GPII 1989 Insegnamenti - A conclusione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani - Ai fedeli riuniti, Roma

A conclusione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani - Ai fedeli riuniti, Roma

"Speriamo che il cammino avviato conduca finalmente alla piena unità nella verità"


"Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" (Ac 9,4).


1. Abbiamo riascoltato il racconto così vivo e drammatico della conversione dell'apostolo Paolo. Quello che si verifico in quel giorno sulla via di Damasco fu per il giovane ebreo, il quale stava fremendo "minaccia e strage contro i discepoli del Signore" (Ac 9,1), l'evento che decise irreversibilmente della sua vita. Fu l'incontro col Risorto a fare del giudeo, "formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna" (Ac 22,3), un ardente seguace della "nuova dottrina", contro la quale aveva fino ad allora ostinatamente lottato. Il persecutore fu trasformato in apostolo! Con quanta insistenza sarà tornata alla mente di Paolo la risposta data da Gesù alla domanda: "Chi sei, o Signore?" (Ac 9,5). Erano state parole sorprendenti, ma inequivocabili: "Io sono Gesù, che tu perseguiti!" (Ac 9,5).

Dunque, il Risorto, pur salito al cielo, continuava a vivere sulla terra: egli era presente nella sua Chiesa, egli era la Chiesa! L'insegnamento dell'apostolo Paolo sulla Chiesa "corpo di Cristo" ha la sua origine nell'esperienza da lui fatta lungo la via di Damasco. Era quello un insegnamento appreso dalla viva voce di Gesù! Ciò che egli spiegherà poi nelle sue grandi lettere è già tutto nell'intuizione abbagliante avuta nell'incontro immediato col Risorto: la Chiesa è un unico corpo, di cui Cristo è il capo e noi tutti siamo le membra. Ogni violenza, fatta al Corpo, è violenza che tocca Cristo, il quale s'identifica con le membra; ogni ferita, che lede questo Corpo, colpisce e lacera in qualche modo Cristo stesso.


2. Raccolti in questa patriarcale Basilica, che la pietà cristiana ha innalzato sulla "memoria" dell'Apostolo delle genti, vogliamo meditare proprio su questa fondamentale dottrina da lui trasmessaci. Lo facciamo nel giorno conclusivo della "Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani", che ha avuto quest'anno come tema peculiare una sua espressione singolarmente attinente a tale argomento: "Noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno, per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri" (Rm 12,5).

"Noi siamo un solo corpo in Cristo": non evidentemente un corpo fisico, nel quale le singole parti non conservino la loro individualità; e neppure soltanto un corpo morale, nel quale le membra siano unite fra loro da vincoli puramente esterni; ma un Corpo mistico, in cui le varie parti, pur conservando la loro individualità, sono unite strettamente fra loro da un unico principio di vita soprannaturale, che è lo Spirito Santo.

Ogni divisione, che s'insinua nella Chiesa, lacera quest'unico corpo, così da giustificare il grido indignato dell'Apostolo: "Cristo è forse diviso?" (1Co 1,13). Come non ricordare il sofferto commento di san Clemente Romano di fronte alle prime manifestazioni di dissenso nella Chiesa di allora: "Perché strappiamo e laceriamo le membra di Cristo e insorgiamo contro il nostro corpo, giungendo a tanta pazzia da dimenticarci che siamo membra gli uni degli altri?" ("Ep. ad Corintios", 46, 7).


3. Purtroppo la "pazzia" della divisione ha largamente infierito nella storia della Chiesa. Ed ai nostri giorni è certo da considerare una speciale grazia dello Spirito la rinnovata, più acuta preoccupazione per il valore dell'unità, che ha "toccato" il cuore di tutti i cristiani, spingendoli ad impegnarsi nell'impresa veramente storica di ricomporre antiche e recenti lacerazioni.

Dell'odierno movimento ecumenico - frutto di una diretta ed efficace mozione dello Spirito - s'è fatto interprete al più alto livello il Concilio Vaticano II, del quale proprio trent'anni fa, in questa medesima circostanza, da questa Basilica il mio venerato predecessore Giovanni XXIII dava al mondo il primo annuncio. Il Concilio pose tra i suoi principali intenti la "unitatis redintegratio inter universos Christianos promovenda", "il ristabilimento dell'unità da promuovere fra tutti i cristiani" (UR 2). E, nel novembre di quest'anno, ricorrerà il venticinquesimo anniversario della pubblicazione di questo fondamentale decreto, che costituisce come la "magna charta" del vero ecumenismo. In esso sono enunciati i principi ed indicati gli orientamenti per il dialogo tanto con le Chiese d'Oriente quanto con le Chiese e comunità ecclesiali d'Occidente.

Il tempo trascorso è stato benedetto dal Signore e, tra i cristiani, si è creata una nuova situazione: di migliore, reciproca conoscenza; di consolidamento dello spirito di fraternità; di più stretta vicinanza dottrinale e spirituale; di accresciuto impegno nella ricerca dell'unità.

I venticinque anni intercorsi hanno confermato la validità di quel documento conciliare, che ha guidato i cattolici nell'attuazione del loro impegno con sicurezza dottrinale e lungimiranza di prospettive. I Vescovi che hanno preso parte al Sinodo straordinario del 1985, analizzando l'impatto del Concilio sulla vita della Chiesa, si sono sentiti in grado di affermare che "l'ecumenismo si è iscritto profondamente e indelebilmente nella coscienza della Chiesa" (Synodi Extr. Episcoporum 1985, "Relatio Finalis" I, C. 7).


4. Questa ha manifestato il suo impegno ecumenico operando, contemporaneamente e in modo coordinato, in due direzioni. Da una parte ha riallacciato e reso più intensi i rapporti con le altre Chiese e comunità ecclesiali e, dall'altra, ha promosso lo spirito e l'azione ecumenica al proprio interno. I due aspetti sono intimamente connessi.

La creazione di un contesto di fiducia reciproca e di stima sincera con gli altri cristiani è il presupposto necessario affinché il dialogo sia fecondo.

In questo campo, la precisa raccomandazione dell'apostolo Paolo nel passo della lettera ai Romani, scelto per questa Settimana di preghiere, ci dà particolare luce e forza: "La carità non abbia finzioni... Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda" (Rm 12,9-10).

Questa dimensione, che giustamente è stata chiamata "dialogo della carità", ha posto le premesse per la serena discussione delle tradizionali divergenze, esistenti tra i cristiani. Tutti hanno sentito in modo più vivo l'esigenza dell'unità, per la quale Cristo stesso ha pregato alla vigilia della sua Passione: "Padre Santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, affinché siano una cosa sola come noi" (Jn 17,11).


5. Ma l'unità non può realizzarsi al di fuori della verità. E' Gesù stesso a sottolinearlo nella preghiera che, in quella sera, ha rivolto al Padre per i suoi discepoli: "Santificali nella verità" (Jn 17,17).

I diversi "dialoghi teologici" intrecciati con gli altri cristiani mirano - e devono sempre mirare - a raggiungere un pieno accordo nella fede.

Ringraziamo Iddio per i frutti che questi incontri hanno già prodotto: com'è noto, sono stati emanati alcuni documenti, che chiariscono antichi dissidi dottrinali e delineano importanti convergenze. Con l'aiuto del Signore speriamo che il cammino felicemente avviato conduca fino al raggiungimento della piena unità nella verità.

Lo Spirito Santo non mancherà di guidare i cristiani di buona volontà "alla verità tutta intera" (Jn 16,13).


6. Ma l'impegno ecumenico non si esaurisce nel rapporto con gli altri cristiani.

Esso comporta un compito specifico all'interno della Chiesa cattolica.

Il Concilio lo ha richiamato con forza ammonendo: "Si ricordino tutti i fedeli che tanto meglio promoveranno, anzi vivranno in pratica l'unione dei cristiani, quanto più si studieranno di condurre una vita più conforme al Vangelo" (UR 7). In questa prospettiva il decreto ha ricordato alcune dimensioni essenziali di questo ecumenismo spirituale, quali la conversione del cuore (UR 7), la riforma e il rinnovamento della Chiesa "come accresciuta fedeltà alla sua vocazione" (UR 6), la preghiera perseverante (UR 8).

L'esperienza di questi venticinque anni ha mostrato a sufficienza l'intima connessione esistente fra queste dimensioni e la ricerca dell'unità. Il Concilio aveva colto nel giusto quando indicava che "questo rinnovamento ha quindi un'importanza ecumenica singolare" (UR 6).

Un tale profondo impegno spirituale non potrà essere promosso nell'intera comunità cristiana se non mediante una fedele predicazione, una continua catechesi ed una approfondita formazione teologica, le quali siano compenetrate da una autentica ispirazione ecumenica.

Sulla linea poi seguita dal Sinodo dei Vescovi, ho a suo tempo segnalato la necessità di una particolare attenzione a questo delicato tema che coinvolge tutti. Infatti "la catechesi non può essere estranea a questa dimensione ecumenica, allorché tutti i fedeli, secondo le loro proprie capacità e posizioni nella Chiesa, sono chiamati a partecipare al movimento verso l'unità" (CTR 32).


7. Noi siamo, pero, consapevoli che "questo santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell'unità della Chiesa di Cristo, una e unica, supera le forze e le doti umane" (UR 24). Per questo ci rivolgiamo, perseveranti e fiduciosi, al Signore, per implorare insieme la grazia dell'unità.

La Settimana di preghiere, che ogni anno si svolge nel mondo intero fra tutti i cristiani, ha lo scopo di creare questa coralità d'invocazione, che è già pegno della piena unità per la quale operiamo, e verso la quale, con la grazia di Dio, avanziamo.

Voglia il Signore ascoltare l'accorata invocazione che, anche quest'anno, gli rivolgiamo, affidandola all'intercessione dell'apostolo Paolo da questa Basilica che ne custodisce i resti gloriosi. Noi confidiamo che "Il Signore Dio... farà scomparire da tutto il paese la condizione disonorevole del suo popolo" (Is 25,8). Disonorevole è la rottura dell'unità; disonorevole è la divisione. Venga presto il giorno in cui, insieme riconciliati tutti noi che crediamo in Cristo, possiamo esclamare nella gioia: "Questi è il Signore in cui abbiamo sperato, rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza!" (Is 25,9).

Venga presto quel giorno! Amen.

1989-01-26

Giovedi 26 Gennaio 1989




Ai Vescovi greci in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

La credibilità della vostra testimonianza evangelica dipende in larga misura dalla vostra unione fraterna


Signor Presidente della Conferenza Episcopale, cari fratelli nell'Episcopato, di rito latino, bizantino e armeno, cari amministratori apostolici.


1. Avete desiderato compiere la tradizionale visita "ad limina Apostolorum".

Anch'io vi attendevo con gioia. Mentre vi saluto con affetto tutti quanti, il mio pensiero e il mio cuore vanno insieme ai sacerdoti delle vostre rispettive diocesi, alle comunità religiose, a tutti i fedeli e soprattutto quelli che collaborano al vostro lavoro pastorale. La vostra visita collettiva, vorrei dire collegiale, testimonia da una parte la totale comunione di fede esistente tra le vostre Chiese particolari e la Chiesa di Roma "che presiede all'assemblea universale della carità" (S. Ignatii Antiocheni, "Ad Romanos") e, dall'altra parte, testimonia la fraternità esistente tra voi, che siete stati scelti dallo Spirito Santo e "posti come Vescovi a pascere la Chiesa di Dio" (Ac 20,28), in stretta unità con il Capo del Collegio dei Vescovi. In questo momento di grazia, riprendiamo le parole dell'apostolo Paolo, ardente evangelizzatore del vostro Paese, ai cristiani di Filippi: "Ringrazio il mio Dio ogni volta ch'io mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del Vangelo dal primo giorno fino al presente, e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù... Infatti Dio mi è testimonio del profondo affetto che ho per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù" (Ph 1,3-9).


2. Voi avete dunque, fratelli carissimi, la responsabilità del Vangelo anzitutto nella comunità cattolica e anche, con la Chiesa ortodossa, in una società in rapida evoluzione, che diviene sempre più complessa e secolarizzata. La Grecia di oggi è un luogo privilegiato di passaggio tra l'Oriente e l'Occidente, di incontro tra civiltà tradizionali e culture nuove. Certo, il pensiero umano si è formato splendidamente nella vostra terra e questo ricco patrimonio spirituale continua ad affascinare la coscienza universale e ad alimentare il pensiero teologico della Chiesa. E' proprio in questo contesto, a volte difficile, di coesistenza tra l'antico e il moderno che la vostra Conferenza Episcopale deve cercare di aprire la strada alla salvezza portata da Cristo e dal suo messaggio evangelico.

Con gli statuti da me recentemente approvati, la vostra Conferenza deve armonizzare le forze apostoliche in vista del bene comune (cfr. CD 37). Nella comunione fraterna e l'aiuto vicendevole troverete sempre un sostegno reale e uno slancio rinnovato per il doveroso compimento del vostro impegno pastorale. Auspico vivamente che questa unione affettiva ed effettiva dei membri della Conferenza conosca un'ulteriore crescita. L'efficacia pastorale e la credibilità stessa della vostra testimonianza derivano in larga misura da questa unione fraterna.

Anche i vostri collaboratori si sentiranno coinvolti di persona in questo stile di vita caratteristico delle prime comunità cristiane e di tanti altri periodi della storia ecclesiale: "un cuor solo e un'anima sola". Certamente, i sacerdoti delle vostre diocesi, così come i membri degli istituti religiosi e i laici impegnati nell'apostolato hanno tanto bisogno di vedere in voi dei modelli (cfr. 1P 5,3) e dei modelli a loro vicini, per sentirsi da voi amati, guidati, sostenuti, protetti. Questa carità, in un certo qual modo prioritaria, verso i vostri sacerdoti non può che suscitare il loro zelo e aumentare l'indispensabile unità sul piano degli orientamenti e dell'azione pastorale. Vi esorto vivamente a compiere con loro degli incontri di riflessione e di preghiera. In essi vedranno ancora l'espressione della vostra sollecitudine e un esempio di corresponsabilità pastorale.

La Santa Sede, con l'attività e l'aiuto della congregazione per le Chiese orientali, segue con grande interesse il vostro lavoro per assicurare ai sacerdoti una degna esistenza, per liberarli il più possibile dalle preoccupazioni materiali che potrebbero ostacolare il loro ministero sacerdotale.


3. La grande cura che vi prendete del clero implica necessariamente il problema del suo ricambio. Su questo punto particolare, partecipo profondamente alla vostra sofferenza per la mancanza di un seminario in Grecia, per accogliere e formare i giovani che aspirano al sacerdozio. Voglia Dio che la sua realizzazione sia finalmente possibile e praticabile! Nello stesso ordine di idee, desidero ugualmente stimolare il vostro ardore pastorale per il risveglio delle vocazioni alla vita consacrata nelle congregazioni maschili e femminili. Date con generosità e coraggio il vostro aiuto per rendere più visibile la vita religiosa nella Chiesa cattolica in Grecia.


4. Questo problema cruciale delle vocazioni mi porta naturalmente a soffermarmi con voi sull'importanza della famiglia. Non è forse la culla di ogni vocazione? Il Concilio ricorda che "il bene della persona e della società umana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare" (GS 47). E precisa: "Le famiglie, praticando la vera vita cristiana, diventano fonte dell'apostolato dei laici e vivaio di vocazioni sacerdotali e religiose" (AGD 19). Fate davvero bene a convogliare i vostri sforzi al sostegno e alla formazione delle famiglie cristiane usando tutti i mezzi pastorali a vostra disposizione! Gli sposi sono esposti alla minaccia di correnti di pensiero e di costume distruttivi, con una azione spesso rapida, della stabilità della cellula familiare. E' difficile per loro far fronte ai sacri impegni e assicurare, tra l'altro, l'educazione dei figli secondo le loro convinzioni, come hanno il diritto e il dovere di fare. Desidero esprimere la profonda gratitudine della Chiesa verso i religiosi, le religiose e i laici cristiani per l'opera educativa compiuta nelle scuole cattoliche del vostro Paese. Ancor di più esorto di cuore la vostra Conferenza Episcopale a continuare nel suo impegno del campo della pastorale giovanile. I giovani sono la speranza della Chiesa e l'avvenire della società del futuro.

Desidero aggiungere una parola sul vostro lavoro collegiale per accogliere - soprattutto nei periodi più affollati - i numerosissimi turisti che vengono a visitare le ricchezze culturali della Grecia. Certo avete una grande esperienza in questo campo. Continuate a migliorare lo stile di presenza umana e spirituale della vostra Chiesa verso questi gruppi di turisti e anche di pellegrini sulle orme di san Paolo.


5. Infine, rendo grazie a Dio per le buone relazioni intrattenute, con perseveranza, con la Chiesa ortodossa di Grecia. Continuate con sincerità, umiltà e convinzione a perfezionare o inventare le condizioni favorevoli al dialogo. La più fruttuosa è certamente la virtù teologale della carità, che implica la stima e il rispetto degli altri. Questo autentico amore fraterno, ricevuto da Dio, apre le vie dell'incontro anche nelle situazioni apparentemente senza sbocco.

Incontrandosi in questo spirito si può arrivare a una lettura responsabile e comune delle sfide del nostro tempo. Incontri di questo genere, ben preparati e ben condotti, tra cattolici e ortodossi, che rappresentano delle Chiese sorelle, ci aprono all'azione dello Spirito, nella fedeltà alla verità rivelata dal Signore Gesù. Nuovamente, vi affido questo grande compito ecumenico, a voi, al vostro clero, ai religiosi e a tutti i cattolici di Grecia.


6. Al termine di questo incontro fraterno, volontariamente segnato dalla speranza invincibile che il Signore ci ha donato e vuol vedere ancora crescere, presento tutte le mie intenzioni e desideri riguardo alle vostre diverse diocesi alla santissima Madre di Dio, la Theotokos, così venerata nelle vostre chiese. Assista i pastori e i fedeli nella loro ricerca e nel loro annuncio del suo divino Figlio, l'unico Redentore dell'uomo! Di tutto cuore, benedico le vostre persone, il popolo cristiano affidato a ciascuno di voi e il vostro caro paese, la Grecia.

1989-01-27

Venerdi 27 Gennaio 1989




Al convegno della CEI "La vita spirituale del presbitero diocesano oggi"

Il presbitero è ministerialmente mandato a portare a tutti la gioia della salvezza



1. Carissimi sacerdoti, partecipanti al convegno su "La vita spirituale del presbitero diocesano oggi: problemi e prospettive".

Sono profondamente lieto di salutarvi e di accogliervi, insieme con i Vescovi, membri della commissione per il clero della Conferenza Episcopale Italiana.

Una ricerca sulla vita spirituale del presbiterio diocesano, carissimi, non può non ricevere il mio consenso e la mia benedizione, non solo perché è un adempimento del Concilio Vaticano II (cfr LG 39-42), ma anche per il legame che esiste fra il Papa e i presbiteri a motivo del sacramento dell'Ordine nei suoi vari gradi, e, conseguentemente, del ministero pastorale, che per vari aspetti ci accomuna. Impegnati ad approfondire la spiritualità del presbitero, in realtà voi state lavorando non solo per i presbiteri, ma anche per i Vescovi e anche per il Papa - egli pure Vescovo -, in forza della speciale comunione istituita dal sacramento dell'Ordine.


2. La radice della vita spirituale del presbitero viene da questo sacramento, quindi da Gesù Cristo stesso. I sacramenti infatti sono "atti di Gesù Cristo" prima ancora che atti della Chiesa, come ben si è espressa la Conferenza Episcopale Italiana nel suo recente documento: "Comunione, comunità e disciplina ecclesiale", quando ha ricordato che "nel campo sacramentale... la Chiesa è consapevole di non essere padrona e arbitra delle azioni salvifiche di Cristo, al contrario, in qualità di sposa, è tenuta ad attuarle come il Signore le ha volute" (n. 73).

Sarebbe riduttivo riconoscere la volontà di Gesù Cristo solo nel momento celebrativo del sacramento. In realtà essa si estende a comprendere le finalità e coerentemente le linee di azione, per le quali il sacramento è stato istituito.

così la vita spirituale del presbitero nasce dal sacramento dell'Ordine, il quale non dà soltanto origine al ministero presbiterale, ma gli dà anche la "forma" nelle sue linee essenziali e fondanti. Ne discende come logica conseguenza che la vita spirituale del presbitero dovrà e potrà crescere precisamente grazie all'impegno di riconoscere e realizzare fedelmente la "forma" del ministero voluta da Cristo.


3. Questa è la "grazia" che il presbitero riceve dal sacramento dell'Ordine. Non una grazia facile, che garantisca il successo sostituendosi all'impegno del ministero - una tale grazia non sarebbe grazia ed è perciò ignota alla dottrina cattolica -; ma una grazia forte, esigente, in cui si fonda la "vocazione e mozione" all'impegno del ministero: impegno a comprendere e a vivere tale ministero, prima ancora che a svolgerlo. Per questo il ministero presbiterale esige una continua riflessione che il vostro convegno, nella scia dei precedenti, vuole sostenere e orientare.

La riflessione deve continuare anche dopo il convegno e ciascuno deve portarla avanti personalmente. C'è un aspetto del ministero presbiterale che può essere riconosciuto solo nella meditazione personale. La meditazione del cristiano, di qualsiasi ordine e stato, è sempre, in ultima analisi, orientata dalla verità fondamentale della fede, cioè che noi uomini siamo salvi grazie a Gesù Cristo. Il presbitero, chiamato e inviato dalla grazia specifica del suo ministero ad annunciare il Vangelo, come testimone particolarmente qualificato, non può non godere, nella propria esperienza e vicenda personale, della gioia della salvezza. Questo dono, che tutti i cristiani sperimentano e tutti gli uomini invocano, il presbitero, proprio in forza del suo ministero, lo ha costantemente presente; esso costituisce per lui il pensiero dominante e quindi la fonte di una gioia profonda e costante, quella di essere e di sapersi salvato. Questa gioia non possiamo tenerla soltanto per noi; siamo "ministerialmente" mandati a portarla anche agli altri, a tutti. Quanto gli uomini di oggi lo desiderano! Quanto ne hanno bisogno: tanto più, forse, quanto meno lo sanno.


4. così anzitutto nella gioia della salvezza, coltivata nella meditazione e fattasi preghiera di ringraziamento, riconosciamo la grandezza del nostro ministero. Questa deve pero essere riconosciuta anche negli altri aspetti del ministero, grazie ad un costante impegno di approfondimento nello studio, nella meditazione, nella preghiera.

Certo voi, nella grande maggioranza, non siete dei teologi; siete preti - come si suol dire - "in cura d'anime". Ma proprio a voi è necessario raccomandare lo studio del ministero, perché possiate viverlo meglio. Succede - per quanto può essere lecito il paragone - in tutte le professioni: se non ci si aggiorna - e l'aggiornamento non può venire solo dalla pratica, ma dalla riflessione e dallo studio -, se non ci si tiene al corrente, si resta indietro; e, se si resta indietro, si diventa inidonei al proprio compito, e fatalmente ne subentra la disaffezione. Un prete disaffezionato dal proprio ministero, un prete demotivato è triste per suo conto, ed è motivo di tristezza per gli altri.


5. Questo lavoro di "aggiornamento" culturale e spirituale, favorito dalla "formazione permanente", sulla quale si intratterrà il prossimo Sinodo dei Vescovi, si impone tanto più oggi in quanto viviamo in un tempo proiettato verso il futuro.

La società sta subendo cambiamenti rapidi e profondi, che non passano al lato della Chiesa, ma in un certo senso la coinvolgono perché la Chiesa, che non è "del mondo", vive pero "nel mondo". Essa stessa è proiettata verso il futuro.

Dovendo accompagnare gli uomini perché non si smarriscano, deve stare al loro fianco, anzi camminare davanti a loro. Non è dato alla Chiesa di scegliere il tempo in cui vive; essa deve vivere in ogni tempo e in ogni tempo annunciare il Vangelo della salvezza.

Per voi presbiteri l'annuncio del Vangelo è il ministero di tutti i giorni, nella molteplicità delle sue funzioni e dei suoi atti, che non devono mai ridursi a una "routine" annoiata, ma sempre di nuovo rinnovarsi, perché in essi è sempre di nuovo annunciata la novità della salvezza. L'azione salvifica di Gesù Cristo, posta "una volta per sempre" e quindi sempre identica nei secoli passa attraverso il vostro ministero: essa deve suggerirvi le parole chiare e i gesti significativi per giungere agli uomini, piegando voi stessi docilmente alle esigenze del Vangelo. In questo modo il presbitero e il suo popolo si salvano e si santificano insieme. Quanta intelligenza e quanto amore e quanta virtù esige l'esercizio corretto del ministero presbiterale! Ma insieme, di quanta grazia, di quanta carità veramente pastorale è fonte il ministero presbiterale!


6. Perché esso sia fruttuoso, dovete viverlo - come raccomanda il decreto conciliare "Presbyterorum Ordinis" (PO 14) - nell'unità del presbiterio e nella comunione col vostro Vescovo. Non siete soli a disegnare il volto della Chiesa; con voi, col presbiterio, ci sono tutti i religiosi e tutti i laici, pietre vive anch'esse della Chiesa particolare. Ma poiché i Vescovi sono i successori degli apostoli, che sono il fondamento della Chiesa, allora anche i presbiteri, i quali costituiscono un unico presbiterio col Vescovo, e di lui sono i più diretti collaboratori, sono in qualche modo pietre fondamentali della Chiesa, pietre di appoggio e di sostegno per tutte le pietre vive della Chiesa. Si palesa così che l'autorità presbiterale è in realtà servizio, "amoris officium", come dice sant'Agostino ("In Io.", 123,5), e che il servizio presbiterale deve essere dedizione piena e incondizionata, aperta a tutti, così che nessuno possa sentirsi escluso.


7. Cari fratelli nell'unico sacerdozio di Gesù Cristo, Buon Pastore, rinnovati ogni giorno dalla celebrazione eucaristica che vi chiama a ripetere, non solo nel gesto rituale, ma nella realtà degli uomini, siate sicuri di non essere soli.

Cristo è con voi, ha bisogno di voi, vi sostiene, riempie la vostra vita. La vita del prete è bella, proprio per questa indissolubile unione con Cristo, per questa continua interazione sacramentale e vitale tra lui e voi. In questo cammino vi accompagna, circondandovi col suo affetto materno, Maria santissima, madre di Gesù, madre della Chiesa, madre dei sacerdoti, affinché siate veramente tutti di Cristo.

In segno di profondo affetto e come stimolo alla fiducia nel compito che il Signore vi affida, vi imparto, propiziatrice di grazia, la mia apostolica benedizione.

1989-01-27

Venerdi 27 Gennaio 1989




Ai docenti della FIDAE di Roma e del Lazio - Città del Vaticano (Roma)

Le scuole cattoliche, luogo di evangelizzazione, di apostolato e di azione pastorale


Carissimi fratelli e sorelle!


1. Sono felice di incontrarvi, in occasione della festa di san Tommaso d'Aquino, celeste patrono della scuola cattolica, in questo tradizionale appuntamento organizzato dalla FIDAE del Lazio.

Oggi siete presenti particolarmente voi, insegnanti; ritornando a scuola lunedi dite agli alunni e ai genitori che il Papa li ringrazia per questa opportunità di incontrarvi tutti insieme.

Il bel tema della vostra giornata: "Una vita per una missione: educare oggi gli uomini del duemila"; è un'affermazione che ha il suo fondamento nel Vangelo: "Non c'è amore più grande di colui che dà la vita per i suoi amici" (Jn 15,13). E voi rinnovate ogni giorno il dono di voi stessi ai vostri alunni con la vostra disponibilità. Ia vostra professionalità, la vostra dedizione senza limiti.

Continuate così l'opera iniziata dai fondatori e dalle fondatrici delle scuole cattoliche, i quali, sensibili ai problemi e alle necessità dei ragazzi e delle ragazze dei proprio tempo, inventarono e istituirono le scuole che corrispondessero alle loro esigenze. Essi entusiasmarono con la loro vita e i loro ideali uomini e donne, che si organizzarono e, vincendo ogni difficoltà, diedero vita alle istituzioni, nelle quali oggi svolgete la vostra missione educativa.

I ragazzi e i giovani che frequentano le vostre scuole sono numerosi, come ben sapete. Essi sono oltre centomila nel Lazio, dei quali circa ottantamila nella sola città di Roma. Questi sono gli uomini e le donne del duemila che testimonieranno la presenza e l'azione di Cristo nella società.


2. La professionalità, pertanto, è requisito essenziale della vostra missione, al fine di guidare i vostri alunni nella fatica e nell'avventura dello studio, col quale essi sviluppano le proprie capacità di comprensione e di giudizio della realtà. L'autenticità della vostra vita cristiana vi renda perciò autorevoli e induca all'ascolto i vostri studenti. La testimonianza di una vita impegnata aprirà i vostri ragazzi, piccoli e grandi, al dono del servizio secondo le proprie capacità e i bisogni che scoprono nei fratelli.

Studio, ascolto, servizio sono tre "momenti", attraverso i quali i vostri alunni portano al pieno sviluppo quel processo educativo che solo una scuola pienamente consapevole e responsabile della sua delicata missione può garantire; non bastano infatti il cinema, la ricreazione e il campo sportivo. Nel quadro del processo educativo, dev'essere assicurata soprattutto una progressiva e serena maturazione intellettuale dell'alunno.

Alla luce della fede cristiana stimolate i giovani alla conoscenza dell'universo creato da Dio; accendete in essi l'amore della verità che esclude la superficialità nell'apprendere e nel giudicare. Ravvivate il senso cristiano, che rifiuta l'accettazione ingenua e acritica di molte affermazioni. Guidateli all'ordine, al metodo, alla precisione e al senso di responsabilità. Sostenetene il sacrificio e la perseveranza, richiesti al lavoro intellettuale.

Esso, infatti, se arricchito di questa dimensione religiosa, opera in più direzioni: stimola il rendimento scolastico; rafforza l'impegno per la formazione di una personalità veramente cristiana.


3. Le scuole cattoliche posseggono tutti gli elementi che consentono loro di rendere presente la Chiesa nella società, come vere e proprie istituzioni ecclesiali.

Esse sono luogo di evangelizzazione, di autentico apostolato, di azione pastorale, non già in forza di attività complementari o parallele o parascolastiche, ma per la natura stessa della loro azione, direttamente rivolta all'educazione della personalità cristiana.

Siate certi, cari fratelli e sorelle, che la vostra missione non è un fatto marginale o secondario nella missione educativa. Le scuole cattoliche infatti trovano la loro vera giustificazione nella missione stessa della Chiesa; si basano su un progetto educativo, in cui si fondano, in armonia di fede, la cultura e la vita. Per mezzo di esse la Chiesa particolare evangelizza, educa, collabora all'educazione di un costume moralmente sano e forte nel popolo.

La necessità delle scuole cattoliche si pone in tutta la sua chiara evidenza quale contributo allo sviluppo della missione del Popolo di Dio, al dialogo tra Chiesa e comunità degli uomini e alla tutela della libertà di coscienza.

Il vostro impegno perciò non è solo quello di conservare le opere che i vostri fondatori e le vostre fondatrici vi hanno lasciato in eredità, ma soprattutto quello di potenziarle e svilupparle per venire incontro alle nuove emergenze che coinvolgono i giovani; tra le quali vi ricordo le decine di migliaia di studenti che hanno evaso l'obbligo scolastico, i ragazzi che vivono in condizioni familiari difficili, quelli che si sono lasciati coinvolgere nella droga o nella violenza.

Sviluppate la vostra creatività in modo che un numero sempre maggiore di ragazzi e di giovani, che vivono situazioni di emarginazione, possano portare a termine la loro istruzione in un ambiente educativo che renda loro la dignità di uomo e possano incontrare Gesù Cristo, come salvatore. Quando i vostri fondatori e fondatrici aprirono le scuole, risposero ad una sensibilità che nasceva dall'amore per il Cristo che riconoscevano nel volto di bambini e giovani spesso abbandonati e senza istruzione. Oggi quella sensibilità è stata riconosciuta come diritto inalienabile ad essere istruiti e, come diritto fondamentale dei genitori a promuovere l'educazione dei propri figli.


4. Queste mie parole sono rivolte a tutti voi, religiosi e laici, perché, secondo il proprio stato di vita, tutti siete chiamati allo stesso modo a servire Cristo nei giovani, per portarli alla piena maturazione umana e cristiana.

Saluto pertanto le superiore e i superiori generali e provinciali e, mentre li ringrazio per la loro presenza, li incoraggio a farsi interpreti e sostenitori delle esigenze di tutte le scuole cattoliche e a sviluppare una reale solidarietà tra tutti voi, promovendo eventualmente istituzioni opportune in modo che nessuna scuola debba mai sentirsi sola, e sia garantita la dignità di ogni docente, in qualunque luogo abbia a svolgere il suo ministero educativo.

Una parola anche a voi, genitori, studenti e personale non docente che avete voluto accompagnare i vostri insegnanti: riconoscete sempre l'alto compito dei vostri educatori, collaborate con loro, vivete una piena comunione che, unendovi sempre più a Cristo via, verità e vita, faccia della vostra comunità educante una testimonianza viva della vostra fede. Tutti insieme siete responsabili della missione che la Chiesa affida alle scuole cattoliche, e siete segno di speranza per un futuro di giustizia e di pace.

La beata Vergine, sede della Sapienza, sia luce e guida al vostro cammino.

1989-01-28

Sabato 28 Gennaio 1989





GPII 1989 Insegnamenti - A conclusione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani - Ai fedeli riuniti, Roma