GPII 1989 Insegnamenti - Il discorso consegnato alla gioventù della diocesi di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Il discorso consegnato alla gioventù della diocesi di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Imparate a coniugare al presente i verbi del vostro impegno. E' l'unico modo serio per costruire un futuro migliore


Signori Cardinali, fratelli nell'Episcopato, carissimi giovani romani.


1. Grazie! Questa è la prima espressione che mi viene alle labbra dopo aver ascoltato le vostre parole ed i vostri canti. Grazie per quest'ora di festa, nella quale avete voluto esprimere tutta la gioia della vostra giovinezza. Grazie per la sincerità, con cui avete manifestato le preoccupazioni e le speranze che portate nel cuore. Grazie per la generosa disponibilità, con cui vi siete dichiarati pronti ad assumere le vostre responsabilità nella Chiesa e nella società per la costruzione di un futuro migliore.

Voi siete il futuro! Il futuro della famiglia, della società, della Chiesa stessa di Roma che, attraverso il Sinodo diocesano, si vuole rinnovare per essere sempre più autentica comunione al servizio della missione di questa città.

Voi custodite nel cuore il segreto di tale futuro, perché ciò che sarà domani dipende in gran parte dalla vostra immaginazione, dal vostro coraggio, dal vostro impegno.

Dipende, in particolare, dalla vostra fede! Si, dalla fede. Ogni giovane coltiva progetti per il futuro. Ma chi può garantire la bontà di tali progetti? Soprattutto, chi è in grado di assicurare la forza morale necessaria per realizzarli? Voi, giovani di oggi, avete sotto gli occhi il risultato dei progetti dei giovani di ieri. Vi sono cose buone, ma vi sono anche cose che non vi convincono. Della vostra insoddisfazione si sono fatti eco i vostri rappresentanti. Ritorna allora la domanda: chi può aiutarvi a non ripetere gli stessi errori? Chi può indicarvi le mete giuste, per le quali impegnare la ricchezza del vostro entusiasmo? Ecco: incontro a voi si fa uno che ha la risposta da voi attesa, uno che sa di poter affermare: "Io sono la Via, la Verità, la Vita" (Jn 14,6). Su di lui potete contare per l'oggi e per il domani: Gesù Cristo, "il Vivente" (Ap 1,18), lui vi è accanto nello sforzo ogni giorno necessario per costruire un futuro migliore.


2. Carissimi giovani romani, vi ripeto una consegna a me cara: aprite le porte a Cristo! Aprite il cuore a Cristo! E' un amico esigente, ma è un amico che non delude e non abbandona.

Egli ha detto di essere la via: lo è con gli insegnamenti del suo Vangelo e con gli esempi della sua vita. Se altre vie vi si aprono dinanzi, che vi possono allettare con la prospettiva di traguardi tanto facili quanto ambigui, voi non dimenticate: Cristo è l'unica via! Egli conduce alla piena attuazione delle aspettative, che portate nel profondo del cuore.

Egli ha detto di essere la verità: è infatti il Verbo eterno del Padre.

Voi siete affamati di verità: su voi stessi e sul mondo, sul mistero del male e del dolore, sulla vita e sulla morte. Molte "verità" vi sono offerte al riguardo, fra loro discordi e anche contraddittorie. Sono verità intrise di terra, gonfie di ottimismo presuntuoso e gratuito, oppure bacate dal verme del relativismo e del pessimismo. Cristo è la verità assoluta, nella quale il Padre offre all'uomo la risposta esauriente a tutti gli interrogativi che lo tormentano. In lui l'uomo può scoprire la piena verità su se stesso e sul mondo.

Gesù ha detto di essere la vita. Voi sentite pulsare nelle vostre vene il fiotto prorompente della vita, ma fate anche, ogni giorno, l'esperienza amara della sua precarietà: la morte è la realtà che impone la sua presenza con l'argomentazione inoppugnabile dei fatti. Ebbene, la notizia inaudita annunciata sulla tomba vuota del Calvario in quel primo giorno dei tempi nuovi è che un uomo ha vinto la morte: lui, il Signore Gesù, "era morto, ma ora vive per sempre ed ha potere sopra la morte e sopra gli inferi" (cfr Ap 1,18). Di questa vita nuova, vittoriosa sulla morte, Gesù fa dono a chiunque crede in lui, perché "questa è la volontà del Padre, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna" (cfr Jn 6,40).


3. Carissimi giovani! Come credenti, voi siete chiamati ad essere testimoni nel mondo della vita nuova portata da Cristo risorto. Non transigete sulla verità e sul bene; non scendete a compromessi sui valori evangelici, che devono stare alla base della vostra vita, perché su di essi si fonda il mondo nuovo, inaugurato da Cristo.

Il mondo in cui viviamo lo conoscete. Ho ascoltato con attenzione l'analisi dei suoi mali, fatta con occhi disincantati da alcuni di voi: i problemi della disoccupazione e della sottoccupazione; il degrado della vita; le sacche delle nuove povertà; il tributo pagato dai giovani a situazioni inquinate dalla droga e dalla violenza; le conseguenze di un progresso tecnologico che spersonalizza ed aumenta l'anonimato; la banalizzazione dei gesti dell'amore; l'intolleranza cieca e senza pietà... L'elenco potrebbe continuare, riversando nell'animo ulteriori ondate di amarezza.

Non giova, pero, indugiare in una diagnosi che è in se stessa chiara. La nostra società non difetta sicuramente di censori pronti a pronunciare requisitorie sui mali del mondo; ma ciò che oggi si richiede con urgenza è la messa in opera di terapie efficaci.

Cristo possiede la terapia per guarire i mali del mondo. Egli, che ha voluto applicare a se stesso la qualifica di medico (cfr Mc 2,17), ci ha insegnato che, se si vuole cambiare il mondo, occorre innanzitutto cambiare il cuore dell'uomo: "dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive" (Mc 7,21). Nel mistero pasquale, che ci apprestiamo a rivivere, Cristo ha offerto all'uomo, con la grazia redentrice, la terapia efficace dei mali che egli si porta nel cuore.


4. Giovani e ragazze che mi ascoltate, a voi il compito di farvi annunciatori, con la testimonianza del vostro esempio, della vita nuova che il Cristo risorto ha immesso nel mondo. Questa deve essere la vostra fierezza, questa la vostra ambizione: essere, in mezzo ai vostri coetanei, testimoni dell'umanità redenta dal sangue di Cristo, di un'umanità in cammino sulle strade della terra verso la terra promessa del cielo. Siate uomini e donne dal cuore nuovo. Un cuore libero e generoso, sensibile ai valori perenni dell'onestà, della purezza, del dono di sé, della fedeltà; un cuore filialmente aperto alla gratitudine verso il Padre celeste e fraternamente chino sulle necessità dei fratelli. E se qualcuno o qualcuna di voi avvertisse la chiamata di Cristo al dono totale di sé nel ministero sacerdotale o nella vita religiosa, non rifiuti una così esaltante, anche se esigente proposta. Trovi il coraggio di un si generoso e forte, che può dare una impareggiabile pienezza di senso a tutta la vita.

Carissimi giovani, Cristo conta su di voi! Accoglietene l'invito ad assumervi le vostre responsabilità. E accoglietelo subito. Non rimandate a domani ciò che potete fare oggi. Imparate a coniugare al presente i verbi del vostro impegno. E' l'unico modo serio di lavorare all'edificazione di un futuro migliore.

Sono mille i gesti concreti che voi potete porre in atto, come singoli e in gruppo, per far progredire il vostro ambiente verso l'ideale di una convivenza degna di membri dell'unica famiglia di Dio. Non sottovalutate i piccoli gesti.


5. Impegnatevi, in particolare, a preparare la vostra famiglia di domani. La famiglia è la culla del futuro. Occorre fare in modo che la culla sia riscaldata dall'amore, perché la vita che vi sboccia vi si possa sviluppare senza traumi.

Amare non è facile. Suppone maturità affettiva, forza di volontà, capacità di autocontrollo, abitudine alla rinuncia ed al dono. Bisogna imparare ad amare: è un apprendistato lungo, che richiede l'impegno di anni. Dei vostri giovani anni.

Nella lettera, che a suo tempo vi ho indirizzata, scrivevo: "Imboccare la via della vocazione matrimoniale significa imparare l'amore sponsale giorno per giorno, anno per anno" ("Epistula Apostolica ab iuvenes internationali vertente anno iuventuti dicato", 10, die 31 mar. 1985: , VIII, 1 [1985] 781). Solo un amore, che affonda le sue radici nella padronanza di sé, può affrontare le incognite di un'intera esistenza.

Non sprecate questi anni preziosi cedendo alle lusinghe del consumismo.

La mentalità consumistica può inquinare anche l'amore, finendo per ridurre, di fatto, l'altro ad oggetto del proprio egoismo, questo veleno sottile che uccide l'amore. Non scambiate l'esperienza prematura del piacere con la gioia del dono totale di sé nel contesto di un amore che s'è fatto carico dell'altro, senza riserve.

Carissimi giovani! Nella giornata, che è vostra, io chiedo al Signore di concedervi il coraggio di sfidare i convenzionalismi di comodo per essere coerenti fino in fondo con gli insegnamenti provocatori del Vangelo. Solo così potrete essere il lievito di un mondo, dove i cuori possano fare la esperienza gioiosa della vera fraternità, che Cristo ha inaugurato col mistero della sua morte e della sua Risurrezione.

1989-03-18

Sabato 18 Marzo 1989




Messaggio ai Vescovi degli Stati Uniti d'America - Città del vaticano (Roma)

La profonda collegialità effettiva ed affettiva che ci unisce si è manifestata con chiarezza nel nostro recente incontro


Ai miei cari fratelli i Vescovi degli Stati Uniti.

Dopo il recente incontro in Vaticano degli Arcivescovi metropoliti degli Stati Uniti con la mia persona e i membri della Curia romana, all'avvicinarsi della solenne festività della Pasqua, desidero farvi pervenire il mio più cordiale saluto fraterno nell'amore del nostro Signore e salvatore risorto, Gesù Cristo. La celebrazione annuale da parte della Chiesa dei misteri centrali della nostra fede - la Passione, morte e Risurrezione di Gesù - è un momento opportuno per noi, successori degli apostoli, per rinnovare nella mente, nel cuore e nell'azione il nostro impegno in uno dei compiti fondamentali che scaturiscono dalla nostra ordinazione episcopale: essere testimoni e maestri della parola di verità, il Vangelo della nostra salvezza (cfr Ep 1,13). La Risurrezione, di fatto, è il segno più eminente della potenza del Vangelo nel salvare gli uomini e le donne di ogni epoca e luogo e cultura. Davvero il mistero pasquale è la sorgente più profonda della fiducia nel nostro ministero di Vescovi.

L'incontro con i Metropoliti degli Stati Uniti è stata una occasione provvidenziale per una feconda riflessione e discussione su aspetti importanti del compito di evangelizzazione della Chiesa nel vostro Paese, che sarà di importante punto di riferimento per il vostro futuro ministero. E' stata anche una profonda esperienza della continua presenza in mezzo a noi dello Spirito Santo, il divino Consolatore che ci guida alla verità (cfr Jn 16,13). L'Eucaristia da noi concelebrata presso le tombe degli apostoli ha manifestato in modo potente la comunione che ci unisce in Cristo e nella Chiesa. Là abbiamo rese grazie a Dio per la Chiesa degli Stati Uniti, per voi Vescovi, come anche per i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e i laici. Abbiamo implorato la benedizione di Dio sulle vostre Chiese particolari e su quanti sono in difficoltà.

Voi che eravate presenti riporterete a quelli da voi rappresentati più che un elenco di conclusioni particolari, una accresciuta consapevolezza delle sfide cui è chiamata a far fronte la Chiesa degli Stati Uniti, per proclamare con sempre maggior efficacia il mistero di Cristo. La vostra è una cultura ricca di valori positivi, ma nello stesso tempo, come ogni cosa umana, è segnata da elementi che devono essere purificati ed elevati dal messaggio salvifico del Vangelo (cfr Pauli VI, EN 20). In questa prospettiva il nostro compito di Pastori è di annunciare sempre la verità di Gesù Cristo affidata alla Chiesa - la verità che dà la vita e che sola ci rende liberi.

Nelle nostre discussioni, il tema del ministero sacerdotale ha occupato grande spazio a causa del suo ruolo specifico e unico nell'edificazione e nel sostegno di ogni Chiesa locale e a causa dell'amore, la comprensione e la gratitudine manifestata da tutti i Vescovi verso di loro. I Vescovi hanno uno speciale ministero da esercitare verso i sacerdoti, nell'incoraggiarli e sostenerli. La giustizia e la carità richiedono una particolare saggezza ed attenzione in tutti gli aspetti della loro formazione, vita e ministero. In questo, come in ogni importante questione ecclesiale, è imperativo lo studio approfondito dei documenti del Concilio Vaticano II in tutta la loro ricchezza di ispirazione. Preghero in modo speciale per i sacerdoti degli Stati Uniti nella Messa crismale di questa settimana, quando insieme rinnoviamo le promesse della nostra comune configurazione sacramentale con Cristo.

La mia partecipazione all'incontro è stata secondo le esigenze del ministero petrino di cui ho parlato durante la nostra assemblea di Los Angeles nel 1987, non solo come un servizio "globale", che raggiunge ogni Chiesa particolare come dall'"esterno", ma come già appartenente all'essenza di ogni Chiesa particolare dal "di dentro" (cfr "Allocutio, Angelopoli, ad episcopos Civitatum Foederatarum Americae Septentrionalis coram admissos", 4, die 16 sept. 1987: X, 3 [1987] 556). E' di estrema importanza che nella pienezza della comunione ecclesiale continuiamo a proclamare insieme Gesù Cristo e il suo Vangelo. In questo modo, noi stessi viviamo pienamente, come successori degli apostoli, il mistero della comunione ecclesiale. Nello stesso tempo attraverso il nostro ministero noi consentiamo ai fedeli di entrare sempre più profondamente nella vita di comunione ecclesiale con la Santissima Trinità (cfr. "Allocutio, Angelopoli, ad episcopos Civitatum Foederatarum Americae Septentrionalis coram admissos", 4, die 16 sept. 1987: Insegnamenti di Giovanni Paolo II X, 3 [1987] 556).

Mentre celebriamo la gloria del Signore risorto, prego per ciascuno di voi e per tutta la Chiesa degli Stati Uniti. Rendo grazie a Dio per la profonda "collegialitas effectiva et affectiva" che ci unisce nel mistero di Cristo e della sua Chiesa e si è manifestata con chiarezza nel nostro recente incontro. Affido all'intercessione della madre di Dio, Maria Immacolata, i continui e urgenti compiti e sfide del vostro ministero di insegnamento, di santificazione e di governo. In segno di amore e stima fraterna, imparto di cuore la mia apostolica benedizione.

Dal Vaticano, 19 marzo 1989.

1989-03-19

Domenica 19 Marzo 1989




L'omelia nella domenica delle palme, quarta Giornata Mondiale della Gioventù - Ai giovani e fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Giovani, se voi tacerete grideranno le pietre



1. "Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre" (Lc 19,40).

così Gesù ha risposto quando gli è stato chiesto di far tacere i suoi discepoli, venuti con lui a Gerusalemme: "rimprovera i tuoi discepoli" (Lc 19,39).

Gesù non li ha rimproverati.

Non impedisce alla folla, che - mentre egli scendeva dal monte degli Ulivi - lo saluti gridando: "Osanna"! "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore.

Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli" (Lc 19,28).

Una volta Gesù si era allontanato tra la folla, che lo voleva proclamare re. Questo accadde dopo la miracolosa moltiplicazione dei pani,nei pressi di Cafarnao. Questa volta i pellegrini pasquali cominciarono "a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto" (cfr Lc 19,37).

E Gesù non si allontana da loro. Non fa divieti. Non fa tacere coloro che gridano. Non impedisce quelli che stendono i loro mantelli sulla strada. C'è di più, risponde ai farisei: "Se questi taceranno, grideranno le pietre".

Gesù sa che è venuto il tempo perché si faccia sentire questo grido presso le porte di Gerusalemme. Egli sa che, ormai, è "venuta la sua ora".


2. Questa ora - la sua ora - è scritta eternamente nella storia d'Israele. Ed è pure iscritta nella storia dell'umanità, così come Israele è iscritto in questa storia: il popolo eletto! "Benedetto Colui che viene, il re, nel nome del Signore".

Questo popolo tiene fisso nella memoria il passare di Dio. Dio è entrato nella sua storia, iniziando dai patriarchi, da Abramo. E poi attraverso Mosè.

Dio è entrato nella storia di Israele come colui che "E'" (cfr Ex 3,14).

"E'" tra tutto ciò che trapassa. Ed "E'" con l'uomo. "E'" con il popolo della sua elezione.

Jahvè - colui che "E'" - ha fatto uscire il suo popolo dall'Egitto, dalla casa di schiavitù e di oppressione. Ha mostrato la "potenza della sua destra" invisibile in modo visibile.

Non è soltanto il Dio lontano di infinita maestà, creatore e Signore di tutte le cose. E' diventato il Dio dell'alleanza.

I pellegrini che si dirigono a Gerusalemme, e tra di loro Gesù di Nazaret, vanno là per le feste pasquali. Per lodare Dio per il miracolo della notte pasquale in Egitto. Per la notte dell'esodo.

E' passato per l'Egitto il Signore - e Israele è uscito dalla casa della schiavitù. Ecco Dio che libera - Dio-salvatore.


3. "Benedetto il re che viene nel nome del Signore".

Pronunciano queste parole le labbra dei figli e delle figlie di Israele! Questo popolo aspetta una nuova venuta di Dio, una nuova liberazione. Questo popolo aspetta il Messia, l'unto di Dio, in cui è la pienezza del Regno di Dio tra gli uomini. Questo regno avevano rappresentato nella storia i re terreni di lsraele e di Giuda, di cui il più grande fu Davide: re-profeta.

Il Messia doveva significare la pienezza del Regno di Dio tra gli uomini.

E forse anche il regno terreno? E forse anche la liberazione dalla schiavitù di Roma? Gli uomini che cantano: "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore", rendono testimonianza alla verità. Non viene forse da Dio colui che ha rivelato tra di loro tanti segni della potenza di Dio? Colui che negli ultimi giorni ha fatto risorgere Lazzaro? Benedetto!...

Rendono testimonianza alla verità. Non poteva mancare questa testimonianza. Se essi dovessero tacere, allora griderebbero le pietre.


4. Gesù entra a Gerusalemme mentre risuona questa testimonianza. Va verso la sua "ora", quando si rivela la pienezza del Regno di Dio nella storia dell'uomo.

Egli stesso porta in sé questa pienezza. Egli è inizio del Regno di Dio in terra. Il Padre stesso gli ha dato questo Regno. Esso deve crescere da lui e per lui tra gli uomini, permanere e svilupparsi in tutta la famiglia umana.

Gesù conosce bene la strada che conduce a lui.

Egli sa che "essendo di natura divina" (Ph 2,6) doveva "spogliare se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini" (cfr Ph 2,7).

Sa che egli - Figlio della stessa sostanza del Padre, "Dio da Dio, Luce da Luce", ed in pari tempo vero uomo, "apparso in forma umana" (Ph 2,7) deve "umiliare se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (cfr Ph 2,8).

Gesù sa che proprio questa è la sua "ora". Che questa "ora" è ormai vicina. Infatti proprio per essa - per questa "ora" - egli è "venuto al mondo" (cfr Jn 12,27).

Nella sua umiliazione, nella sua Croce, nella sua morte obbrobriosa Dio - "Colui che è" - passerà - per la storia dell'uomo. Passerà - molto più di quanto sia passato nella notte dell'esodo dalla schiavitù di Egitto.

E, ancor meglio, libererà.

Proprio mediante questa obbedienza filiale, fino alla morte: libererà.

Questa sarà la liberazione dal male fondamentale, che, a partire dalla "disobbedienza" originaria, grava sull'uomo come peccato - e come morte.


5. Quindi le labbra degli uomini annunziano la verità; le voci dei giovani rendono testimonianza alla verità.

"Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore".

Ciò avverrà - tra qualche giorno - quando il re sarà coronato di spine e lo vedranno agonizzare sulla Croce che reca la scritta: "Questi è Gesù, il re dei Giudei" (cfr Mt 27,37).

Ma proprio attraverso questo scherno, attraverso questo obbrobrio passerà: colui che è.

Passerà molto di più, ancor più definitivamente che nella notte della prima pasqua in Egitto.

Passerà per la tomba, in cui deporranno il Crocifisso. E si rivelerà nel segno più grande: nel segno della morte vinta dalla vita.

Veramente la stessa pienezza divina del regnare è racchiusa in questo segno. Cristo segue la sua "ora". E' l'ora della esaltazione: "Per questo Dio l'ha esaltato / e gli ha dato il nome che è al di sopra / di ogni altro nome" (Ph 2,9).

"Benedetto colui... che viene nel nome del Signore".


6. Da quel tempo, dalla sua Risurrezione, Cristo vive.

E "viene nel nome del Signore" alle generazioni umane sempre nuove con il suo mistero pasquale.

In lui permane, fino alla fine del mondo, la venuta di Dio: di colui che è.

Voi tutti che siete riuniti alla Pasqua della nuova ed eterna alleanza - voi soprattutto giovani - state attorno a Gesù Cristo nel corso della settimana santa. Nel corso di questi prossimi giorni, che racchiudono in sé una particolare memoria della "sua ora".

E' bene che voi siate qui per "lodare Dio" nel mistero del passare pasquale attraverso la storia dell'uomo.

E' bene che si faccia sentire la vostra voce.

Veramente! Se voi tacerete grideranno le pietre.

La vostra voce, oggi qui a Roma, sarà anche un preannuncio di quella che farete sentire, ne sono certo, nel prossimo mese di agosto, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, al santuario di san Giacomo de Compostela, dove ci ritroveremo insieme per quell'importante evento ecclesiale. Oggi così si darà inizio, in certo modo, a quel "cammino di Santiago" che dovrà fare di voi, cari giovani, altrettanti pellegrini della fede cristiana.

Colui che è - Dio, / il Dio vivo, aspetta la vostra voce; la voce degli uomini vivi, / la voce dei giovani!

1989-03-19

Domenica 19 Marzo 1989




Recita dell'Angelus della domenica delle palme - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Dopo la meditazione sui misteri dolorosi del rosario il Papa avvia il cammino verso la Pasqua


Carissimi fratelli e sorelle.


1. Al termine di questa celebrazione eucaristica siamo giunti al momento dell'"Angelus". Nei precedenti appuntamenti quaresimali per la preghiera mariana ci siamo soffermati sui misteri dolorosi del rosario. Con questa domenica inizia la settimana santa, durante la quale rivivremo i vari momenti della Passione di Gesù fino alla sua drammatica e misteriosa invocazione: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mc 15,34), che precedette di poco l'ultimo suo respiro. La sua morte - ben lo sappiamo - fu presto seguita dalla Risurrezione. così, in questa settimana, faremo anche noi con Cristo questo "passaggio" (Pasqua).


2. L'"Angelus" odierno segna perciò, nel nostro programma liturgico, come il punto di raccordo fra il periodo preparatorio ai misteri della Passione, morte e Risurrezione di Cristo e la loro celebrazione. Possiamo pertanto oggi gettare come uno sguardo d'insieme su tutto il cammino spirituale, che abbiamo percorso, e che ci resta da percorrere. Un cammino che riassume tutto il senso cristiano della vita: la vita che nasce dalla morte. La morte, in certo senso, appartiene al passato, mentre nel futuro ci sorride la vita. Compiamo con Cristo questa pasqua, che "è passaggio del Signore". Con lui, verso la vita, oltre la morte.


3. In secondo luogo ricordo ancora una volta l'attuale Giornata Internazionale dei Giovani che ha per tema le parole di Gesù: "Io sono la Via, la Verità e la Vita" (Jn 14,6) e si celebra in tutte le diocesi, ed a Roma in modo speciale. Mando - in questa occasione - un affettuoso saluto a tutti i giovani che oggi celebrano questa giornata. E ripeto, inoltre, che essa continuerà in agosto al santuario di Santiago di Compostela. Rivolgo perciò nuovamente ai giovani l'invito a venire numerosi a implorare l'intercessione del grande Apostolo per la rinascita e l'aumento di quello spirito cristiano, del quale il suo celebre santuario è stato ed è centro vivissimo per tutta l'Europa. Esso è, infatti, uno di quei luoghi che ricordano agli Europei il messaggio evangelico con il conseguente impegno missionario che è stato loro affidato per il bene e la pace del mondo intero.


4. I giovani e la Pasqua: non c'è forse un rapporto molto stretto tra queste due realtà? La giovane generazione non è forse un "luogo" speciale per l'evento della Pasqua? Come non vedere nella gioventù e nei suoi valori - la vita, la salute, la bellezza, la vigoria fisica, l'entusiasmo, la gioia - quasi un precorrimento del trionfo di Cristo risorto e del suo ritorno glorioso? Quale impegno, dunque, per voi giovani, a vivere soprattutto ulteriormente, la vittoria sul peccato, ottenuta dalla Pasqua, quella vittoria sul male, della quale la vostra vita interiore e il vostro stesso aspetto fisico sono un simbolo così bello! Sia dunque la vostra giovinezza cristiana vissuta come una esperienza di crescita e di gioia nella luce della Pasqua di Cristo!

1989-03-19

Domenica 19 Marzo 1989




Ai penitenzieri delle patriarcali Basiliche romane - Città del Vaticano (Roma)

I sacerdoti riservino al servizio della confessione un ruolo privilegiato nella gerarchia dei loro doveri



1. Di gran cuore e con intima gioia vi accolgo in speciale udienza, carissimi prelati ed officiali della penitenzieria apostolica, insieme con tutti voi, membri ordinari e straordinari dei padri penitenzieri delle Basiliche patriarcali dell'"Urbe", ordinari e straordinari. Nel rivolgere il mio fraterno saluto a lei, signor Cardinale penitenziere maggiore, e nel ringraziarla per il devoto indirizzo di omaggio, desidero esprimere subito la mia paterna riconoscenza ai frati minori conventuali, che prestano servizio nella Basilica Lateranense, ai frati predicatori della Basilica di santa Maria Maggiore, ai benedettini cassinesi della Basilica di san Paolo, ed inoltre a tutte le altre famiglie religiose, che mettono a disposizione loro membri come penitenzieri straordinari nella Basilica Vaticana, la quale, per il singolare concorso di tanti fedeli, ha maggiore necessità di confessori.


2. Già nella mia allocuzione del 30 gennaio 1981 alla penitenzieria e ai penitenzieri sottolineavo il dovere preminente dei sacerdoti di prestarsi con ogni generosità al ministero delle confessioni: dovere, a cui corrisponde lo stretto e inalienabile diritto dei fedeli. Tre anni dopo quell'incontro è stata pubblicata l'esortazione apostolica "Reconciliatio et Paenitentia", che tratta diffusamente dell'argomento.

Profitto di questa occasione per raccomandare vivamente ai sacerdoti di tutto il mondo di studiare con impegno, ma soprattutto di abbracciare con cuore apostolico le indicazioni di quel documento, che riflette le ansie e le speranze della Chiesa.


3. Nel presente incontro voglio piuttosto mettere l'accento sulla formazione del ministro del sacramento della Penitenza: com'è noto la riflessione teologica ha ben chiarito come, nel sacramento della Penitenza, il ministro agisca "in persona Christi". Ciò gli conferisce una singolare dignità (che è anche un impegno morale e deve essere una sentita urgenza del suo spirito), conformemente alle mirabili parole di san Paolo: "Pro Christo... legatione fungimur tamquam Deo exhortante per nos: obsecramus pro Christo, reconciliamini Deo" (2Co 5,20).

Vorrei anzi dire che, nel perdonare i peccati il sacerdote va in certo modo anche al di là del pur sublime ufficio di legato di Cristo: egli quasi raggiunge una mistica identificazione con Cristo. Insegna il Concilio Vaticano II, nella costituzione pastorale "Gaudium et Spes" (GS 22), che il Figlio di Dio incarnato "humanis manibus opus fecit, humana mente cogitavit, humana voluntate egit, humano corde dilexit". Questa umana operazione del Cristo redentore, specialmente quando "humano corde diligit", deve essere oggi mediata in un modo tutto speciale dalla umanità del sacerdote confessore. E qui si tocca l'ineffabile mistero di Dio! A Gesù che è Dio fatto uomo, il Padre ha confidato ogni giudizio ed ogni perdono: "Filius quos vult vivificat. Neque enim Pater iudicat quemquam, sed iudicium omne dedit Filio... Qui verbum meum audit... habet vitam aeternam et in iudicium non venit, sed transit a morte in vitam"; (Jn 5,21-24); e nella sera stessa della Risurrezione, apparendo agli apostoli, affido ad essi la sua missione, dicendo: "Pax vobis! Sicut misit me Pater, et ergo mitto vos", e continua il Vangelo: "Et cum hoc dixisset, insufflavit et dicit eis: "Accipite Spiritum Sanctum. Quorum remiseritis peccata remissa sunt eis; quorum retinueritis, retenta sunt"" (Jn 20,21-23). Si direbbe che l'effusione dello Spirito Santo, che avverrà poi su tutta la comunità nascente a Pentecoste, è stata da Gesù anticipata sugli apostoli, proprio in rapporto al ministero della remissione dei peccati. così, noi sacerdoti, nell'impartire ai fedeli la grazia e il perdono nel sacramento della Penitenza, compiamo l'atto più alto, dopo la celebrazione dell'Eucaristia, del nostro sacerdozio, e in esso realizziamo, si può, dire, il fine stesso della Incarnazione: "Ipse enim salvum faciet populum suum a peccatis eorum" (Mt 1,21).


4. Considerando questa divina eccellenza del sacramento della Penitenza, che, si può dire, riverbera sul ministro in certo modo il fulgore della partecipata divinità - vengono alla mente le ispirate parole del Salmo 82[81],6, citate da Gesù stesso "Ego dixi dii estis" (Jn 10,34) - ben si comprende come la Chiesa abbia circondato l'esercizio del ministero della Penitenza e della Riconciliazione di speciali cautele e del massimo riserbo.

Voglio dunque affettuosamente esortare tutti i sacerdoti affinché - sulla base di una inviolata fedeltà alla preghiera personale, nella quale otterranno i lumi e la generosità necessari per espiare per se stessi e per i loro penitenti - riservino nella gerarchia dei loro compiti un ruolo privilegiato al servizio silenzioso, e umanamente non sempre gratificante, della confessione. E ricordo loro che, col sacramento della Penitenza, non solo essi cancellano i peccati, ma debbono avviare i penitenti sulla via della santità, esercitando su di essi, in una forma convincente, un magistero collegato con la loro missione canonica.


5. Queste medesime considerazioni giustificano la preoccupazione della Santa Sede perché nelle Basiliche patriarcali dell'"Urbe" il ministero della Penitenza e della Riconciliazione sia svolto da sacerdoti che si distinguano per dottrina, zelo e santità di vita; e perché inoltre promuova con periodici aggiornamenti la loro peculiare preparazione in rapporto ai problemi, spesso gravi e delicati, che fedeli di tutto il mondo sottopongono alle chiavi di Pietro. Mentre li ringrazio per l'impegno, col quale assolvono il loro ufficio, dico ai penitenzieri di continuare con sapienza, con dolcezza e con inesausta pazienza la loro dedizione al confessionale, consapevoli del bene che porranno alle anime e del merito che essi stessi ne avranno presso il Signore.

Una parola di speciale apprezzamento voglio infine riservare alla penitenzieria apostolica, che non solo provvede a quanto testé ho detto circa la pastorale della Penitenza nelle Basiliche patriarcali, ma è strumento della potestà delle chiavi per la soluzione di intime angosce, per il ricupero delle speranze più profonde e delle necessità più radicali delle coscienze umane. Il suo ufficio, come del resto indica il suo nome, si pone come guida, integrando poteri e risolvendo dubbi, a vantaggio dei confessori, e, per loro tramite, dei fedeli, nei casi più gravi: questo è il compito, questa è la sua dignità.

Su tutti voglia il Signore effondere l'abbondanza dei suoi doni, in pegno dei quali di cuore imparto una speciale benedizione apostolica.

1989-03-20

Lunedi 20 Marzo 1989






Ai fratelli nel sacerdozio e nell'Episcopato durante la Messa crismale del giovedi santo - Città del Vaticano (Roma)

"Siamo i servi di Cristo, i ministri dei misteri divini



GPII 1989 Insegnamenti - Il discorso consegnato alla gioventù della diocesi di Roma - Città del Vaticano (Roma)