GPII 1989 Insegnamenti - Ai Vescovi messicani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Ai Vescovi messicani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Una presenza più chiara e incisiva dei laici di fronte alle sfide di una società ingiusta


Venerabili fratelli nell'Episcopato.


1. Con fraterno affetto vi ricevo questa mattina, Pastori del Popolo di Dio in Messico, giunti a Roma per compiere la visita "ad limina Apostolorum".

Il mio pensiero si rivolge a tutte le diocesi che voi rappresentate e ai vostri sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli tutti, che con abnegazione ed entusiasmo operano per l'edificazione del Regno di Dio nel vostro nobile Paese.

Desidero, in primo luogo, ringraziarvi vivamente per questa visita che avete preparato con cura e che comporta non pochi sacrifici. Vi esprimo la mia gratitudine anche per le care parole che, a nome di tutti, mi ha rivolto monsignor Manuel Castro Ruiz, Arcivescovo dello Yucatan manifestando i vostri sentimenti di comunione con il successore di Pietro, rafforzando così il vincolo interiore che ci unisce nella preghiera, nella fede e nella carità. Un Episcopato come il vostro, che offre al popolo cristiano la testimonianza della sua unità nel Signore, è un dono del cielo, che chiedo a Dio possa essere conservato e accresciuto sempre.

Nei colloqui personali che abbiamo avuto attraverso le relazioni quinquennali, ho potuto verificare ancora una volta la vitalità delle vostre Chiese locali, che sento così vicine al mio cuore di Pastore, e che ravvivano nella mia mente i ricordi delle intense giornate del mio pellegrinaggio apostolico nel vostro Paese, durante le quali i cattolici del Messico dimostrarono in ogni momento la loro filiale vicinanza e affezione.


2. Nei due incontri precedenti con i membri dell'Episcopato messicano nella loro visita "ad limina", ci siamo occupati di alcune delle questioni di maggior importanza e attualità nella pastorale delle vostre Chiese locali. Oggi, a un mese di distanza da quando fu resa pubblica la esortazione apostolica post-sinodale "Christifideles Laici", desidero condividere con voi alcune riflessioni sull'opera evangelizzatrice della Chiesa e, in particolare, sulla missione dei laici nell'attuale urgenza di evangelizzazione che lo Spirito Santo ha fatto riscoprire alla Chiesa.

Avvicinandoci alla commemorazione del quinto centenario della evangelizzazione dei vostri popoli, questo tema - che è stato l'argomento principale della terza conferenza generale dell'Episcopato Latinoamericano, celebrata a Puebla de los Angeles - acquistano una rinnovata attualità davanti alle sfide che dovete affrontare in una società come la vostra, in cui stanno diffondendosi in modo preoccupante alcune concezioni secolariste e atteggiamenti permissivi nella concezione della vita, a scapito dei valori morali.

L'evangelizzazione, cioè il rendere presente il Regno di Dio nel mondo affinché tutti gli uomini trovino in Gesù Cristo la salvezza, è qualcosa che bisogna portare a termine in tutti i tempi, in tutte le culture e latitudini. Non bisogna pero dimenticare che, affinché il messaggio evangelico giunga in profondità ad ogni popolo e ogni società, bisogna tener conto delle loro particolarità, così come dei destinatari a cui è annunciato.

Dagli inizi della evangelizzazione, la vostra Patria ha accolto la luce del messaggio cristiano che è venuto via via rivestendo un ruolo fondamentale nella sua storia. La fede cattolica, infatti, ha impregnato le radici più profonde della religiosità messicana, in tutto il suo vasto territorio, nei diversi gruppi sociali, dalla gente più semplice fino ad arrivare a coloro che hanno ricevuto una maggior cultura. Ignorare questa realtà o pretendere di dimenticarla, significherebbe negare la grazia di Dio di cui siete eredi e, pertanto, responsabili. E' per questo che voi, Pastori, dovete domandarvi insistentemente come far si che questa evangelizzazione continui ad essere viva e stimolante nelle generazioni presenti e future.


3. Le comunità ecclesiali che il Signore ha affidato alle vostre cure, vivono in una società in cui si guarda all'avvenire con speranza, ma dove non mancano, disgraziatamente, i problemi e i conflitti. Si tratta di questioni che costituiscono, molte volte, una sfida per la Chiesa e che aspettano da voi una risposta pastorale adeguata che possa affrontare tante necessità ed urgenze.

Infatti le situazioni di povertà di molte famiglie, la emarginazione delle comunità indigene, la mancanza di lavoro, le gravi carenze nell'educazione, nella sanità, nelle case, la mancanza di solidarieta di chi potendo aiutare non lo fa, e in più altri fattori, incidono negativamente sulla vita degli individui, delle famiglie, della società. D'altra parte, come ha messo in rilievo la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, la presenza del peccato nell'uomo e nella società, sfigura l'immagine della persona come creatura uscita dalle mani di Dio ed ostacola lo sviluppo e la convivenza (cfr GS 13 GS 37).

Sono certamente numerosi i motivi di preoccupazione che richiamano l'attenzione delle vostre coscienze di Pastori, ma potete contare su motivazioni profonde e soprannaturali che vi aiutano ad affrontarli adeguatamente nel quadro dei vostri progetti di evangelizzazione. E' incoraggiante a questo proposito verificare lo spirito di collaborazione e fratellanza che ispira gli sforzi della vostra Conferenza Episcopale per annunciare il messaggio di salvezza all'uomo di oggi e per dare nuova vitalità ad un passato ricco in santità, che deve essere sempre stimolo evangelico nel presente e futuro del vostro Paese.


4. L'evangelizzazione è, lo sapete bene, il grande compito del nostro tempo; come Vescovi del Messico, spetta a voi suscitare nuove energie apostoliche e dare opportuni orientamenti pastorali; nessuno che si consideri membro della Chiesa può sentirsi esonerato dal dare il suo contributo a questa urgente chiamata.

Nell'esercizio del vostro ministero come maestri della verità ed educatori nella fede, non siete soli. Contate in primo luogo sui vostri presbiteri, che il Concilio chiama "saggi collaboratori dell'ordine Episcopale" (LG 28). Contate sulla azione silenziosa e perseverante dei religiosi e delle religiose che con la loro vita consacrata a Dio, rendono visibili i valori più profondi e definitivi del Regno. Allo stesso modo contate sui numerosi fedeli laici impegnati, disposti a vivere la loro vocazione di battezzati nella società e nel mondo, senza tirarsi indietro di fronte alle esigenze della vita pubblica.

Come in modo particolare ha messo in rilievo il Concilio Vaticano II nel decreto sull'apostolato dei laici, costoro devono partecipare in modo responsabile e attivo alle opere apostoliche e assistenziali per mezzo delle quali la Chiesa si rende presente nella società, mostrando così la sua capacità di impegno e la sua volontà di incarnazione fra gli uomini.

Su questa stessa linea, la recente esortazione apostolica post-sinodale chiarifica opportunamente la missione del fedele laico come fermento del Vangelo nella trasformazione delle realtà temporali, con il dinamismo della speranza e la forza dell'amore cristiano. Infatti nella società pluralista si rende necessaria una maggiore e più decisiva presenza cattolica - individuale e associata - nei diversi campi della vita pubblica.


5. Poiché la vocazione cristiana, per sua stessa natura, è vocazione all'apostolato (cfr AA 1), l'ambito di azione del laico nella missione della Chiesa si estende a tutti gli aspetti e situazioni della convivenza umana. Ciò è stato messo in rilievo dal mio venerabile predecessore, il Papa Paolo VI, nella sua esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi": "Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell'economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all'evangelizzazione, quali l'amore, la famiglia, l'educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza" (EN 70).


6. Voi, amati fratelli nell'Episcopato, dovete far si che i fedeli laici siano sempre più coscienti delle loro responsabilità come membri della Chiesa che vivono pienamente inseriti nel mondo.

Essi, assistiti dai sacerdoti e dai religiosi, devono partecipare all'opera comune di tutti i membri del Popolo di Dio, come ad esempio la testimonianza e l'annuncio della fede, la catechesi, l'educazione religiosa dei bambini e dei giovani, la celebrazione liturgica dei misteri della salvezza, l'opera assistenziale e caritativa. Restano aperti alla vostra iniziativa pastorale spazi illimitati per promuovere la presenza del laicato cattolico nel mondo della cultura, nell'università, nell'arte, nei mezzi di comunicazione sociale; per incanalare il grande potenziale dei giovani verso iniziative di carità e di generosità, verso una testimonianza di presenza cristiana nel mondo dello sport, del cosiddetto "tempo libero", della scuola e del lavoro. D'altra parte i laici cristiani sentono la necessità di conoscere meglio la dottrina sociale della Chiesa che li illumini e stimoli nella loro opera, secondo le urgenti esigenze di giustizia e bene comune a cui devono apportare il loro deciso contributo nelle urgenti opere e servizi che la società reclama. In questo modo, - come ho segnalato nella mia visita pastorale a Guadalajara - potranno essere artefici della costruzione del "nuovo ordine voluto dal Signore e per costruire un mondo che risponda alla bontà di Dio in armonia, amore e pace" ("Allocutio in Guadalaiarensi autem stadio, "Jalisco" lingua Hispanica cognominato, ad coadunatos operarios habita", 2, die 30 ian. 1979: , II [1979] 277).

I laici devono essere il lievito nella massa, come il sale che dà significato al lavoro umano e cerca sempre il bene della collettività, e devono agire responsabilmente nella vita pubblica. Come ha sottolineato la conferenza di Puebla, il fedele laico deve sentirsi particolarmente chiamato in causa dalla contraddizione esistente tra il substrato culturale cattolico della grande maggioranza della popolazione e le strutture sociali, economiche e politiche che manifestano e generano ingiustizie derivate dal peccato. In accordo con lo spirito di Puebla, a favore dei laici come costruttori della società, si rende necessario inoltre, un impegno e un contributo più chiaro e deciso da parte dei cristiani affinché siano superate terribili situazioni di ingiustizia, disuguaglianza, emarginazione e povertà.


7. Rispettando sempre la legittima autonomia della sfera politica è, tuttavia, vostra missione come Pastori del Popolo di Dio, illuminare a partire dal Vangelo l'operare dei fedeli laici nella vita pubblica. In questo impegno è particolarmente importante che i sacerdoti e i religiosi comprendano e appoggino i vostri progetti pastorali realizzati insieme ai laici, assistendoli spiritualmente, dando impulso ad una più solida formazione cristiana, promuovendo le loro associazioni e istituzioni, ma evitando sempre la tentazione di far propri i compiti e la missione dei laici, a rischio di lasciare disattese le proprie specifiche funzioni ministeriali.

Con le parole del Concilio Vaticano II affermiamo che "la Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che per servire gli uomini si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità" (GS 75). Conseguentemente a tale atteggiamento, la esortazione apostolica "Christifideles Laici" fa presente che "per animare cristianamente l'ordine temporale, nel senso detto di servire la persona e la società, i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla politica, ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune" (CL 42).

Spinto dalla carità cristiana, e in sintonia con la dottrina della Chiesa, il fedele laico deve dare sempre il suo contributo al rinnovamento cristiano dell'ordine temporale, cosciente del fatto che il fondamento ultimo delle esigenze morali che ispirano il suo agire, deve essere il riconoscimento di Dio come fonte di vita e di salvezza (cfr AA 7). In questo modo, la sua azione apostolica - sia individuale sia associata - sarà anche scuola di perfezione e di virtù cristiane, nascendo da una vita di fede personale, che manifesta il mistero di Dio agli uomini e mostra con i fatti che tale amore è l'unico che salva.


8. Com'è possibile non provare letizia e speranza di fronte al risveglio del laicato nella Chiesa! Un laicato, fedele riflesso del Vangelo, che renda reale nel mondo il messaggio di Gesù. Un laicato vivo e attivo nelle comunità ecclesiali e nella società. Un laicato che cerchi la santità a partire dalla sua missione temporale. Un laicato unito nella verità e nella carità; in piena comunione con i suoi Pastori; in sintonia con il pensiero della Chiesa; attento ad ogni tentativo che voglia seminare divisione e discordia.

Congratulandomi oggi per questo incontro con voi, cari Pastori del Messico, cresce in me la speranza che le vostre Chiese locali si arricchiscano ogni giorno di più grazie ad un laicato maturo nella fede, costante nella fedeltà, fermo nella vocazione apostolica considerata come fermento evangelico.

Alla Madonna di Guadalupe, che invoco come la prima evangelizzatrice del Messico e dell'America, raccomando oggi, con particolare devozione, tutte le vostre ansie pastorali, le vostre preoccupazioni, le vostre persone. A voi, ai vostri diocesani e a tutti i cari figli del Messico imparto, con tutto l'amore per il Signore, la mia benedizione apostolica.

1989-03-02

Giovedi 2 Marzo 1989




Le credenziali del nuovo ambasciatore di Cuba - Città del Vaticano (Roma)

La Chiesa ha bisogno di libertà per compiere la sua missione evangelizzatrice nel mondo


Signor ambasciatore.

ho ascoltato compiaciuto le gentili parole che lei ha avuto la cortesia di indirizzarmi presentando le lettere credenziali che la accreditano come ambasciatore straordinario e plenipotenziario di Cuba presso la Santa Sede.

Dandole il mio cordiale benvenuto a questo atto solenne, mi è cosa gradita riaffermare davanti alla sua persona il sincero affetto che sento per tutti i figli della nazione cubana.

Desidero anche rispondere al deferente saluto che il Presidente del consiglio di Stato e del governo di Cuba, Fidel Castro Ruz, ha voluto farmi pervenire per suo tramite, e le chiedo di trasmettergli i miei migliori voti per la prosperità materiale e spirituale della Nazione.

Lei signor ambasciatore, ha fatto riferimento al supremo bene della pace e all'opera che questa Sede Apostolica realizzi per contribuire alla soluzione dei gravi problemi esistenti nella comunità internazionale, e per costruire un ordine più giusto che faccia del nostro mondo un luogo più fraterno ed accogliente, in cui i valori della convivenza pacifica e della solidarietà siano un punto di riferimento costante. Infatti la Chiesa, fedele al mandato ricevuto dal suo divino Fondatore, si impegna anche nella nobile causa del servizio a tutti i popoli senza distinzione, mossa unicamente dalla sua irrinunciabile scelta a favore della dignità dell'uomo e della tutela dei suoi legittimi diritti. Il carattere spirituale e religioso della sua missione le permette di portare a termine questo servizio al di sopra di motivazioni terrene o interessi particolari, poiché, come precisa il Concilio Vaticano II, "non è legata ad alcuna particolare forma di cultura umana o sistema politico, economico, o sociale, la Chiesa per questa sua universalità può costituire un legame strettissimo tra le diverse comunità umane e nazioni, purché queste abbiano fiducia in lei e riconoscano realmente la vera sua libertà in ordine al compimento della sua missione" (GS 42).

La pace fra individui e popoli è un compito difficile a cui tutti dobbiamo collaborare generosamente. Essa non si raggiunge per la via della intransigenza né degli egocentrismi, siano essi nazionali, regionali o di blocchi.

Al contrario, si otterrà se si alimenterà la fiducia, la comprensione e la solidarietà, che affratellano gli uomini che abitano questo mondo, creato da Dio affinché tutti possano usufruire dei suoi beni in forma equa.

Non mancano, senza dubbio, motivi di preoccupazione nell'ambito internazionale in generale, e dell'America Latina in particolare, a causa delle differenze e degli antagonismi che mettono l'uno contro l'altro alcuni paesi, che la geografia stessa, le radici culturali, la lingua e la fede cristiana hanno unito nel cammino della storia.

La Santa Sede - senza altra forza se non l'autorità morale che le conferisce la missione ricevuta a favore delle grandi cause dell'uomo - continuerà ad appoggiare tutte quelle iniziative volte a superare il confronto e a creare solidi fondamenti per una convivenza più stabile e pacifica.

Come fattore di instabilità che oggi incide negativamente nelle relazioni internazionali lei, signor ambasciatore, ha voluto menzionare il grave problema che pesa su molti popoli in via di sviluppo. A questo proposito la Santa Sede, con un documento della pontificia commissione "Iustitia et Pax", ha voluto portare il suo contributo esponendo i criteri di giustizia, equità e solidarietà che ispirano iniziative a livello regionale e internazionale, con il fine di giungere a soluzioni accettabili che evitino il pericolo di frustrare le legittime aspirazioni di tanti paesi allo sviluppo che è loro dovuto. Di fronte alla grave sfida che oggi rappresenta il debito dei paesi in via di sviluppo, si rende necessaria la solidarietà.

Non si può dimenticare che molti problemi economici, sociali e politici hanno la loro radice nella assenza di quell'ordine morale a cui vuole giungere la Chiesa grazie alla sua opera educatrice ed evangelizzatrice. perciò la Chiesa considera specifica missione propria "la necessaria applicazione del Vangelo in tutti gli ambiti della vita umana: nella società e nella cultura, nell'economia e nell'educazione" ("Allocutio ad Cubae episcopos limina Apostolorum visitantes", 4, die 25 aug. 1988: , XI, 2 [1988] 459). Di fronte alla profonda crisi di valori che tocca oggi istituzioni come la famiglia o ampi settori della popolazione come la gioventù, la fede cristiana, secondo lo spirito di riconciliazione e di amore, offre motivi di fondata speranza per il bene della comunità umana.

Desidero riaffermare, signor ambasciatore, la decisa volontà della Chiesa a Cuba di collaborare, secondo la propria missione religiosa e morale, con le autorità e le diverse istituzioni del suo Paese a favore di valori superiori e della prosperità spirituale e materiale della Nazione. A tale proposito dobbiamo congratularci per il clima di dialogo e di miglior comprensione che negli ultimi anni si sta realizzando fra la gerarchia ecclesiastica e le autorità civili. Ciò è stato evidenziato anche con le recenti visite di diverse personalità ecclesiastiche a Cuba, che lei ha voluto ricordare. Prego affinché i segni positivi che si stanno osservando, come ad esempio l'arrivo di un certo numero di sacerdoti e religiose per esercitare il ministero nelle comunità ecclesiali cubane, si sviluppino e consolidino ulteriormente, nel necessario quadro di libertà effettiva che richiede la Chiesa per poter compiere la sua missione evangelizzatrice.

E' ugualmente incoraggiante il rispettoso dialogo con la cultura e le realtà sociali, che ha stimolato l'incontro nazionale ecclesiale cubano, che ha avuto luogo nel febbraio del 1986. Bisogna sperare che questo faciliti una presenza più attiva dei cattolici nella vita pubblica, contribuendo al grande impegno per il bene comune. Nella misura in cui costoro saranno fedeli agli insegnamenti del Vangelo, saranno anche sinceri difensori della giustizia e della pace, della libertà e dell'onestà, del rispetto nei confronti della vita e della solidarietà con i più bisognosi. Il cattolico cubano, cittadino e figlio di Dio, non può rinunciare a partecipare allo sviluppo della comunità civile, e neppure restare al margine del progetto sociale.

Signor ambasciatore, prima di concludere questo incontro, mi è gradito assicurarle la mia benevolenza ed il mio appoggio, affinché l'alta missione che le è stata affidata si possa compiere felicemente. La prego di farsi portavoce di fronte al presidente, il suo governo, le autorità ed il popolo cubano del più deferente e cordiale saluto del Papa, mentre invoco i doni dell'Altissimo su di lei, la sua famiglia ed i suoi collaboratori, e su tutti gli amatissimi figli della nobile nazione cubana.

1989-03-03

Venerdi 3 Marzo 1989




All'associazione dei medici cattolici italiani - Città del Vaticano (Roma)

La medicina: un pieno servizio alla vita e alla dignità della persona



1. Rivolgo il mio cordiale saluto a voi, membri del nuovo consiglio nazionale dell'associazione medici cattolici italiani, convenuti a Roma, in questi giorni, al fine di studiare il programma di lavoro per il prossimo triennio. Si tratta di un programma che, secondo le finalità statutarie, intende promuovere nell'opinione pubblica, e particolarmente in campo medico, i perenni valori etici della medicina, come pieno ed integrale servizio alla vita ed alla dignità della persona umana.

La vostra associazione, spesso con sensibilità precorritrice, è stata sempre protagonista nello sforzo di conciliare la duplice esigenza del rispetto della vita e della scienza; questa visione della persona umana, considerata quale immagine della grandezza e bellezza di Dio, apre alla scienza un campo di ricerca sconfinato. Negare, dimenticare, o sottovalutare questa doverosa armonica composizione di valori è causa di non pochi mali che affliggono la società del nostro tempo.


2. L'associazione si è distinta per la fedeltà al Magistero della Chiesa ed alle sue direttive pastorali, volte alla salvaguardia ed alla promozione della vita, dal concepimento al naturale tramonto. Mi è perciò grato esprimere grande apprezzamento per questa fedeltà che richiede coerente vita cristiana, coraggiose iniziative, vigile preparazione, costante formazione ed aggiornamento.

Trovo anzi significativo che la periodica elezione degli organi direttivi dell'associazione abbia luogo nel corso di congressi dedicati ai temi ed ai problemi più attuali, che chiamano in causa la morale cristiana.

Come più volte ho ripetuto nei miei incontri con gli operatori sanitari, la vostra professione corrisponde ad una vocazione che vi impegna nella nobile missione di servizio all'uomo nel vasto, complesso e misterioso campo della sofferenza. Con lo stesso amore di Cristo voi saprete vedere nell'uomo che soffre un amico, un fratello.

Come ho detto nella recente esortazione apostolica: "medici, infermieri, altri operatori della salute, volontari, sono chiamati ad essere l'immagine viva di Cristo e della sua Chiesa nell'amore verso i malati e i sofferenti" (CL 53).

Animati da corresponsabilità ecclesiale, voi riconoscerete tra i vostri compiti quello di favorire lo sviluppo sanitario delle popolazioni più bisognose, realizzando interventi di carattere sanitario con l'invio di medici e di attrezzature nei paesi in via di sviluppo. Questo impegno recepisce ed attua, in maniera esemplare, quella doverosa solidarietà umana che promuove ed accelera l'incontro tra tutti gli uomini.


3. Mi è grato, poi, esprimere la mia gratitudine per l'apporto e la collaborazione che la vostra associazione continua a dare al pontificio consiglio per la pastorale degli operatori sanitari. Avete voluto includere tale collaborazione anche tra le norme del vostro statuto. Tale dicastero, istituito per rafforzare ed estendere l'attenzione e l'impegno della Chiesa verso gli ammalati, deve trovare in voi, operatori sanitari cattolici, come in quanti si riconoscono nei valori perenni del servizio a chi soffre, un preziosissimo e valido sostegno.

Nell'assolvere i vostri compiti direttivi, vi guidino con la fede, dono di Dio, e, insieme con l'amore alla scienza, un forte spirito di reciproca intesa, disponibilità ed apertura verso tutti coloro che, con voi, si impegnano per la difesa e la qualità della vita.

La Vergine santissima, salute degli infermi e sede della Sapienza, ispiri ed accompagni il vostro lavoro, sul quale invoco la celeste benedizione.

1989-03-04

Sabato 4 Marzo 1989




Recita dell'Angelus - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

La "Via Crucis" un prezioso richiamo a riconoscere il valore del nostro soffrire quotidiano


Carissimi fratelli e sorelle.


1. In questo nostro incontro quaresimale per la preghiera mariana dell'"Angelus" il pensiero si volge al quarto mistero doloroso del santo rosario: Gesù sulla via del Calvario.

La nostra meditazione si sofferma innanzitutto su ciò che determino quello straziante itinerario: la condanna a morte di Gesù. San Luca scrive: "I sommi sacerdoti, le autorità e il popolo... chiedevano che venisse crocifisso... (Pilato) abbandono Gesù alla loro volontà" (Lc 23,13 Lc 23,25).

"Consegnare", "abbandonare", "essere consegnato", sono i termini che ricorrono nel racconto. Essi rendono il latino "tradere" e "traditum", verbi in cui si riflettono sia il gesto di pusillanimità e di ingiustizia di Pilato, sia il disegno del Padre e la volontà di amore del Figlio, il quale accetta di "essere consegnato" per la salvezza del mondo.


2. Lungo la via dolorosa l'evangelista san Luca ci offre, poi, dei modelli che ci insegnano a vivere, nel nostro quotidiano, la Passione di Gesù quale itinerario verso la Risurrezione.

Il primo esempio è costituito da Simone di Cirene, il quale "veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù" (Lc 23,26).

Non è rilevante solo il fatto di portare la Croce. Moltissime persone soffrono drammaticamente nel mondo: ogni popolo, ogni famiglia ha sulle proprie spalle dolori e fardelli da portare.

Ciò che dà pienezza di significato alla croce è il portarla dietro a Gesù, non in un cammino di angosciosa solitudine o di ribellione, ma in un cammino sorretto e vivificato dalla divina presenza del Signore.


3. Il secondo esempio è dato dalla "gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui (Gesù)" (Lc 23,27). Non basta una condivisione fatta di parole compassionevoli o anche di lacrime partecipi: occorre prender coscienza della propria responsabilità nel dramma del dolore, specialmente di quello innocente. Ciò induce ad assumersi la propria parte nel recare un contributo fattivo al suo alleviamento.

Le parole di Gesù non indulgono a sterili sentimentalismi, ma invitano ad una lettura realistica della storia dei singoli e delle comunità. "Se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?" (Lc 23,31). Se l'Innocente per eccellenza è colpito in questo modo, che cosa accadrà a chi è responsabile del male che è attuato nella storia dei singoli e delle nazioni?


4. Il doloroso cammino di Gesù, la "via crucis", sia per noi un prezioso richiamo a riconoscere il valore del nostro soffrire quotidiano; un ammaestramento a non sfuggire ad esso con pretesti opportunistici o inutili mistificazioni; uno stimolo a farne, invece, dono a colui che ci ha amati (cfr Rm 8,37), nella certezza che così si costruisce una nuova cultura dell'amore e si collabora all'azione divina della salvezza.

Maria, che, insieme alle donne, ha seguito Gesù sulla via della Croce, e che ritroveremo al Calvario, ci sia modello in questo dono di noi stessi: ci aiuti a capire il valore della nostra sofferenza e ad offrirla al Padre in unione con quella di Cristo.

1989-03-05

Domenica 5 Marzo 1989




Le visite pastorali del Vescovo di Roma

Parrocchia di santa Maria degli Angeli e dei martiri alle Terme di Diocleziano


[Ai bambini] Sia lodato Gesù Cristo.

Questa vostra chiesa è dedicata a santa Maria degli Angeli e dei martiri. E veramente un monumento del martirio dei tempi più crudeli, dei tempi dell'imperatore Diocleziano. E chiesa dei martiri e chiesa degli Angeli. E quando penso ai martiri e agli Angeli torno con la mia mente, con il mio cuore, a voi bambini. Voi siete i più vicini e più simili agli Angeli. Anche Gesù lo ha detto.

Ha detto che gli Angeli in cielo vedono il volto del Padre celeste, vuol dire che sono puri di cuore, innocenti. Vi auguro di trovare qui, in questa parrocchia un cammino che vi conduca insieme con Gesù attraverso la vostra vita.

La vostra chiesa è grande, gigantesca. così è rimasta dopo i tempi romani, quando è stata trasformata in chiesa cattolica. E in questa grande chiesa noi ci sentiamo un po' piccoli, specialmente voi, penso, vi sentiate piccoli. C'è molto spazio in questa chiesa, più spazio che parrocchiani. Speriamo che in questo grande spazio voi piccoli bambini troviate il cammino che vi conduce al punto definitivo e determinante: questo punto è Gesù, Gesù che guidava i martiri, Gesù che è la gioia degli Angeli, Gesù che è anche la gioia dei cuori dei bambini specialmente di coloro che si preparano alla prima Comunione.

Vi saluto di cuore, vi abbraccio e saluto insieme con voi le vostre suore, che cercano di educarvi nella fede. Saluto i genitori, gli altri parrocchiam anziani, maturi, che sono i vostri educatori, i vostri maestri. E insieme con il Cardinale Vicario ed i due Vescovi qui presenti voglio offrire a tutti una benedizione.

[L'omelia durante la celebrazione della santa Messa:]


1. "E' stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo" (2Co 5,19).

Questa domenica di Quaresima ha un carattere particolare. Già la prima lettura tratta dal libro di Giosuè indica che, lungo la strada che stiamo seguendo nella nostra preparazione alla Pasqua, oggi dobbiamo gioire così come gli Israeliti, che, giunti alla terra promessa, cominciano a mangiare i frutti che da essa provengono. Questo è quindi un momento gioioso, e la liturgia di questa domenica inizia infatti con la parola latina "Laetare".

Questo invito alla gioia si spiega con la vicinanza della Pasqua. I catecumeni, che nel periodo della Quaresima si preparavano al Battesimo, hanno provato la gioia in modo particolare. Hanno sentito la gioia di chi ha iniziato un cammino di salvezza; di chi si sente inserito nel mistero pasquale del Cristo morto e risorto, che è passaggio dalle tenebre alla luce, dalla tristezza al gaudio, al canto dell'"Exultet" della veglia pasquale; la gioia che deriva dalla consolante realtà di appartenere al nuovo Popolo di Dio, che cammina verso la Pasqua definitiva, verso la beatitudine eterna, dove l'Agnello immolato e glorioso forma la letizia dei santi.


2. Il clima gioioso e fiducioso dell'odierna domenica trova la sua espressione anche nel Vangelo: in cui san Luca ci presenta la parabola sul figlio prodigo. E da questa parabola spunta - forse meglio che da qualsiasi altra - l'immagine del Padre, che è "ricco di misericordia" ("Dives in misericordia"). Questa parabola ci convince, in modo particolare, del fatto, che l'amore che Dio nutre verso l'uomo in Cristo è più grande di ogni peccato e di tutti i peccati. Questa potenza infinita dell'amore, con cui Dio ha amato il mondo in Cristo, costituisce proprio - sulla strada della preparazione quaresimale - il motivo particolare della gioia spirituale della Chiesa.


3. "E' stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo".

Questa verità è oggi proclamata dalla lettera paolina ai Corinzi, nella seconda lettura della Messa, e questa lettura si presenta come un commento profondo alla parabola del figlio prodigo.

Già mercoledi delle ceneri abbiamo sentito le stesse parole sulla riconciliazione del mondo con Dio in Cristo. Il "mondo" significa qui "tutto il creato", ma in modo particolare significa l'uomo. Scrive l'Apostolo: "E' stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe" (2Co 5,19).

Nel mondo visibile, l'uomo soprattutto ha bisogno della riconciliazione con Dio, perché soltanto l'uomo - come essere intelligente e libero - è fautore del peccato.

Il peccato dell'uomo viene "partecipato" dal mondo. E quindi di conseguenza il "mondo" diventa per l'uomo anche una occasione per il peccato. In questo senso il nuovo testamento ci parla del "peccato del mondo" (cfr 1Jn 2,2 Jn 1,29).

Se in Cristo, per opera del suo sacrificio, della sua obbedienza fino alla morte l'uomo ottiene la remissione dei peccati, allora in questo modo anche il "mondo" trova la riconciliazione con Dio in Cristo.


4. L'Apostolo spiega che, per mezzo di questa riconciliazione dell'uomo con il suo creatore e Padre, Dio "tratto Colui che non aveva conosciuto il peccato, da peccato in nostro favore" (cfr 2Co 5,2): "tratto Cristo da peccato in nostro favore". E' una espressione molto forte. In essa si manifesta anche lo stile di Paolo. Cristo era assolutamente senza peccato: "Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato" (GS 22 He 4,15).

Se l'Apostolo scrive che "Dio lo tratto da peccato in nostro favore" - allora queste parole significano che Cristo ha "preso su di sé" il peccato dell'uomo, come proclamava, già nell'antica alleanza, il profeta Isaia sul futuro Messia, servo di Jahvè.

"Ha preso su di sé" - cioè ha accolto, insieme con la Croce, con la morte sulla Croce, il male di cui è causa il peccato.

Il sacrificio della Croce compiuto per amore ha avuto una potenza redentrice: l'amore è più forte del peccato.

Nella potenza della Redenzione il "mondo" e, soprattutto l'"uomo", è stato riconciliato con Dio. L'amore del Figlio nel sacrificio della Croce possiede questa potenza vittoriosa: unisce col Padre tutto ciò che a motivo del peccato, è stato "staccato" da lui; ciò che a motivo del peccato, è stato "contrapposto" a Dio, viene, in Cristo, nuovamente orientato al creatore e Padre. Viene, in un certo senso, "restituito" a Dio.

L'Apostolo scrive che, per opera del sacrificio redentore, noi diventiamo in Cristo la "giustizia di Dio". E' come se fossimo in lui nuovamente creati: "se uno è in Cristo, è una creatura nuova" (2Co 5,17).


5. E, in pari tempo, in questo importante e fondamentale contesto che illumina il mistero della Redenzione, l'autore della lettera ai Corinzi afferma: "Dio ci ha riconciliati a sé mediante Cristo e ha affidato a noi il mistero della riconciliazione"... "affidando a noi la parola della riconciliazione" (2Co 5,18-19).

così dunque - ciò che nell'immagine esprime la parabola del figlio prodigo, diventa un compito stabile e continuo della Chiesa, ereditato dagli apostoli. Lo stesso Cristo ha trasmesso a loro questa eredità quando, dopo la Risurrezione, dimostrando i segni del sacrificio della Croce sulle sue mani, sui piedi e sul costato, disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Jn 20,22).

Dunque san Paolo scrive: "Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro" (2Co 5,20).

Queste esortazioni devono servire all'opera di riconciliazione nel sacramento della Riconciliazione. In esso è racchiusa "la parola della riconciliazione" che la Chiesa pronuncia nella potenza della Redenzione di Cristo dinanzi a tutti coloro che cercano la remissione dei peccati sulla via sacramentale.


6. Nell'anno 1983 il problema della riconciliazione e penitenza è stato il tema del Sinodo dei Vescovi. Ecco che cosa leggiamo nel testo che è stato pubblicato dopo il Sinodo come espressione della sollecitudine della Chiesa contemporanea: "Riconciliatrice è la Chiesa anche in quanto mostra all'uomo le vie e gli offre i mezzi... Le vie sono, appunto, quelle della conversione del cuore e della vittoria sul peccato, sia questo l'egoismo o l'ingiustizia, la prepotenza o lo sfruttamento altrui, l'attaccamento ai beni materiali o la ricerca sfrenata del piacere. I mezzi sono quelli del fedele ed amoroso ascolto della Parola di Dio, della preghiera personale e comunitaria e, soprattutto, dei sacramenti, veri segni e strumenti di riconciliazione, tra i quali eccelle, proprio sotto questo aspetto quello che con ragione usiamo chiamare il Sacramento della riconciliazione o della Penitenza" (RP 8).


7. La Quaresima è il tempo prezioso per meditare, approfondire e vivere le profonde esigenze della riconciliazione con Dio e con gli uomini. Sono lieto di celebrare oggi, quarta domenica di Quaresima, l'Eucaristia in questa Basilica parrocchiale di santa Maria degli angeli e dei martiri. Questa maestosa costruzione, che reca il nome di terme di Diocleziano, sorse nella Roma imperiale come edificio pubblico, costruito col lavoro e con la sofferenza di migliaia di martiri anonimi, condannati ai lavori forzati, in quella èra di grandi persecuzioni; la presente struttura fu poi trasformata dal genio di Michelangelo e di altri insigni artisti, nel ricordo dei cristiani che vi avevano collaborato, in luogo di culto cristiano, e in seguito divenne anche chiesa destinata a ricordare pure i valori civili di Roma e dell'Italia.

Invocando sull'intera parrocchia la protezione della beata Vergine Maria degli angeli saluto, insieme al Cardinale vicario, Ugo Poletti, e al Vescovo ausiliare del centro storico, monsignor Filippo Giannini, tutti voi, cari fratelli e sorelle, presenti a questa celebrazione eucaristica. Saluto in particolare il vostro parroco, monsignor Vincenzo Pezzella, e tutti i sacerdoti suoi collaboratori nella animazione spirituale di questa zona, che trova il suo nodo nevralgico nell'affollata struttura della stazione Termini. La zelante attività pastorale della parrocchia è affiancata dai religiosi e dalle religiose, le cui case si trovano nell'ambito di questa comunità ecclesiale. Desidero nominare tra essi i fratelli Maristi delle Scuole e le suore dell'Immacolata Concezione, che operano soprattutto nel campo della educazione della gioventù. Rivolgo il mio saluto ai laici impegnati nella catechesi, nella assistenza domiciliare delle persone ammalate o anziane, che vivono in solitudine; saluto gli appartenenti al centro P. Agostino Chao, diretto dal viceparroco, monsignor Giuseppe Wang e destinato all'accoglienza dei cinesi residenti a Roma: ad essi e al grande e nobile Paese esprimo i sentimenti della mia stima e del mio affetto.

A tutti desidero far giungere un pensiero cordiale e beneaugurante: ai giovani che vivono nella tensione della loro crescita fisica e spirituale; agli ammalati, provati dal dolore; agli stranieri, che attendono aiuto e comprensione.

La beata Vergine Maria degli angeli, a cui è intitolata questa parrocchia, vi insegni a custodire nel vostro cuore, come faceva ella stessa, la Parola di Dio, come norma di vita; vi insegni a condurre un'esistenza degna dei redenti e conforme al volere di Dio. Ella vi conduca al Redentore, che in questo tempo vi è di esempio di come pregare e digiunare nel deserto quaresimale.


8. "Gustate e vedete quanto è buono il Signore" (Ps 34,9 Ps [33]]).

Questa invocazione della liturgia odierna, collegata col Salmo responsoriale, rispecchia il carattere della quarta domenica di Quaresima.

La Chiesa dice a noi: guardate ancora una volta colui che è Padre del figlio prodigo nella parabola di Cristo. E guardate insieme voi stessi.

Ciascuno di noi non deve forse tener nella memoria e riferire a se stesso questa parola: "Mi levero e andro da mio padre e gli diro: Padre ho peccato..." (Lc 15,18)? Proprio nel periodo di Quaresima queste parole sono particolarmente attuali. Corrispondono in modo particolare al profondo insegnamento dell'Apostolo dalla lettera ai Corinzi: "Vi supplico in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Co 5,20).

E il salmista da parte sua invoca: "Guardate a lui e sarete raggianti, / non saranno confusi i vostri volti..." (Ps 34,6).

..."Gustate e vedete quanto è buono il Signore" (Ps 34,9).

[Ai gruppi parrocchiali] Voglio ringraziare per questo incontro nel quale è rappresentata, si può dire, tutta la comunità parrocchiale nei diversi settori e nelle diverse categorie. Sono molto grato per la presenza dei rappresentanti di queste categorie professionali e sociali. Attraverso la voce degli albergatori e dei commercianti che abbiamo sentito si è potuta anche "vivere" un po' la realtà di questa zona di Roma, "Centro storico" ma nello stesso tempo "Centro turistico", con tutte le difficoltà che questa zona della grande città di Roma porta con sé. C'è bisogno di una virtù cristiana per sopportare anche la difficoltà della vita in questo Centro, che era già splendido ai tempi degli antichi romani e lo è rimasto nei tempi successivi della Roma cristiana fino ai nostri giorni.

Vi ringrazio di cuore per queste testimonianze e per la disponibilità che ho trovato non soltanto nelle parole, ma anche nei doni. L'intenzione è sempre quella di avere presente le necessità umane di questa zona: la Stazione Termini, con le sue necessità, e anche gli altri bisognosi. Ho visto nella chiesa, accanto alla popolazione della parrocchia, del quartiere, tanti forestieri. Certamente tutti quelli che sono in difficoltà sono nostri fratelli e sorelle. Alcuni di loro qualche volta possono creare disagi, anche gravi, come abbiamo sentito.

Voglio ringraziare poi tutti i gruppi che appartengono a questa parrocchia e vi svolgono un compito apostolico: apostolato della carità, apostolato della Parola di Dio, la catechesi, apostolato della preghiera. Io non so se questa mancanza di luce che oggi dobbiamo sperimentare qui non derivi dalla presenza delle "Lampade ardenti", quasi a voler dire: basta con questa luce elettrica, siamo noi "lampade ardenti" e possiamo illuminare il nostro incontro.

Certamente queste lampade sono il simbolo spirituale della relazione con Dio, della preghiera. Lo spirito umano, il cuore umano diventa ardente nella preghiera, cercando il contatto con Dio, con Gesù Cristo, nello Spirito Santo.

Non vorrei dimenticare anche il coro che ci ha accompagnato molto discretamente ma con grande squisitezza artistica durante la celebrazione eucaristica.

Mi congratulo con voi, con il vostro parroco: certamente la vostra non è una parrocchia consueta, ma piuttosto specifica e non troppo facile. Devo dire che monsignor parroco, con il quale ho parlato mercoledi scorso, ha fatto un grande elogio dei suoi parrocchiani, di questa comunità che costituisce il nucleo romano della parrocchia, molto attaccata alla santa Chiesa, alla fede, alla tradizione cristiana.

Voglio implorare per tutti voi e per le vostre famiglie la benedizione del Signore e ringraziare ancora una volta per la vostra accoglienza in questa magnifica chiesa di santa Maria degli Angeli, che io conosco da più di quarant'anni.

[Ai giovani] Devo dirvi che questa chiesa è legata ai ricordi della mia giovinezza, perché quando ero giovane, oltre quaranta anni fa, compivo molte visite in questa chiesa e anche nel museo dell'arte classica che è qui accanto. Ammiravo sempre la grandezza dell'architettura antica e di quella rinascimentale, opera di grandissimi artisti come Michelangelo e altri. Per me questo ritorno nella chiesa, nella Basilica, nella parrocchia di santa Maria degli Angeli e dei martiri è carica di significati personali.

Vi dico questo perché parlo a dei giovani. E credo che allora avevo un'età simile a quella di parecchi di voi.

Due studentesse mi hanno parlato in romanesco: più o meno, ho capito, anche se quando ero studente qui a Roma non ho compiuto studi romaneschi...

Certamente questa è una parte classica della Città Eterna, Roma.

Dall'altro lato, c'è una parte molto più moderna, movimentata, frequentata da forestieri, stranieri, come si vede anche dalla nostra assemblea. Siate tutti i benvenuti, specialmente voi dell'America Latina, dell'America Centrale e dell'Etiopia. Vorrei augurare a voi tutti di fare un buon dopo-Cresima. La Cresima è un sacramento della giovinezza, ma nello stesso tempo di tutta la vita. Come il Battesimo, è un sacramento che ci impegna per tutta la vita. Il Battesimo pone i fondamenti della nostra vita cristiana, della nostra vita in Cristo Gesù. Il Battesimo ci porta davanti allo Spirito Santo, come nel Cenacolo durante la Pentecoste; ci porta davanti a quell'evento misterioso della Pentecoste per ricevere lo Spirito Santo come lo hanno ricevuto gli apostoli, la prima comunità cristiana in Gerusalemme, per diventare simili a loro. La Cresima ci dice che ogni cristiano, ogni battezzato è chiamato in un certo senso ad essere anche apostolo.

Noi siamo gli eredi degli apostoli. Non solamente il Santo Padre e i Vescovi, nella successione apostolica, ma tutti siamo eredi degli apostoli nel loro impegno. L'impegno principale degli apostoli è la testimonianza di Cristo. Questa compete a tutti noi e ci obbliga tutti. Essere cristiano vuol dire essere un uomo di testimonianza. Ecco la post-Cresima: si deve prendere sul serio il proprio cristianesimo, la propria fede, si deve vivere il Vangelo per dare testimonianza nella vita, che poi viene diversificata in differenti cammini come quello della professione, della vocazione personale. Dappertutto come cristiani siamo segnati: "signo te signo Crucis". Questo "signo", sigillo dello Spirito Santo che viene impresso nella Cresima, è significativo. Gli apostoli hanno ricevuto questo sigillo più che sacramentale.

Questo è l'augurio che voglio fare a voi giovani di questa parrocchia. E quanto di più bello e di più buono si può augurare ad ogni uomo e specialmente ad ogni cristiano, perché con questo cammino spirituale di testimonianza, di verifica continua del proprio cristianesimo, si trova anche la felicità, l'autorealizzazione cristiana.

Voglio offrire una benedizione a tutti, anche ai vostri coetanei e ai vostri colleghi nelle scuole, negli studi, nelle università, dappertutto, e alle vostre famiglie.

1989-03-05

Domenica 5 Marzo 1989





GPII 1989 Insegnamenti - Ai Vescovi messicani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)