GPII 1988 Insegnamenti - Dall'Ospedale sant'Eugenio nuovo appello al mondo sanitario - Roma

Dall'Ospedale sant'Eugenio nuovo appello al mondo sanitario - Roma

Titolo: Scienza e coscienza siano al servizio della vita dal concepimento sino al suo naturale tramonto

Testo:


1. "Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio" (Is 40,5). Con queste parole del profeta Isaia, Giovanni Battista - come ci ricorda il Vangelo di questa seconda domenica di Avvento - invita i suoi contemporanei, e noi con loro, a preparare la via del Signore Gesù, salvatore del mondo (cfr. Lc 3,6). Una via che, nella giustizia e nell'amore, deve raddrizzare i sentieri tortuosi, spianare le cime impervie, colmare i burroni profondi (cfr. Is 40,1-4). La via della salvezza si apre con la nascita di Cristo Verbo eterno di Dio, che sceglie di incarnarsi nella più fragile delle condizioni umane, affinché ogni uomo abbia la vita e conosca la salvezza (Ph 2,4-9).

Nel nome di Cristo sono lieto di incontrarmi oggi con voi infermi, con voi operatori sanitari e amministratori, e con quanti vi siete raccolti in questa grande e moderna istituzione ospedaliera della città di Roma.

Rivolgo il mio deferente e cordiale saluto alle autorità religiose e civili presenti, agli illustri dirigenti e rappresentanti del mondo scientifico e sanitario, al personale di assistenza e di amministrazione e, in particolare, a voi, carissimi ammalati, che siete la prima ragione della mia odierna visita.

Da quando Cristo ha scelto di farsi uomo, in lui "ogni uomo diventa la via della Chiesa e lo diventa in modo speciale quando nella sua vita entra la sofferenza" ("Salvifici Doloris", 3). Tra voi, oggi, fratelli e sorelle di questa vasta comunità ospedaliera, si realizza il mistero dell'incontro di Dio con l'uomo, poiché ovunque ci si riunisce nel nome del Signore, si compie il miracolo della sua presenza che è promessa e garanzia di salvezza delle anime e dei corpi.

Cristo stesso ha scelto la sofferenza per trasformarla, attraverso l'amore, in potenza redentrice.


2. Il tempo dell'Avvento e della preparazione al Natale di Gesù trovano, in un luogo di sofferenza e di cura, il loro più profondo significato. Tra queste mura la scienza e l'amore solidale sono chiamati a difendere ed a promuovere la vita nel nome del Signore della vita, di Gesù che, essendo Dio, volle assumere la vita dell'uomo per immetterla sulla via della salvezza. Nel mistero della redenzione il male della sofferenza diventa forza liberatrice, poiché ogni sofferenza umana, unita a quella del Salvatore, completa "ciò che manca ai patimenti di Cristo nella persona che soffre, a favore del suo corpo" (cfr. Col 1,24), che è la Chiesa. La sofferenza serve la causa del Regno di Dio, contribuisce a spianare la strada del Signore che viene.

Ecco, dunque, lo spirito dell'attesa trepida e gioiosa che caratterizza il tempo liturgico dell'Avvento, illuminato dalla presenza supplice della Vergine santissima, Madre di Dio e madre nostra, ci introduce a comprendere il significato vero ed ultimo della sofferenza e del servizio a coloro che soffrono. Non a caso i poveri, gli umili di cuore, i semplici furono i primi ad accorrere alla grotta di Betlemme, i primi a vedere - secondo le parole del profeta - "la salvezza di Dio".

Non li guidava un calcolo umano, ma una luce che veniva dall'alto: ad accogliere quella luce li avevano preparati i disagi di una vita segnata dalla fatica, dalla privazione, dal dolore.


3. Il nostro odierno incontro avviene in questa vasta struttura sanitaria che porta il nome di sant'Eugenio Papa, direttamente richiamandosi ad un altro mio grande predecessore di venerata memoria, Pio XII, Eugenio Pacelli.

Quando, il 9 giugno 1957, veniva inaugurato questo ospedale, i promotori dell'iniziativa del Pio Istituto Santo Spirito vollero che vi fosse scoperto un busto a Pio XII. Oggi a oltre trent'anni da quella data, il richiamo a questo sommo Pontefice si ripropone con grande attualità. L'ospedale sant'Eugenio, infatti, sorgeva sia per rispondere alle esigenze di una zona di Roma che si avviava a rapida crescita, sia quale espressione di gratitudine ad un Papa che aveva intuito e coraggiosamente promosso, in questa Chiesa di Roma, la pastorale sanitaria. In un tempo in cui essa si mostrava carente, Pio XII guardo alla pastorale sanitaria come ad un dovere irrinunciabile del suo ministero pastorale.

Con sensibilità precorritrice, il venerato Pontefice riconobbe ed affermo che, dove l'uomo soffre e dove è in atto il servizio a chi soffre, la Chiesa ha un campo privilegiato di azione in stretta sintonia con la sua missione.

Non solo, ma intervenendo con il suo magistero sui più svariati temi della ricerca scientifica e della prassi medica preventiva, curativa, riabilitativa, Pio XII seppe dettare norme morali di così luminosa saggezza da fare dei suoi "Discorsi ai Medici" una sorta di moderno testo di bioetica. Nota caratteristica in tale insegnamento è il costante riferimento al nesso che deve sempre esservi tra scienza e coscienza, tra medicina e morale. Diceva: "La persona del medico, come tutta la sua attività si muovono costantemente nell'ordine morale e sotto l'impero delle sue leggi. In nessuna dichiarazione, in nessun consiglio, in nessun provvedimento, in nessun intervento, il medico può trovarsi al di fuori del terreno della morale, svincolato e indipendente dai principi fondamentali dell'etica e della religione" (Pio XII, "Discorsi ai medici", Roma, 6, 1961, 49).


4. Oggi, in questo complesso ospedaliero dell'Unità Sanitaria locale Roma-7, sono presenti alcune cattedre della Facoltà di Medicina della seconda Università di Roma-Tor Vergata. In questo luogo, perciò, in maniera prioritaria e privilegiata, studiosi, ricercatori, medici, infermieri ed infermiere, operatori volontari sono chiamati al comune impegno di servire la vita con amore e con pieno rispetto delle leggi di Dio. Quanto più si perfezionano conoscenza e strumenti di prevenzione e di cura, tanto più scienza e coscienza, perizia professionale ed etica umana hanno l'obbligo di rispondere insieme, in convergente e costruttiva armonia, alla domanda di vita del fratello che soffre. La grandezza e la nobiltà, la vera storia di una struttura sanitaria sono costruite dalla gratitudine che ad essa devono quanti ne hanno ricevuto assistenza ed aiuto sia nello spirito che nel corpo, giacché la salute fisica ha nel benessere spirituale la propria condizione ed il proprio sostegno.

In soli tre decenni, da quando questo ospedale fu costruito, questa parte di Roma si è estesa oltre ogni previsione. Nel frattempo, la socializzazione della medicina ha moltiplicato le esigenze dell'assistenza sanitaria. Il personale medico e paramedico è oggi chiamato a rispondere a sempre nuovi compiti, soprattutto nel campo della prevenzione e della educazione sanitaria. Alla formazione professionale deve aggiungersi una attenta, consapevole e responsabile formazione morale. Le malattie più diffuse nel nostro tempo investono in maniera crescente l'equilibrio fisico, psichico e spirituale. Affinché si abbia una medicina veramente umana ed umanizzata occorre una nuova sensibilità che guardi al mistero della vita in tutte le sue componenti.

E tutto questo mentre più tenaci, sottili ed anche pretestuose si fanno le aggressioni alla vita ed alla sua integrità.


5. Sorto nel nome del santo, costruito come atto di gratitudine ad un Papa che fu pioniere dell'attenzione ai problemi della ricerca e della prassi medica, questo ospedale deve trovare nelle stesse motivazioni della sua origine un incentivo a guardare al proprio servizio sociale come a una missione da assolvere con ogni dedizione e competenza. La Chiesa offre a tal fine la propria collaborazione. Essa infatti si sente vicina al mondo della sanità e della salute, come lo fu il suo divino Maestro. Le straordinarie possibilità offerte oggi alla medicina dal progresso della scienza e della tecnica interpellano i credenti chiedendo loro una testimonianza coraggiosa e coerente, affinché il progresso, divenuto strumento della civiltà dell'amore, sia veramente al servizio della vita. Nel difendere e promuovere la vita, dal suo concepimento al suo naturale tramonto, la Chiesa sa di assolvere un suo compito primario, sia sul piano della dottrina sia sul piano della prassi.

Ai padri cappellani, alle religiose infermiere, al consiglio pastorale ed ai laici più impegnati nel servizio degli infermi rinnovo la viva esortazione ad operare per una pastorale sanitaria sempre più efficace. Ogni struttura ospedaliera consapevole, nei suoi componenti, della sua missione è chiamata oggi a raccogliere questa sfida, dall'esito della quale dipende il futuro dell'umanità.

Il Signore della vita, che ci accingiamo a celebrare nella memoria della sua natività, accompagni e guidi ogni vostro lavoro, sostenga quanti sono a voi affidati e, mediatrice la Vergine, salute degli infermi, faccia di questo luogo un tempio nel quale ogni giorno si innalzi un inno alla vita.

Con la mia benedizione!


Data: 1988-12-04 Data estesa: Domenica 4 Dicembre 1988




A un gruppo di pellegrini catalani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Riscattate i vostri storici valori umani e cristiani per far fronte alle necessità della società di oggi"

Testo:

Signor Cardinale, fratelli nell'episcopato, eccellentissimo presidente della Generalità di Catalogna, carissimi fratelli e sorelle.


1. E' per me motivo di grande soddisfazione trovarmi questa mattina fra tutti voi pastori e fedeli delle diocesi catalane, che avete voluto commemorare il "Millennio della Catalogna" con un pellegrinaggio alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo.

A tutti e a ciascuno dei presenti desidero porgere il mio cordiale saluto. So che siete giunti a Roma, centro della cattolicità, con il proposito di rinnovare la vostra professione di fede, la vostra adesione a Cristo e a questa Sede apostolica, rinvigorendo così la linfa delle vostre radici cristiane.

Conservo ancora molto vivo il ricordo commovente delle fervide celebrazioni di fede e amore vissute a Montserrat e a Barcellona, durante la prima visita pastorale in Spagna, sei anni fa. Ho avuto allora l'opportunità di rendermi conto della nobiltà dell'animo catalano, della laboriosità della sua gente, delle manifestazioni di affetto per il successore di Pietro.

La ricorrenza che state commemorando non deve ridursi semplicemente al ricordo storico del vostro cammino come popolo.

Deve servire a prendere coscienza, ancora una volta, del fatto che il cristianesimo è stato un elemento molto importante nella formazione dell'identità della Catalogna in questi mille anni della sua storia. Per questo, bisogna sottolineare che l'azione della Chiesa, in particolare attraverso le piccole parrocchie, è andata formando il popolo catalano in tutte le caratteristiche che gli sono proprie: culturali, socio-politiche ed economiche.

Questa eredità è un appello ad accrescere le virtù civili, umane e cristiane che hanno distinto i figli e le figlie della Catalogna.


2. In questa circostanza desidero esortare tutti a rinnovare la vostra fedeltà a Cristo: nel conoscerlo meglio, nell'amarlo ancora di più, nel seguirlo incondizionatamente; - la vostra fedeltà alla Chiesa, sposa di Cristo, la quale ci dà la sua Parola e ci dona i mezzi di salvezza esortandoci a formare un popolo di fratelli, figli di Dio; - la vostra fedeltà all'uomo, creato a immagine di Dio, la cui dignità deve essere sempre rispettata e i diritti tutelati.

Con la tenacia che viene dalla virtù della fortezza restate fedeli alle vostre radici cristiane, traducendo la vostra fede in opere che rendano più visibile il Vangelo nella vostra società, nelle vostre famiglie e nelle vostre stesse vite.

Come ho avuto occasione di dire nel nostro indimenticabile incontro al Nou Camp di Barcellona, anche adesso desidero esortarvi ad evitare il miraggio in cui si può cadere quando si desidera cambiare la società "cambiando soltanto le strutture esterne o cercando unicamente la soddisfazione dei bisogni materiali dell'uomo". Al contrario, bisogna "cominciare cambiando se stessi; rinnovandosi moralmente, distruggendo le radici dell'egoismo e del peccato che si annidano in ogni cuore" ("Homilia ad Missam in urbe "Barcellona"", 5, die 7 nov. 1982: , V, 3 [1982] 1210). Frutto di questo cambiamento interiore deve essere la solidarietà che dobbiamo esercitare attraverso azioni concrete in favore dei poveri e degli emarginati che ci circondano.


3. Per questo, invito tutte le famiglie della Catalogna affinché, nell'amore, nell'unità e nella santità della loro vocazione, assumano la missione di riscattare e preservare i valori cristiani, etici ed umani che l'hanno formata nel suo divenire storico e di cui la società attuale ha tanto bisogno.

Promuovendo le virtù in seno alle vostre famiglie aprirete nuove strade e darete ragioni di speranza alla gioventù, che nonostante il permissivismo e il consumismo cerca tuttavia ideali mobili che diano senso alle sue legittime aspirazioni a un mondo più giusto e fraterno. Ai rappresentanti di questa gioventù della Catalogna che sono giunti numerosi a Roma, ripeto l'invito che ho rivolto ai giovani di Barcellona con i quali ho condiviso un'indimenticabile veglia lo scorso anno a Castel Gandolfo: "Siate ragazzi e ragazze dalla personalità decisa. Non lasciatevi ingannare da falsi profeti che annunciano una felicità facile ma effimera o che predicano ideologie apertamente o larvatamente contrarie al Vangelo" (9 agosto 1987).


4. Desidero concludere questo incontro rivolgendomi alla Madre di Dio di Montserrat, la "Moreneta", come la chiamate familiarmente, per porre sotto la sua protezione le intenzioni dei Vescovi della Catalogna, dei suoi sacerdoti e delle persone consacrate; le aspirazioni di una vita cristiana più autentica nelle parrocchie e comunità; gli ideali evangelici dei laici impegnati; la retta e sana educazione della gioventù; i bisogni dei poveri e degli abbandonati; la solitudine degli anziani; il dolore dei malati, degli emarginati e di tutti coloro che soffrono.

Con tutti voi desidero ripetere la preghiera che avete recitato in occasione di questo millennio: "Voi siete la Madre di tutti gli uomini, proteggete soprattutto le famiglie di questo popolo catalano; che siano centri di amore e vita, che formino quegli uomini e quelle donne di cui hanno bisogno la nostra Patria e la nostra Chiesa... Affidiamo al vostro cuore di Madre tutti gli abitanti della Catalogna.

Affinché, vivendo sempre nel vincolo fraterno della carità, e testimoniando i valori del Vangelo, possano ordinare la vita sociale secondo la volontà di Dio".

Con grande affetto imparto a tutti la mia benedizione apostolica.


Data: 1988-12-05 Data estesa: Lunedi 5 Dicembre 1988




Messaggio per il 40° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'azione dell'ONU per i diritti umani strumento per affermare una pace stabile

Testo:

A sua eccellenza Dante Caputo presidente della XLIII assemblea generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.

Il 10 dicembre 1948, adottando e pubblicando la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, l'assemblea generale delle Nazioni Unite intendeva rispondere alle preoccupazioni di un momento storico in cui "il mancato riconoscimento e il disprezzo dei diritti dell'uomo ha condotto ad atti di barbarie che ripugnano alla coscienza dell'umanità". L'assemblea generale voleva anche affermare che una delle più grandi aspirazioni dell'uomo è di veder riconoscere la dignità della persona umana, e auspicava un mondo in cui tutti godessero della libertà di parlare e di credere. In questo senso, la Dichiarazione esprime l'ideale comune da raggiungere da parte di tutti i popoli e tutte le nazioni, attraverso progressive misure di ordine nazionale e internazionale.

La celebrazione del quarantesimo anniversario della Dichiarazione fornisce una nuova occasione di vedere in quale misura gli ideali, accettati dalla maggior parte della comunità internazionale dei popoli nel 1948, siano stati rispettati e anche di valutare la realtà della promozione dei diritti e delle libertà nelle diverse legislazioni nazionali e, più ancora, nella coscienza degli individui e delle collettività.

So che durante i trascorsi quarant'anni sono state prese importanti decisioni da parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e che sforzi considerevoli si sono attuati per sostenere gli ideali della Dichiarazione e per creare gli strumenti giuridici propri per mettere in atto i suoi principi fondamentali. Si tratta di un merito indiscutibile delle Nazioni Unite. Ma ancora non si è giunti al termine del cammino, come testimoniano i numerosi lavori delle commissioni "ad hoc", istituite per precisare l'applicazione dei principi, per elaborare adeguati strumenti giuridici e per esaminare le violazioni dei diritti umani dovunque si verifichino.

In questo spirito, si rivela indispensabile che i responsabili della vita pubblica agiscano con rinnovata determinazione, affinché gli stati garantiscano ai cittadini l'effettivo godimento dei diritti umani. Solo a questo prezzo si potrà raggiungere quel livello superiore di civiltà auspicato dagli estensori della Dichiarazione.

Come non vedere, infatti, che ancora oggi centinaia di milioni di esseri umani hanno costantemente minacciati i loro diritti alla vita, alla libertà, alla sicurezza; che non viene rispettata l'uguaglianza tra tutti nè la dignità di ciascuno; che nuove barriere vengono innalzate per motivi legati alla razza, al colore, al sesso, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche o altre convinzioni, all'origine nazionale o sociale? E che dire ancora di certe violazioni più sottili, ma che recano offesa ugualmente ai diritti delle persone e dei gruppi? La Chiesa, da parte sua, ha ricevuto dal fondatore Gesù Cristo il compito di proclamare l'uguale dignità di tutte le persone in quanto figli di Dio.

Ella non ha mancato, nel corso di questi quarant'anni, di riaffermare il fondamento trascendente dei diritti umani e di incoraggiare le iniziative per promuovere questi diritti. Secondo l'insegnamento della Chiesa, i diritti dell'uomo sono fondati in Dio creatore: egli ha dato ad ognuno l'intelligenza e la libertà; egli ha voluto che l'organizzazione della società sia posta al servizio dell'uomo.

Signor presidente, nell'attuale circostanza, sono lieto di rinnovare all'Onu i miei fervidi auguri perché la sua azione al servizio dei diritti umani sia feconda, perché questi diritti costituiscono la base di un ordine sociale giusto e, contemporaneamente, l'ideale comune da perseguire. Sono convinto che questa azione contribuisca efficacemente a rafforzare per il mondo intero le vie di una pace stabile e che questa sia la risposta migliore alle aspirazioni essenziali espresse nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.

Dal Vaticano, 6 dicembre 1988.


Data: 1988-12-06 Data estesa: Martedi 6 Dicembre 1988




Lettera al Cardinale Primatesta

Testo:

Al nostro venerabile fratello Cardinale Raul Francisco Primatesta Arcivescovo di Cordoba in Argentina.

Tra le gioie più grandi del nostro animo e tra i frutti più fertili del nostro apostolato si deve annoverare l'ultimo nostro viaggio apostolico presso la comunità cattolica e lo stato del Paraguay lo scorso mese di maggio poiché, sebbene solo per pochi giorni, ci fu possibile partecipare di persona alle celebrazioni in occasione dell'anno eucaristico nazionale con i nostri fratelli nell'episcopato e con il dilettissimo clero e l'amato popolo cristiano del Paraguay; l'anno eucaristico nazionale era stato indetto dai pastori di tale nazione ed era stato promulgato perché i cristiani si preparassero spiritualmente, fossero opportunamente istruiti, e ordinassero la loro vita a celebrare il secondo Congresso Eucaristico Nazionale della nazione del Paraguay, del quale noi con animo lieto vediamo avvicinarsi l'inizio.

Sappiamo infatti che nella diocesi di Caacupé per dieci giorni dal 28 novembre alla solennità della Immacolata Concezione si celebrerà il secondo Congresso eucaristico del Paraguay dal quale - secondo i nostri stessi fratelli nell'episcopato - si aspetta non solo il rinnovamento della vita della comunità cristiana e della religiosità per i prossimi anni, ma anche ci si augura con fiducia un "nuovo Paraguay" sempre più conforme alle istituzioni cristiane e agli insegnamenti del Vangelo di Cristo. perciò non ci siamo affatto meravigliati che nel mese di maggio si commemorasse così seriamente l'anno eucaristico e con tanto provvide decisioni si preparasse dappertutto e si comunicasse ai fedeli e si annunciasse questo evento salvifico del Congresso eucaristico che porterà un sensibile contributo alla fede e alla azione cattolica in tutto il popolo, con l'aiuto di Dio.

Vale la pena di dire perciò con quanta attenzione e passione del nostro animo, con quanta consolazione di pastore supremo della Chiesa, con quanto fervore da tempo noi aspettiamo le solennità e le iniziative di questo Congresso eucaristico, i riti e le celebrazioni e preghiamo Dio che un evento così desiderato e tanto religiosamente preparato abbia il più felice esito e dia i suoi frutti spirituali nella Chiesa del Paraguay nei prossimi anni.

Sebbene con tale affetto paterno noi da lontano parteciperemo alla gioia e all'eccezionalità di questa celebrazione eucaristica, tuttavia perché da tutti sia recepita con più certezza ed evidenza la nostra vera presenza nella città di Caacupé in quei suddetti giorni, nominiamo te, venerabile fratello, nostro inviato speciale al Congresso Eucaristico del Paraguay e ti affidiamo l'incarico di rappresentarci alle varie riunioni e adunanze, alle celebrazioni liturgiche e alle assemblee pubbliche con dignità e autorità. Infatti conosci bene il nostro pensiero sul mistero eucaristico e il nostro affetto per la Chiesa del Paraguay; tutto questo tu manifesterai con le tue parole come interprete nostro.

Sarai dunque presente a Caacupé per noi e saluterai a nome nostro tutti i partecipanti al congresso.

Incoraggerai gli organizzatori del congresso e i sacri ministri di tutta la nazione perché abbiano fiducia che ciò che hanno sperato che verrà da quel Congresso eucaristico, con l'aiuto di Gesù Cristo, mediante l'opera della sua Chiesa in terra, con il sostegno del Successore di Pietro a Roma. si verificherà con abbondanza e pienezza, con l'aiuto della benedizione apostolica che impartirai per noi a tutti gli astanti.


Data: 1988-12-06 Data estesa: Martedi 6 Dicembre 1988









Il messaggio per la Giornata Mondiale della Pace - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Per costruire la pace rispettare le minoranze

Testo:

Introduzione


1. "Fin dal secolo XIX si è sviluppata e affermata dappertutto nel mondo una tendenza in campo politico, per cui avviene che gli uomini della medesima stirpe vogliono essere indipendenti e costituirsi in una sola nazione. E poiché questo, per un insieme di cause, non sempre può essere realizzato, ne consegue che le minoranze etniche si trovano frequentemente incluse entro i confini nazionali di un'altra stirpe, e da ciò insorgono problemi assai gravi" (Ioannes XXIII PT 35, III, 35).

Con queste parole, venticinque anni or sono, il mio predecessore Giovanni XXIII di v.m. indicava una delle questioni più delicate della società contemporanea, che col passare degli anni è diventata sempre più urgente, perché essa riguarda tanto l'organizzazione della vita sociale e civile all'interno di ciascun Paese, quanto la vita della comunità internazionale.

E' per questo che, volendo scegliere un tema specifico per la prossima Giornata Mondiale della Pace, ritengo opportuno proporre alla comune riflessione l'argomento delle minoranze, essendo tutti noi ben consapevoli che - come ha affermato il Concilio Vaticano II - "la pace non è la semplice assenza di guerra, nè può ridursi unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze contrastanti" (GS 78), ma è un processo dinamico che deve tener conto di tutti gli elementi, come delle cause che la favoriscono o la turbano.

E' indubbio che, in questo momento di distensione internazionale, dovuto ad intese e mediazioni che fanno intravvedere possibili soluzioni in favore dei popoli vittime di conflitti sanguinosi, la questione delle minoranze stia assumendo rilevante importanza e costituisca, quindi, per ogni dirigente politico o responsabile di gruppi religiosi e per ogni uomo di buona volontà, oggetto di attenta riflessione.


2. In quasi tutte le società oggi esistono le minoranze, quali comunità che traggono origine da diverse tradizioni culturali, da appartenenza razziale ed etnica, da credenze religiose, o anche da vicissitudini storiche; alcune sono di antica data, altre di più recente costituzione. Le situazioni, in cui vivono, sono tanto differenti, che è quasi impossibile tracciarne un quadro completo. Da un lato, vi sono gruppi assai piccoli, capaci di preservare e affermare la propria identità, e che sono ben integrati nelle società alle quali appartengono. In alcuni casi questi gruppi minoritari riescono addirittura ad imporre il loro predominio sulla maggioranza numerica nella vita pubblica. D'altro lato, si osservano minoranze che non esercitano influenza e non godono pienamente dei loro diritti, ma si trovano anzi in situazione di sofferenza e di disagio. Ciò può condurre tali gruppi o ad una rassegnazione apatica, o ad uno stato di agitazione e, perfino, alla ribellione. Tuttavia, nè la passività, nè la violenza sono vie adeguate a creare le condizioni di una pace autentica.

Alcune minoranze sono accomunate da un'altra esperienza: la separazione o l'emarginazione. E' pur vero che, a volte, un gruppo può liberamente scegliere di vivere a parte per proteggere la propria cultura, ma è più spesso vero che le minoranze si trovano davanti a barriere che le isolano dal resto della società. In tale contesto, mentre la minoranza tende a chiudersi in se stessa, la popolazione maggioritaria può nutrire un atteggiamento di rigetto nei confronti del gruppo minoritario nel suo insieme o nei suoi singoli componenti. Quando ciò si verifica, essi non sono in grado di contribuire attivamente e creativamente a una pace costruita sulla accettazione delle legittime differenze.

Principi fondamentali 3. In una società nazionale, composta da differenti gruppi umani, sono due i principi comuni, ai quali non è possibile derogare, che anzi devono essere posti alla base di ogni organizzazione sociale.

Il primo principio è l'inalienabile dignità di ciascuna persona umana, senza distinzioni relative alla sua origine razziale, etnica, culturale, nazionale o alla sua credenza religiosa. Nessuna persona esiste per sè sola, ma trova la sua più compiuta identità in rapporto con gli altri: altrettanto si può affermare dei gruppi umani. Questi, infatti, hanno un diritto all'identità collettiva che va tutelato conformemente alla dignità di ogni loro componente. Tale diritto rimane inalterato anche nei casi in cui il gruppo, o uno dei suoi membri, agisce contro il bene comune. In tali casi la presunta azione illecita deve essere presa in esame dalle autorità competenti, senza per questo che tutto il gruppo sia condannato, perché ciò contrasta con la giustizia. A loro volta, i membri delle minoranze hanno l'obbligo di trattare gli altri con lo stesso rispetto e senso della dignità.

Il secondo principio riguarda l'unità fondamentale del genere umano, il quale trae la sua origine da un unico Dio creatore che, secondo il linguaggio della Sacra Scrittura, "da un solo ceppo ha fatto discendere tutte le stirpi degli uomini e le ha fatte abitare su tutta la faccia della terra" (Ac 17,26). L'unità del genere umano comporta che l'umanità tutta, al di sopra delle sue divisioni etniche, nazionali, culturali, religiose, formi una comunità senza discriminazioni fra i popoli, e che tenda alla solidarietà reciproca. L'unità esige pure che le diversità dei membri della famiglia umana siano messe al servizio di un rafforzamento della stessa unità, anziché costituire un motivo di divisione.

L'obbligo di accettare e di tutelare la diversità non appartiene solo allo Stato o ai gruppi. Ogni persona, come membro dell'unica famiglia umana, deve comprendere e rispettare il valore della diversità tra gli uomini e ordinarlo al bene comune. Un'intelligenza aperta, desiderosa di conoscere meglio il patrimonio culturale delle minoranze con cui viene a contatto, contribuirà ad eliminare gli atteggiamenti ispirati da pregiudizi che ostacolano le sane relazioni sociali. Si tratta di un processo che va perseguito continuamente, poiché simili atteggiamenti rinascono troppo spesso sotto nuove forme.

La pace all'interno dell'unica famiglia umana esige un costruttivo sviluppo di ciò che ci distingue come individui e come popoli, di ciò che rappresenta la nostra identità. D'altro lato, essa richiede da parte di tutti i gruppi sociali, che siano o meno costituiti in Stato, una disponibilità a contribuire all'edificazione di un mondo pacifico. La micro-comunità e la macro-comunità sono legate da diritti e doveri reciproci, la cui osservanza serve a consolidare la pace.

Diritti e doveri delle minoranze 4. Una delle finalità dello Stato di diritto è che tutti i cittadini possano godere della pari dignità e della eguaglianza davanti alla legge. Nondimeno, l'esistenza di minoranze, come gruppi riconoscibili all'interno di uno Stato, pone la questione dei loro specifici diritti e doveri. Molti di tali diritti e doveri riguardano proprio la relazione che si instaura tra i gruppi minoritari e lo Stato. In alcuni casi, i diritti sono stati codificati e le minoranze godono di una specifica tutela giuridica. Ma non di rado, anche dove lo Stato assicura simile tutela, le minoranze si trovano a soffrire discriminazioni ed esclusioni di fatto: in tali casi, lo Stato stesso ha l'obbligo di promuovere e favorire i diritti dei gruppi minoritari, giacché la pace e la sicurezza interna potranno essere garantite solo mediante il rispetto dei diritti di tutti coloro che si trovano sotto la sua responsabilità.


5. Il primo diritto delle minoranze è il diritto a esistere. Tale diritto può essere disatteso in diverse maniere, fino ai casi estremi in cui è negato mediante forme manifeste o indirette di genocidio. Il diritto alla vita, in quanto tale, è inalienabile, ed uno Stato che persegua o tolleri atti tendenti a mettere in pericolo la vita dei suoi cittadini appartenenti a gruppi minoritari viola la legge fondamentale che regola l'ordine sociale.


6. Il diritto a esistere può essere insidiato anche con forme più sottili. Alcuni popoli, in particolare quelli qualificati come autoctoni e aborigeni, hanno sempre avuto con la loro terra uno speciale rapporto, che si collega con la loro stessa identità, con le proprie tradizioni tribali, culturali e religiose. Quando le popolazioni indigene sono private della loro terra, perdono un elemento vitale della propria esistenza e corrono il rischio di scomparire in quanto popolo.


7. Un altro diritto da salvaguardare è il diritto delle minoranze a preservare e a sviluppare la propria cultura. Non è raro il caso in cui gruppi minoritari sono minacciati di estinzione culturale. In alcuni luoghi, infatti, è stata adottata una legislazione che non riconosce loro il diritto a usare la propria lingua.

Talora sono imposti anche cambiamenti di nomi patronimici e topografici. Talora le minoranze vedono ignorate le loro espressioni artistiche e letterarie e non trovano spazio nella vita pubblica per le loro festività e celebrazioni, e ciò può condurre alla perdita di una cospicua eredità culturale. Strettamente connesso con questo diritto è quello ad avere relazioni con i gruppi che hanno un'eredità culturale e storica comune e vivono su territori di altri Stati.


8. A questo punto faro solo una breve menzione del diritto alla libertà religiosa, essendo già stato oggetto del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace dello scorso anno. Tale diritto appartiene a tutte le comunità religiose, oltre che alle persone, ed include la libera manifestazione sia individuale che collettiva della convinzione religiosa. Ne consegue che queste minoranze devono poter celebrare comunitariamente il loro culto secondo i propri riti. Esse devono anche essere in grado di provvedere all'educazione religiosa mediante un insegnamento appropriato e di disporre dei mezzi necessari.

E', inoltre, assai importante che lo Stato assicuri e promuova efficacemente la tutela della libertà religiosa in particolar modo quando, accanto ad una forte maggioranza di credenti di una determinata religione, ci sono uno o più gruppi minoritari aderenti ad un'altra confessione.

Infine, alle minoranze religiose deve essere garantita una giusta libertà di scambi e di relazioni con altre comunità, sia all'interno che all'esterno del proprio ambito nazionale.


9. I diritti fondamentali dell'uomo sono oggi sanciti in vari documenti internazionali e nazionali. Per quanto essenziali possano essere tali strumenti giuridici, essi non bastano ancora a far superare atteggiamenti di pregiudizio e di diffidenza profondamente radicati, nè ad eliminare quei modi di pensare che ispirano azioni dirette contro membri di gruppi minoritari. La traduzione della legge nel comportamento costituisce un processo lungo e lento, soprattutto in vista della rimozione di simili atteggiamenti, ma non per questo tale processo diventa impresa meno urgente. Non solo lo Stato, ma anche ogni persona ha l'obbligo di fare il possibile per raggiungere questo traguardo. Lo Stato, tuttavia, può svolgere un ruolo importante col favorire la promozione di iniziative culturali e di scambi che facilitino la mutua comprensione, come pure di programmi educativi che aiutino a formare i giovani al rispetto degli altri ed a respingere tutti i pregiudizi, molti dei quali derivano da ignoranza. I genitori poi hanno una grande responsabilità, poiché i bambini apprendono molto osservando e sono portati ad adottare gli atteggiamenti dei genitori nei confronti di altri popoli e gruppi.

Non c'è dubbio che lo sviluppo di una cultura basata sul rispetto per gli altri è essenziale alla costruzione di una società pacifica, ma è purtroppo evidente che la pratica effettiva di tale rispetto incontra oggi non lievi difficoltà.

In concreto lo Stato deve vigilare, affinché non sorgano nuove forme di discriminazione, come per esempio nella ricerca di un alloggio o di un posto di lavoro. I provvedimenti dei pubblici poteri in tal campo sono spesso lodevolmente integrati da generose iniziative di associazioni di volontari, di organizzazioni religiose, di persone di buona volontà, le quali cercano di ridurre le tensioni e di promuovere una maggiore giustizia sociale, aiutando tanti fratelli e sorelle a trovare un'occupazione e una dimora degna.


10. Problemi delicati sorgono quando un gruppo minoritario presenta rivendicazioni che hanno particolari implicazioni politiche. Talvolta il gruppo cerca l'indipendenza o, almeno, una maggiore autonomia politica.

Desidero ribadire che, in tali delicate circostanze, dialogo e negoziato sono il cammino obbligato per raggiungere la pace. La disponibilità delle parti ad accettarsi ed a dialogare è un requisito indispensabile per arrivare a un'equa soluzione di problemi complessi che possono attentare seriamente alla pace. Al contrario, il rifiuto del dialogo può aprire la porta alla violenza.

In talune situazioni di conflitto gruppi terroristici si arrogano indebitamente il diritto esclusivo di parlare in nome delle comunità minoritarie, privandole così della possibilità di scegliere liberamente e apertamente i propri rappresentanti e di cercare, senza intimidazioni, soluzioni adeguate. Inoltre, i membri di tali comunità troppo spesso soffrono per gli atti di violenza commessi abusivamente in loro nome.

Mi ascoltino coloro che si sono messi sulla via inumana del terrorismo: colpire ciecamente, uccidere innocenti o compiere sanguinose rappresaglie non favorisce un'equa valutazione delle rivendicazioni avanzate dalle minoranze, per le quali essi pretendono di agire (cfr. SRS 24)!


11. Ogni diritto comporta corrispondenti doveri. Anche i membri dei gruppi minoritari hanno i loro propri doveri nei confronti della società e dello Stato in cui vivono: in primo luogo, quello di cooperare, come tutti gli altri cittadini, al bene comune. Le minoranze devono, infatti, offrire il loro specifico contributo alla costruzione di un mondo pacifico che rifletta la ricca diversità di tutti i suoi abitanti.

In secondo luogo, un gruppo minoritario ha il dovere di promuovere la libertà e la dignità di ciascuno dei suoi membri e di rispettare le scelte di ogni suo individuo, anche quando uno decidesse di passare alla cultura maggioritaria.

In situazioni poi di reale ingiustizia può toccare ai gruppi delle minoranze emigrati all'estero di reclamare il rispetto dei legittimi diritti per i membri del loro gruppo rimasti oppressi nel luogo di origine ed impediti di far sentire la loro voce. In tali casi, pero, si deve usare una grande prudenza e un lucido discernimento, specialmente quando non si è in grado di avere informazioni oggettive circa le condizioni di vita delle popolazioni coinvolte.

Tutti i membri di gruppi minoritari, ovunque siano, vorranno valutare consapevolmente la fondatezza delle loro rivendicazioni alla luce dell'evoluzione storica e della realtà attuale. Non farlo comporterebbe il rischio di rimanere prigionieri del passato e senza prospettive per l'avvenire.

Per costruire la pace 12. Dalle riflessioni precedenti si delinea il profilo di una società più giusta e pacifica, al cui avvento tutti abbiamo la responsabilità di contribuire con ogni possibile sforzo. La sua costruzione richiede un forte impegno per eliminare non solo le discriminazioni manifeste, ma anche tutte quelle barriere che dividono i gruppi. La riconciliazione secondo giustizia, rispettosa delle legittime aspirazioni di tutte le componenti della comunità, deve essere la regola. Al di sopra di tutto e in tutto, la paziente trama per tessere una convivenza pacifica trova vigore e compimento nell'amore che abbraccia tutti i popoli. Tale amore può esprimersi in innumerevoli, concrete forme di servizio alla ricca diversità del genere umano, uno per origine e per destino.

La crescente consapevolezza, che si avverte oggi ad ogni livello nei riguardi della condizione delle minoranze, costituisce nel nostro tempo un segno di sicura speranza per le nuove generazioni e per le aspirazioni di tali gruppi minoritari. Infatti, il rispetto verso di essi va considerato, in qualche modo, come la pietra di paragone per un'armoniosa convivenza sociale e come l'indice della maturità civile raggiunta da un Paese e dalle sue istituzioni. In una società realmente democratica garantire la partecipazione alla vita pubblica delle minoranze è segno di elevato progresso civile, e ciò torna ad onore di quelle nazioni, nelle quali a tutti i cittadini è garantita una tale partecipazione in un clima di vera libertà.


13. Desidero, infine, rivolgere uno speciale appello alle mie sorelle e ai miei fratelli in Cristo. Noi tutti sappiamo per fede, qualunque sia la nostra origine etnica e ovunque viviamo, che in Cristo "possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito", perché siamo diventati "familiari di Dio" (Ep 2,18 Ep 2,19). Come membri dell'unica famiglia di Dio, non possiamo tollerare divisioni o discriminazioni tra noi.

Quando il Padre ha inviato suo Figlio sulla terra, gli ha affidato una missione di salvezza universale. Gesù è venuto, affinché tutti "abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10). Nessuna persona, nessun gruppo è escluso da questa missione di amore unificante, che ora è stata affidata a noi. Dobbiamo anche noi pregare, come fece Gesù proprio alla vigilia della sua morte, con le semplici e sublimi parole: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola" (Jn 17,21).

Tale preghiera deve costituire il nostro programma di vita, la nostra testimonianza, poiché come cristiani riconosciamo di avere un Padre comune, il quale non fa preferenza tra persone, "ama il forestiero e gli dà pane e vestito" (Dt 10,18).


14. Quando la Chiesa parla di discriminazione in generale o - come in questo messaggio - di quella particolare che colpisce i gruppi minoritari, essa si rivolge anzitutto ai propri membri, qualunque sia la loro posizione o responsabilità all'interno della società. Come non può esistere spazio di discriminazione nella Chiesa, così nessun cristiano può coscientemente incoraggiare o appoggiare strutture e atteggiamenti che dividono le persone dalle persone, i gruppi dai gruppi. Lo stesso insegnamento deve applicarsi a quanti fanno ricorso alla violenza e la sostengono.


15. Concludendo, desidero esprimere la mia spirituale vicinanza a quei membri di gruppi minoritari che sono nella sofferenza. Conosco i loro momenti di dolore ed i motivi di legittima fierezza. Elevo la mia preghiera, affinché le prove, in cui si trovano, abbiano presto a cessare e tutti possano godere in sicurezza dei propri diritti. Da parte mia, chiedo il conforto della preghiera, affinché la pace che cerchiamo sia sempre più la vera pace, edificata sulla "pietra angolare" (Ep 2,20) che è Cristo stesso.

Che Dio benedica tutti con i doni della sua pace e del suo amore.

Dal Vaticano, 8 dicembre dell'anno 1988.


Data: 1988-12-08 Data estesa: Giovedi 8 Dicembre 1988





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