stesso stile interiore dello studio e dell'insegnamento. La scienza supera così i limiti che la riducono a mero processo funzionale e pragmatico, per ritrovare la sua dignità di ricerca al servizio dell'uomo nella sua verità totale, illuminata e orientata dal Vangelo.

Carissimi Docenti e Studenti, è questa la vostra vocazione: fare dell’Università l’ambiente in cui si coltiva il sapere, il luogo dove la persona trova progettualità, sapienza, impulso al servizio qualificato della società.

Affido questo vostro cammino a Maria, Sedes Sapientiae, la cui immagine oggi vi consegno, perché sia accolta, come maestra e pellegrina, nelle città universitarie del mondo. Ella, che sostenne con la sua preghiera gli Apostoli agli albori dell'evangelizzazione, aiuti anche voi ad animare di spirito cristiano il mondo universitario.



GIUBILEO DELLA TERZA ETÀ


OMELIA DEL SANTO PADRE


Domenica 17 Settembre 2000

1. "Voi chi dite che io sia?" (Mc 8,29). E’ la domanda che Cristo pone ai suoi discepoli, dopo averli interrogati sull'opinione comune della gente. Egli approfondisce così il dialogo con i discepoli, quasi obbligandoli ad una risposta più diretta e personale. A nome di tutti Pietro risponde con prontezza e chiarezza di fede: "Tu sei il Cristo" (Mc 8,29)!

Il dialogo di Gesù con gli apostoli, risuonato oggi in questa piazza in occasione del Giubileo della Terza Età, spinge ad approfondire il significato dell'evento che stiamo celebrando. Nell’Anno giubilare che ricorda i duemila anni dalla nascita di Cristo, la Chiesa intera eleva al Signore in un modo tutto particolare "una grande preghiera di lode e di ringraziamento soprattutto per il dono dell’Incarnazione del Figlio di Dio e della Redenzione da Lui operata" (cfr Tertio millennio adveniente, 32).

"Voi chi dite che io sia?". Di fronte a questa domanda che continua ad interpellarci, noi siamo qui per far nostra la risposta di Pietro, riconoscendo in Cristo il Verbo fatto carne, il Signore della nostra vita.

2. Carissimi Fratelli e Sorelle, venuti in pellegrinaggio a Roma per il vostro Giubileo! Vi do il mio più cordiale benvenuto, lieto di celebrare insieme con voi questo singolare momento di grazia e di comunione ecclesiale.

Vi saluto tutti con affetto. Un particolare pensiero va al Signor Cardinale James Francis Stafford ed a tutti i Confratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio qui presenti. Invio un ricordo affettuoso a tutti i Vescovi e Sacerdoti anziani del mondo, come pure a quanti nella vita religiosa o laicale hanno speso le loro energie nell’adempimento dei doveri del proprio stato. Grazie per l'esempio che offrite di amore, di dedizione e di fedeltà alla vocazione ricevuta!

Desidero esprimere il mio apprezzamento a quanti hanno affrontato difficoltà e disagi pur di non mancare a questo appuntamento. Al tempo stesso, tuttavia, il mio pensiero si rivolge anche a tutte quelle persone anziane, sole o ammalate, che non hanno potuto muoversi da casa, ma che sono spiritualmente unite a noi e seguono questa celebrazione attraverso la radio e la televisione. A quanti si trovano in situazioni precarie o di particolare difficoltà, assicuro la mia cordiale vicinanza ed il mio ricordo nella preghiera.

3. Il Giubileo della Terza Età, che oggi celebriamo, riveste un’importanza particolare, se si considera la crescente presenza delle persone anziane nell'attuale società. Celebrare il Giubileo significa innanzitutto raccogliere il messaggio di Cristo per queste persone, ma al tempo stesso far tesoro del messaggio di esperienza e di saggezza di cui esse stesse sono portatrici in questa particolare stagione della loro vita. Per molte di esse la Terza Età è il tempo per riorganizzare la propria vita, ponendo a frutto l'esperienza e le capacità acquisite.

In realtà - come ebbi occasione di sottolineare nella Lettera agli anziani (cfr n.13) - anche l’età avanzata è un tempo di grazia, che invita ad unirsi con amore più intenso al mistero salvifico di Cristo ed a partecipare più profondamente al suo progetto di salvezza. La Chiesa guarda con amore e con fiducia a voi anziani, impegnandosi per favorire la realizzazione di un contesto umano, sociale e spirituale in seno al quale ogni persona possa vivere pienamente e degnamente questa importante tappa della propria vita.

Proprio in questi giorni, il Pontificio Consiglio per i Laici ha voluto offrire un contributo a questo aspetto della pastorale promuovendo una riflessione sul tema: "Il dono di una lunga vita: responsabilità e speranza". Ho vivamente apprezzato questa iniziativa ed auspico che questo simposio stimoli nelle famiglie, nel personale religioso e laico delle case che ospitano gli anziani ed in tutti gli operatori nei servizi per la Terza Età la volontà di contribuire attivamente al rinnovamento di uno specifico impegno sociale e pastorale. Si può infatti fare ancora molto per prendere maggior consapevolezza delle esigenze degli anziani, per aiutarli ad esprimere al meglio le loro capacità, per facilitare il loro attivo inserimento nella vita della Chiesa, soprattutto per fare in modo che la loro dignità di persone sia sempre e comunque rispettata e valorizzata.

4. Su tutto ciò gettano luce le Letture di questa domenica, che ci invitano ad approfondire il modo in cui si è compiuto il disegno salvifico di Dio. Abbiamo ascoltato dal libro del profeta Isaia la descrizione del Servo sofferente, che è il ritratto di una persona che si mette totalmente a disposizione di Dio. "Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro" (Is 50,5). Il Servo di Jahvé accetta la missione affidatagli, anche se è ardua e piena di insidie: la fiducia che pone in Dio gli dona la forza e le risorse necessarie per realizzarla, rimanendo saldo anche nelle avversità.

Il mistero di sofferenza e di redenzione annunciato dalla figura del Servo di Jahvé si è pienamente realizzato in Cristo. Come abbiamo ascoltato nell'odierno Vangelo, Gesù cominciò ad insegnare agli Apostoli "che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire" (Mc 8,31). A prima vista, tale prospettiva appare umanamente difficile da accettare, come si rileva anche dall'immediata reazione di Pietro e degli apostoli (cfr Mc 8,32-35). E come potrebbe essere diversamente? La sofferenza non può non far paura! Ma proprio nella sofferenza redentrice di Cristo c’è la vera risposta alla sfida del dolore, che tanto pesa sulla nostra condizione umana. Cristo infatti ha preso su di sé le nostre sofferenze e si è caricato dei nostri dolori, ponendoli, mediante la sua Croce e la sua Risurrezione, in una luce nuova di speranza e di vita.

5. Cari amici anziani! In un mondo come quello attuale, nel quale sono spesso mitizzate la forza e la potenza, voi avete la missione di testimoniare i valori che contano davvero al di là delle apparenze, e che rimangono per sempre perché inscritti nel cuore di ogni essere umano e garantiti dalla Parola di Dio.

Proprio in quanto persone della Terza Età voi avete un contributo specifico da offrire per lo sviluppo di una autentica "cultura della vita" - voi avete, noi abbiamo, perché anche io appartengo alla vostra età -, testimoniando che ogni momento dell’esistenza è un dono di Dio ed ogni stagione della vita umana ha le sue specifiche ricchezze da mettere a disposizione di tutti.

Voi stessi potete sperimentare come il tempo trascorso senza l’assillo di tante occupazioni possa favorire una riflessione più approfondita e un più diffuso dialogo con Dio nella preghiera. La vostra maturità vi spinge inoltre a condividere con i più giovani la saggezza accumulata con l’esperienza, sostenendoli nella fatica di crescere e dedicando loro tempo ed attenzione nel momento in cui si aprono all’avvenire e cercano la propria strada nella vita. Voi potete svolgere per loro un compito davvero prezioso.

Carissimi Fratelli e Sorelle! La Chiesa vi guarda con grande stima e fiducia. La Chiesa ha bisogno di voi! Ma anche la società civile ha bisogno di voi! Così ho detto un mese fa ai giovani e così dico oggi a voi anziani, a noi anziani! La Chiesa ha bisogno di voi! Ma anche la società civile ne ha bisogno! Sappiate impiegare generosamente il tempo che avete a disposizione e i talenti che Dio vi ha concesso aprendovi all’aiuto e al sostegno verso gli altri. Contribuite ad annunciare il Vangelo come catechisti, animatori della liturgia, testimoni di vita cristiana. Dedicate tempo ed energie alla preghiera, alla lettura della Parola di Dio ed alla riflessione su di essa.

6. "Io con le mie opere ti mostrerò la mia fede" (Jc 2,17). Con queste parole l'apostolo Giacomo ci ha invitati a non temere di esprimere apertamente e con coraggio nella vita quotidiana la fede in Cristo, specialmente attraverso le opere di carità e di solidarietà verso quanti sono nel bisogno (cfr vv. 15-16).

Ringrazio oggi il Signore per i tanti fratelli che testimoniano questa fede operosa nel quotidiano servizio agli anziani, ma anche per i tanti anziani che, nei limiti delle loro possibilità, ancora continuano a prodigarsi per gli altri.

In questa festosa celebrazione del Giubileo della Terza Età voi volete rinnovare la vostra professione di fede in Cristo, unico salvatore dell'uomo, e la vostra adesione alla Chiesa, nell’impegno di una vita vissuta all’insegna dell’amore.

Insieme vogliamo oggi rendere grazie per il dono dell’Incarnazione del Figlio di Dio e della Redenzione da lui compiuta. Proseguiamo il pellegrinaggio della nostra quotidiana esistenza nella certezza che la storia umana nel suo insieme e la stessa vicenda personale di ciascuno fanno parte di un piano divino, sul quale getta la sua luce il mistero della risurrezione di Cristo.

Preghiamo Maria, Vergine pellegrina nella fede e nostra Madre celeste, di accompagnarci sulla strada della vita e di aiutarci a dire come Lei il nostro "sì" alla volontà di Dio, cantando insieme con Lei il nostro Magnificat nella fiducia e nella gioia perenne del cuore.



CELEBRAZIONE EUCARISTICA PER LA CONCLUSIONE


DEL XX CONGRESSO MARIOLOGICO-MARIANO INTERNAZIONALE




Domenica, 24 settembre 2000




Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. "Preso un bambino, lo pose in mezzo" (Mc 9,36). Questo singolare gesto di Gesù, ricordato dal Vangelo or ora proclamato, viene subito dopo il monito col quale il Maestro aveva esortato i discepoli a desiderare non il primato del potere, ma quello del servizio. Un insegnamento che dovette pungere sul vivo i Dodici, che avevano appena "discusso tra loro chi fosse il più grande"(Mc 9,34). Si direbbe che il Maestro sentisse il bisogno di illustrare un insegnamento così impegnativo con l’eloquenza di un gesto ricco di tenerezza. A un bambino, che - secondo i parametri dell’epoca - non contava nulla, egli donò il suo abbraccio e quasi si identificò con lui: "Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me" (Mc 9,37).

In questa Eucaristia, che conclude il XX Congresso internazionale mariologico-mariano ed il Giubileo mondiale dei santuari mariani, mi piace assumere come prospettiva di riflessione proprio questa singolare icona evangelica. In essa emerge, prima ancora che un insegnamento morale, un’indicazione cristologica e, indirettamente, un’indicazione mariana.

Nell’abbraccio al bambino, Cristo rivela innanzitutto la delicatezza del suo cuore, capace di tutte le vibrazioni della sensibilità e dell’affetto. C’è innanzitutto la tenerezza del Padre, che dall’eterno, nello Spirito Santo, lo ama e nel suo volto umano vede il "Figlio prediletto" in cui si compiace (cfr Mc 1,11 Mc 9,7). C’è poi la tenerezza tutta femminile e materna di cui lo ha circondato Maria nei lunghi anni trascorsi nella casa di Nazaret. La tradizione cristiana, soprattutto nel Medio Evo, si è soffermata spesso a contemplare la Vergine che abbraccia il bambino Gesù. Aelredo di Rievaulx, ad esempio, si rivolge affettuosamente a Maria invitandola ad abbracciare il Figlio che, dopo tre giorni, ha ritrovato nel tempio (cfr Lc 2,40-50): "Stringi, dolcissima Signora, stringi Colui che tu ami, gettati al suo collo, abbraccialo e bacialo e compensa i tre giorni della sua assenza con moltiplicate delizie" (De Iesu puero duodenni 8: SCh 60, p. 64).

2. "Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti" (Mc 1,35). Nell’icona dell’abbraccio al bimbo emerge tutto il vigore di questo principio, che nella persona di Gesù, e poi anche in Maria, trova la sua realizzazione esemplare.

Nessuno può dire come Gesù di essere il "primo". Egli infatti è il "primo e l’ultimo", "l’alfa e l’omega" (cfr Ap 22,13), l’irradiazione della gloria del Padre (cfr He 1,3). A lui, nella risurrezione, è stato dato "il nome che è al di sopra di ogni altro nome" (Ph 2,9). Ma egli si è mostrato anche, nella Passione, «l’ultimo di tutti», e quale "servo di tutti" non ha esitato a lavare i piedi ai suoi discepoli (cfr Jn 13,14).

Quanto da vicino, in questo abbassamento, lo segue Maria! Ella, che ha avuto la missione della divina maternità e gli eccezionali privilegi che la pongono al di sopra di ogni altra creatura, si sente innanzitutto, l’Ancella del Signore (Lc 1,38 Lc 1,48), e si dedica totalmente al servizio del Figlio divino. E si fa anche, con pronta disponibilità, "serva" dei fratelli, come alcuni episodi evangelici - dalla Visitazione alle nozze di Cana - ci fanno ben intravedere.

3. Per questo, il principio enunciato da Gesù nel Vangelo, illumina anche la grandezza di Maria. Il suo "primato" è radicato nella sua "umiltà". Proprio in questa umiltà è stata raggiunta da Dio che l’ha colmata dei suoi favori facendone la "kecharitomene", la piena di grazia (Lc 1,28). Ella stessa confessa nel Magnificat: "Ha guardato all’umiltà della sua serva.. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente" (Lc 1,48-49).

Nel Congresso mariologico che si è appena svolto, voi avete fissato lo sguardo sulle "grandi cose" operate in Maria, considerandone la dimensione più interiore e profonda, quella del suo specialissimo rapporto con la Trinità. Se Maria è la Theotokos, la madre dell’Unigenito di Dio, come stupirsi che goda di un rapporto del tutto unico anche con il Padre e lo Spirito Santo?

Questo rapporto certo non la sottrasse, nella sua vita terrena, alla fatica della condizione umana: Maria visse in pieno la realtà quotidiana di tante umili famiglie del suo tempo, conobbe la povertà, il dolore, la fuga, l’esilio, l’incomprensione. La sua grandezza spirituale non ce la rende dunque "lontana": Ella ha percorso la nostra strada ed è stata solidale con noi nella "peregrinazione della fede" (Lumen Gentium LG 58). Ma in questo cammino interiore, Maria coltivò una fedeltà assoluta al disegno di Dio. Proprio nell’abisso di tale fedeltà si radica anche l’abisso di grandezza che la fa "umile e alta più che creatura" (Dante, Par XXXIII, 2).

4. Maria si staglia al nostro sguardo innanzitutto come "figlia prediletta" (Lumen Gentium LG 53) del Padre. Se tutti siamo stati chiamati da Dio "ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo" (cfr Ep 1,5), "figli nel Figlio", ciò vale a titolo singolare per lei, che ha il privilegio di poter ripetere con piena verità umana la parola pronunciata da Dio Padre su Gesù: "Tu sei il mio Figlio" (cfr Lc 3,22 Lc 2,48). Per questo suo compito materno, è stata dotata di una eccezionale santità, nella quale lo sguardo del Padre riposa.

Con la seconda Persona della Trinità, il Verbo fatto carne, Maria ha un rapporto unico, essendo direttamente coinvolta nel mistero dell’Incarnazione. Ella è la Madre, e come tale Cristo la onora e la ama. Al tempo stesso, Ella lo riconosce come suo Dio e Signore, facendosi discepola dal cuore attento e fedele (cfr Lc 2,19 Lc 2,51) e sua compagna generosa (Lumen Gentium LG 61) nell’opera della Redenzione. Nel Verbo incarnato e in Maria l’infinita distanza tra il Creatore e la creatura è divenuta somma vicinanza; essi sono lo spazio santo delle misteriose nozze della natura divina con l’umana, il luogo dove la Trinità si manifesta per la prima volta e dove Maria rappresenta l’umanità nuova, pronta a riprendere, in obbediente amore, il dialogo dell’alleanza.

5. Che dire poi del suo rapporto con lo Spirito Santo? Maria è il "sacrario" purissimo, in cui Egli inabita. La tradizione cristiana ravvisa in Maria il prototipo della risposta docile alla mozione interiore dello Spirito, il modello dell’accoglienza piena dei suoi doni. Lo Spirito sostiene la sua fede, ne rinsalda la speranza, ne ravviva la fiamma dell’amore. Lo Spirito rende feconda la sua verginità e ispira il suo cantico di gioia. Lo Spirito illumina la sua meditazione sulla Parola, aprendole progressivamente l’intelligenza alla comprensione della missione del Figlio. È ancora lo Spirito a sorreggere il suo animo affranto sul Calvario e a prepararla, nell’attesa orante del Cenacolo, a ricevere la piena effusione dei doni della Pentecoste.

6. Carissimi Fratelli e Sorelle! Di fronte a questo mistero di grazia, si vede bene quanto siano stati appropriati all’anno giubilare i due eventi che in questa celebrazione eucaristica si concludono: il Congresso internazionale mariologico-mariano e il Giubileo mondiale dei santuari mariani. Non celebriamo forse i duemila anni della nascita di Cristo? E’ dunque naturale che il Giubileo del Figlio sia anche il Giubileo della Madre!

C’è perciò da augurarsi che, tra i frutti di questo anno di grazia, accanto a quello di un più forte amore per Cristo, ci sia anche quello di una rinnovata pietà mariana. Sì, Maria deve essere molto amata e onorata, ma con una devozione che, per essere autentica:

- dev’essere ben fondata sulla Scrittura e sulla Tradizione, valorizzando innanzitutto la liturgia e traendo da essa sicuro orientamento per le manifestazioni più spontanee della religiosità popolare;

- deve esprimersi nello sforzo di imitare la Tuttasanta in un cammino di perfezione personale;

- dev’essere lontana da ogni forma di superstizione e vana credulità, accogliendo nel giusto senso, in sintonia con il discernimento ecclesiale, le manifestazioni straordinarie con cui la Beata Vergine ama non di rado concedersi per il bene del popolo di Dio;

- dev’essere capace di risalire sempre alla sorgente della grandezza di Maria, facendosi incessante Magnificat di lode al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.

7. Carissimi Fratelli e Sorelle! "Chi accoglie uno di questi piccoli nel mio nome, accoglie me", ci ha detto Gesù nel Vangelo. A maggior ragione potrebbe dirci: "Chi accoglie mia Madre, accoglie me". E Maria, da parte sua, accolta con amore filiale, ancora una volta ci addita il Figlio come fece alle nozze di Cana: "Fate quello che vi dirà" (Jn 2,5)

Sia questa, carissimi, la consegna dell’odierna celebrazione giubilare, che unisce in un’unica lode Cristo e la sua Madre santissima. Auspico che ciascuno di voi ne riceva abbondanti frutti spirituali e sia incoraggiato a un autentico rinnovamento di vita. Ad Iesum per Mariam! Amen.



CAPPELLA PAPALE PER LE ESEQUIE DEL CARDINALE VICENZO FAGIOLO


OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANI PAOLO II


Martedì, 26 settembre 2000

1. "Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno" (Da 12,2).

Le parole di Daniele, che abbiamo ascoltato nella prima Lettura, oltrepassano l'orizzonte storico e si spingono fino ai tempi ultimi, per annunciare la risurrezione dei morti con espressioni che Cristo stesso riprenderà nel Vangelo. Parlando del giudizio finale, Gesù afferma: "Verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio dell'uomo e ne usciranno, quanti fecero il bene, per una risurrezione di vita e quanti fecero il male, per una risurrezione di condanna" (Jn 5,28-29).

Signori Cardinali, venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio, cari fedeli, nella luce della fede in Cristo, nostra vita e risurrezione (cfr Jn 11,25), celebriamo oggi le esequie del caro e venerato Cardinale Vincenzo Fagiolo, che venerdì scorso, all'età di ottantadue anni, ha terminato il suo pellegrinaggio terreno. Egli appartiene, così noi riteniamo, alla schiera di coloro che "fecero il bene" e per questo confidiamo che egli sia ora in attesa di essere chiamato dalla voce di Cristo alla "risurrezione di vita".

2. "Coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre" (Da 12,3).

Mi è caro, in questo momento, ricordare il compianto Porporato come "maestro di giustizia". Lo studio e l'insegnamento del diritto canonico hanno costituito una costante della sua vita. La vocazione sacerdotale e quindi la chiamata all'Episcopato hanno trasfigurato questo interesse secondo la prospettiva evangelica. Educare alla vera giustizia, la giustizia di Cristo: ecco il ministero che il Cardinale Fagiolo ha esercitato lungo tutto l'arco della sua vita. A questo egli ha costantemente mirato nelle diverse situazioni in cui lo ha posto, di volta in volta, l'obbedienza: dalle aule universitarie al magistero episcopale nell'Arcidiocesi di Chieti-Vasto, dagli uffici della Conferenza Episcopale Italiana a quelli della Curia Romana.

In occasione della sua nomina episcopale, Mons. Fagiolo scelse come motto l'espressione paolina "Plenitudo legis dilectio" (Rm 13,10). Essa riassume mirabilmente tutta la vita di quest'"uomo di Chiesa" che nell'amore di Cristo ha saputo riconoscere e cercare il compimento di ogni legge e ha speso la propria esistenza nel testimoniare con l'insegnamento e con le opere questa verità. In una recente intervista, egli aveva affermato: "Tutto nella Chiesa procede con l'amore, tutto deve essere finalizzato alla crescita dell'amore".

3. "Dio, ricco di misericordia ... ci ha fatti rivivere con Cristo" (Ep 2,4).

Fissando con l'apostolo Paolo lo sguardo sul mistero dell'incarnazione, passione, morte e risurrezione di Cristo, riconosciamo che l'autentica nostra giustizia è dono della divina misericordia. La grazia di Dio, infatti, riversata con abbondanza su di noi mediante il sangue di Cristo crocifisso, ci libera dal peccato e dalla "seconda morte" (cfr Ap 20,14), e ci apre la porta della vita eterna. Il Grande Giubileo che stiamo vivendo invita i credenti a rinnovare la fede in questo mistero d'amore, proclamando a tutti: "per grazia siete stati salvati" (Ep 2,5).

Il Cardinale Vincenzo Fagiolo si è addormentato nel Signore proprio durante l'Anno giubilare, dopo averne potuto vivere una parte considerevole. Questo gli sarà stato sicuramente di conforto nell'ultimo tratto di cammino verso l'incontro con Cristo. Egli sapeva di potersi presentare al tribunale di Dio recando freschissimi, per così dire, i frutti dell'indulgenza giubilare.

4. "Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io" (Jn 17,24).

La volontà salvifica di Cristo, riflesso perfetto di quella dell'eterno Padre, risplende nel Vangelo di Giovanni in tutta la sua chiarezza. Il Padre vuole che il Figlio dia la vita eterna a quanti credono in lui, e li risusciti nell'ultimo giorno (cfr Jn 6,39-40). In obbedienza a tale misericordiosa volontà, il Verbo si è fatto carne, è venuto sulla terra e ha dato se stesso, perché gli uomini abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza (cfr Jn 10,10).

Questa luminosa verità evangelica ci conforta ogni volta che rendiamo l'estremo saluto ad un fratello defunto. Nel Cardinale Vincenzo Fagiolo, Cristo riconosce sicuramente uno di quelli che "il Padre gli ha dato perché siano con lui". Ci consola pensare che quel Cristo in cui il Cardinale ha creduto e sperato lo vuole ora con sé dove egli è, in Paradiso.

Veramente in questa volontà di Cristo, più salda della roccia, trova fondamento la nostra speranza della pace senza fine.

5. "Laetatus sum in eo quod dixerunt mihi: In domum Domini laetantes ibimus" (Salmo resp.).

Carissimi, ora il nostro venerato Fratello si trova alle porte della santa Gerusalemme. Già trent'anni or sono, in previsione di questo momento, egli aveva scritto un testamento spirituale, confermato con una successiva postilla. In esso leggiamo: "Se mi turba il pensiero di dover morire, mi consola la speranza che il Signore Cristo Gesù, per i meriti della sua passione e morte, nella sua grande misericordia, benigno mi aprirà le porte della sua eterna e beata casa". E dopo aver reso grazie per i doni della vita, della fede e del sacerdozio, il Cardinale aggiungeva: "Il ringraziamento più vivo e grande va alla Beata Vergine Maria, dolce Madre della Fiducia: ... a Lei l'ultimo bacio della vita che si spegne". In questa prospettiva egli esprimeva il desiderio che nel suo funerale venisse eseguito il canto dell’antifona mariana del Salve Regina.

Alla Madre di Gesù e Madre nostra, in questa celebrazione soffusa di speranza, affidiamo di cuore il nostro caro Fratello Cardinale Vincenzo Fagiolo. Siamo certi che Ella vorrà accoglierlo per introdurlo nella casa del Signore, ove potrà godere in eterno la pienezza della pace. Amen.



CAPPELLA PAPALE PER I DEFUNTI SOMMI PONTEFICI


PAOLO VI E GIOVANNI PAOLO I




Giovedì 28 Settembre 2000




1. “Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese”(Lc 12,35).

Tante volte, nel Vangelo, Cristo invita i discepoli alla vigilanza.Si tratta, anzi, di un vero e proprio comando: vigilate! state pronti! Esso risuona oggi per noi, venerati Fratelli, durante questa celebrazione, che ci vede riuniti intorno all'altare del Signore per offrire il suo Sacrificio in favore delle anime elette dei Sommi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo I. Ed è commovente, in questo momento, pensarli e quasi vederli così, entrambi, "con la cintura ai fianchi e le lucerne accese", pronti, grazie alla loro personale virtù e al loro ministero, per il definitivo incontro con Cristo Signore.

Per Papa Luciani, in particolare, si è verificata alla lettera la beatitudine di coloro che il padrone trova svegli “giungendo nel mezzo della notte” (Lc 12,38). E che egli fosse vigilante, nella sua sollecitudine per tutta la Chiesa, lo attesta l’impressione profonda da lui lasciata nel cuore dei fedeli, nonostante i brevi giorni del suo Pontificato.

2. Quest’anno la tradizionale celebrazione in suffragio dei miei venerati predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo I riceve dal tempo di grazia giubilare uno speciale significato e un’ulteriore efficacia spirituale.

Tale efficacia, a ben vedere, non ridonda soltanto a beneficio delle anime di questi nostri Fratelli defunti, bensì anche a beneficio di tutti noi, qui raccolti in preghiera. Se a noi, infatti, è concesso di offrire suffragi in loro favore, essi, da oltre la soglia della morte, ci invitano a meditare sulla meta ultima del pellegrinaggio terreno.

3. “Chi ci separerà dall'amore di Cristo?” (Rm 8,35). È l’apostolo Paolo a porsi la domanda. Conosciamo la risposta: il peccato separa l’uomo da Dio, ma il mistero dell’incarnazione, passione, morte e risurrezione di Cristo ha ristabilito l’alleanza perduta. Niente e nessuno ci potrà mai più separare dall’amore di Dio Padre, rivelato ed attuato in Cristo Gesù, nella potenza dello Spirito Santo. La morte stessa, privata del veleno del peccato, non fa più paura: per chi crede essa è diventata un sonno, che prelude al riposo eterno, nella terra promessa.

Il Libro della Sapienza ci ha ricordato che “il giusto, anche se muore prematuramente, troverà riposo”, perché, “divenuto caro a Dio, fu amato da lui” (Sg 4,7 Sg 4,10). Quale grande amore ha riservato il Padre per i venerati Papi Paolo VI e Giovanni Paolo I! Li ha chiamati alla fede, al Sacerdozio, all’Episcopato, al Ministero petrino. Li ha arricchiti di innumerevoli doni di sapienza e di virtù. E noi, mentre preghiamo Dio per essi, fiduciosi che “la grazia e la misericordia sono per i suoi eletti” (Sg 4,15), gli rendiamo grazie per averli donati alla Chiesa, che dalla loro testimonianza e dal loro servizio è stata e continua ad essere edificata.

4. “L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente” (Ps 41,3). Questa sete, che Papa Montini e Papa Luciani hanno intensamente provato, sarà saziata quando “verremo e vedremo il volto di Dio” (cfr Ps 41,3).

Nella schiera degli spiriti Beati, che già contemplano la gloria divina, sono stati da poco iscritti due Pontefici Romani: Pio IX e Giovanni XXIII. Alla loro speciale intercessione affidiamo oggi la nostra preghiera di suffragio, affinché, nella liturgia del Cielo, Paolo VI e Giovanni Paolo I avanzino “fino alla casa di Dio, in mezzo ai canti di gioia di una moltitudine in festa” (Ps 41,5).

Li accolga, presso il trono dell’Altissimo, la Beata Vergine Maria, nella cui immacolata bellezza potranno ammirare, finalmente perfetta, quella della Chiesa, che in terra hanno amato e servito.



CAPPELLA PAPALE PER LA CANONIZZAZIONE DEI BEATI




Domenica, 1° Ottobre 2000

1. "La tua parola è verità: consacraci nel tuo amore" (Canto al Vangelo: cfr Jn 17,17). Questa invocazione, eco della preghiera che Cristo rivolse al Padre dopo l'Ultima Cena, sembra salire dalla schiera di santi e beati, che lo Spirito di Dio, di generazione in generazione, va suscitando nella sua Chiesa.

A duemila anni dall'inizio della Redenzione, oggi facciamo nostre quelle parole, mentre abbiamo dinanzi, quali modelli di santità, Agostino Zhao Rong e i 119 compagni, Martiri in Cina, María Josefa del Corazón de Jesús Sancho de Guerra, Katharine Mary Drexel e Giuseppina Bakhita. Dio Padre li ha "consacrati nel suo amore", esaudendo la domanda del Figlio, che per acquistargli un popolo santo ha steso le braccia sulla croce e morendo ha distrutto la morte e proclamato la risurrezione (cfr Pregh. eucar. II, Prefazio).

A tutti voi, cari Fratelli e Sorelle, qui convenuti numerosi per esprimere la vostra devozione verso questi luminosi testimoni del Vangelo, rivolgo il mio cordiale saluto.

2. "I precetti del Signore danno gioia" (Sal. resp.)Queste parole del Salmo responsoriale ben rispecchiano l’esperienza di Agostino Zhao Rong e dei 119 compagni, Martiri in Cina. Le testimonianze che ci sono giunte lasciano intravedere in loro uno stato d’animo improntato a profonda serenità e gioia.

La Chiesa è oggi grata al suo Signore, che la benedice e la inonda di luce con il fulgore della santità di questi figli e figlie della Cina. Non è forse l'Anno Santo il momento più opportuno per far risplendere la loro eroica testimonianza? La giovinetta Anna Wang, quattordicenne, resiste alle minacce del carnefice che la invita ad apostatare e, disponendosi alla decapitazione, con il viso raggiante, dichiara: "La porta del Cielo è aperta a tutti" e mormora per tre volte "Gesù". E il diciottenne Chi Zhuzi, a coloro che gli hanno appena tagliato il braccio destro e si preparano a scorticarlo vivo, grida impavido: "Ogni pezzo della mia carne, ogni goccia del mio sangue vi ripeteranno che io sono cristiano".

Uguale convinzione e gioia hanno testimoniato gli altri 85 cinesi, uomini e donne di ogni età e condizione, sacerdoti, religiose e laici, che hanno suggellato la propria indefettibile fedeltà a Cristo e alla Chiesa con il dono della vita. Ciò è avvenuto nell'arco di vari secoli e in complesse e difficili epoche della storia della Cina. La presente celebrazione non è il momento opportuno per formulare giudizi su quei periodi storici: lo si potrà e lo si dovrà fare in altra sede. Oggi, con questa solenne proclamazione di santità, la Chiesa intende soltanto riconoscere che quei Martiri sono un esempio di coraggio e di coerenza per tutti noi e fanno onore al nobile popolo cinese.

In questa schiera di Martiri risplendono anche 33 missionari e missionarie, che lasciarono la loro terra e cercarono di introdursi nella realtà cinese, assumendone con amore le caratteristiche, nel desiderio di annunciare Cristo e di servire quel popolo. Le loro tombe sono là, quasi a significare la loro definitiva appartenenza alla Cina, che essi, pur con i loro limiti umani, hanno sinceramente amato, spendendo per essa le loro energie. "Noi non abbiamo mai fatto del male a nessuno – risponde il vescovo Francesco Fogolla al governatore che si appresta a colpirlo con la propria spada -. Al contrario, abbiamo fatto del bene a molti".

Dio fa scendere felicità

3. Sia la prima lettura sia il vangelo della liturgia odierna ci mostrano che lo Spirito soffia dove vuole e che Dio, in tutti i tempi, sceglie persone per manifestare il suo amore per gli uomini e suscita istituzioni chiamate a essere strumenti privilegiati della sua azione. Così accade con Santa María Josefa del Corazón de Jesús Sancho Guerra, fondatrice delle Serve di Gesù della Carità.

Nella vita della nuova Santa, prima basca ad essere canonizzata, si manifesta in modo singolare l'azione dello Spirito. Questi la guidò al servizio dei malati e la preparò ad essere Madre di una nuova famiglia religiosa.

Santa María Josefa visse la sua vocazione come apostolo autentico nel campo della salute, poiché il suo stile assistenziale cercava di coniugare l'attenzione materiale con quella spirituale, mirando con tutti i mezzi alla salvezza delle anime. Nonostante la malattia che la colpì negli ultimi dodici anni della sua vita, non lesinò sforzi né sofferenze e si dedicò completamente al servizio caritativo del malato in un clima di spirito contemplativo, ricordando che "l'assistenza non consiste solo nel dare le medicine e gli alimenti al malato; vi è tutto un altro tipo di assistenza... è quella del cuore, cercando di adattarsi alla persona che soffre".

Che l'esempio e l'intercessione di Santa María Josefa del Corazón de Jesús aiutino il popolo basco a bandire per sempre la violenza e che l'Euskadi sia una terra benedetta e un luogo di pacifica e fraterna convivenza, dove si rispettino sempre i diritti di tutte le persone e non si sparga mai più sangue innocente!

4. "Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!" (Jc 5,3)

Nella seconda lettura della liturgia di oggi, l'Apostolo Giacomo rimprovera i ricchi che credono nella loro ricchezza e trattano i poveri ingiustamente.

Madre Katharine Drexel nacque da una famiglia benestante a Filadelfia, negli Stati Uniti. Tuttavia, dai suoi genitori imparò che i possedimenti della sua famiglia non erano solo per loro ma dovevano essere condivisi con i meno fortunati. Giovane donna era profondamente turbata dalla povertà e dalle condizioni disperate di tanti nativi americani e afro-americani. Cominciò a devolvere i suoi averi all'opera missionaria e pedagogica fra i membri più poveri della società. In seguito comprese che era necessario fare qualcosa di più. Con grande coraggio e fiducia nella grazia di Dio, scelse di dedicare non solo i suoi averi, ma anche tutta la sua vita al Signore.

Alla sua comunità religiosa, le Suore del Santissimo Sacramento, insegnò una spiritualità basata sull'unione orante con il Signore Eucaristico e sul servizio devoto ai poveri e alle vittime della discriminazione razziale. Il suo apostolato contribuì ad accrescere la consapevolezza della necessità di combattere tutte le forme di razzismo attraverso l'educazione e i servizi sociali. Katharine Drexel è un esempio eccellente di quella carità pratica e di quella solidarietà generosa verso i meno fortunati che sono da tempo segni distintivi dei cattolici americani.

Che il suo esempio aiuti i giovani in particolare a comprendere che in questo mondo non esiste tesoro più grande della sequela di Cristo con cuore indiviso e dell'uso generoso dei doni che abbiamo ricevuto per servire gli altri e per edificare un mondo più giusto e fraterno.

5. "La legge del Signore è perfetta... rende saggio il semplice" (Ps 19,8).

Queste parole del salmo responsoriale di oggi risuonano nella vita di suor Josephine Bakhita.

Resa schiava e venduta come tale alla tenera età di sette anni, soffrì molto nelle mani di padroni crudeli. Tuttavia comprese la verità profonda che Dio, e non l'uomo, è il vero padrone di ogni essere umano, di ogni vita umana. Questa esperienza divenne fonte di grande saggezza per questa umile figlia d'Africa.

Nel mondo di oggi, innumerevoli donne continuano a essere rese vittime, anche nelle società moderne più sviluppate. In santa Josephine Bakhita troviamo un'avvocata luminosa di emancipazione autentica. La storia della sua vita non ispira l'accettazione passiva, ma la ferma determinazione a operare efficacemente per liberare ragazze e donne dall'oppressione e dalla violenza e restituire loro dignità nel pieno esercizio dei loro diritti.

Penso al Paese della nuova Santa che negli scorsi 17 anni è stato lacerato da una guerra crudele, per la cui soluzione non si intravedono che pochi segni. A nome dell'umanità sofferente mi rivolgo ancora una volta ai responsabili: aprite il vostro cuore alle grida di milioni di vittime innocenti e scegliete la via della negoziazione. Imploro la comunità internazionale: non continuate a ignorare questa immensa tragedia umana. Invito tutta la Chiesa a invocare l'intercessione di santa Bakhita su tutti fratelli e le sorelle perseguitati e resi schiavi, in particolare in Africa e nel suo Paese natale, il Sudan, affinché possano sperimentare pace e riconciliazione.

6. Carissimi Fratelli e Sorelle, stimolati dal tempo di grazia giubilare, rinnoviamo la disponibilità a lasciarci profondamente purificare e santificare dallo Spirito. Su questa via ci attira anche la Santa di cui ricorre oggi la memoria: Teresa di Gesù Bambino. A lei, patrona delle missioni, e ai nuovi Santi affidiamo oggi la missione della Chiesa all’inizio del terzo millennio.

Maria, Regina di tutti i Santi, sostenga il cammino dei cristiani e di quanti sono docili allo Spirito di Dio, perché in ogni parte del mondo si diffonda la luce di Cristo Salvatore.



CAPPELLA PAPALE PER LE ESEQUIE


DEL CARDINALE EGANO RIGHI-LAMBERTINI



OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANI PAOLO II


Venerdì, 6 ottobre 2000

1. "Beati i poveri in spirito... Beati i miti... Beati gli operatori di pace" (cfr Mt 5,3-9). Le parole di Cristo risuonate in questa mesta celebrazione ripropongono alla nostra riflessione il grande messaggio delle Beatitudini e ci invitano a vivere nella luce della fede l'estremo commiato che stiamo per dare al nostro venerato fratello, il caro Cardinale Egano Righi-Lambertini. Quante volte Egli ha ascoltato queste parole del Vangelo e meditato sul loro profondo contenuto spirituale! Proprio a questo spirito delle Beatitudini egli ha cercato di conformare il suo ministero pastorale ed il suo lungo ed apprezzato servizio diplomatico alla Santa Sede.

Sappiamo che Dio ci ha creati per la felicità. Seguendo la Parola di Gesù, è possibile trasformare in fonte di pace ed in sorgente di una gioia più grande anche le prove e le sofferenze che inevitabilmente fanno parte della nostra esistenza terrena. Mentre celebriamo la Liturgia Eucaristica in suffragio dell'anima eletta del compianto Cardinale, chiediamo al Signore che lo renda partecipe di quella beatitudine eterna, le cui primizie egli ha potuto pregustare già qui sulla terra nella comunione ecclesiale e nella costruzione di legami di pace e di concordia tra i popoli e le nazioni presso i quali è stato inviato come Rappresentante pontificio.

2. Egli portava nello stesso cognome - Righi-Lambertini - il segno dell'appartenenza ad una illustre famiglia bolognese, che in epoche diverse diede alla Chiesa grandi personaggi, come il Papa Benedetto XIV e la beata Imelda Lambertini. Dopo alcuni anni di ministero pastorale e gli studi in Diritto Canonico presso l'Università Gregoriana, il giovane Righi-Lambertini entrò a far parte della Segreteria di Stato, svolgendo il proprio servizio prima nella Nunziatura d’Italia ed in seguito in quella di Francia, accanto all'allora Nunzio Apostolico Mons. Angelo Roncalli. Fu poi nelle Rappresentanze Pontificie di Costa Rica, Inghilterra e Corea.

Eletto Arcivescovo titolare di Doclea nel 1960, svolse la missione di Nunzio Apostolico in Libano, in Cile, in Italia ed in Francia, lavorando alacremente per la crescita della comunità cristiana ed il progresso della società civile e raccogliendo ovunque attestati di stima, apprezzamento e riconoscenza.

L'opera pastorale e diplomatica del Cardinale Righi-Lambertini si è svolta abitualmente nel silenzio e senza clamori ma, proprio per questo, è risultata ancor più efficace e ricca di frutti, costantemente ispirata a quella fiducia nella divina Provvidenza e a quell'ottimismo nella visione delle cose umane che egli aveva appreso alla scuola del beato Giovanni XXIII.

3. Per la saggezza nel suo servizio ecclesiale, per le grandi doti umane e spirituali che hanno arricchito la sua personalità, il nostro venerato Fratello è stato chiamato a far parte del Collegio Cardinalizio. Reso partecipe in modo più profondo e diretto della vita della Chiesa di Roma, egli ha continuato ad offrire in vari modi la sua valida collaborazione al Papa, aiutandolo, in cordiale sintonia con gli altri membri del Sacro Collegio, nella sollecitudine pastorale verso l'intero Popolo di Dio sparso in tutto il mondo.

Per tutto il bene che Egli, con l'aiuto della grazia di Dio, ha potuto compiere nei vari ambiti nei quali ha svolto la sua preziosa attività pastorale e diplomatica rendiamo grazie al Signore. Noi confidiamo che il nostro venerato Fratello per il bene compiuto durante la sua vita terrena, possa ora contemplare faccia a faccia il Signore Gesù, che tanto ha amato e servito nei fratelli (cfr 1 Gv 3,2).

4. "Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio" (Sg 3,1). Le parole della Scrittura ravvivano nel nostro spirito la luce della fede e la speranza nel Dio della vita. Mentre ci apprestiamo a dare l'ultimo saluto al nostro venerato Fratello, apriamo il cuore alla speranza che, come ci ha ricordato la prima Lettura, "è piena di immortalità" (cfr Sg 3,4). Quella speranza che ha illuminato la vita sacerdotale ed apostolica del Cardinale Righi-Lambertini trova ora la sua piena e definitiva realizzazione nella chiamata divina a partecipare al convito del cielo.

A Maria Santissima, Regina degli Apostoli e Madre della Chiesa, che il caro Cardinale Egano Righi-Lambertini ha teneramente amato ed invocato, - quanti lo hanno visto passeggiare nei Giardini Vaticani recitando il Rosario! - vogliamo ora affidare il suo spirito con intensa e fiduciosa preghiera. Maria, la Vergine dell'ascolto e dell'accoglienza, lo riceva tra le sue braccia materne e gli spalanchi le porte del paradiso. Amen!



GIUBILEO DEI VESCOVI




Domenica, 8 Ottobre 2000

1. "Donaci, o Dio, la sapienza del cuore" (Sal. resp.).

Oggi Piazza San Pietro è simile a un grande cenacolo: essa ospita, infatti, Vescovi di ogni parte del mondo, venuti a Roma per celebrare il loro Giubileo. La memoria dell'apostolo Pietro, evocata dalla sua tomba sotto l'altare della grande Basilica Vaticana, invita a tornare spiritualmente alla prima sede del Collegio apostolico, a quel Cenacolo di Gerusalemme, dove ho avuto recentemente la gioia di celebrare l'Eucaristia, durante il mio pellegrinaggio in Terra Santa.

Un ponte ideale, che valica secoli e continenti, congiunge oggi il Cenacolo a questa Piazza, nella quale si sono dati appuntamento coloro che, nell'Anno Santo 2000, sono i successori di quei primi Apostoli di Cristo. A tutti voi, carissimi e venerati Fratelli, giunga il mio abbraccio cordiale, che estendo con pari affetto a quanti non hanno potuto venire e sono spiritualmente uniti a noi dalle loro sedi.

Insieme facciamo nostra l'invocazione del Salmo: "Donaci, o Dio, la sapienza del cuore". In questa "sapientia cordis", che è dono di Dio, possiamo riassumere il frutto della nostra convocazione giubilare. Essa consiste nell'interiore conformazione a Cristo, Sapienza del Padre, mediante l'azione dello Spirito Santo. Per ottenere tale dono, indispensabile per il buon governo della Chiesa, noi, i Pastori, dobbiamo passare per primi attraverso di Lui, "porta delle pecore" (Jn 10,7). Dobbiamo imitare Lui, "buon Pastore" (Jn 10,11 Jn 10,14), perché ascoltando noi i fedeli ascoltino Lui, e seguendo noi seguano Lui, unico Salvatore, ieri, oggi e sempre.

2. Dio dona la sapienza del cuore mediante la sua Parola, viva, efficace, capace di mettere a nudo l'intimo dell'uomo - come ci ha detto l'Autore della Lettera agli Ebrei (cfr He 4,12), nel brano appena proclamato. La divina Parola, dopo essere stata rivolta "nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti" (He 1,1), negli ultimi tempi è stata inviata agli uomini nella persona stessa del Figlio (cfr He 1,2).

Noi pastori, in forza del munus docendi, siamo chiamati ad essere annunciatori qualificati di questa Parola. "Chi ascolta voi, ascolta me!" (Lc 10,16). Compito esaltante, ma anche grande responsabilità! Ci è stata affidata una parola viva: dobbiamo dunque annunciarla con la vita, prima che con la bocca. E' parola che coincide con la persona di Cristo stesso, il "Verbo fatto carne" (Jn 1,14): è dunque il volto di Cristo che dobbiamo mostrare agli uomini; la sua croce che dobbiamo annunciare, facendolo con il vigore di Paolo: "Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi, se non Gesù Cristo, e questi crocifisso" (1Co 2,2).

3. "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito" (Mc 10,28). Questa affermazione di Pietro esprime la radicalità della scelta che è richiesta all'apostolo. Una radicalità che si chiarisce alla luce del dialogo esigente, fatto da Gesù con il giovane ricco. Quale condizione per la vita eterna, il Maestro gli aveva additato l'osservanza dei comandamenti. Di fronte al suo desiderio di maggiore perfezione, aveva risposto con uno sguardo di amore e una proposta totalitaria: "Va, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi" (Mc 10,21). Su questa parola di Cristo calò, come un oscurarsi improvviso del cielo, la tristezza del rifiuto. Fu allora che Gesù pronunciò una delle sue sentenze più severe: "Com'è difficile entrare nel regno di Dio!" (Mc 10,24). Sentenza che egli stesso, di fronte allo sbigottimento degli apostoli, mitigò, facendo leva sulla potenza di Dio: "Tutto è possibile presso Dio" (Mc 10,27).

L'intervento di Pietro diventa espressione della grazia con cui Dio trasforma l'uomo e lo rende capace di un dono totale. "Abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito" (Mc 10,28). E' così che si diventa apostoli. Ed è così che si sperimenta anche l'avverarsi della promessa di Cristo circa il «centuplo»: l'apostolo che ha lasciato tutto per seguire Cristo vive già su questa terra, nonostante le immancabili prove, un'esistenza realizzata e gioiosa.

Come non esprimere in questo momento, venerati Fratelli, la nostra riconoscenza al Signore per il dono della vocazione, dapprima al sacerdozio e poi alla sua pienezza nell'Episcopato? Volgendo indietro lo sguardo alle vicende della nostra vita, la commozione ci invade il cuore nel costatare in quanti modi il Signore ci ha dimostrato il suo amore e la sua misericordia. Davvero, "misericordias Domini in aeternum cantabo!" (Sal 89/88, 2).

4. Il Vescovo, successore degli Apostoli, è uno per il quale Cristo è tutto. Con Paolo egli può ripetere ogni giorno: "Per me vivere è Cristo..." (Ph 1,21). Questo egli deve testimoniare con tutto il suo comportamento. Il Concilio Vaticano II insegna: "I Vescovi devono compiere il loro dovere apostolico come testimoni di Cristo davanti a tutti gli uomini" (Decr. Christus Dominus CD 11).

Parlando dei Vescovi come testimoni, non posso non fare memoria, in questa solenne celebrazione giubilare, dei tanti Vescovi che, nell'arco di due millenni, hanno reso a Cristo la suprema testimonianza del martirio, conformandosi al modello apostolico e fecondando la Chiesa con l'effusione del proprio sangue.

Il secolo ventesimo, in modo particolare, è stato ricco di tali testimoni, alcuni dei quali ho avuto la gioia di elevare io stesso agli onori degli altari. Una settimana fa ho iscritto nell'Albo dei Santi quattro Vescovi martiri in Cina: Gregorio Grassi, Antonino Fantosati, Francesco Fogolla e Luigi Versiglia. Tra i Beati, veneriamo Michaël Kozal, Antoni Julian Nowowiejski, Leon Wetmanski e Wladuslaw Goral, morti nei campi di concentramento nazisti. Ad essi si aggiungono Diego Ventaja Milán, Manuel Medina Olmos, Anselmo Polanco e Florentino Asensio Barroso, uccisi durante la guerra civile spagnola. Nel lungo inverno del totalitarismo comunista, poi, sono fioriti, nell'Europa Orientale, i Beati martiri Guglielmo Apor, Vincenzo Eugenio Bossilkov e Alojzije Stepinac.

Al tempo stesso, è bello e doveroso rendere grazie a Dio per tutti i Pastori saggi e generosi, che nel corso dei secoli hanno illustrato la Chiesa con i loro insegnamenti ed i loro esempi. Quanti santi e beati Confessori vi sono fra i Vescovi! Penso ad esempio, alle luminose figure di Carlo Borromeo e di François de Sales; penso anche ai Papi Pio IX e Giovanni XXIII, che ho avuto recentemente la gioia di proclamare Beati.

Carissimi Confratelli, "circondati da un così gran numero di testimoni" (He 12,1), rinnoviamo la nostra risposta al dono di Dio, ricevuto con l'Ordinazione episcopale. "Deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci intralcia, corriamo con perseveranza nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù" (He 12,1-2), Pastore dei pastori.

5. Considerando il mistero della Chiesa e la sua missione nel mondo contemporaneo, il Concilio Ecumenico Vaticano II ha sentito il bisogno di dedicare speciale attenzione all'ufficio pastorale dei Vescovi. Oggi, alle soglie del terzo millennio, la sfida della nuova evangelizzazione pone in ulteriore risalto il ministero episcopale: il Pastore è il primo responsabile e animatore della comunità ecclesiale sia nell'esigenza di comunione che nella proiezione missionaria. Di fronte al relativismo e al soggettivismo che inquinano tanta parte della cultura contemporanea, i Vescovi sono chiamati a difendere e promuovere l'unità dottrinale dei loro fedeli. Solleciti per ogni situazione in cui la fede è smarrita o ignorata, essi si adoperano con tutte le forze in favore dell'evangelizzazione, preparando a tal fine sacerdoti, religiosi e laici e mettendo a disposizione le necessarie risorse (cfr Decr. Christus Dominus CD 6).

Memori dell'insegnamento conciliare (cfr ivi, 7), oggi vogliamo esprimere da questa Piazza la nostra fraterna solidarietà ai Vescovi che sono fatti oggetto di persecuzione, si trovano in carcere o sono impediti nell'esercizio del loro ministero. E in nome del vincolo sacramentale, estendiamo con affetto il ricordo e la preghiera ai fratelli sacerdoti che patiscono le medesime prove. La Chiesa è loro riconoscente per il bene inestimabile che con la loro preghiera e con il loro sacrificio recano al Corpo mistico.

6. "Sia su di noi la bontà del Signore, nostro Dio: rafforza per noi l'opera delle nostre mani, l'opera delle nostre mani rafforza" (Ps 89,17).

In questo nostro Giubileo, carissimi Fratelli nell'Episcopato, la bontà del Signore si è posata con abbondanza su di noi. La luce e la forza che da essa promanano non mancheranno di rafforzare l'"opera delle nostre mani", cioè il lavoro a noi affidato nel campo di Dio che è la Chiesa.

A nostro sostegno e conforto abbiamo voluto sottolineare, in queste giornate giubilari, la presenza in mezzo a noi di Maria Santissima, nostra Madre. Lo abbiamo fatto ieri sera, con la recita comunitaria del Rosario; lo facciamo oggi, con l'Atto di affidamento, che compiremo al termine della Messa. E' un atto che vivremo con spirito collegiale, sentendo vicini a noi i numerosi Vescovi che, dalle rispettive Sedi, si uniscono alla nostra celebrazione compiendo insieme con i loro fedeli questo medesimo Atto. La venerata immagine della Madonna di Fatima, che abbiamo la gioia di ospitare in mezzo a noi, ci aiuta a rivivere l'esperienza del primo Collegio apostolico, radunato in preghiera nel Cenacolo con Maria, la Madre di Gesù.

Regina degli Apostoli, prega con noi e per noi, affinché lo Spirito Santo discenda con abbondanza sulla Chiesa, ed essa risplenda nel mondo sempre più unita, santa, cattolica e apostolica. Amen.



ATTO DI AFFIDAMENTO A MARIA SANTISSIMA


Domenica, 8 Ottobre 2000




1. "Donna, ecco il tuo figlio!" (Jn 19,26)
Mentre volge al termine questo Anno Giubilare,
in cui Tu, o Madre, ci hai nuovamente offerto Gesù,
il frutto benedetto del tuo grembo purissimo,
il Verbo fatto carne, il Redentore del mondo,
risuona particolarmente dolce per noi questa sua parola
che a Te ci rinvia, facendoti nostra Madre:
"Donna, ecco il tuo figlio!".
Affidando a Te l'apostolo Giovanni,
e con lui i figli della Chiesa, anzi gli uomini tutti,
Cristo non attenuava, ma piuttosto ribadiva,
il suo ruolo esclusivo di Salvatore del mondo.
Tu sei splendore che nulla toglie alla luce di Cristo,
perché esisti in Lui e per Lui.
Tutto in Te è "fiat": Tu sei l'Immacolata,
sei trasparenza e pienezza di grazia.
Ecco, dunque, i tuoi figli, raccolti intorno a Te,
all’alba del nuovo Millennio.
La Chiesa oggi con la voce del Successore di Pietro,
a cui s’unisce quella di tanti Pastori
qui convenuti da ogni parte del mondo,
cerca rifugio sotto la tua protezione materna
ed implora con fiducia la tua intercessione
di fronte alle sfide che il futuro nasconde.

2. Tanti in questo anno di grazia
hanno vissuto, e stanno vivendo,
la gioia sovrabbondante della misericordia
che il Padre ci ha donato in Cristo.
Nelle Chiese particolari sparse nel mondo,
e ancor più in questo centro della cristianità,
le più svariate categorie di persone
hanno accolto questo dono.
Qui ha vibrato l'entusiasmo dei giovani,
qui si è levata l'implorazione degli ammalati.
Qui sono passati sacerdoti e religiosi,
artisti e giornalisti,
uomini del lavoro e della scienza,
bambini e adulti,
e tutti, nel tuo Figlio diletto, hanno riconosciuto
il Verbo di Dio, fatto carne nel tuo seno.
Ottienici, o Madre, con la tua intercessione,
che i frutti di quest'Anno non vadano dispersi,
e i semi di grazia si sviluppino
fino alla piena misura della santità,
a cui tutti siamo chiamati.

3. Vogliamo oggi affidarti il futuro che ci attende,
chiedendoti d’accompagnarci nel nostro cammino.
Siamo uomini e donne di un'epoca straordinaria,
tanto esaltante quanto ricca di contraddizioni.
L'umanità possiede oggi strumenti d’inaudita potenza:
può fare di questo mondo un giardino,
o ridurlo a un ammasso di macerie.
Ha acquistato straordinarie capacità d’intervento
sulle sorgenti stesse della vita:
può usarne per il bene, dentro l'alveo della legge morale,
o può cedere all'orgoglio miope
di una scienza che non accetta confini,
fino a calpestare il rispetto dovuto ad ogni essere umano.
Oggi come mai nel passato,
l'umanità è a un bivio.
E, ancora una volta, la salvezza è tutta e solo,
o Vergine Santa, nel tuo figlio Gesù.

4. Per questo, Madre, come l'Apostolo Giovanni,
noi vogliamo, prenderti nella nostra casa (cf Jn 19,27),
per imparare da Te a conformarci al tuo Figlio.
"Donna, ecco i tuoi figli!".
Siamo qui, davanti a Te,
per affidare alla tua premura materna
noi stessi, la Chiesa, il mondo intero.
Implora per noi il Figlio tuo diletto,
perché ci doni in abbondanza lo Spirito Santo,
lo Spirito di verità che è sorgente di vita.
Accoglilo per noi e con noi,
come nella prima comunità di Gerusalemme,
stretta intorno a Te nel giorno di Pentecoste (cf Ac 1,14).
Lo Spirito apra i cuori alla giustizia e all'amore,
induca le persone e le nazioni alla reciproca comprensione
e ad una ferma volontà di pace.
Ti affidiamo tutti gli uomini, a cominciare dai più deboli:
i bimbi non ancora venuti alla luce
e quelli nati in condizioni di povertà e di sofferenza,
i giovani alla ricerca di senso,
le persone prive di lavoro
e quelle provate dalla fame e dalla malattia.
Ti affidiamo le famiglie dissestate,
gli anziani privi di assistenza
e quanti sono soli e senza speranza.

5. O Madre, che conosci le sofferenze
e le speranze della Chiesa e del mondo,
assisti i tuoi figli nelle quotidiane prove
che la vita riserva a ciascuno
e fa’ che, grazie all’impegno di tutti,
le tenebre non prevalgano sulla luce.
A Te, aurora della salvezza, consegniamo
il nostro cammino nel nuovo Millennio,
perché sotto la tua guida
tutti gli uomini scoprano Cristo,
luce del mondo ed unico Salvatore,
che regna col Padre e lo Spirito Santo
nei secoli dei secoli. Amen.
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GPII Omelie 1996-2005 267