GPII 1989 Insegnamenti - Le credenziali del nuovo ambasciatore della Repubblica araba di Siria - Città del Vaticano (Roma)

Le credenziali del nuovo ambasciatore della Repubblica araba di Siria - Città del Vaticano (Roma)

Pace, indipendenza e libertà per i popoli del Medio Oriente


Signor ambasciatore.

Sono lieto di accogliere l'eccellenza vostra, all'inaugurazione della sua missione di rappresentante, accreditato presso la Santa Sede, delle autorità e di tutto il popolo siriano, un popolo di cui amo ricordare, - come lei stesso ha sottolineato - la storia millenaria e le ricche tradizioni culturali e spirituali.

La prego di essere così cortese da trasmettere a sua eccellenza il Presidente Hafez Al-Assad, che l'ha incaricata della missione diplomatica, la mia gratitudine per il messaggio inviato. In risposta ai suoi deferenti ossequi, formulo anch'io i migliori auspici per la sua persona e per la nazione siriana che egli deve guidare e servire in un contesto regionale particolarmente preoccupante nel momento attuale.

Il suo nobile Paese, situato al crocevia di tre continenti, è stato per molto tempo punto di convergenza della civiltà babilonese, egizia e greca. La storia con i suoi sconvolgimenti non l'ha risparmiato, fino all'indipendenza raggiunta nel 1946, che ha aperto alla Repubblica araba di Siria un periodo più stabile nella sicurezza della sovranità.

Sulle orme dei suoi degni predecessori, signor ambasciatore, lei ha espresso il desiderio di veder consolidate le relazioni amichevoli esistenti tra la Siria e la Sede Apostolica. Queste parole, da me apprezzate, rafforzano la mia speranza di successo del dialogo che la Santa Sede cerca di favorire tra tutti coloro che possono contribuire alla pace in Medio Oriente. Mi rallegro della sua intenzione di compiere la sua missione con un tale spirito. Da parte mia, posso assicurarla della pronta accoglienza dei miei collaboratori ogni qualvolta lei lo riterrà necessario e sempre con interesse e benevolenza.

Le relazioni diplomatiche della Santa Sede con paesi così diversi tra loro per cultura e per ruolo nella scena internazionale rivestono un carattere particolare, come lei ben sa. La loro motivazione principale è la promozione degli ideali fondamentali che tutelano e valorizzano la persona umana assicurando il rispetto della sua dignità, cercando in tutti i modi di promuovere una civiltà di tolleranza, di aiuto vicendevole, e di amore fraterno. Maestra di verità, la storia mostra che gli scontri violenti non portano le soluzioni sperate ai problemi dei gruppi umani. Sono tentativi in realtà illusori che portano alla rovina e pesano gravemente sulle generazioni future.

Le prove subite dal può Paese devono aiutare a comprendere le sofferenze delle popolazioni del Medio Oriente, da lungo tempo in mezzo a conflitti drammatici e micidiali. E' dunque impossibile dare a questa regione del mondo, in cui la diversità dei popoli e delle religioni è incancellabile come le sue radici storiche, quella fisionomia originale di convivenza che fu per tanto tempo esemplare? Un simile auspicio non va considerato solo come una considerazione dello spirito. All'interno dell'unica famiglia umana, le nazioni hanno il diritto di preservare, in tutta libertà e indipendenza, la loro fisionomia, fonte di ricchezza per tutti, con la diversità delle lingue, dei costumi, delle culture, delle tradizioni spirituali. Noi speriamo che prevarrà lo spirito di mutuo rispetto e aiuto reciproco; ne va, in ultima analisi, del bene di tutta l'umanità.

Nel corso della sua missione, signor ambasciatore. i diversi contatti le daranno modo di conoscere, sempre meglio, l'aspirazione dei diversi popoli della terra a un'etica comune basata sulla promozione e la difesa dei diritti dell'uomo.

Il carattere aperto e disinteressato delle relazioni qui esistenti permettono di percepire la profondità di tale aspirazione: si tratta al fondo, semplicemente, di consentire all'uomo di svilupparsi in tutta la pienezza della sua condizione di uomo. Si tratta di rispettare una saggezza, in cui si incontrano le religioni monoteiste, nel riconoscere di essere radicati nella volontà di Dio creatore, presente nella storia dell'uomo. La dignità della persona umana, i valori morali della giustizia, della libertà, della verità, della solidarietà e della pace, particolarmente preziosi agli occhi dei credenti ma difesi anche da tutti gli uomini di buona volontà, sono troppo spesso contraddetti nelle vicende storiche del nostro mondo. Certo, la Santa Sede condivide con i paesi che hanno voluto stabilire rapporti diplomatici con lei il disegno di far fronte coraggiosamente alle sfide del nostro tempo e portarvi una soluzione esplorando tutte le possibilità di dare alle nazioni, grandi o piccole, i frutti di una convivenza fondata su questi valori essenziali.

Sul finire di questo incontro, desidero, eccellenza, esprimere ancora il voto ardente di veder progredire la pace nel Medio Oriente, una pace che permetta ai popoli, che le proprie eredità dovrebbero avvicinare, di ritrovare la propria indipendenza, la propria tranquillità e la propria prosperità.

Signor ambasciatore, auspico che la sua missione sia fruttuosa, nello spirito che lei stesso ha manifestato. Spero che avrà la soddisfazione di svolgere un compito utile e positivo e che i suoi contatti con la Sede Apostolica, e con l'insieme del corpo diplomatico, saranno per lei un'esperienza di arricchimento culturale, morale e spirituale. Invoco sulla sua persona e sulla sua Nazione la grazia abbondante del Signore onnipotente e misericordioso.

1989-04-01

Sabato 1 Aprile 1989




Il rosario nell'aula della benedizione - Città del Vaticano, (Roma)


Carissime sorelle.

Sono lieto di incontrarvi al termine della recita del santo rosario, dedicato alla Regina del Mondo - "Regina Mundi" - la beata Vergine Maria, alla quale appunto è intitolato il vostro istituto superiore di scienze religiose.

Saluto tutte voi, e colgo l'occasione per manifestarvi il mio compiacimento per il vostro impegno di studio e di formazione, che vi consente di arricchire in modo speciale la vostra personalità di donne consacrate, onde servire meglio il Signore e dare un contributo più qualificato ed efficace alla promozione umana ed allo sviluppo spirituale dei vostri rispettivi paesi di provenienza.

L'accesso della donna, ed in particolare della religiosa, alla cultura teologica è un fatto di grande importanza; un fatto ricco di promesse, dal quale - se ben attuato - ci si possono attendere risultati vantaggiosi per la conoscenza e la pratica della Parola di Dio, per la ricerca della perfezione evangelica e della santità.

Vi esorto a continuare in questo vostro impegno formativo con vivo senso di responsabilità, alla luce di Maria ed in una speciale comunione con la Chiesa, della quale Maria è mirabile segno ed immagine.

Lo Spirito di Gesù animi i vostri buoni propositi.

Vi benedico di cuore, insieme con i vostri familiari.

1989-04-01

Sabato 1 Aprile 1989




Omelia della Messa - Ai giovani militari, Cecchignola (Roma)

"Cari giovani militari: siate Chiesa nel vostro ambiente per contribuire alla pace e alla serenità del mondo intero"



1. "Mio Signore e mio Dio" (Jn 20,28).

Abbiamo ascoltato queste ardenti ed impegnative parole che l'apostolo Tommaso rivolge a Cristo, allorché, otto giorni dopo la domenica di Risurrezione, appare a lui e agli altri discepoli riuniti nel Cenacolo. E' la proclamazione di quella fede che, sbocciata dal cuore e dalla mente di uno che aveva visto con i propri occhi e toccato con le proprie mani le piaghe gloriose del Risorto, diventerà il nucleo primordiale, il dinamismo di aggregazione, l'anima e la forza della comunità nascente.

Tommaso è beato perché ha creduto, dopo aver toccato; perché davanti alla prova dei fatti ha testimoniato la verità storica; ma il Signore, guardando al futuro, proclama ancora più "beati quelli che pur non avendo visto crederanno" (Jn 20,29); quelli cioè che appoggeranno la loro fede sulla sua Parola, sul suo Vangelo, non basandosi sulla prova dei sensi.

In questa apparizione, come pure nelle altre, Gesù tocca il culmine della sua autorivelazione perché si presenta in modo inequivocabile come vero Dio e vero uomo, Signore della vita e della morte.


2. Come è stato proclamato nella seconda lettura dal libro dell'Apocalisse, Gesù può dire di sé: "Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi" (Ap 1,17-18). In lui la morte e la vita si sono affrontate come in un grandioso duello ed ha vinto la vita; lui che è la vita stessa. Il mistero pasquale è appunto un mistero di morte e di vita; un passaggio dall'una all'altra. In Cristo anche noi siamo chiamati a compiere questo passaggio, che richiede costante impegno di sforzo o di lotta: passaggio dalla morte spirituale per il peccato alla grazia divina, che ci fa vivere nella luce, come risorti a vita nuova; passaggio dal dubbio e dalle incertezze alla solidità e alla fermezza della fede e della verità rivelata, che fa di noi testimoni affidabili e coraggiosi, pietre solidamente poggiate su Cristo, che è la "testata d'angolo" secondo l'espressione del Salmo responsoriale, cioè la chiave di volta della Chiesa; passaggio dalla incredulità alla fede, che si esige da tutti coloro che vogliono essere cristiani. Quella fede che riflette in certo senso la vita di ogni uomo, come dell'umanità intera confrontata sempre col mistero del bene e del male, col desiderio dell'assoluto e le difficoltà del provvisorio. Quella fede che non nega le realtà umane, ma le accetta e le ordina, alla luce del più grande avvenimento della storia qual è la Pasqua.

Si, la Pasqua, come la liturgia ha ripetuto per tutta questa settimana, è il centro della vita dell'umanità: "Questo è il giorno, che ha fatto il Signore!". Nel celebrarlo in questa ottava, noi ricordiamo la "sollemnitas summa" - la più grande solennità di tutte le altre, - perché in essa Cristo ci ha riconciliati col Padre, ci ha donato la stessa vita di Dio, e ci ha costituiti comunità di fratelli, che si amano, che pensano agli altri, che lavorano insieme per il Regno di Dio. In Cristo risorto l'umanità disgregata diventa comunità: come quella di Gerusalemme, che gli Atti degli Apostoli ci hanno descritto nella prima lettura di questa Messa (Ac 5,12-16), come il Cenacolo dei primi cristiani, riuniti intorno a Pietro e agli apostoli. Quindi anche della vostra, carissimi, che ho la gioia di visitare in questa ottava di Pasqua. Saluto di cuore voi, che vivete qui; saluto i vostri ufficiali e responsabili, e monsignor Gaetano Bonicelli, ordinario militare, che, insieme con i cappellani militari, segue la vostra maturazione spirituale e la vostra crescita nell'autenticità della fede.

Saluto in particolare l'onorevole Mauro Bubbico, sottosegretario del ministero della difesa, e le altre personalità civili, che qui rappresentano le alte cariche dello Stato italiano.


3. Cari amici militari! Voi siete qui con i vostri familiari, che condividono i rischi della professione, scelta o almeno accettata, che si qualifica nel compito di difendere la giustizia e la libertà della vostra Patria e, di conseguenza nell'impegno di contribuire alla serenità e alla pace del mondo intero. Anche voi come cristiani volete confrontarvi col messaggio della Pasqua. Non c'è nulla di più esaltante, ma anche di più serio. Sono venuto in mezzo a voi per aiutarvi nella crescita di questa fede, nella consapevolezza dei gravi interrogativi che spesso oggi si pongono coloro che vogliono essere fedeli al Vangelo nella vita militare. Non si tratta solo delle difficoltà che tutti provano ad essere cristiani coerenti, in un mondo che spesso confonde libertà e libertinismo, dignità personale e egoismo; ma di una scelta radicale che dà senso e significato a tutta la vita.

La fede si esprime nella pace interiore; per questo il Signore ripete ai suoi discepoli: "Pace a voi!" (Jn 20,19 Jn 20,21).

La pace va costruita giorno per giorno, nelle coscienze e nei rapporti interpersonali: la pace va anche difesa perché nella visione cristiana, la vita trova la sua giustificazione ultima nel precetto evangelico dell'amore. E' per amore del prossimo, dei propri cari, dei più deboli e indifesi, come delle tradizioni e dei valori spirituali di un popolo, che bisogna accettare di sacrificarsi, di lottare, di dare anche la propria vita, se fosse necessario.

Per superare i rischi di possibili travolgimenti a favore di egoismi nazionali o di gruppi, come la storia ampiamente insegna, il Concilio Vaticano II ha auspicato e propugnato un'autorità mondiale, fondata sul consenso dei popoli e dotata di mezzi efficaci per fare rispettare la giustizia e la verità. E' ovvia in questa prospettiva ideale eppur realistica, l'esigenza di una conseguente trasformazione delle forze armate nazionali in un supporto a quella solidarietà internazionale, che la Chiesa auspica. Le desiderate trasformazioni nell'ordine della progressiva riduzione degli armamenti e di conseguenza degli eserciti, non si favoriscono negando equilibri interni e internazionali. Se vogliamo essere efficaci non dimentichiamo mai che il peccato personale e sociale è presente e continuerà a pesare nella vita, ma che la forza della Risurrezione consente al cristiano di sperare e operare attivamente in direzione della pace, che sarà totale e definitiva solo nel Regno di Dio.


4. Non esistono formule meccaniche per migliorare la vita. La fede è una luce accesa dentro per vedere le cose come le vede e le vuole Dio. Ma proprio per questo ha bisogno di essere coltivata come il seme della parabola evangelica. Ne deriva il dovere primario di ogni uomo di buona volontà, e in particolare di chi si onora del nome cristiano, di essere attento ad ogni movimento dello Spirito e ad ogni possibilità di rinnovamento. Il primato dell'attenzione e dell'azione pastorale, a tutti i livelli, resta sempre l'uomo. Sono lieto di sapere che la vostra Chiesa è impegnata in questi anni in un piano pastorale centrato sul riconoscimento e sulla valorizzazione dei laici. E' un grande obiettivo, che sulla scia del Concilio, ha rilanciato l'ultimo Sinodo dei Vescovi e che ho proposto nella recente esortazione "Christifideles Laici". La Chiesa ha bisogno di persone che partecipano pienamente alla sua missione di evangelizzare la pace. Il mondo ha bisogno di cristiani convinti, leali, fieri della propria fede e capaci di impegnarsi nelle loro famiglie e negli ambienti di vita a mostrare con le opere che Cristo non è morto invano per noi, e che la forza della sua Risurrezione purifica e trasforma la nostra vita. Anche il vostro ambiente attende da tutti un impegno speciale.

A voi, cari giovani in servizio di leva, tocca valorizzare l'obbedienza, ma anche occupare gli innumerevoli spazi dove la comprensione, l'esempio, la testimonianza diventano una reale e preziosa collaborazione a vantaggio di tutti i vostri commilitoni in uno scambio reciproco di solidarietà e di amicizia. Vorrei chiamare a raccolta innanzitutto i giovani che hanno esperienza di vita ecclesiale nelle parrocchie e nei vari movimenti, o gruppi e associazioni perché non trascurino questo settore, ove centinaia di migliaia di coetanei passano ogni anno un momento delicato e prezioso della loro esistenza. Pregate insieme e non vergognatevi di essere e di dirvi cristiani. Riflettete insieme sulle grandi responsabilità che vi incombono in questo scorcio del secondo millennio cristiano.


5. Fate comunità col vostro Vescovo, con i vostri cappellani militari, con quanti recano una loro esperienza e sono pronti a confrontarla ed arricchirla con voi.

Siate lieti e disponibili: siate Chiesa nel vostro mondo. Fate si che gli altri possano vedere in voi il Cristo risorto, che l'apostolo Tommaso ebbe la fortuna di toccare con le sue mani. Siate con la vostra vita e con la vostra condotta esemplare segni credibili del Risorto. Per credere occorrono dei segni: siate voi questi segni viventi.

Signore mio e Dio mio! Il grido di umiltà e di adorazione dell'apostolo san Tommaso diventi anche per voi un richiamo vivo e un ricordo stimolante in questo incontro pasquale. Con il Signore possiamo camminare sicuri, perché anche se la valle ci sembra oscura, lui è la nostra luce, la nostra guida e la nostra gioia.

1989-04-02

Domenica 2 Aprile 1989




La risposta ai quesiti formulati dai giovani militari - Cecchignola (Roma)

Una solida formazione spirituale rende compatibili la vocazione cristiana ed il servizio militare


Oggi viviamo in un'epoca di dialogo, e tra i protagonisti del dialogo, che vogliono dialogare in ogni situazione, io direi che i giornalisti si trovano in una posizione privilegiata. Conosco il loro ambiente, perché li incontro durante i miei viaggi e devo anche presentarmi davanti a loro e ricevere le loro domande, molte volte anche abbastanza complicate. Vedo che questo sistema del dialogo, delle domande, è entrato anche nelle parrocchie di Roma. Quando mi reco a visitarle, specialmente i giovani mi pongono delle domande. Si vede che questo sistema del dialogo e delle domande fatte al Papa è entrato anche nella parrocchia militare, nell'ordinariato militare, almeno qui alla Cecchignola. Penso che questo sia un bene, una cosa utile. Noi siamo creati dal nostro Padre; egli ci ha resi capaci di dialogare, di scambiare le idee, di porre delle domande e di rispondervi, di riflettere, perché certamente una domanda è sempre frutto della riflessione e poi provoca e spinge ad una riflessione ulteriore. Lo sviluppo della conoscenza umana, all'inizio, è andato avanti attraverso le domande e le risposte.

Anche questo sistema e questa epoca della Chiesa del dialogo potrà portarci avanti nella conoscenza di Dio, di Gesù Cristo e di noi stessi, perché, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II, Cristo non ci ha rivelato solamente Iddio, ma rivelandocelo come Padre, con il suo amore per il mondo, ha rivelato a noi uomini la persona umana, ci ha dato una visione piena e adeguata della persona umana.

Voglio ringraziare questi quattro giovani per le domande che mi hanno rivolto e vorrei rispondere, forse non punto per punto, ma con una breve sintesi di quello che mi è venuto in mente ascoltando le loro domande. Vorrei ricordare soprattutto che fra i militari e Gesù Cristo stesso - come anche, prima di lui, il suo precursore Giovanni Battista - ci sono stati incontri molto significativi.

Pensiamo alle parole che ogni volta ripetiamo avvicinandoci alla santa Comunione - "Io non sono degno..." -. Esse sono parole di un militare, di un centurione romano che così ha espresso la sua fede, la sua ammirazione per Gesù Cristo, la sua profonda umiltà e la sua preghiera per la guarigione del suo servo (cfr Mt 8,8 Lc 7,8). Ma non solamente questo. Se prendiamo gli Atti degli Apostoli, è significativo che il primo convertito sotto l'influsso dello Spirito Santo - convertito non ebreo, ma pagano - sia stato nuovamente un militare, un centurione romano che si chiamava Cornelio (cfr Ac 10,1-48). E Pietro stesso è stato spinto dallo Spirito Santo ad andare nella casa di questo centurione romano, a Cesarea, per battezzarlo. Poi, durante le persecuzioni dei tempi romani, nei secoli, troviamo tante figure eroiche di militari, di soldati, di ufficiali. Basta pensare alla figura di san Floriano: io sono molto legato, per la mia storia personale, a questo santo, forse poco conosciuto qui in Italia. Ma anche considerando l'Italia, Roma, non sono certo mancati anche qui gli eroici confessori e martiri della fede che erano militari: hanno scoperto la fede ed hanno saputo vivere da militari la loro nuova situazione interiore, congiungendo e sintetizzando i due aspetti. Certamente non c'è una difficoltà di fondo, una impossibilità di comporre la vocazione cristiana e la vocazione al servizio militare.

Se si considera la sua natura nel senso positivo, il servizio militare in se stesso è una cosa molto degna, molto bella, molto gentile. Il nucleo stesso della vocazione militare non è altro che la difesa del bene, della verità e soprattutto di quelli che sono aggrediti ingiustamente. E qui troviamo il principio che spiega in quale situazione la guerra può essere giustificata: se è una difesa della patria aggredita, una difesa di quelli che sono perseguitati, innocenti; una difesa anche con il rischio della propria vita.

Questa difesa può portare con sé anche la morte o il danno dell'aggressore, ma egli è colpevole in questo caso. Naturalmente si cerca sempre di diminuire il danno anche dell'aggressore, ma quello che si espone di più al rischio del danno e della morte è soprattutto quello che difende. Basta pensare ai tanti caduti per la patria. Ho già avuto l'opportunità di visitare i campi di guerra sulle montagne, dove sono caduti gli alpini durante la prima guerra mondiale. Ma, se torno ancora più indietro, nella storia della mia Patria d'origine ci sono stati sempre tanti eroici militari - anche partigiani durante l'ultima guerra - che a costo della propria vita, non hanno ceduto all'ingiusta aggressione della loro Patria. Qui si vede come le due cose possono andare insieme ed essere ben coordinate: non sono divergenti, ma convergenti, coerenti.

Naturalmente, si deve sottolineare che occorre anche una formazione spirituale per creare, per trovare e per sviluppare questa coerenza fra le due vocazioni, quella militare e quella cristiana. Io ho avuto la possibilità di parlare molto con i vostri Vescovi militari, ordinari militari; prima con monsignor Schierano, predecessore di monsignor Bonicelli; ed anche con monsignor Bonicelli e con molti altri ordinari militari di altre nazioni, quando sono venuti in visita "ad limina"; tutti dicono che è molto positivo dal punto di vista spirituale. Tutti vedono nel servizio militare una prova per il giovane. Costa anche molto, specialmente nel senso affettivo: per un giovane non è una cosa molto facile cambiare stile di vita da laico, da civile, e diventare un militare di leva. Soprattutto non è facile inserirsi all'interno di questa disciplina, perché la caratteristica della vita militare è la disciplina. Ma proprio quello che costa e non è tanto piacevole, nello stesso tempo è anche molto utile, costruttivo.

Ciascuno di voi deve essere disciplinato.

Forse quello che manca a molti giovani di oggi - specialmente nei paesi del benessere, nei paesi di larga libertà, per non dire liberalismo, libertinismo - è una disciplina, un'autodisciplina. Si tratta di due cose diverse: la disciplina può essere solamente esterna, imposta anche da un ordine, da una eventuale pena, ma può esservi insieme disciplina e autodisciplina. Il periodo del servizio militare è per i giovani un periodo in cui essi possono veramente maturare nella autodisciplina. E non solamente in quella del corpo, in quella esterna: si vede certamente anche nel modo di essere di un militare che il suo corpo è disciplinato. Ma questa disciplina corporale deve andare di pari passo con quella interna, spirituale, che tocca la coscienza umana, tocca la volontà, tocca anche il cuore. Un uomo disciplinato, autodisciplinato, è un uomo maturo.

Sono queste le cose più importanti che volevo dirvi come risposta alle vostre domande. Forse non sono state puntuali in tutti i dettagli, ma sono state centrate sui problemi più importanti. Penso, e sono convinto, che il servizio militare può non solamente essere utile alla società ma anche utile a voi. Facendo il servizio militare voi potete essere utili a voi stessi e conseguire risultati di ordine morale, spirituale, se questo servizio viene ben utilizzato, se si approfitta bene di questo periodo. Naturalmente, su questo punto occorrerebbe una collaborazione molto profonda tra i superiori professionali militari, voi stessi e anche gli assistenti spirituali, i cappellani militari. così si può creare una tale sintonia tra tutti questi elementi e arrivare al frutto maturo di una personalità giovane responsabile, che è tanto importante per tutta la vita, in diverse circostanze. Molti di voi dopo il periodo del servizio militare tornano alla loro vita civile, laica. Se c'è questa maturità, questa autodisciplina, essa serve anche nella vita professionale, nella vita familiare. La vita familiare è imperniata sull'affetto, ma anch'essa deve essere in un certo senso disciplinata, soprattutto deve essere responsabile: l'amore non va senza responsabilità.

1989-04-02

Domenica 2 Aprile 1989




Ai rappresentanti del "Nato Defense College" - Cecchignola (Roma)

La vera pace non può esistere se non nella moralità basata sull'amore verso Dio e verso il prossimo


Cari amici.

Sono molto lieto che la vostra presenza nel "Nato Defense College" vi dia questa opportunità di far visita al Papa. Un cordiale benvenuto a ciascuno di voi in questo tempo pasquale, in cui i cristiani celebrano la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte.

Molti i paesi rappresentati tra i membri della facoltà nel "Defense College". Questo vi dà la possibilità di crescere nella mutua comprensione e di approfondire il vostro apprezzamento della necessità della collaborazione per il conseguimento della pace, non soltanto per i diversi paesi della NATO, ma per l'intera famiglia umana.

E' mia ferma convinzione che un'autentica pace non possa esistere se non si radica nella moralità fondata sull'amore di Dio e del prossimo. Oggi c'è una crescente consapevolezza dell'interdipendenza mondiale e della necessità della solidarietà per promuovere la giustizia e la pace. Ma come ha ben puntualizzato il Concilio Vaticano II, la pace è ultimamente il frutto dell'amore, che va al di là di quello che può ottenere la giustizia (cfr GS 78). Questo genere di amore fraterno è sostenuto soltanto dalla fede in Dio, nostro creatore e giudice. Senza essere fedeli a Dio e alla legge morale iscritta nei nostri cuori e in tutta la creazione, non può esserci pace duratura.

Cari amici, ho fiducia che attraverso la vostra partecipazione al "Defense College" ciascuno di voi sarà meglio preparato a dare il suo contributo alla pace nel mondo e all'autentico sviluppo dell'umanità. Dio onnipotente vi rafforzi in questa impresa e vi benedica con ogni sorta di beni.

1989-04-02

Domenica 2 Aprile 1989




Messaggio in occasione della "Giornata Universitaria 1989" - Città del Vaticano (Roma)

Nella fedeltà all'insegnamento sociale della Chiesa l'Università Cattolica contribuisce alle scelte del paese


Carissimo professore.

Nell'imminenza della "Giornata Universitaria 1989", che si celebrerà il prossimo 9 aprile, sono particolarmente lieto di interpretare i sentimenti e di trasmettere l'augurio e l'incoraggiamento che il Santo Padre, come ogni anno, rivolge a lei, signor Rettore, al Corpo docente, agli alunni e al personale tutto di codesto Ateneo, oltre che all'intera comunità ecclesiale italiana in questa tradizionale occasione.

Sua Santità desidera che ogni fedele prenda rinnovata coscienza che l'Università Cattolica del Sacro Cuore è un bene preziosissimo della comunità cattolica italiana e dell'intero Paese. Essa, infatti, come ebbe ad affermare Paolo VI, è stata ed è "una testimonianza, una speranza, una forza del cattolicesimo italiano", avendo saputo concretamente coniugare l'animazione evangelica della cultura col servizio al bene dei singoli e della società.

Infatti, nei suoi quasi settant'anni di storia, essa ha dato all'Italia un numero incalcolabile di laureati, molti dei quali si sono distinti - per meriti, competenza, onestà e responsabilità - nei campi della ricerca scientifica, dell'educazione, dell'assistenza sanitaria e dell'attività politica.

Per questo motivo il Santo Padre affida nuovamente la vita, le sorti e lo sviluppo di codesto Istituto all'intera comunità cattolica italiana, al suo interessamento, alla sua vicinanza, alla sua condivisione e al suo concreto e generoso sostegno. Ciò si è verificato fin dalle origini, e perpetuato poi negli scorsi decenni. Oggi, tale impegno non deve venir meno né può affievolirsi di fronte alle nuove urgenze del momento, anche se è noto il lavoro paziente, discreto, intelligente, svolto ad ogni livello e secondo le più diverse responsabilità, per ottenere il riconoscimento e il sostegno effettivo delle istituzioni statali italiane, a motivo del servizio che codesta Università, al pari di altri Istituti scolastici non statali, offe al bene comune del Paese.

Con vivo compiacimento il Sommo Pontefice intende poi sottolineare la scelta del tema della prossima Giornata Universitaria: "L'insegnamento sociale della Chiesa". La riflessione su tale argomento interessa direttamente l'intera Università, a partire dai suoi Centri di ricerca. Essi, infatti, nel loro cammino di indagine, affrontano tematiche diversamente connesse con l'insegnamento sociale della Chiesa: dall'economia alla politica, dalla famiglia alla bioetica, dalla pedagogia ai mezzi di comunicazione sociale e così via.

Già quasi trent'anni fa, Papa Giovanni XXIII sottolineava che "è indispensabile, oggi più che mai, che quella dottrina (sociale della Chiesa) sia conosciuta, assimilata, tradotta nella realtà sociale" (Ioannis XXIII MM 230) ed esortava "ad estender(ne) l'insegnamento nei corsi ordinari e in forma sistematica a tutti i Seminari e a tutte le scuole cattoliche di ogni grado". (Ioannis XXIII MM 232). Da parte sua, fin dall'inizio del suo pontificato, Giovanni Paolo II ha sottolineato, parlando a Puebla ai Vescovi latino-americani, che "confidare responsabilmente in tale dottrina sociale, anche se alcuni cercano di seminare dubbi e sfiducia su di essa, studiarla con serietà, cercare di applicarla, insegnarla, esserle fedele è, in un figlio della Chiesa, garanzia dell'autenticita del suo impegno nei delicati ed esigenti doveri sociali". E, ancor piu recentemente, nell'Esortazione "Christifideles Laici" -riprendendo alcune espressioni dei Padri Sinodali circa l'esigenza di offrire ai laici la dovuta formazione nella dottrina sociale della Chiesa e la necessità che tale dottrina fosse "già presente nella istruzione catechistica generale, negli incontri specializzati e nelle scuole ed università" ( cfr. Synodi Episc. 1987 "Propositio" 22) - ha scritto che, "soprattutto per i fedeli laici variamente impegnati nel campo sociale e politico, è del tutto indispensabile una conoscenza più esatta della dottrina sociale della Chiesa" (CL 60).

Questa importanza e questa urgenza emergono con tutto il loro pressante richiamo soprattutto oggi, di fronte alle sfide, e spesso alle ambiguità, del progresso, della scienza, della tecnica, dell'evoluzione sociale e politica e del complesso fenomeno della interdipendenza, che caratterizza la vita della società mondiale contemporanea (SRS 17).

In questa stessa enciclica, tutto questo viene espresso con particolare riferimento all'odierna difficile congiuntura. Nello stesso tempo, essa sottolinea che la dottrina sociale della Chiesa, il cui insegnamento e la cui diffusione appartengono alla missione evangelizzatrice della Chiesa, "non è una "terza via" tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una categoria a sé. Non è neppure un'ideologia, ma l'accurata formulazione dei risultati di un'attenta riflessione sulle complesse realtà dell'esistenza dell'uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell'insegnamento del Vangelo sull'uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano " (SRS 41). Ne consegue che la dottrina sociale della Chiesa, di cui va riaffermata la continuità e il costante rinnovamento ("Sollicitudo Rei Sociali", 13), appartiene a non al campo dell'ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale " (SRS 41).

Tale appartenenza al campo specifico della teologia morale non ostacola certo la considerazione e lo sviluppo di questa dottrina nello ambito universitario; anzi rappresenta per esso uno sprone e impone una responsabilità particolare. Da un lato, infatti, la ricerca scientifica, nella sua legittima autonomia (GS 36); è sempre chiamata a coordinarsi con il riconoscimento del valore e della dignità dell'uomo, che sta alla base di tutta la dottrina sociale della Chiesa e dei suoi orientamenti. D'altro lato, il lavoro di ricerca, che trova in un'Istituzione universitaria la sua fucina più originaria ed autentica, è di fondamentale importanza per l'elaborazione e l'approfondimento della dottrina sociale della Chiesa. Essa, infatti, se attiene al campo della teologia morale, non può prescindere dall'interpellare l'esperienza vissuta, la storia, la cultura umana e le loro interpretazioni critiche, nella convinzione che l'esperienza umana è una fonte non trascurabile del sapere morale.

L'augurio del Santo Padre è che la riflessione su questo tema sproni la diletta Università Cattolica del Sacro Cuore a continuare nel cammino intrapreso di fedeltà e di attenzione alla dottrina sociale della Chiesa, anche mediante un insegnamento sistematico attraverso veri e propri corsi curricolari per gli studenti. Inoltre, l'auspicio è che codesta Università possa essere sempre più e sempre meglio luogo di autentica elaborazione culturale, di studio serio delle istanze emergenti dalla situazione contemporanea e di approfondito confronto tra tutti coloro che vogliono servire l'uomo ed agire per il bene comune. così - anche attraverso il coinvolgimento diretto dei suoi docenti nelle varie iniziative ecclesiali volte alla formazione all'impegno sociale e politico, e mediante la condivisione della rinnovata proposta delle Settimane Sociali dei cattolici italiani - essa potrà aiutare le comunità cristiane ad analizzare la situazione del Paese, a chiarirla alla luce del Vangelo, ad attingere dall'insegnamento sociale della Chiesa principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione, e ad indicare le scelte da compiere per le trasformazioni sociali, economiche e politiche urgenti e necessarie (cfr. Pauli VI "Octoagesima Adveniens", 4).

Con questi voti, il Sommo Pontefice imparte volentieri a lei, signor Rettore, ai professori, agli alunni ed all'intera famiglia della Università Cattolica una particolare benedizione apostolica, a cui si compiace di unire, in segno di affetto e di considerazione, una sua offerta (L. 100.000.000).

Profitto della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio della signoria vostra Illustrissima devotissimo Agostino Card. Casaroli, Segretario di Stato

1989-04-03

Lunedi 3 Aprile 1989




Al consiglio dell'unione mondiale insegnanti cattolici - Città del Vaticano (Roma)

Gli educatori devono saper dire ai giovani che Cristo è venuto per liberare la loro vita


Signor presidente, signore e signori, Membri del consiglio dell'unione mondiale insegnanti cattolici.

Dopo il rinnovo del vostro consiglio l'estate scorsa, avete voluto organizzare la sua prima riunione nel centro della Chiesa, con il vivo desiderio di ricevere l'incoraggiamento del successore di Pietro. Mi congratulo per questa iniziativa e vi ringrazio della vostra cortese e gradita visita.

Voi siete profondamente convinti dell'importanza di mantenere e sviluppare le scuole cattoliche. Ho già avuto molte occasioni di ricordarlo, ma una volta di più desidero evidenziare le risorse specifiche dell'insegnamento cattolico, rigorosamente fedele al suo progetto educativo, per lo sviluppo della personalità dei giovani. Non solo la cultura umanistica mira a impregnare la loro intelligenza e la loro sensibilità, a provare e formare la loro libertà, ma il riferimento esplicito a Cristo insegna ai giovani a discernere i valori in grado di costruire la loro autentica personalità e i contro-valori suscettibili di degradarla. I giovani di oggi, così ricchi di possibilità, sono in effetti sottoposti al bombardamento di correnti di idee fluttuanti e di costumi edonisti.

Le aspirazioni dei giovani alla verità, alla giustizia, alla responsabilità, all'amore, alla felicità - soprattutto quando degli educatori autentici sanno risvegliarle - hanno bisogno di essere saldamente fondate sui valori superiori e permanenti, raccolti in modo mirabile nella persona e nel messaggio dell'uomo-Dio.

Si, quando la scuola cattolica sa dire al mondo dei giovani che Cristo non è venuto per limitare la loro esistenza ma per liberarla, allora essi diventano capaci di ascoltare e vivere questa buona Novella. E allora la loro personalità umana e cristiana si sviluppa meravigliosamente.

Desidero ricordare uno dei punti fondamentali della dichiarazione del Concilio Vaticano II sull'educazione cristiana: "Da parte loro gli insegnanti ricordino che dipende essenzialmente da essi, se la scuola cattolica riesce a realizzare i suoi scopi e le sue iniziative... Stretti tra loro e con gli alunni dal vincolo della carità e ricchi di spirito apostolico, essi devono dare testimonianza sia con la vita sia con la dottrina all'unico Maestro, che è Cristo" (GE 8). Il vostro consiglio e i vostri gruppi in tutto il mondo veglino, con tenacia e spirito di fede, sull'impegno di insegnanti profondamente cristiani! Si sa che le scuole cattoliche trovano delle difficoltà a mettere in atto il loro progetto educativo per carenze di vario genere o per la neutralità religiosa di certi membri del corpo insegnante. Ovunque, l'insegnamento cattolico ha bisogno di religiosi e di religiose impegnati nel loro compito educativo, e anche di insegnanti laici in grado di testimoniare la loro fede in mezzo ai giovani. La Chiesa conta sul dinamismo e la saggezza della vostra unione mondiale per mantenere e migliorare la specificità delle scuole cattoliche.

Invoco di tutto cuore sul vostro consiglio e tutte le comunità educative cattoliche del mondo intero abbondanti grazie divine di luce, coraggio e speranza.

1989-04-03

Lunedi 3 Aprile 1989




A un gruppo di pellegrini francesi - Città del Vaticano (Roma)

"Pregate per la gioventù che si riunirà in agosto a Santiago de Compostela"


Cari amici.

Incamminandovi sulle "Strade dei pellegrini", avete scelto di fare una prima tappa a Roma. Sono lieto di accogliervi in questa occasione e, porgendo a tutti il benvenuto, rivolgo un saluto cordiale particolare ai responsabili del settimanale "Le Pélerin", che tutti conoscono da tanto tempo! Vi auguro di percorrere il vostro itinerario nella gioia del tempo pasquale. Qui, vi trovate presso la tomba di Pietro, il primo degli apostoli e testimone illustre della Risurrezione, di cui ha diffuso l'annuncio che risuona per tutto il mondo oggi come ieri; vi recherete anche alla tomba di Paolo, che la manifestazione del Risorto ha trasformato al punto di farne il più ardente degli apostoli, per le strade del Mediterraneo, per la conversione dei pagani. Sulle loro orme, numerosi testimoni - martiri - hanno segnato la storia di questa città.

Con il dono della loro vita, essi hanno ampliato l'irradiamento della Chiesa di Roma, diventata il centro dell'unità e della comunione tra tutte le Chiese locali fondate in tutto il mondo.

Queste antiche sorgenti della fede e l'irradiamento della Chiesa di Roma oggi siano un sostegno e un arricchimento per rinsaldare il vostro senso ecclesiale! Il vostro cammino di pellegrini vi condurrà successivamente verso altri santuari. A Fatima e, per ultimo, a Lourdes andate a rendere omaggio alla presenza della madre fedele. Maria, in questi giorni, la ricordiamo unita in preghiera al gruppo dei discepoli nel Cenacolo. Noi ricordiamo che la Madre del Redentore, divenuta madre nostra ai piedi della Croce, resta colei che ci precede nel pellegrinaggio della fede, come amo dire ispirandomi al Concilio Vaticano II. Con la sua mediazione materna rischiari il cammino della vostra vita, il cammino di tutta la Chiesa! Vi recherete anche a Santiago de Compostela, altro importante luogo dell'evangelizzazione del continente europeo, non solo per la memoria dell'Apostolo, ma anche perché alla sua tomba sono confluiti per secoli pellegrini provenienti da tutto il continente. Nel percorrere il cammino di Compostela, essi erano testimoni di un'ardente ricerca del senso della vita e della sua ispirazione evangelica, della verità della salvezza. Il loro cammino stabiliva come un legame visibile tra le comunità da loro incontrate.

Oggi, lo sapete, Compostela resta un grande simbolo delle fonti cristiane che hanno irrigato l'intera Europa. E, presto, mi incontrero là con i giovani provenienti da tutte le regioni del mondo. Vi chiedo di pregare perché i giovani che vi si riuniranno nel mese di agosto divengano a loro volta, come san Giacomo, discepoli del Signore, perché la generazione che inizierà il terzo millennio sia segnata col sigillo della fede nella salvezza dell'uomo, perché contribuisca alla bellezza e alla dignità della famiglia umana, perché sia generosa e pura nell'esperienza dell'amore che è insieme dono e comandamento di Dio.

Il nostro incontro è purtroppo breve. Nell'affidarvi queste intenzioni vi lascio continuare nel vostro pellegrinaggio. Gli apostoli del Signore, i martiri e i santi vi siano compagni! Maria, madre ammirabile, vi aiuti a meditare le parole del Signore e vi disponga a nuove imprese! E la benedizione di Dio discenda su di voi!

1989-04-03

Lunedi 3 Aprile 1989









A Vescovi dell'India in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

La Chiesa, specialmente in India, rende efficace testimonianza in forza del suo umile servizio verso chi ha bisogno


Cari fratelli Vescovi.


GPII 1989 Insegnamenti - Le credenziali del nuovo ambasciatore della Repubblica araba di Siria - Città del Vaticano (Roma)