GPII 1989 Insegnamenti - La visite pastorali del Vescovo di Roma


1. "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei" (Jn 8,7).

Conosciamo bene queste parole di Cristo. Esse, scritte nel Vangelo di Giovanni, dicono - pur tanto concisamente - molto. Pronunciandole, Gesù ha salvato la vita a una donna che, come adultera, doveva essere lapidata. Tale era la legge di Mosè. Quelli che condussero a Gesù quella donna, sorpresa in adulterio, si richiamano infatti alla prescrizione della legge.

"Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?" (Jn 8 Jn 5).

Analoga pena di morte era prevista anche per l'uomo reo di adulterio (cfr Lv 20,10).

Ponendo a Gesù la suddetta domanda, volevano metterlo alla prova e per avere di che accusare il maestro di Nazaret (cfr Jn 8,6). L'Evangelista scrive che Cristo "si reco... nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli li ammaestrava" (Jn 8,2).


2. La risposta di Gesù alla domanda è una nuova rivelazione della verità. E' la rivelazione di quella sapienza che era lui stesso.

Prima di tutto, Cristo tace. Invece di rispondere alla domanda, scrive col dito per terra (cfr Jn 8,6).

E poiché non cessano di interrogarlo, a un certo punto dice: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei".

Pronuncia queste parole quasi di sfuggita, e continua a scrivere segni per terra.

Non rispondendo direttamente alla domanda, ha dato una risposta ancor più piena di quanto qualcuno degli interlocutori potesse attendersi. Ma simile risposta non era certamente da loro attesa.

Nello stesso tempo proprio questa risposta ha toccato l'essenza più profonda dell'argomento. Raggiunge le radici stesse della verità. Non potevano opporsi all'eloquenza della verità in essa contenuta.

L'Evangelista aggiunge: "Se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna, là in mezzo" (Jn 8,9).


3. Questo avvenimento è meraviglioso. E' uno di quelli che sempre di nuovo deve essere riletto e rimeditato. Uno di quelli che non può essere dimenticato.

In questo testo conciso è contenuta una insolita condensazione dei contenuti: divini e umani.

Se la Chiesa rilegge questo testo di Giovanni nell'odierna domenica, quinta di Quaresima, lo fa proprio perché in esso è contenuto brevemente, si può dire, l'intero Vangelo.

Cristo non riconferma forse ciò che aveva pronunciato tante volte (per esempio nel discorso della montagna), che la legge più grande è l'amore? Ecco, sono venuti a lui i patrocinatori della legge, credendo che egli - essendo il maestro in Israele - dovesse pensare così come loro. E giudicare così come loro.

Egli invece "sapeva quello che c'è in ogni uomo" (Jn 2,25) in ciò che la lettera della legge ha in suo favore, e in ciò che la legge ha contro l'uomo.

E Cristo non soltanto "sapeva quello che c'è in ogni uomo". Egli porto con sé nel mondo, ed incarno nella sua missione questo amore che Dio ha verso l'uomo. L'amore per ogni uomo - anche per colui che pecca anche per la donna adultera.

"Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16).


4. Ecco, questo Figlio sta davanti a voi, "scribi" e farisei.

Ecco questo Figlio sta davanti a te, donna adultera! Ascolta: egli dice a te: "Nessuno ti ha condannato?... Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più" (Jn 8,11).

Ti ha difesa dalla lapidazione, ti ha liberato dalla morte inevitabile.

Ma non ti ha liberato dalla voce della coscienza, dal comando di Dio, in cui si manifesta la sapienza e la sollecitudine del santissimo legislatore per ogni uomo.

Anche per te: "non peccare più".


5. Ecco, questo Figlio sta anche davanti a noi, fratelli e sorelle, noi che oggi qui riuniti ascoltiamo la Parola di Dio indirizzata a noi.

Si, questa parola è indirizzata a noi. Essa riguarda non soltanto un avvenimento antico. Questa parola cerca pure le nostre coscienze.

Traduciamo nella lingua della nostra vita ciò che allora Cristo disse - e ciò che fece. La verità contenuta in queste parole, e in tutto il fatto evangelico non passa più.

Ecco, sta davanti a noi colui che ci "ha amato e ha dato se stesso per noi" (cfr Ep 5,2). Sta davanti a noi il Redentore del mondo. Il Redentore dell'uomo! La Chiesa guarda a lui Cristo, attraverso il fatto del Vangelo odierno.

E, per questo, ripete la confessione di Paolo della lettera ai Filippesi: "Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore... non con una giusttzia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo" (Ph 3,8-9).

Il fatto del Vangelo odierno non ci induce forse a paragonare queste due "giustizie"? La giustizia umana e quella di Dio? Non vediamo come la giustizia umana è limitata? Come talvolta il "summum ius" può facilmente dimostrarsi "summa iniuria"? Non vediamo come nella nostra esistenza e nel nostro comportamento umano, deve penetrare questa dimensione divina della giustizia, che è amore e misericordia, che è redenzione e remissione: "va' e d'ora in poi non peccare più"?


6. Nello spirito di queste grandi realtà soprannaturali, cioè della misericordia, dell'amore e del perdono il vostro protettore san Saturnino testimonio fino al martirio la fede cristiana. Per conservare integra la sua fedeltà a Cristo non temette di subire persecuzioni. Secondo una tradizione fu condannato al trasporto di sabbia per la costruzione delle terme di Diocleziano. Già avanzato negli anni si distinse in quelle dure fatiche per la profonda fede e per la pazienza nel sopportare ogni prova senza lamento, né rancore. Infine, condannato alla decapitazione, affronto il martirio serenamente, lasciando ai suoi seguaci un mirabile esempio di fortezza cristiana. Il suo corpo venne sepolto su questa area della via Salaria, dove sorse poi una splendida Basilica in suo onore. L'attuale parrocchia, fatta erigere dal Papa Pio XI, poco distante dal luogo della sepoltura di san Saturnino, vuole essere un continuo richiamo alla sua luminosa figura di testimone del Cristo, che in questi giorni ci apprestiamo a venerare nel mistero della sua Passione redentrice.


7. Alla luce di questo martire della Chiesa primitiva, che ha tanto da insegnare anche ai cristiani di oggi, io saluto unitamente al Cardinale vicario Ugo Poletti e al Vescovo del settore, monsignor Salvatore Boccaccio, tutti voi, cari fratelli e sorelle, di questo quartiere sulla via Salaria. Saluto in particolare il vostro zelante parroco, monsignor Ottavio Petroni, e i sacerdoti suoi collaboratori.

Saluto tutti i parroci della prefettura. Il mio saluto si estende a tutte le comunità religiose operanti nell'ambito della parrocchia: alle suore benedettine di Priscilla, alle suore bethlemite, alle suore salesiane, a quelle riparatrici del Sacro Cuore e alle suore del La Retraite: a tutte queste anime consacrate esprimo la profonda gratitudine per la testimonianza di fede che esse danno ai fedeli del territorio parrocchiale con la loro vita di fede, di preghiera e di penitenza. Saluto gli appartenenti ai consigli pastorale e per gli affari economici; i rappresentanti dei vari gruppi giovanili: i catechisti, gli animatori di Azione Cattolica ragazzi (ACR), gli Scout, i gruppi missionari, i responsabili del coro "Psallite Sapienter" e quelli del circolo Federico Ozanam; saluto pure i promotori delle attività assistenziali che si prodigano nell'ambito della Conferenza di San Vincenzo, dell'associazione per il servizio domiciliare, del gruppo Carlo Iavazzo a favore dei portatori di handicap, e del centro per i problemi dei tossicodipendenti. Giunga il mio saluto a tutti i parrocchiani; agli anziani, agli ammalati e a tutti coloro che soffrono per la mancanza di alloggi, per la precarietà del proprio lavoro e per il triste fenomeno della droga, che, anche se in misura minore che in altri quartieri, continua a mietere vittime soprattutto tra i giovani, gettando le famiglie nell'angoscia e nella desolazione.

Questa mia visita, che avviene nella quinta domenica di Quaresima, vuole essere per tutti uno stimolo a concludere bene questo tempo prezioso per una riforma interiore, per una radicale conversione del cuore. Lasciatevi riconciliare con Dio! Accostatevi al sacramento della Penitenza, che vi farà toccare con mano l'infinita bontà di Dio e la grandezza della misericordia salvatrice, che il Signore uso con la peccatrice, di cui parla il Vangelo di oggi. Sia questo per tutti un momento favorevole per fare una verifica spirituale e, se occorre, per riparare e correggere la rotta. così, rinnovati nel sangue del Redentore divino, ritroverete la gioia di vivere e avrete per tutti maggiore bontà e spirito di comprensione; non vi vergognerete di testimoniare con la vostra vita che voi siete di Cristo.


8. "Grandi cose ha fatto il Signore per noi" (Ps 126,3).

Le parole della salmodia dell'odierna liturgia ci rendono consapevoli di queste "grandi cose", alle quali ci avviciniamo col passare dei giorni e delle settimane della Quaresima.

Dio stesso opera nella storia umana.

"Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia". così dice il profeta Isaia (Is 43,19). E la Chiesa desidera che noi tutti attraversiamo questo periodo particolare, questo "tempo della salvezza"; secondo lo spirito dell'odierno Salmo: "Chi semina nelle lacrime / mieterà con giubilo. / Nell'andare, se ne va e piange, / portando la semente da gettare, / ma nel tornare, viene con giubilo, / portando i suoi covoni" (Ps 126,5-6).

Preghiamo per la messe divina della Quaresima.

[Al "Volontariato" e al Circolo Culturale] Venendo nella vostra parrocchia davanti alla chiesa di san Saturnino martire, mi sono trovato di fronte alla comunità delle persone, dei parrocchiani, alla comunità dei "più vicini". Ma, accanto a loro, ci sono i palazzi, le case, le dimore umane dove abitano tanti uomini e donne, giovani e anziani, bambini, sofferenti: tutta la comunità che corrisponde nel senso pieno alla parrocchia di san Saturnino. Allora ho pensato certamente soprattutto a quelli che mi circondavano durante la celebrazione, ma ho pensato anche a queste case, a questi palazzi, perché l'Eucaristia è il sacramento della nostra fede, di quel centro che è il mistero pasquale di Cristo, ma nello stesso tempo è il punto di partenza di ogni apostolato. E l'apostolato è orientato verso ogni realtà umana, verso i deserti, verso i villaggi, verso le città, verso i grandi quartieri, dovunque vive, lavora, soffe la persona umana. Tutta questa realtà, esteriormente espressa in queste costruzioni, deve essere permeata dallo Spirito, perché Cristo ci ha donato lo Spirito Santo e ce lo dona in ogni celebrazione eucaristica, come ce lo ha donato effondendolo dalla croce e poi dandolo agli apostoli il giorno di Pentecoste. Egli ci dà lo stesso Spirito continuamente, specialmente attraverso l'Eucaristia. E questo Spirito deve camminare dappertutto, deve entrare nei cuori dove manca aiuto, manca assistenza, dove c'è bisogno di una persona vicina che prenda su di sé cura, preoccupazioni: il volontariato cristiano. Anche Federico Ozanam era uno dei grandi protagonisti di quello che oggi si chiama volontariato caritativo cristiano. L'assistenza nelle case, i vari servizi, tutto è portato avanti dallo Spirito di Cristo che vuol permeare ogni realtà umana.

Da voi il nome di Federico Ozanam è piuttosto legato ad una ispirazione di tipo culturale. Certo, le due cose vanno insieme, perché l'uomo vive da una cultura e nella cultura. Cultura è il suo ambiente spirituale. Senza cultura l'uomo non si umanizza, non si esprime, non si personalizza, non costituisce la comunione e le comunità, non crea una vita veramente umana. L'uomo ha uno spirito, che è anche scintilla della creatività, della intelligenza, della cultura, appunto. Ringrazio i due gruppi presenti qui per questo servizio che avete intrapreso come vostra vocazione, "Christifideles Laici", come vostra vocazione in questa parrocchia, come ministero, servizio, missione propria a voi, nella quale siete guidati dallo Spirito di Cristo. Vi auguro di ricevere sempre questo soffio che viene da Cristo crocifisso e risorto, per andare dappertutto, in tutte le dimensioni della vita umana dove sono necessari calore, luce, intelligenza, cultura, cuore, carità, fraternità. In questo senso vi auguro anche una buona Pasqua, perché il mistero pasquale è l'inizio di tutto questo. Tutto questo viene dalla Pasqua di Cristo. Pentecoste non è altro che una continuazione, una espressione della Pasqua; possiamo dire che la Pasqua è il momento in cui la Chiesa è nata, Pentecoste è il momento in cui la Chiesa si è rivelata come evidente. Vi auguro di essere questa Chiesa che vive nello Spirito Santo e che vivifica gli altri, quelli che sono più lontani, meno sensibili. E un grande dono, un grande bene tutto quello che è proprio a voi, carissimi fratelli e sorelle laici: essere cristiani, essere portatori di questo grande tesoro che è nostro.

[Ai giovani] Grazie per la vostra presenza, grazie per i canti del gruppo artistico e grazie per le relazioni, molto profonde, descrittive, analitiche. Si sentiva dietro quelle espressioni la realtà sociale, umana e cristiana della vostra parrochia, specialmente di questa realtà giovanile che voi rappresentate. In voi e nella vostra parrocchia si vede come cammina la vita. Cominciando dall'incontro con i più anziani, gli ammalati, e terminando con i più piccoli, sono passato per diverse generazioni, diverse età. Alla fine incontro voi. La vita umana cammina e andando avanti, specialmente in questa vostra età, la vita si fa sempre più consapevolezza e responsabilità. Queste due cose appartengono all'essere umano.

Voi crescendo fisicamente, crescendo nell'animo, diventate sempre più persone mature, quindi consapevoli e responsabili. Queste due cose - consapevolezza, coscienza, responsabilità e volontà - portano con loro delle scelte: scelte buone o sbagliate. Cosa posso suggerirvi, consigliarvi? C'è un grande consiglio universale che si deve dare a ogni uomo, a tutte le generazioni, ma specialmente ai giovani. Io vi auguro di incontrare Cristo, perché egli conosce ciò che è in noi. Questa è una caratteristica indicata dai Vangeli. Egli sapeva ciò che si trovava nel mondo. E il Concilio Vaticano II dice che Cristo rivela l'uomo all'uomo; non soltanto rivela Dio all'uomo, ma rivela l'uomo a se stesso. Lo rivela, dice il Concilio, nella "Gaudium et Spes", nella rivelazione del Padre e del suo Amore. In essa viene rivelato l'uomo e la sua vocazione. L'uomo ha una vocazione splendida se sulla strada incontra questa rivelazione. così viene rivelato a se stesso, nella pienezza, nella profondità della sua propria umanità.

Io penso che tutti voi siete su questo cammino, specialmente nel periodo post-cresimale. La Cresima è il sacramento della Confermazione, è il momento della maturità nel cammino sacramentale della nostra vita. La Cresima significa maturità spirituale; post-cresima vuol dire continuare in questa maturazione che viene dallo Spirito Santo. Questi sono i miei consigli, i suggerimenti. Come realizzarli? Io penso che ciascuno di voi debba essere guidato dalla propria coscienza, dalla propria responsabilità, dalla preghiera, dalla lettura della Sacra Scrittura, dalla partecipazione alla vita liturgica nella Chiesa, dalla Eucarestia, anche da questa comunità. La comunità è una comunità cristiana di base, è una forza per tutti, per i giovani certamente. Forse potete compiere ancora ulteriori sforzi per far avvicinare a questa comunità giovanile gli altri giovani che sono fuori, lontani, che non sanno dove si trova la "risposta". Perché non lo sanno, perché non si avvicinano? Tante volte pensano soprattutto alle esigenze. Questo è vero: Cristo è esigente. Ma non si può rivelare l'uomo e la sua vocazione all'uomo senza presentare anche delle esigenze; non si può diluire questa grande sostanza che si trova nella umanità, in ogni persona. Cristo sapeva questo e lo presentava così come ha predicato nelle Beatitudini. Ripeteva a tanti, specialmente ai giovani: "seguimi".

Vi auguro buona Pasqua... Si parlava della ricchezza dell'ambiente. Non so, certamente non siete tanto ricchi. Ma con questa offerta siete diventati ricchi.

1989-03-12

Domenica 12 Marzo 1989




Nel palazzo apostolico vaticano - Al sacro Collegio, Città del Vaticano (Roma)

Il Santo Padre tiene il Concistoro per la canonizzazione di cinque beati


Ogni qualvolta devo occuparmi del culto dei santi e delle sante nella Chiesa di Dio in terra, provo una particolare gioia e consolazione, poiché vedo che difficilmente qualcosa contribuisce non solo a sostenere ma anche ad infiammare la pietà quotidiana dei fedeli, quanto la celebrazione dei nuovi santi nelle singole Chiese e nelle famiglie religiose. Per quanto riguarda le mutate condizioni di vita sulla terra, i loro perenni esempi di santità tra le circostanze più svariate ci insegnano continuamente a rendere efficaci per la salvezza le dottrine e le norme di vita che troviamo nel Vangelo di Cristo e nella sana tradizione della Chiesa.

La vostra presenza questa mattina è per me motivo di grande conforto, perché so bene che siete convenuti con l'intento di conoscere alcuni fatti di particolare importanza nella Chiesa e per esprimere il vostro autorevole parere.

Questo compito specifico di aiutare il Sommo Pontefice spetta di diritto al vostro stato e alla vostra opera nella Chiesa. Innanzitutto apprenderete le mie decisioni e i miei decreti sulle provvisioni di Chiese, necessità delle Chiese particolari alle quali ho provveduto. Si passerà poi alle cause di alcuni beati e beate, cinque in totale, i cui processi portati a termine indicano chiaramente che si devono iscrivere subito nell'albo dei santi.

Si tratta di Agnese di Boemia, Gaspare Bertoni, Clelia Barbieri, Alberto Chmielowski, Riccardo Pampuri. So che di ciascuno di essi avete avuto un compendio sulla vita e sulla santità e ora vi verrà chiesto di esprimere il vostro parere.

In queste come in tutte le più importanti cause e preoccupazioni della Chiesa universale, preghiamo con tutto il cuore che il grande patrono della Chiesa, fedelissimo custode di Gesù Cristo e della sua santissima madre Maria, Giuseppe, santo artigiano, ci assista e con la sua intercessione dal cielo ci aiuti, lui che la comunità dei fedeli celebrerà sabato prossimo e il cui esempio si impegnerà a imitare.

1989-03-13

Lunedi 13 Marzo 1989




Catechesi all'udienza generale - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Il valore salvifico della Risurrezione



1. Se la fede cristiana e la predicazione della Chiesa hanno il loro asse nella Risurrezione di Cristo perché è la definitiva conferma e il definitivo complemento della Rivelazione, come abbiamo visto nella precedente catechesi, occorre anche aggiungere che, in quanto integrazione del mistero pasquale, essa è fonte della potenza salvifica del Vangelo e della Chiesa. Gesù Cristo, infatti, secondo san Paolo, "mediante la risurrezione dai morti" si è rivelato "Figlio di Dio con potenza... costituito secondo lo Spirito di santificazione" (cfr Rm 1,4). Ed egli trasmette agli uomini questa santità, perché "è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione" (Rm 4,25). Vi è come un duplice aspetto nel mistero pasquale: la morte per la liberazione dal peccato, la risurrezione per aprire l'accesso alla nuova vita.

Certo il mistero pasquale, come tutta la vita e l'opera di Cristo, ha una profonda unità interna nella sua funzione redentiva e nella sua efficacia, ma ciò non toglie che se ne possano distinguere vari aspetti in rapporto agli effetti che ne provengono nell'uomo. Di qui l'attribuzione dello specifico effetto della "nuova vita" alla risurrezione, come afferma san Paolo.


2. In questa dottrina occorre fare alcune annotazioni che, sempre in riferimento ai testi del nuovo testamento, ci permettono di rilevarne tutta la verità e la bellezza.

Anzitutto, possiamo ben dire che il Cristo risorto è principio e fonte di una vita nuova per tutti gli uomini. Ciò appare anche dalla stupenda preghiera di Gesù alla vigilia della sua Passione, che Giovannni riporta con queste parole: "Padre,... glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato" (Jn 17,1-2).

Nella sua preghiera Gesù vede e abbraccia anzitutto i suoi discepoli, che egli ha avvertito del doloroso distacco prossimo a verificarsi mediante la sua Passione e morte, ma ai quali ha pure promesso: "Io vivo e voi vivrete" (Jn 14,19). Cioè: avrete parte alla mia vita che si rivelerà dopo la Risurrezione. Ma lo sguardo di Gesù si estende ad un raggio di ampiezza universale: "Non prego solo per questi (miei discepoli) - egli dice - ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me..." (Jn 17,20): di tutti deve farsi una cosa sola nella partecipazione alla gloria di Dio in Cristo.

La nuova vita concessa ai credenti in virtù della Risurrezione di Cristo, consiste nella vittoria sulla morte del peccato e nella nuova partecipazione alla grazia. Lo afferma lapidariamente san Paolo: "Dio, ricco di misericordia... da morti che eravamo per il peccato, ci fa fatti rivivere con Cristo" (Ep 2,4-5). Analogamente san Pietro: "Dio e Padre del Signore nostro... nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva" (1P 1,3).

Questa verità si riflette nell'insegnamento paolino sul Battesimo: "Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui (Cristo) nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" (Rm 6,4).


3. Questa vita nuova - la vita secondo lo Spirito - manifesta l'adozione a figli, altro concetto paolino di fondamentale importanza. E' "classico", su questo punto il passo della lettera ai Galati: "(Dio) mando il suo Figlio,... per riscattare quelli che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli" (Ga 4,4-5). Questa adozione divina per opera dello Spirito Santo rende l'uomo simile al Figlio unigenito: "...tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio" (Rm 8,14). Nella lettera ai Galati san Paolo si appella alla esperienza che i credenti fanno della nuova condizione, in cui si trovano: "E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei vostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio" (Ga 4,6-7). Vi è dunque nell'uomo nuovo un primo effetto della Redenzione: la liberazione da schiavo; ma l'acquisto della libertà avviene col divenire figlio adottivo, non tanto su un piano di accesso legale all'eredità, ma col dono reale della vita divina, che le tre Persone della Trinità infondono nell'uomo (cfr Ga 4,6 2Co 13,13). Di questa nuova vita dell'uomo in Dio, la sorgente è la Risurrezione di Cristo.

La partecipazione alla vita nuova fa anche si che gli uomini diventino "fratelli" di Cristo, come Gesù stesso chiama i discepoli dopo la Risurrezione: "Andate ad annunciare ai miei fratelli..." (Mt 28,10 Jn 20,17). Fratelli non per natura, ma per dono di grazia, poiché tale figliolanza adottiva dà una vera e reale partecipazione alla vita del Figlio unigenito, quale si è rivelata pienamente nella sua Risurrezione.


4. La Risurrezione di Cristo - e anzi, il Cristo risorto - è infine principio e fonte della nostra futura risurrezione. Preannunciando l'istituzione dell'Eucaristia, Gesù stesso ne parlo come di sacramento della vita eterna, della risurrezione futura: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risuscitero nell'ultimo giorno" (Jn 6,54). E poiché gli uditori "mormoravano", Gesù replico loro: "Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima?" (Jn 6,61-62).

In questo modo egli indicava indirettamente che sotto le specie sacramentali della Eucaristia viene dato a coloro che la ricevono di partecipare al Corpo e Sangue di Cristo glorificato.

Anche san Paolo mette in risalto il collegamento tra la Risurrezione di Cristo e la nostra soprattutto nella sua prima lettera ai Corinzi. Scrive infatti: "Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo" (1Co 15,20-22). "E' necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità. Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura: "La morte è stata ingoiata per la vittoria"" (1Co 15,53-54). "Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo" (1Co 15,57).

La definitiva vittoria sulla morte, già riportata da Cristo, viene da lui partecipata alla umanità nella misura in cui questa riceve i frutti della Redenzione. E' un processo di ammissione alla "vita nuova", alla "vita eterna", che dura sino alla fine dei tempi. Grazie a tale processo si va formando lungo il corso dei secoli una umanità nuova, il popolo dei redenti, raccolti nella Chiesa, vera comunità della risurrezione. Al punto conclusivo della storia, tutti risorgeranno, e quelli che saranno stati di Cristo, avranno la pienezza della vita nella gloria, nella definitiva attuazione della comunità dei redenti da Cristo, "perché Dio sia tutto in tutti" (1Co 15,28).


5. L'Apostolo insegna pure che il processo redentivo, che si conclude con la risurrezione dei morti, avviene in una sfera di ineffabile spiritualità, che supera tutte le possibilità di concezione e di operazione umana. Se, infatti, da una parte egli scrive: "La carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità" (1Co 15,50), - ed è la costatazione della nostra incapacità naturale alla nuova vita - dall'altra, nella lettera ai Romani così rassicura i credenti: "Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi" (Rm 8,11). E' un misterioso processo di spiritualizzazione, che al momento della risurrezione raggiungerà anche i corpi, per la potenza di quello stesso Spirito Santo, che ha operato la Risurrezione di Cristo.

Si tratta senza dubbio di realtà che sfuggono alla nostra capacità di comprensione e di dimostrazione razionale, e perciò sono oggetto della nostra fede fondata sulla Parola di Dio, che, mediante san Paolo, ci fa penetrare nel mistero che supera tutti i confini dello spazio e del tempo: "ll primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita" (1Co 15,45). "E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste" (1Co 15,49).

6. In attesa di quella trascendente completezza finale, il Cristo risorto vive nei cuori dei suoi discepoli e seguaci come fonte di santificazione nello Spirito Santo, fonte della vita divina e della divina figliolanza, fonte della futura risurrezione.

Tale certezza fa dire a san Paolo nella lettera ai Galati: "Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Ga 2,20). Anche ogni cristiano, come l'Apostolo, pur vivendo ancora nella carne (cfr Rm 7,5), vive una vita già spiritualizzata con la fede (cfr 2Co 10,3), perché il Cristo vivente, il Cristo risorto è diventato come il soggetto di tutte le sue azioni: Cristo vive in me (cfr Rm 8,2 Rm 8,10-11 Ph 1,21 Col 3,3). Ed è la vita nello Spirito Santo.

Questa certezza sostiene l'Apostolo, come può e deve sostenere ogni cristiano tra le fatiche e le sofferenze della vita presente, come raccomandava Paolo al discepolo Timoteo nel brano di una sua lettera col quale vogliamo suggellare - a nostra istruzione e a nostro confronto - la nostra catechesi sulla Risurrezione di Cristo: "Ricordatevi - egli scrive - che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo... perciò sopporto ogni cosa per gli eletti, perché anche essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Certa è questa parola (forse frammento di un inno dei primi cristiani): Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, anch'egli ci rinnegherà; se noi manchiamo di fede, egli pero rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso..." (2Tm 2,8-13).

"Ricordati che Gesù Cristo è risuscitato dai morti": questa parola dell'Apostolo ci dà la chiave della speranza per la vera vita nel tempo e nell'eternità.

1989-03-15

Mercoledi 15 Marzo 1989




Le credenziali nel nuovo ambasciatore dell'Uganda - Città del Vaticano (Roma)

Rispetto dei diritti umani e soliarietà agli oppressi fondamenti di libertà, di giustizia e di pace nel mondo

Eccellenza.

Ho il piacere di porgerle un cordiale benvenuto in occasione della presentazione delle lettere che la accreditano come ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica dell'Uganda presso la Santa Sede. Le sono grato per il caloroso saluto e augurio trasmessomi da parte del Presidente, sua eccellenza Yoweri K. Museveni, e la prego di assicurarlo delle mie preghiere per la sua persona e per la pace e il benessere di tutto il popolo dell'Uganda.

L'eccellenza vostra ha ricordato i recenti avvenimenti storici del suo Paese e i cambiamenti avvenuti nella vita dei suoi connazionali. Essi incoraggiano la diffusa speranza che l'Uganda possa infine godere di un clima di giustizia, armonia sociale e coesione nazionale, così necessari per l'opera di ricostruzione dopo tanti anni di conflitti e tumulti. La Chiesa cattolica dell'Uganda ha ripetutamente sollecitato un tale impegno nazionale e ha offerto la sua piena collaborazione nel grande compito che sta di fronte alla Nazione.

Lei ha sottolineato che il suo governo considera il rispetto dei diritti umani come una pre-condizione per l'esistenza di un modo di vita autenticamente democratico. Davvero, un governo che rispetta le leggi fa si che la gente possa sentirsi sicura nell'esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, mentre lavora per il progresso e lo sviluppo del paese. Questo concetto ho espresso nell'enciclica "Redemptor Hominis": "Quel bene comune, che l'autorità serve nello Stato, è pienamente realizzato solo quando tutti i cittadini sono sicuri dei loro diritti. Senza questo si arriva allo sfacelo della società, all'opposizione dei cittadini all'autorità, oppure ad una situazione di oppressione, di intimidazione, di violenza, di terrorismo, di cui ci hanno fornito numerosi esempi i totalitarismi del nostro secolo" (RH 17).

Purtroppo, gli Ugandesi possono tristemente testimoniare delle terribili conseguenze di una simile perdita di sicurezza e rispetto dei diritti umani.

Proprio per questo è mia fervida speranza che il processo di riabilitazione e ristabilimento di un modo di vita democratico già iniziato continui. Desidero incoraggiare il suo governo e il suo popolo nell'impegno necessario per superare quanto resta delle antiche difficoltà e per continuare la ricostruzione del Paese dopo tanti anni di distruzione e spargimento di sangue.

La Chiesa in Uganda mette a disposizione le sue risorse, spirituali e materiali, perché la popolazione possa condurre una vita più dignitosa secondo l'inalienabile dignità umana di ogni individuo. Insieme con la missione religiosa e culturale della Chiesa, la comunità cattolica ugandese è particolarmente impegnata nel campo sanitario ed educativo. Attraverso le sue organizzazioni assistenziali la Chiesa cerca di aiutare lo sviluppo sociale della popolazione e cerca un miglioramento delle condizioni di vita dei più poveri. In questo c'è una grande possibilità di collaborazione tra la Chiesa e lo Stato che sono certo continuerà ad aumentare e a produrre eccellenti risultati.

A questo proposito non posso che riecheggiare i sentimenti espressi dal mio predecessore Paolo VI durante la sua storica visita a Kampala nel 1969: "Non abbiate paura della Chiesa; ella vi onora, educa cittadini più onesti e leali per voi, non fomenta rivalità e divisioni, cerca di promuovere la salute, la giustizia sociale e la pace. Se ha fra tutti una preferenza, è per i poveri, per l'educazione dei più piccoli e del popolo, per la cura dei sofferenti e degli abbandonati. La Chiesa non rende i suoi fedeli estranei alla vita civile e agli interessi nazionali; al contrario, li educa ad impegnarsi nel servizio al bene comune" ("Allocutio in oede Parlamenti Uguodiensis habita" die 1 aug. 1969: Insegnamenti di Paolo VI, VII [1969] 548).

Questo è l'impegno della Chiesa in ogni parte del mondo. E a questo riguardo ho accolto con piacere il riferimento di sua eccellenza alla mia recente visita nell'Africa meridionale e al mio appello per la difesa dei diritti umani e per l'aiuto ai poveri e agli oppressi di quella regione. Il rispetto di questi diritti e la reale solidarietà, ad ogni livello, per le necessità dei popoli sono il fondamento della libertà, la giustizia e la pace nel mondo. Esprimo pertanto la speranza che le necessità del popolo ugandese trovino anch'esse una risposta concreta nella solidarieta e nell'aiuto degli altri governi ed organizzazioni internazionali, così che le legittime aspirazioni degli Ugandesi per la pace e il benessere possano essere realizzate.

Nel momento in cui vostra eccellenza comincia la sua missione diplomatica, le assicuro l'aiuto e la collaborazione della Santa Sede nel compimento delle sue responsabilità. Le offro le mie preghiere e gli auguri per il consolidamento delle buone relazioni già esistenti tra la Repubblica dell'Uganda e la Santa Sede. E sull'eccellenza vostra, il governo e il popolo dell'Uganda invoco copiose benedizioni dell'onnipotente Dio.

1989-03-16

Giovedi 16 Marzo 1989





GPII 1989 Insegnamenti - La visite pastorali del Vescovo di Roma