GPII 1989 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'Angelus - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

I misteri: eventi della storia di Gesù avvenimenti di salvezza per noi


Carissimi fratelli e sorelle.


1. In questi nostri incontri domenicali per la preghiera mariana, durante il cammino quaresimale verso la Pasqua, vogliamo soffermarci a riflettere sui misteri dolorosi del santo rosario. Ci accompagna in questa riflessione la Vergine Maria, che della parte culminante della passione fu testimone oculare.

Parliamo di misteri, perché essi sono insieme eventi della storia di Gesù ed avvenimenti di salvezza per noi. Sono una strada che Gesù ha percorso e percorre con noi per ottenerci di vivere, mediante la conversione, la comunione con Dio e una rinnovata fraternità con gli uomini.


2. Oggi meditiamo il primo mistero doloroso: l'agonia di Gesù nell'orto del Getsemani. Ci guida lo stesso evangelista e maestro di questo anno liturgico, san Luca (Lc 22,29-46). Egli riferisce che Gesù, uscito dal Cenacolo, ando "come al solito" al monte degli Ulivi. Egli non era solo; i suoi discepoli, pur senza capire, lo seguivano. Ad essi, per due volte, in apertura e conclusione dell'avvenimento, egli indirizzo l'esortazione che noi quotidianamente esprimiamo nel "Padre nostro": "Pregate; per non entrare in tentazione" (Lc 22,40 Lc 22,46).

In questa domenica e per la prossima settimana di Quaresima, accogliamo questa divina parola come viatico e come realistico richiamo: "Pregate per non entrare in tentazione".

Gesù, nella prova estrema della sua vita, prega in solitudine: "Si allontano da loro quasi un tiro di sasso e inginocchiatosi pregava" (Lc 22,41).

Il contenuto della preghiera è filiale, protesa nella lacerazione interiore ad accogliere la volontà del Padre, fedele pur nell'angoscia per quanto sta per accadere: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà" (Lc 22,42).

E Gesù entra in una sofferenza che coinvolge in forma drammatica tutta la sua persona: "Il suo sudore divento come gocce di sangue che cadevano a terra".

Ma la sua preghiera si era fatta "più intensa" (Lc 22,44).


3. Fratelli e sorelle, contempliamo Gesù nel dolore fisico, nella straziante sofferenza psicologica e morale, nell'abbandono e nella solitudine, ma in preghiera, nello sforzo di aderire in fedeltà totale al Padre.

In questa tappa quaresimale abbiamo un preciso impegno: interpretare il nostro soffrire alla luce della sofferenza di Gesù, esperto nel patire e compassionevole (cfr He 5,1-10); e pregare, pregare di più.

Preghiera nel segreto della nostra stanza (Mt 6,6); preghiera di offerta del nostro lavoro; preghiera di ascolto e di meditazione della Parola di Dio; preghiera in famiglia mediante il santo rosario; preghiera liturgica, fonte e vertice della nostra vita interiore.

Maria santissima ci è maestra sia nell'accettazione della sofferenza in atteggiamento di amore obbediente, sia nella elevazione dell'animo a Dio mediante la preghiera di ogni giorno. Vogliamo, specialmente durante questa Quaresima, metterci, come discepoli attenti, alla sua scuola.

[Omissis. Seguono i saluti in italiano e in altre lingue ad alcuni gruppi di pellegrini di varie nazionalità:]

1989-02-12

Domenica 12 Febbraio 1989




Ricordo del 50° anniversario della morte del grande predecessore Pio XI

Il Papa della regalità di Cristo ha lasciato un segno profondo in un periodo tumultuoso e ricco di promesse


Si sono compiuti, il 10 febbraio, cinquant'anni della morte del mio predecessore, Pio XI. Un lungo pontificato il suo - dal 1922 al 1939 - un pontificato storico, non solo per la Chiesa. Vi era giunto con la preparazione di studi severi, e dopo l'esperienza pastorale fatta in Polonia e nei paesi baltici, come rappresentante pontificio, e a Milano, come successore su quella cattedra dei santi Ambrogio Carlo, del beato Cardinal Ferrari.

Fin dalla prima enciclica, egli delineo il programma del suo pontificato con le parole: "La pace di Cristo nel regno di Cristo" (S. Pii XI, "Ubi Arcano", die 23 dec. 1922).

Le linee del suo pontificato sono molteplici, e tracciate in grandi documenti: l'azione "in favore della pace", che promosse di fronte agli insorgenti nazionalismi, appoggiando gli sforzi per organizzare l'arbitrato internazionale e per arrestare la corsa agli armamenti; "le attività missionarie", con l'inculturazione del cristianesimo nei vari popoli, e la strutturazione della Chiesa col clero autoctono: memorabile, in questa luce fu l'ordinazione dei primi sei Vescovi cinesi, nel 1926; il responsabile "inserimento dei laici nell'apostolato", mediante l'incoraggiamento dell'associazionismo cattolico, tanto che Pio XI fu il Papa dell'Azione Cattolica, da lui strenuamente difesa in tempi bui; l'"educazione della gioventù"; la visione cristiana del "matrimonio", del "lavoro e della vita sociale"; l'impavida "proclamazione dei diritti dell'uomo" contro le prime leggi razziali del nazionalsocialismo e la condanna della sua aberrante ideologia, parallela alla condanna del comunismo ateo. Ormai vicino alla fine, offri la vita per la pace in Europa. Amo l'Italia perché voleva il suo bene religioso e civile, e perciò condusse le laboriose trattative per la conclusione dei "Patti Lateranensi", che risolvevano la "questione romana" e furono la sua grande opera, di cui ieri si è ricordato il sessantesimo anniversario. Né si deve dimenticare che egli aveva annunciato anche la speranza di poter riprendere il Concilio Vaticano, interrotto nel 1870.

Un Papa veramente grande, poliedrico, che ha lasciato un segno profondo in un periodo tumultuoso e ricco di promesse: "Il Papa della Regalità di Cristo".

Ricordiamo nella preghiera quel Pontefice, che innalzo agli onori degli altari innumerevoli santi, tra i quali don Bosco, il Cottolengo, Teresa di Gesù bambino. E invochiamolo, affinché, dal cielo, insieme con quelle grandi figure che hanno amato Cristo e l'uomo, continui ad intercedere per la santa Chiesa di Roma, diffusa nel mondo.

1989-02-12

Domenica 12 Febbraio 1989




Alla chiusura dei santi esercizi spirituali - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Cantiamo il "Magnificat" per questa settimana di silenzio contemplativo


Sia lodato Gesù Cristo.

Dobbiamo concludere questi giorni benedetti. Dobbiamo, come al solito, cantare anche il "Magnificat" per esaltare, ancora una volta, la "misericordia Eius a progenie in progenies". Noi siamo certamente una nuova progenie, una nuova generazione alla quale è stata offerta questa misericordia infinita di Dio, su cui abbiamo tanto ascoltato e tanto meditato durante questi giorni. Anzi, possiamo applicare questa progenie alle settimane, agli anni. Grazie a Dio, ogni anno si ripete questa esperienza spirituale in Vaticano, all'inizio della Quaresima, e ogni anno diventiamo più esperti di quella misericordia infinita di Dio, offertaci in Gesù Cristo.

Tutti vogliamo ringraziare il nostro predicatore, che ci siamo permessi di strappare un po' dalla sua sede, dai suoi impegni episcopali nell'arcidiocesi, e che è venuto fra noi per offrirci queste sue riflessioni come guida delle nostre, durante gli esercizi spirituali. E lo abbiamo sentito e seguito. Si, abbiamo sentito nelle sue conferenze una splendida esegesi patristica. Si è visto subito che il suo maestro principale era sant'Ambrogio; non sono mancati anche gli altri padri della Chiesa, ma si è visto abbastanza bene che il Cardinale di Bologna viene da Milano.

Lo ringraziamo per questa esegesi patristica, che è non solamente propria di una volta, di un sant'Ambrogio, ma anche di oggi. E si vede come questa esegesi costituisca veramente il fondamento della teologia: della teologia spirituale e della teologia pastorale. Essa è capace - o, diciamo piuttosto, la Parola di Dio, la Sacra Scrittura è capace, attraverso questa esegesi, della quale i padri ci hanno lasciato il modello - di incontrare l'uomo in ogni epoca, in ogni generazione; di incontrarlo in ogni situazione; di parlare a lui con la stessa forza che è nascosta nella sua fonte, che è la Parola di Dio. E durante questa settimana soprattutto abbiamo sperimentato i benefici di questa esegesi, si, patristica, ambrosiana, ma nello stesso tempo moderna, molto attuale, fino alle situazioni particolari che si possono conoscere, identificare, possiamo dire giungendo fino a questa situazione unica ed irripetibile che è ciascuno di noi: l'uomo nella sua propria situazione.

Allora ringraziamo per questa esegesi, per queste prediche, per questo cammino comune che il Cardinale Giacomo Biffi ha voluto fare con noi. Ringraziamo tutti coloro che hanno guidato i nostri canti, le nostre preghiere durante questa settimana. E ci ringraziamo vicendevolmente, tutti e ciascuno, per la tacita, silenziosa partecipazione, che è anch'essa una predica, che ci parla a modo suo e con una sua propria efficacia.

Vogliamo allora cantare il "Magnificat", come si fa ogni anno in questo giorno il quale, poi, essendo un sabato, è specialmente dedicato a colei che ci ha lasciato queste parole; vogliamo ringraziare con lei il Signore "quia fecit mihi magna", per tutte le cose che ci ha fatto, per questa settimana di preghiera, di silenzio, di contemplazione - silenzio contemplativo -, per questa settimana di solitudine, forse in qualche caso relativa, ma speriamo sufficiente. Per tutto questo, "quia fecit mihi magna", cantiamo il "Magnificat".

1989-02-18

Sabato 18 Febbraio 1989




Ad un seminario di studi promosso dalla CEI - Città del Vaticano (Roma)

La persona umana nella concretezza delle sue esigenze è la prima e fondamentale risorsa di ogni sviluppo



1. Con gioia porgo il mio più cordiale saluto a tutti voi, riuniti qui a Roma per un seminario di studio sul tema: "Etica e democrazia economica", promosso dalla commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro della CEI, che ha chiamato a collaborare per la sua realizzazione l'istituto internazionale Jacques Maritain, coinvolgendo proficuamente dei laici cristiani, particolarmente competenti sui problemi sociali ed economici della nostra società e animati dall'ispirazione che proviene dal grande maestro a cui è dedicato il loro istituto. Saluto in particolare il Presidente della commissione episcopale, monsignor Fernando Charrier, e tutti i Vescovi presenti, il presidente dell'istituto Maritain, professor Ramon Sugranyes de Franch, ed i suoi membri.

Il pensiero va con riconoscente affetto a Jacques Maritain, grande testimone della fede ed insigne filosofo del nostro secolo, nel ricordo dell'illuminante contributo da lui offerto alla formazione di tanti cristiani laici impegnati nel campo sociale e politico e dell'appassionato e lungimirante impegno profuso a sostegno dei diritti dell'uomo e della democratizzazione della società.

Il tema della vostra attenta riflessione trova luce nella dottrina sociale della Chiesa, là dove essa afferma che il diritto dell'uomo all'iniziativa economica deve esercitarsi nell'ambito di un sistema sociale che veda coinvolti tutti i cittadini in una prospettiva di corresponsabilità e di partecipazione (cfr SRS 15).


2. Ci troviamo, oggi, di fronte all'affermarsi di modelli economici che, accanto ad innegabili successi, presentano al loro interno dei germi pericolosi di degenerazione, sia a livello dei singoli paesi che su scala internazionale. Ne sono segni evidenti la crescita delle vecchie e nuove povertà, l'aumento del divario tra paesi ricchi e paesi poveri, il degrado ambientale.

In questa situazione per certi aspetti drammatica si impone ai cristiani, come dovere inderogabile, il compito di esercitare la solidarietà sociale e politica (cfr SRS 39-40; CL 42-43), apportando i necessari correttivi ai modelli di sviluppo, che non devono essere finalizzati esclusivamente al profitto di alcuni ma devono promuovere il bene integrale della persona umana e dell'intera umanità.

Infatti, "in una visione cristiana delle cose - dicevo ad un altro convegno promosso dalla CEI sui problemi del lavoro - l'economia, pur godendo, come ogni altro settore specifico dell'agire dell'uomo, di una sua relativa autonomia, rimane intrinsecamente legata all'etica, che è misura universale dell'autentico bene umano" ("", vol. X, 3 [1987] 1160).


3. I diversi modelli di sviluppo economico sono legati, più o meno direttamente, a particolari concezioni dell'uomo, dalle quali discendono determinate norme di comportamento. Avviene non di rado che certe concezioni dell'uomo e le relative norme comportamentali entrino in conflitto con la verità sull'uomo, che la Chiesa custodisce come un tesoro prezioso donatole dal Signore Gesù Cristo. In tal caso la Chiesa non può tacere.

così, davanti ad affermazioni unilaterali della centralità del profitto e della totale autonomia del potere aziendale, essa, nella sua missione di serva degli uomini (cfr CL 36), ricorda che "tra tutte le creature terrene, solo l'uomo è "persona", soggetto cosciente e libero e, proprio per questo, "centro e vertice" di tutto quanto esiste sulla terra" (CL 37); "Contano non tanto i beni del mondo, quanto il bene della persona, il bene che è la persona stessa" (CL 37).

Dal riconoscimento coraggioso e coerente della centralità della persona umana potranno trarre vantaggio le stesse scienze economiche: la persona umana, infatti, nella concretezza delle sue esigenze, delle sue aspirazioni, dei suoi propositi è la prima e fondamentale risorsa di ogni sviluppo.

La Chiesa, che non intende proporre un particolare modello economico (cfr SRS 41), incoraggia la ricerca dei cultori delle scienze economiche e li invita ad un dialogo fecondo affinché siano colte tutte le dimensioni della persona umana. ivi compresa la sua imprescindibile dimensione etica.

E' peraltro motivo di soddisfazione constatare che la disponibilità a considerare la realtà integrale e la nativa dignità della persona è presente anche in molti operatori economici. Accanto allo sforzo di dotarsi di nuovi strumenti e metodologie in vista di un miglioramento del sistema economico, vi è in molti di loro il sincero desiderio di far partecipare all'economia tutti gli attori della vita sociale.

Occorre dunque non stancarsi di ricercare le vie migliori per integrare lo sforzo di razionalizzazione tecnica, proprio di questa complessa fase dello sviluppo, nella prospettiva di una piena crescita umana e morale.


4. Il dialogo che si intende incoraggiare tra etica cristiana e regole economiche non può non toccare il problema della democrazia economica e dei suoi rapporti con la democrazia politica. Oggi sempre più l'informazione, la consultazione, la partecipazione alle decisioni, sono viste come espressione naturale della soggettività dei cittadini (cfr SRS 15), e come elementi indispensabili della riuscita stessa dell'impresa economica.

L'economia deve ritrovare dunque la sua dimensione umana ed essere concepita come espressione della vita globale dell'uomo, respingendo l'errore di isolare l'interesse individuale dalla solidarietà sociale.


5. Il dialogo tra etica ed economia va sviluppato particolarmente a livello mondiale, come ho indicato nella lettera enciclica "Sollicitudo Rei Socialis".

A questo proposito si rivela sempre più urgente una maggiore partecipazione di tutti i soggetti interessati allo sviluppo mondiale nelle sedi dove vengono prese le decisioni che riguardano la vita dell'intera umanità.

Quello che possiamo chiamare il "principio di mondialità", secondo cui è di competenza mondiale tutto ciò che è di interesse mondiale, dev'essere posto a fondamento dei rapporti sociali, economici e politici. L'interdipendenza non può più essere soltanto il risultato di determinati processi storici: dal punto di vista morale essa si pone ormai come criterio delle scelte e dei comportamenti della famiglia umana. Ciò richiede una revisione profonda dei principi che hanno regolato finora i rapporti internazionali.


6. Al termine di questo incontro desidero confermarvi l'apprezzamento per il lavoro che andate svolgendo ed esortarvi ad ampliarlo e ad approfondirlo, nella luce del Magistero sociale della Chiesa, come autentico servizio culturale e scientifico al bene comune.

Di questi voti è pegno l'apostolica benedizione, che volentieri imparto a voi tutti e a quanti nella Chiesa italiana condividono la vostra ricerca e sollecitudine.

1989-02-18

Sabato 18 Febbraio 1989




Recita dell'Angelus - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Accogliamo la "flagellazione" che la sobrietà personale e l'esercizio della carità ci fanno sperimentare ogni giorno


Carissimi fratelli e sorelle.


1. Nella preghiera mariana di questa seconda domenica di Quaresima, ci soffermiamo sul secondo mistero doloroso del rosario: Gesù è flagellato.

L'evangelista san Luca sottolinea per ben tre volte le torture a cui fu sottoposto Gesù prima della esecuzione capitale.

Anzitutto, prima della comparizione davanti al sinedrio: "Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano, lo bendavano e gli dicevano: - Indovina: chi ti ha colpito? -. E molti altri insulti dicevano contro di Lui" (Lc 22,63-65). Colui a cui più di ogni altro spettava il titolo di "profeta", cioè di uomo che parla in nome e con la potenza di Dio, è schernito proprio circa la sua più profonda realtà personale: l'essere egli la Parola stessa di Dio.

Anche nell'incontro con Erode Antipa si ripete una scena analoga: "Allora Erode, con i suoi soldati lo insulto e lo scherni, poi lo rivesti di una splendida veste e lo rimando a Pilato" (Lc 23,11).

E di fronte a Pilato, per la terza volta, Luca annota: "Pilato disse: - ...perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascero -" (Lc 23,16).


2. San Marco descrive questo castigo: "E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilascio loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegno perché fosse crocifisso" (Mc 15,15).

La "flagellatio" romana, eseguita da alcuni soldati muniti di "flagellum" o di "flagrum", fruste di cordicelle di cuoio annodate, o recanti sulla punta corpi contundenti, era il supplizio riservato agli schiavi e ai condannati a morte. I suoi effetti erano terribili: chi la subiva non di rado restava esanime sotto i colpi.

Neppure questa atroce sofferenza Gesù ha voluto risparmiarsi: l'ha affrontata per noi.


3. Meditando questo secondo mistero doloroso del rosario, ci sentiamo invitati a farci discepoli di Gesù sofferente. Egli ha pregato per noi anche col proprio corpo, sottoponendolo a sofferenze indicibili in adesione al disegno del Padre. Ha fatto dono di sé al Padre e agli uomini, manifestando a tutti noi l'insondabile miseria umana e la straordinaria possibilità di rinnovamento e di salvezza, che in lui ci è data.

Sull'esempio di Gesù, dobbiamo anche noi pregare col nostro corpo. Le nostre scelte che investono comportamenti impegnativi e difficili, come la castità secondo il proprio stato di vita, il servizio di assistenza ai fratelli, e ogni altra attività fisicamente faticosa, diventano preghiera e sacrificio da offrire a Dio in unione redentiva con i "patimenti di Cristo" (Col 1,24).

Accogliamo dunque la "flagellazione" che la sobrietà personale e l'esercizio della carità cristiana, ogni giorno, ci fanno sperimentare. E' frutto e dono del mistero doloroso di Gesù, che ci sprona, ci coinvolge, ci trasforma interiormente.

La Vergine addolorata conforti con la sua intercessione il nostro impegno.

1989-02-19

Domenica 19 Febbraio 1989




Le visite pastorali del Vescovo di Roma

Parrocchia di santa Maria "Mater Ecclesiae" a Tor di Valle


[Alla popolazione] Vi saluto cordialmente. Ringrazio per le parole introduttive il vostro parroco. Vi ho potuto incontrare dal primo momento. Ho potuto anche salutare alcuni della prima fila. Alcuni bambini ho potuto anche abbracciare, baciare: una grande gioia per me, per noi tutti. così, fin dal primo momento di questa visita, viviamo insieme la realtà umana e cristiana della Chiesa: della vostra Chiesa parrocchiale e, nello stesso tempo, della Chiesa di Roma, sede di Pietro, e insieme con Pietro anche della Chiesa universale. Voi siete organicamente inseriti in questa Chiesa di Roma e, con essa, nella Chiesa universale. E siete molto vicini al mistero della Chiesa, che è stato lungamente approfondito dal Concilio Vaticano II, specialmente nella Costituzione dogmatica "Lumen Gentium". Possiamo dire che questa grande ecclesiologia del Vaticano II ha dato origine alla vostra parrocchia, specialmente quell'ultimo capitolo della Costituzione che parla della beata Maria Vergine Madre di Cristo, sempre presente nella Chiesa, così come lo era nel giorno della Pentecoste a Gerusalemme e lo è qui nella vostra parrocchia.

Il titolo che essa porta, "Mater Ecclesiae", le è stato dedicato dal veneratissimo Papa Paolo VI durante il Concilio, dopo la promulgazione della Costituzione "Lumen Gentium" ed insieme con la sua pubblicazione ufficiale.

così la vostra parrocchia ha molti legami: ha un legame con il Concilio, ha un legame con la persona di Papa Paolo VI, ha un legame con il mistero della Chiesa, e specialmente con questa parte del mistero della Chiesa che viene espressa attraverso il nome "Mater Ecclesiae", attribuito già da molte generazioni a Maria ma sancito in modo speciale dal Concilio Vaticano II. La vostra parrocchia è un segno di questo grande evento storico nella storia della Chiesa e della cristianità.

In questo contesto così ricco io voglio salutare tutta la vostra comunità umana che sta crescendo sempre di più, e lo si vede anche esteriormente.

Voglio salutare tutte le persone qui presenti, ma anche quelle che non sono qui e che territorialmente appartengono a questa parrocchia. Vorrei salutarvi tutti visitando le vostre abitazioni, le vostre case. Naturalmente questo non si può realizzare fisicamente, ma soltanto intenzionalmente, spiritualmente. E vorrei invitarvi tutti insieme a partecipare alla santissima Eucaristia che si celebra subito dopo nella chiesa per le intenzioni della vostra comunità parrocchiale.

Vi auguro che Maria sia sempre vicina alla vostra comunità, che assista la sua crescita, le sue speranze e anche le sue tristezze, che sia insieme alle vostre famiglie, alle vostre persone, agli anziani, agli ammalati, ai giovani sposi, ai giovani tutti, ragazzi e ragazze, ai bambini, ai neonati, a tutti. così voglio portarvi nel mio cuore all'altare celebrando questa Eucaristia e invocando su di voi la protezione materna della Vergine santissima, invocando che sia per voi, come è per tutta la Chiesa, una guida spirituale, che ci preceda sempre in questo cammino di fede, come ha fatto nella comunità apostolica dei primi giorni della Chiesa e come farà fino all'ultimo giorno di questo mondo.

[Ai bambini] Carissimi bambini, ho ascoltato i vostri discorsi. Erano molto interessanti. Innanzitutto vorrei dire al vostro piccolo collega di ritentare un'altra volta: se mancavano solo dieci centimetri, allora possiamo recuperare! Poi, io pensavo sempre che i romani, e specialmente i bambini, fossero piuttosto arrabbiati con il Papa che va via da Roma e viaggia in altri Paesi, altri continenti, altre città. Invece, questo vostro collega mi ha incoraggiato, almeno così mi pare... Si può anche dare un'altra interpretazione a questo augurio: i romani sono contenti quando il Papa sta un po' fuori Roma! Vedete, io cerco di stare a Roma quanto è possibile e necessario. Se non mi trovo qui, c'è sempre il Cardinale Vicario che si trova sul posto e, nel vostro settore, monsignor Riva; quindi sono sicuro che tutto cammina bene.

Io vorrei toccare i vostri cuori, perché con i bambini è sempre più importante quello che pulsa nel cuore. Vi auguro che nei vostri cuori pulsi sempre l'amore per Gesù Cristo. E, come viaggiatore che ha fatto tanto cammino nel mondo, auguro a tutti e a ciascuno di fare necessariamente un solo cammino nella vostra vita, quello che conduce ciascuno e ciascuna di voi: Gesù Cristo. E un importante settore quello in cui ci troviamo adesso - i bambini, i giovani - perché qui si impara a conoscere Gesù Cristo, ad amarlo, a seguirlo. Vi auguro che questo insegnamento e questa conoscenza siano per voi fruttuose, che rimangano per tutta la vita. Con Cristo si può camminare nella vita. E un amico sicuro, che porta sulla buona strada, che ci porta verso un traguardo felice: la casa del Padre. Non fuori dalla retta via, ma sempre su quella via che conduce alla casa del Padre.

Io vi auguro di essere sempre vicini a Cristo col cuore e con i vostri comportamenti, di seguirlo e di arrivare insieme con lui dove ci conduce. E saluto insieme a voi i vostri genitori qui presenti e i vostri catechisti, i vostri insegnanti, la comunità scolastica a cui appartenete e il vostro sacerdote, questo giovane che è anche un chitarrista e sa cantare.

[L'Omelia durante la celebrazione della santa Messa]


1. "In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abramo" (Gn 15,18).

La liturgia di questa seconda domenica di Quaresima ci invita, nelle letture, a considerare alla luce della nostra fede il mistero dell'alleanza di Dio con l'uomo. L'inizio di questa alleanza è collegato con Abramo, come ricorda la prima lettura, tratta dal libro della Genesi.

Dio gli dice: "Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese" (Gn 15,7). Il paese che si estende "dal fiume d'Egitto al grande fiume Eufrate" (Gn 15,18). Ecco la culla del popolo dell'alleanza - dei discendenti di Abramo, prima di tutto degli eredi della sua fede. Dio indica le stelle sparse nel cielo e dice al patriarca: "così numerosa sarà la tua discendenza" (cfr Gn 15,5).

Infatti alla fede di Abramo si richiamano sia gli Israeliti, sia i cristiani, e vi fanno riferimento anche i musulmani. San Paolo lo chiama padre della nostra fede (cfr Rm 4,11). La fede è il fondamento dell'alleanza di Dio con l'uomo: quelli che accolgono con la fede la Parola di Dio entrano nell'alleanza con lui.


2. L'odierna liturgia unisce nelle sue letture l'inizio dell'alleanza, cioè, per così dire, il suo atto primo con quello ultimo. Quest'alleanza definitiva viene da Dio stipulata con l'umanità nel Verbo incarnato: nell'eterno Figlio che si è fatto uomo. Egli è nato ed è vissuto in mezzo al popolo dell'antica alleanza, di Israele, per istituire l'alleanza nuova ed eterna, compiendo la sua missione messianica.

Ecco, sul monte Tabor si trovano con Cristo gli apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni, e insieme, nel momento della Trasfigurazione, appaiono Mosè ed Elia, testimoni dell'antica alleanza.

Davanti ad essi e davanti agli apostoli, ai quali sarà affidato il Vangelo, il Padre stesso rende testimonianza a Cristo: "Questo è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo" (Lc 9,35).

La storia dell'alleanza, che inizia insieme con la vocazione di Abramo, conduce attraverso il monte della Trasfigurazione verso il monte della crocifissione. La Trasfigurazione prepara gli apostoli all'esperienza del venerdi santo. Colui che offrirà sulla Croce la vita, subendo una morte infamante, è il Figlio eletto del Padre. In lui l'alleanza di Dio con l'uomo raggiungerà il suo zenit.


3. L'alleanza è l'iniziativa di Dio nei riguardi dell'uomo.

Dio creo l'uomo a sua immagine e somiglianza, e per questo l'ha reso capace di accettare la sua iniziativa salvifica.

Come immagine di Dio, l'uomo porta in sé lo spazio dell'immortalità, che soltanto Dio può colmare con la sua presenza, con la sua vita ineffabile, donandosi all'uomo in tutta la verità della sua divinità. In questo modo Dio, che è amore, desidera donare all'uomo se stesso.

E l'uomo porta in sé il desiderio profondamente nascosto, di "vedere" Dio, come ne rendono testimonianza le parole del Salmo in questa liturgia: "Il tuo volto, Signore, io cerco. / Non nascondermi il tuo volto, / non respingere con ira il tuo servo. / Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi" (Ps 27,8-9 [Ps 26]).

L'uomo è stato abbracciato dall'iniziativa di Dio. Vive nella dimensione dell'alleanza. Il suo cuore è irrequieto finché non riposa in Dio (come insegnava il grande Agostino). La sua più grande paura nasce dalla possibilità di essere respinto da Dio nell'eternità. Questo costituisce la tragica prospettiva della morte eterna, mentre la speranza della vita è inseparabilmente collegata col desiderio di vedere Dio: "Di te ha detto il mio cuore: cercate il suo volto"; e in seguito: "Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi" (Ps 27,8 Ps 27,13 [PS 27]).


4. Vivendo qui, sulla terra, in una tale prospettiva definitiva, l'uomo deve maturare nell'incontro con Dio "a faccia a faccia", nell'unione con lui. Deve trasfigurarsi profondamente in tutta la sua umanità.

E per questo sulla nostra via quaresimale appare oggi il monte della Trasfigurazione.

San Paolo nella lettera ai Filippesi rilegge il significato di questa Trasfigurazione di Cristo come una chiamata indirizzata a tutta la nostra umanità.

Ecco "Gesù Cristo... trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose" (Ph 3,21).

Il monte della Trasfigurazione è preannunzio della risurrezione di Cristo. La sua Risurrezione apre davanti all'uomo l'ultima prospettiva dell'alleanza: la "glorificazione" dell'intero essere umano, spirituale e corporale, in Dio. La prospettiva che il Simbolo degli apostoli esprime con le parole: "Credo la risurrezione della carne".


5. Tuttavia il monte della Trasfigurazione prepara nello stesso tempo al monte della crocifissione: al Golgota. La Risurrezione di Cristo passerà attraverso il suo spogliamento e la sua morte.

Gli apostoli, che sul monte della Trasfigurazione gridano: "Maestro, è bello per noi stare qui" (Lc 9,33), dovettero poi sperimentare l'infamia della morte di Cristo sulla Croce. Per questa via egli è entrato nella sua gloria (cfr Lc 24,26).

E perciò l'apostolo Paolo esorta con grande fermezza i destinatari della sua lettera affinché i loro pensieri e atti non si stacchino dalla Croce, affinché essi non si comportino "da nemici della Croce di Cristo" (Ph 3,18), come fanno quelli che "sono intenti alle cose della terra" (Ph 3,19).

L'alleanza di Dio con l'umanità, in definitiva, si è attuata per mezzo della Croce: nel mistero pasquale del nostro Signore Gesù Cristo.

E mediante la Croce tutti noi siamo abbracciati dalla potenza salvifica di quest'alleanza.


6. Oggi, insieme con la Chiesa in tutta la terra, noi meditiamo queste grandi verità della catechesi liturgica del tempo di Quaresima qui in questa parrocchia di santa Maria "Mater Ecclesiae".

La Croce infatti è il simbolo della fede cristiana, è l'emblema di Gesù, crocifisso e risorto per noi. La Croce quindi deve segnare le tappe del nostro itinerario quaresimale per insegnarci a comprendere sempre di più la gravità del peccato e il valore del sangue, col quale il Redentore ci ha lavati e purificati.

Mettiamoci alla scuola del crocifisso non solo durante la pia pratica della "Via Crucis", che è propria del tempo quaresimale, ma anche nella nostra meditazione e preghiera, fino ad arrivare ad un solo sentire e ad una intima comunione col Cristo. Infatti, come dice l'apostolo Pietro: "Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate... esultare" (1P 4,14).


7. Con questi pensieri saluto, unitamente al Cardinale vicario Ugo Poletti e al Vescovo del settore, monsignor Clemente Riva, tutti voi, cari fedeli di questo popoloso quartiere di Tor di Valle. Saluto in particolare il vostro parroco, monsignor Mario Cipolletti, e tutti i sacerdoti suoi collaboratori nella cura pastorale di questa zona. Un grato pensiero va pure a tutti i gruppi e le componenti parrocchiali, che operano in stretta sintonia con le direttive e i programmi dei sacerdoti; mi riferisco ai gruppi di animazione liturgica, dei catechisti, della Caritas, degli Scouts, della protezione civile, della stampa, del canto. Un saluto particolare alle suore del Santissimo Sacramento di Valence, le quali sono pienamente inserite nell'attività pastorale della parrocchia, principalmente nell'ambito della educazione della gioventù e nell'assistenza degli anziani e degli ammalati.

Questa parrocchia è intitolata a Maria "Mater Ecclesiae", a ricordo della chiusura del Concilio Vaticano II, in cui la Vergine santa fu solennemente proclamata da Paolo VI madre della Chiesa. Come la prima comunità cristiana di Gerusalemme si raccoglieva intorno a Maria nel Cenacolo, così anche voi venerate Maria e fate unità nel suo nome. Come lei, la Vergine dell'ascolto, anche voi mettetevi in atteggiamento di ascolto e di generosa disponibilità alla voce del Signore, che parla al vostro cuore. In questo modo saprete risolvere meglio i problemi anche gravi, che assillano questa zona e che vanno dall'uso della droga alla disoccupazione, da un certo individualismo che condiziona il comportamento anche di alcuni cristiani all'indifferentismo religioso, per cui si trascura di frequentare la Chiesa. Questo tempo di Quaresima serva a far riflettere sulle ragioni ultime della nostra vita, aiuti un buon esame di coscienza per verificare se siamo cristiani coerenti, che sanno assumersi coraggiosamente la propria responsabilità davanti a Dio e agli uomini. Sia anche per noi questo un tempo di trasformazione interiore, di miglioramento e di trasfigurazione spirituale, in modo da giungere a celebrare la Pasqua interiormente rinnovati, come risorti a vita nuova.


8. Cari fratelli e sorelle! Lasciamo che durante la Quaresima parli a noi in modo particolare la potenza salvifica dell'alleanza di Dio con l'uomo, la quale trova il suo zenit in Cristo.

Come gli apostoli, cerchiamo anche noi di prepararci mediante la Trasfigurazione di Cristo al mistero pasquale: alla Croce e Risurrezione.

Mediante tutto questo si ravvivi in noi la consapevolezza della vocazione all'unione con Dio, nel quale l'"irrequieto cuore umano" deve trovare quella realizzazione che non può raggiungere nelle realtà temporali.

Ripetiamo quindi con il salmista: "Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore" (Ps 27[26],14).

[Ai catechisti e al gruppo Caritas] Grazie per questa parola così bella, così cordiale. Come sapete, durante l'anno mariano io ho scritto una Lettera apostolica sulla dignità e la vocazione della donna. E l'ho scritta con tutto il mio cuore, perché certamente è una cosa grande. Alla donna è affidata la persona umana. Anzi, c'è di più: ad una donna, Maria, Dio stesso ha affidato il suo Figlio. E un mistero molto realistico, che ci parla bene della nostra realtà umana, di quello che è la donna, ogni donna, nella piccola famiglia della casa, nella famiglia dell'ambiente, della parrocchia, nella famiglia della Chiesa, dell'umanità. Vi ringrazio per questi compiti apostolici diversi che toccano un po' più la testa dei giovani con la catechesi, un po' più il cuore di chi soffre, ma in realtà toccano la testa e il cuore, toccano tutto l'uomo. E' questa la vocazione femminile: la donna ha questa forza intuitiva della sua femminilità della sua maternità, e così sa avvicinare la persona umana, un'altra persona, anche difficile, soprattutto se sofferente.

Io vi ringrazio per tutto il contributo femminile che viene da voi alla parrocchia, affidata a questa donna del protoevangelo, a questa donna dell'Apocalisse, a questa donna di Betlemme, a questa donna del Cenacolo: Maria. E ringraziandovi, vi auguro una buona continuazione nella vostra opera apostolica e, nello stesso tempo, auguro tutto il bene per le vostre famiglie e per i diversi impegni della vostra vita quotidiana. Che Dio sia sempre con voi, vi assista e vi benedica.

[Al Consiglio pastorale] Ho incontrato la vostra parrocchia prima attraverso la visita del vostro parroco e degli altri sacerdoti che sono venuti da me sabato, con il Cardinale Vicario e il Vescovo monsignor Riva. Da questo incontro mi è sembrato subito che il vostro parroco sia bene affiancato dai suoi parrocchiani. Questa parrocchia, divenuta così con l'esplosione demografica di questa parte di Roma, si mantiene ben compatta, unita intorno al sacerdote, cioè intorno a Cristo, perché il compito essenziale di ogni sacerdote è rappresentare la persona di Cristo nel momento più sublime, più sacro, che è quello dell'Eucaristia. E la parrocchia si costruisce intorno al suo redentore santo Gesù Cristo, che è parroco, sacerdote e ministro di questo mistero eucaristico. Ed è colui che riunisce la comunità della Chiesa locale, della Chiesa parrocchiale.

Io vi ringrazio, carissimi fratelli e sorelle, per questo vostro impegno che vi ha portato a sentirvi corresponsabili della causa di Cristo, della sua Chiesa e di questa parrocchia. Ho detto all'inizio che il vostro parroco mi sembrava ben affiancato. Questo vuol dire appunto una costruzione, un edificio spirituale, accanto alla costruzione architettonica. La Chiesa più reale, nel senso proprio della parola è la comunità, "le pietre vive", come dice san Pietro.

Io vi ringrazio per i diversi contributi del Consiglio pastorale, per i diversi gruppi catechistici e caritativi: anche un gruppo ecologico, un gruppo artistico, un gruppo redazionale, cosa piuttosto rara, che cura una edizione parrocchiale per il quartiere. Mi congratulo con voi per queste diverse attività apostoliche, tutte orientate a far vivere la comunità cristiana della sua fede, di quello che essa significa per ciascuno di noi, per questa dignità, per questa vocazione, per questo umanesimo cristiano: tutto quello che si trova nel Vangelo e che è passato al contenuto della missione della Chiesa, che passa attraverso tutti noi.

Certamente il Concilio Vaticano II a cui si è riferito il vostro rappresentante ci ha fatto capire che la Chiesa è missione e che questa missione divina, che proviene dal Padre attraverso il suo Figlio incarnato e lo Spirito Santo, passa attraverso il Popolo di Dio, cioè attraverso ciascuno di noi unito in Cristo, ciascuno di noi nella comunità. La Chiesa è una realtà stupenda, meravigliosa se si vede con gli occhi della fede. Quando si vede la Chiesa con questi occhi, la si vuole anche vivere più profondamente, più efficacemente, portarla avanti, farla vivere agli altri, avvicinare tutti a questa Chiesa. Io penso che, da questo punto di vista, avete ancora molto da fare in questo quartiere. E la Chiesa avrà sempre in tutto il mondo tanto da fare per portare il Vangelo fra tutti i popoli della terra, per un compito che le sta sempre davanti in un futuro che infine è escatologico. Dobbiamo metterci all'opera dappertutto e in ogni momento, per essere quello che siamo: cristiani, battezzati, confermati, cioè Chiesa. Voglio anche ringraziare e benedire le vostre famiglie, augurando tutto il bene per le diverse professioni, i diversi lavori, i diversi impegni sociali.

[Ai giovani] Saluto tutti i i giovani qui presenti, quelli che sono giovani e anche quelli che si sentono giovani. Consentitemi anche di porre me stesso in questo gruppo, sentendomi giovane. Saluto i diversi gruppi, soprattutto questo splendido gruppo artistico-musicale che ci ha offerto il concerto di musica ebraica.

Queste parole di Cristo nella sua parabola non sono tanto le parole del proprietario della "vigna", ma sono le sue parole: lui è il grande proprietario della "vigna". "Andate anche voi nella mia vigna". Queste parole Gesù le indirizzava a tutti i suoi ascoltatori. Certamente si pensa molte volte ai discepoli di Cristo come ai suoi apostoli. Certamente erano gli apostoli, ma non solamente. I discepoli di Cristo sono in ogni epoca e in ogni generazione: sono tutti i battezzati. I discepoli fanno una tremenda esperienza di Cristo; e questa esperienza di Battesimo - che per noi è soprattutto un sacramento, un segno, un rito - è una realtà veramente sconvolgente se la si pensa con i criteri di san Paolo che diceva: questa immersione nell'acqua è immersione nella morte di Cristo.

Dobbiamo entrare nella sua morte per essere risorti insieme con lui, partecipando alla sua morte e alla sua risurrezione. E questo viene operato in ciascuno di noi nel momento del Battesimo. Ora vengono battezzati i piccoli neonati, ma una volta, nel periodo primitivo della Chiesa, erano battezzati piuttosto gli adulti. Ma, indipendentemente dall'età, la realtà sacramentale del Battesimo è sempre la stessa. E si può dire che un battezzato non diventi discepolo di Cristo una volta entrato nel centro, nel nucleo stesso di quello che è il suo Vangelo, il suo messaggio? Perché il nucleo del messaggio di Cristo e della sua missione è appunto questo: la sua Croce e la sua Risurrezione, la sua morte e la nuova vita. E così noi, dopo il Battesimo, diventiamo tutti discepoli di Cristo. Ma sappiamo bene che non tutti si sentono e si comportano da discepoli. Io penso che per compiere questi compiti di cui parla l'ultimo documento post-sinodale "Cristifideles Laici", si deve inaugurare in ogni parrocchia un programma, una metodologia, su come conoscere, appropriarsi, approfondire meglio il mistero del Battesimo e il proprio essere cristiani. Questo è un cammino che si apre davanti a tutti, soprattutto davanti a voi giovani, perché il progetto della vita è proprio della vostra età. Allora, occorre inserire in questo progetto della vita un cammino, un programma - forse il termine "cammino" è più evangelico - per scoprire come realizzarsi da cristiano, come diventare cristiano. Io voglio augurare a questa parrocchia dedicata alla Madre della Chiesa che tutti i giovani possano trovare questo cammino e possano realizzare questo programma, essendo cristiani, diventando cristiani più consapevoli, più responsabili, più gelosi della propria vocazione, della propria dignità stupenda: essere figli del Figlio, essere cristiani in Cristo.

Alcune parole devono essere sufficienti per questa circostanza. Vi ringrazio per la vostra presenza, per questo ascolto, e vi auguro di continuare insieme con i vostri sacerdoti, con il vostro parroco e con questo giovane sacerdote che cerca di entusiasmarvi con la sua voce, il suo canto. Questa è una parrocchia che canta, grazie a Dio. Sant'Agostino, un grande dottore, uno dei più grandi saggi della Chiesa, diceva: chi canta "bis orat". Chi canta, prega due volte. Se cantate, si realizza anche questo calcolo agostiniano, per ciascuno di voi, per questo giovane sacerdote, per tutti i cantori e per tutti i parrocchiani.

[Il saluto alla vecchia ma sempre viva chiesetta] Prima dl congedarmi dalla vostra parrocchia, volevo visitare la vecchia ma sempre ancora viva chiesa, affidata alla cura delle suore e anche alla presenza di tanti parrocchiani che vengono qui volentieri per adorare il Santissimo Sacramento. E questo è molto prezioso. Vorrei augurare tutto il bene a questo quartiere, a questo settore del quartiere dove si trova la parrocchia affidata alla "Mater Ecclesiae", la Madre della Chiesa, e benedire tutti i presenti, le vostre famiglie e tutti gli abitanti di questo ambiente.

1989-02-19

Domenica 19 Febbraio 1989





GPII 1989 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)