GPII 1989 Insegnamenti - Recita del "Regina Coeli": dalla Risurrezione all'effusione dello Spirito Santo - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Recita del "Regina Coeli": dalla Risurrezione all'effusione dello Spirito Santo - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Il dono della sapienza: non solo conoscere le cose di Dio, ma sperimentarle e viverle


Carissimi fratelli e sorelle.


1. Nella prospettiva della solennità di Pentecoste, verso cui ci sta avviando il periodo pasquale, vogliamo insieme riflettere sui sette doni dello Spirito Santo, che la Tradizione della Chiesa ha costantemente proposto in base al testo famoso di Isaia, riguardante lo "Spirito del Signore" (cfr Is 11,1-2).

Il primo e più alto di tali doni è la sapienza, la quale è una luce che si riceve dall'Alto: è una speciale partecipazione a quella conoscenza misteriosa e somma, che è propria di Dio. Leggiamo, infatti, nella Sacra Scrittura: "Pregai e mi fu elargita la prudenza; implorai e venne in me lo spirito della sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto" (Sg 7,7-8).

Questa superiore sapienza è la radice di una conoscenza nuova, una conoscenza permeata di carità, grazie alla quale l'anima acquista, per così dire, dimestichezza con le cose divine e ne prova gusto. San Tommaso parla appunto di "un certo sapore di Dio" (II-II 45,2, ad 1), per cui il vero sapiente non è semplicemente colui che sa le cose di Dio, ma colui che le sperimenta e le vive.


2. La conoscenza sapienziale, inoltre, ci dà una speciale capacità di giudicare delle cose umane secondo il metro di Dio, nella luce di Dio. Illuminato da questo dono, il cristiano sa vedere dentro le realtà del mondo: nessuno meglio di lui è in grado di apprezzare i valori autentici della creazione, guardandoli con gli occhi stessi di Dio.

Di questa superiore percezione del "linguaggio della creazione" troviamo un esempio affascinante nel "Cantico delle creature" di san Francesco di Assisi.


3. Grazie a questo dono tutta la vita del cristiano con le sue vicende, le sue aspirazioni, i suoi progetti, le sue realizzazioni, viene ad essere raggiunta dal soffio dello Spirito, che la permea con la luce "che scende dall'Alto", come è attestato da tante anime elette anche nostri giorni e, direi, oggi stesso da santa Clelia Barbieri e dal suo fulgido esempio di donna ricca di questa sapienza, pur nella giovane età.

In tutte queste anime si ripetono le "grandi cose" operate in Maria dallo Spirito. Ella, che la pietà tradizionale venera come "Sedes Sapientiae", porti ciascuno di noi a gustare interiormente le cose celesti.

[Al termine il Santo Padre ha pronunziato le seguenti parole:] Oggi si celebra in tutta l'Italia la "Giornata per l'Università Cattolica del Sacro Cuore", fondata dall'indimenticabile francescano padre Agostino Gemelli, di cui ricordiamo quest'anno il trentesimo anniversario della morte.

La giornata ha come tema: "L'Università Cattolica per l'insegnamento sociale della Chiesa", e ciò in sintonia con le indicazioni del Concilio Vaticano II sulle finalità degli atenei cattolici, chiamati ad offrire ai propri studenti una profonda formazione culturale e cristiana, che li aiuti, a "diventare veramente insigni nel sapere, pronti a svolgere compiti impegnativi nella società e a testimoniare la loro fede di fronte al mondo" (GE 10).

Questa celebrazione è ormai una consuetudine attesa e cara a tutta la comunità ecclesiale italiana, che ha sempre seguito con affetto e aiutato con generosità la propria e prestigiosa Università. Tale occasione sia per tutti i fedeli - in particolare per i dirigenti, i docenti, i ricercatori, gli alunni e il personale tutto della Università Cattolica del Sacro Cuore - un motivo di riflessione sulla responsabilità di incarnare i valori del Vangelo nelle varie forme della cultura e della vita sociale.

Accompagno questi voti con la mia benedizione apostolica.

1989-04-09

Domenica 9 Aprile 1989




Il saluto al nuovo vescovo Divo Zadi - Città del Vaticano (Roma)

"La Chiesa di Civita Castellana godrà del suo zelante ministero"



1. Sono particolarmente lieto di accoglierla in questa udienza speciale all'indomani della sua ordinazione episcopale, caro fratello monsignor Divo Zadi, e di ricevere insieme con lei, familiari, congiunti ed amici che si sono stretti intorno alla sua persona in un momento così importante della sua vita.

Il mio primo saluto, ovviamente, va alla sua cara mamma, la signora Armida Volpi Zadi, che con gioia, affetto e commozione la accompagna oggi, grata al Signore per il grande dono fatto a suo figlio. Ad essa desidero esprimere il mio vivo compiacimento, le mie congratulazioni, unite all'auspicio che possa continuare ad essere accanto al figlio Vescovo per molti anni.

Saluto, poi, i vicari generali e tutti i sacerdoti, religiosi e religiose della diocesi di Civita Castellana, a cui il nuovo Pastore è destinato, e di quella di Montepulciano-Chiusi-Pienza, dalla quale proviene.

Tra i presenti ci sono anche amici appartenenti ai diversi campi di apostolato, in cui il nuovo Vescovo di Civita Castellana ha dedicato il suo impegno pastorale: le suore della clinica nostra Signora del Sacro Cuore e il personale medico e paramedico; i colleghi delle missioni popolari svolte un tempo con la "Pro Civitate Christiana" ad Assisi, e tante altre persone legate da vincoli di ministero e di affetto. Tra queste desidero salutare due congiunti del mio predecessore Giovanni XXIII, monsignor Giovanni Battista Roncalli e suor Angela Roncalli.


2. Caro monsignore, questa udienza vuole essere anche un segno di ringraziamento per il lavoro da lei svolto nella segreteria di Stato con diligenza e dedizione.

Nello stesso tempo desidero esprimerle cordiali voti per il ministero che ora l'attende. Le auguro che il Signore coroni il suo lavoro di copiose grazie, le conceda l'affetto e la solidarietà del suo presbiterio, sostenga la sua opera con l'adesione sincera e viva dei laici alla predicazione del Vangelo. La Chiesa di Civita Castellana, a me tanto cara anche per il ricordo che conservo della cordiale accoglienza ricevuta durante la mia visita nel maggio dello scorso anno, godrà del suo zelante ministero, che ella eserciterà senza risparmio di energie.


3. Con tali sentimenti, di cuore imparto a lei, al suo presbiterio, a tutte le comunità consacrate, maschili e femminili, alle famiglie, ai giovani, ai sofferenti di Civita Castellana la benedizione apostolica, mentre su tutti invoco la protezione materna della Vergine, venerata a Civita Castellana sotto il titolo di santa Maria "ad rupes".

1989-04-09

Domenica 9 Aprile 1989




Ai bolognesi presenti alla canonizzazione di Clelia Barbieri - Città del Vaticano (Roma)

La nuova canonizzazione esalta la condizione femminile


Signor Cardinale, carissimi fratelli e sorelle.


1. Sono lieto di accogliervi in speciale udienza in questo giorno, nel quale tutta la Chiesa gioisce con voi per l'elevazione alla gloria degli altari di una figlia della terra emiliana, Clelia Barbieri. La sua canonizzazione è per tanti aspetti un evento memorabile.

Lo è per la Chiesa di Bologna: era infatti dal 22 maggio 1712, (data in cui Clemente XI iscrisse nell'albo dei santi Caterina de' Vigri, clarissa del "Corpus Domini") che essa non registrava la suprema esaltazione di un suo figlio o di una sua figlia.

Lo è per la Chiesa universale, in quanto Clelia è la prima santa con questo nome; ed è la più giovane tra le fondatrici di una famiglia consacrata.


2. In questa canonizzazione mi piace sottolineare, in particolare, l'esaltazione della condizione femminile. La Provvidenza ha disposto che la glorificazione di questa ragazza avvenisse a non molti mesi di distanza dalla pubblicazione della lettera apostolica sulla dignità e vocazione della donna, "Mulieris Dignitatem".

Nel servizio apostolico e caritativo di Clelia Barbieri e della sua famiglia spirituale prende forma e figura un progetto di ricupero sociale - alfabetizzazione, scuola di lavoro, educazione alla vita - in cui si riflette una diffusa preoccupazione di tutto il 1800. Ogni regione ha i suoi protagonisti e le sue protagoniste. Tra queste, in Italia, si segnalano la Capitanio, la Gerosa, la Verzeri. Colmano una lacuna enorme, perché l'iniziativa pubblica e privata si dirigeva in quel tempo quasi esclusivamente al settore maschile. Con loro è la condizione femminile che si risveglia e agisce dal di dentro della propria realtà storica e sociale. Sono donne che si occupano d altre donne; giovani che vengono incontro a altre giovani; poveri che tendono la mano a altri poveri.

La risalita della donna a responsabilità comunitarie prefigura un vero risorgimento al femminile.


3. Lo scenario in cui si colloca Clelia, e con lei il gruppo di ragazze che ne condivide le scelte e gli ideali, è quello della parrocchia rurale, come mette in luce il primo biografo di santa Clelia il Cardinal Arcivescovo Giorgio Gusmini (1914-1921) nei suoi "Appunti storici": "L'aiuola fortunata del grande giardino della Chiesa bolognese nella quale questo fiore di ogni più eletta virtù apparve e si mostro per brevissimi giorni... fu la parrocchia di S. Maria delle Budrie, del Comune e del plebanato di S. Giovanni in Persiceto, a pochi chilometri a nord-ovest di Bologna, quasi al centro della immensa e fecondissima pianura traversata dal Reno, nella parte bagnata dal Samoggia".

La vicenda spirituale di Clelia Barbieri delinea un modello di santità giovane totalmente inserita nell'ambiente della parrocchia rurale - quelle donne, quegli uomini, quelle famiglie, quei sacerdoti, soprattutto il parroco don Gaetano Guidi, che le assicurarono un contesto umano e cristiano adatto per una crescita armoniosa e serena. Clelia Barbieri non è il frutto di una particolare scuola di spiritualità, ma è il prodotto genuino di quella prima e fondamentale palestra di santità che è stata la Chiesa parrocchiale del suo villaggio.


4. L'Eucaristia è il luogo teologico sia delle esperienze mistiche di Clelia - dalla prima Comunione al termine della sua vita - sia di quella realtà che essa stessa denominerà l'ispirazione grande, il carisma di fondazione. Dalla devozione eucaristica scaturisce la sua polivalente presenza caritativa, in chiave di evangelizzazione e di educazione, di assistenza e di pronto intervento a favore dei poveri, dei malati e degli emarginati, con una creatività semplice e geniale, che le fa meritare dalla sua gente il titolo di madre! "Madre Clelia".

Questo suo carisma, verso la fine della vita, si fa profezia degli sviluppi futuri. Prima di congedarsi dalla scena del mondo, essa rassicura le compagne: "State di buon animo, perché io me ne vado al Cielo, ma saro sempre con voi e non vi abbandonero mai".

Oggi la piccola famiglia cleliana è presente, oltreché in Italia, nel Kerala e in Tanzania. Il piccolo seme s'è sviluppato in solida pianta.


5. Carissime religiose "Minime dell'Addolorata", spetta a voi ora far fruttificare a bene della Chiesa il carisma della vostra santa fondatrice: nell'umiltà del servizio apostolico, nella dedizione ai poveri ed agli emarginati, nella quotidiana testimonianza dei consigli evangelici, voi dovete sentirvi chiamate ad essere strumenti sempre disponibili della divina misericordia.

E voi, cari fratelli e sorelle della illustre arcidiocesi bolognese, specialmente voi giovani e ragazze che avete voluto partecipare a questa canonizzazione, mentre giustamente vi gloriate dell'esaltazione di questa vostra concittadina, salita tanto in alto nella scala delle virtù cristiane, non potete sottrarvi all'implicito ma eloquente appello che a voi viene dalla sua testimonianza: in tempi non facili ella ha saputo professare la sua fede con coraggio e perseveranza, non lasciandosi distogliere né da lusinghe né da minacce.

Sappiate anche voi confessare generosamente Cristo in ogni circostanza della vostra vita, così che nella vostra terra, che vanta tradizioni religiose e civili tanto gloriose, la fede cristiana possa conoscere una nuova, consolante fioritura.

A tutti la mia benedizione.

1989-04-09

Domenica 9 Aprile 1989




Alle novizie partecipanti ad un corso di formazione - Città del Vaticano (Roma)

Testimonianza gioiosa della "sequela Christi" per l'edificazione del Regno di Dio



1. Mi è grato salutarvi e intrattenermi con voi, care novizie, unitamente alle maestre che vi accompagnano.

In questi giorni vi è stata presentata la dinamica del cammino di iniziazione alla vita di totale consacrazione a Dio. Il noviziato è infatti la prima fase di questo "cammino", che prevede già una certa chiarezza in colei che desidera rispondere seriamente alla chiamata di Cristo: "Va', vendi quello che hai...; poi vieni e seguimi" (Mt 19,21).

L'esperienza del noviziato comporta un cambiamento radicale rispetto al genere di vita condotto in precedenza. L'inserimento effettivo nella missione dell'istituto scelto e la presa di coscienza, molto più diretta, delle esigenze che segnano l'avvenire della nuova esistenza, richiedono una volontà decisa di approfondire la propria vocazione, di sperimentare lo stile di vita della rispettiva congregazione religiosa, per constatare la serietà del proposito di voler proseguire nella via intrapresa.


2. La sequela di Cristo esige totale libertà del cuore, assoluta disponibilità nel dimenticare se stessi e le proprie cose per essere capaci di un amore gratuito e disinteressato. Punto focale del noviziato e cuore della formazione è l'esperienza di Gesù risorto. E' essenziale vivere intimamente con lui, come l'"unum necessarium", con un amore di intimità e di servizio. Seguire Cristo vuol dire, in concreto, mettersi sulle sue orme; condividere il suo cammino; stabilire con lui un rapporto personale di amore e di comunione, per partecipare con lui - inviato dal Padre - alla sua stessa missione redentrice nel mondo.

Con questa formazione e a questa scuola permanente vi sarà poi non difficile dedicare un'attenzione profonda a ciò che l'umanità intera vive in questo momento, ai suoi problemi, alle sue aspirazioni, alle sue attese.

A voi - giovani speranze del futuro della vita religiosa, figlie e continuatrici della missione delle vostre fondatrici e dei vostri fondatori - è affidato il compito di preparare per il 2000 una vita religiosa sempre più feconda e capace di rispondere ai bisogni del mondo e degli uomini del vostro tempo, nella fedeltà costante al Vangelo.


3. In questo, voi trovate un modello incomparabile in Maria, vero tipo di donna consacrata. Dio incontra in lei una giovane con un nome preciso e in una concreta situazione di vita, per chiamarla ad un compito specifico nella storia della salvezza. La risposta di questa giovane è fortemente caratterizzata dal fatto di essere persona unica, irripetibile, ma insieme persona che ha in comune con voi uno specifico modo di essere donna.

Maria riceve così la rivelazione della sua essenza più vera di donna amata gratuitamente da Dio, e di quello che è chiamata ad essere nel suo disegno di salvezza per l'umanità: la madre del Dio fatto carne, colei che dà corpo umano al Verbo di Dio. La Vergine di Nazaret si rende pienamente disponibile al progetto di Dio sulla sua vita; ma la sua collaborazione non si basa sulle proprie attitudini personali, ma nasce unicamente dall'abbandono totale e fiducioso alla volontà del suo Dio, nella certezza che egli è costantemente presente nella sua vita ed è sempre lui che coordina e dirige ogni avvenimento della sua storia a beneficio dell'umanità intera.


4. Il periodo pasquale, che stiamo vivendo, offre ricchi insegnamenti per questa vostra fase di formazione, sia per le formatrici che per le giovani formande.

L'episodio di Emmaus, che troviamo nel Vangelo di Luca (cfr Lc 24,13-35) è molto ricco di simboli biblici e di importanti ammaestramenti.

Esso ci ricorda che per scoprire le ricchezze di Cristo dobbiamo "viaggiare" con lui in un itinerario che implica l'attenzione al risorto, l'ascolto della sua Parola e la preghiera, per poter attuare un autentico discernimento della vocazione e garantire un servizio di sincero amore all'uomo.

Emmaus ci indica ancora che Gesù, il vero formatore, ha saputo accompagnare, istruire e sostenere nella loro formazione i due discepoli, dubbiosi e scoraggiati. Infatti, vedendo che "i loro occhi erano impediti di riconoscerlo" (Lc 24,16), col suo atteggiamento egli mostra loro che li ama e che desidera illuminarli per aprire il loro cuore alla verità. Questa sua benevolenza amichevole fa accettare ai discepoli il salutare rimprovero: "O stolti e tardi di cuore nel credere alle parole dei profeti!" (Lc 24,25). Ma soltanto alla fine, nella preghiera e nella comunione, i loro occhi riescono a riconoscerlo. Questo racconto vuole dimostrare che la formazione richiede anche persone capaci di pazienza e di ascolto, che non pretendono risultati immediati, ma sappiano attendere e rispettare i diversi tempi di crescita delle singole persone. Per fare questo pero occorre che coloro che assumono un tale compito, abbiano anzitutto scoperto la presenza del Signore nella loro vita, convinte che, soltanto specchiandosi in lui, possono realizzare la loro identità di formatrici, le quali sanno dare gratuitamente, senza attendere ricompense o gratificazioni. Anche a Gesù, del resto, fu necessario l'intero viaggio da Gerusalemme a Emmaus per poter entrare in comunicazione con i suoi discepoli.


5. Vi auguro, care novizie, che la testimonianza gioiosa della vostra "sequela Christi" a servizio del Vangelo, per l'edificazione del Regno di Dio, diventi premessa di provvidenziale mediazione, perché altre giovani possano avvertire nell'intimo del loro animo la forza irresistibile e trasformatrice della voce di Cristo che le chiami per nome, come fece con la Maddalena il giorno della Risurrezione.

Con questo augurio e con l'auspicio che i propositi da voi formulati in questi giorni di preghiera e di comunione fraterna, siano tradotti in pratica, per comprendere e vivere radicalmente la vostra specifica vocazione, imparto di cuore, a voi, alle vostre madri superiore e a tutte le consorelle dei vostri istituti, l'apostolica benedizione.

1989-04-10

Lunedi 10 Aprile 1989




Lettera al Cardinale Glemp - Città del Vaticano (Roma)

Un delegato apostolico a Varsavia


A sua Eminenza reverendissima il Cardinale Jozef Glemp, Arcivescovo metropolita di Gniezno e Warzawa Presidente della Conferenza Episcopale Polacca.

Venerabile e caro signor Primate.

Da diversi anni sono in corso lavori aventi per scopo la ripresa delle relazioni diplomatiche fra la Sede Apostolica e la Polonia. A seguito di molteplici iniziative, si è giunti nel luglio 1974 alla firma di un protocollo sui contatti permanenti di lavoro, attuati con le delegazioni composte dai rappresentanti delle due parti. Primo capo della delegazione della Sede Apostolica è stato l'eccellentissimo Arcivescovo Luigi Poggi, Nunzio Apostolico con incarichi speciali, che ha compiuto numerosi viaggi in Polonia, sviluppando i contatti con la società ecclesiale e con le autorità civili. Nel maggio 1978 il Papa Paolo VI ha fatto conoscere al Primate di Polonia, eminentissimo Cardinale Stefan Wyszynski, la volontà di inviare a Varsavia un rappresentante stabile in qualità di delegato apostolico; tale decisione è stata poi confermata dal Papa Giovanni Paolo I.

Negli ultimi anni, il governo della Repubblica Popolare di Polonia ha avanzato la proposta di piena normalizzazione delle relazioni fra lo Stato e la Chiesa, attraverso lo scambio di rappresentanti diplomatici con la Sede Apostolica. Questa proposta ha avuto una positiva valutazione da parte della Conferenza Episcopale Polacca, il che ha dato motivo per avviare speciali preparativi. All'attuale stato di cose, sembra possibile, e perfino opportuno, che la Sede Apostolica possa inviare a Varsavia un suo rappresentante con carattere appropriato.

La sua presenza in Polonia sembra necessaria anche perché è stata presentata la proposta di una convenzione fra la Repubblica Popolare di Polonia e la Sede Apostolica. Alla redazione del progetto di tale convenzione hanno lavorato apposite commissioni, composte da rappresentanti della Sede Apostolica, dell'Episcopato polacco e delle autorità della Repubblica Popolare di Polonia. La convenzione era inizialmente considerata come condizione per lo scambio dei rappresentanti diplomatici. In questa fase dei preparativi, la Sede Apostolica sarebbe pronta a inviare un suo rappresentante in Polonia ancor prima della firma della convenzione. Questo perché ad una elaborazione definitiva del testo della convenzione, che è un documento importante di carattere internazionale, possa partecipare il rappresentante della Sede Apostolica residente in Polonia. In un discorso alla Conferenza Episcopale Polacca, il 4 giugno 1987 a Varsavia, ho sottolineato il significato fondamentale delle relazioni diplomatiche fra la Polonia e la Sede Apostolica, riferendomi alla storia plurisecolare della Nunziatura Apostolica a Varsavia. Pertanto, la Sede Apostolica desidera che la decisione, che ora prende, possa costituire la piena continuazione delle relazioni diplomatiche con la Polonia.

Aggiungo che la presenza del rappresentante della Sede Apostolica in un determinato paese, particolarmente se cattolico, è una forma ordinaria di rappresentare stabilmente il romano Pontefice presso le Chiese particolari o anche presso gli Stati e le autorità pubbliche (cfr. "Codice di Diritto Canonico", CIC 363 § 1).

Com'è noto, la Sede Apostolica mantiene al presente tali relazioni con centodiciassette paesi in tutto il mondo, senza contare le organizzazioni internazionali. Sotto l'attuale pontificato sono state istituite trenta nuove rappresentanze diplomatiche della Sede Apostolica.

Nel discorso sopra menzionato, ho messo in risalto, in particolare, l'aspetto della credibilità di questa decisione in rapporto alla nazione polacca, ed anche sul piano internazionale. La Sede Apostolica è sinceramente convinta che tale atto servirà al bene della Polonia, mettendo in rilievo la sovranità dello Stato, basato sulla pienezza dei diritti sovrani della società che vive in esso.

La sollecitudine nell'assicurare questi diritti in ogni nazione e società è considerata dalla Chiesa come parte del ministero pastorale inerente alla sua missione evangelica.

In spirito di pastorale sollecitudine per il bene della Patria, partecipo questi pensieri a lei, signor Primate, quale Presidente della Conferenza Episcopale Polacca, ed ai confratelli della medesima Conferenza, augurando loro l'assistenza dei patroni della Polonia. Alla loro intercessione e, particolarmente, all'intercessione della Signora di Jasna Gora, raccomando l'importante causa che è oggetto della presente lettera.

Con l'apostolica benedizione nel nome della Santissima Trinità.

Dal Vaticano, 11 aprile 1989.

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1989-04-11

Martedi 11 Aprile 1989









A un gruppo di Vescovi dell'India in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Come sacramento di unità della famiglia umana la Chiesa è ardente promotrice di solidarietà


Cardinale Pimenta, cari fratelli Vescovi.


1. Ho il grande piacere di accogliere oggi il secondo gruppo di Vescovi dell'India, delle province ecclesiastiche di Bombay, Nagpur, Goa e Calcutta.

Parlando recentemente ai Vescovi delle province di Agra, Bhopal e Delhi, ho ricordato gli aspetti fondamentali della nostra comprensione della Chiesa e del nostro ruolo di Vescovi, soprattutto in relazione all'urgente compito dell'evangelizzazione. Infatti colui al quale è stata data una missione nella Chiesa, deve crescere continuamente nella conoscenza e nell'amore del grande mistero dell'amore di Dio reso manifesto nel mondo attraverso l'Incarnazione del Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, e presente nel tempo nel mistero della Chiesa, suo corpo. Noi Vescovi, successori degli apostoli, siamo chiamati a promuovere in tutti i modi possibili la proclamazione dell'amore salvifico di Dio, che si è realizzato nel mistero pasquale della nostra Redenzione ed è reso efficace nel servizio pieno di abnegazione prestato alla famiglia umana dalla comunità ecclesiale. Voglio incoraggiarvi nel vostro impegno quotidiano e invoco il dono della fede, della speranza e della carità sui vostri sacerdoti, religiosi e laici, mentre tutti insieme lavorate per annunciare la buona Novella ed edificare la Chiesa.

Le vostre regioni sono state benedette dalla presenza di due santi: san Francesco Saverio, l'apostolo dell'India, il cui corpo è sepolto a Goa, e san Gonsalo Garcia, nato a Vasi nello Stato di Bombay, il primo santo indiano, martire per la fede in Giappone. Ho avuto l'onore di visitare i luoghi che ricordano questi santi nel febbraio del 1986. L'intercessione di questi celesti patroni assista voi e le vostre Chiese particolari nel compito di confermare la fede e darne testimonianza nella società in cui vivete. Il loro esempio vi insegni a muovervi facendo del bene, come fece Gesù, affinché la Chiesa in India possa annunciare la Croce e la Risurrezione di Cristo finché egli venga (cfr 1Co 11,26).


2. La profonda ricchezza della vita della Chiesa è visibilmente rappresentata in India dalla presenza e vitalità di diversi riti, tra cui il rito latino, cui appartenete voi, il siro-malabarico e il siro-malankara. La storia del rapporto tra i vari riti, come altre cose umane, offre esempi di leale collaborazione e infelice rivalità. Sono lieto di costatare che oggi un profondo senso di comunione ecclesiale e fraterna anima i Vescovi dei diversi riti nella loro comune sollecitudine pastorale per il Popolo di Dio in India.

Colgo questa opportunità per incoraggiarvi a continuare a cercare modi per attuare i contenuti della mia lettera del 28 maggio 1987 sulla cura pastorale dei fedeli di rito orientale all'interno delle giurisdizioni di rito latino.

Ringrazio in particolare gli ordinari di Bombay, Pune e Nashik per la loro azione in favore della nascita della nuova eparchia siro-malabarica di Kalyan. Sono persuaso che la collaborazione inter-rituale crescerà e darà eccellenti frutti quando sacerdoti, religiosi e laici saranno educati alla comprensione della natura autentica della Chiesa e del significato della sua diversità nell'unità (cfr. "Epistula ad Episcopos Indiae", 6, die 28 maii 1987).


3. In diverse parti del Paese ci sono comunità cristiane che hanno la fede da secoli e ci sono cristiani recenti. Questi ultimi stanno ancora costruendosi un'identità ecclesiale e delle tradizioni cristiane. I primi possono contare su una storia esemplare e sulle risorse di una spiritualità profondamente assimilata.

Tuttavia non tutti sono sempre consapevoli della vita della fede e della chiamata evangelica alla santità e alla giustizia nella vita di ogni giorno. Vediamo talvolta una dicotomia tra la fede e la vita. Proprio per questo, la "Magna Charta" dell'evangelizzazione nel mondo contemporaneo, l'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" di Paolo VI, ricorda che la Chiesa è evangelizzatrice, ma comincia con l'evangelizzare se stessa, ascoltando di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell'amore (cfr EN 15).

Come Pastore, padre e guida di una diocesi, ciascun Vescovo deve lavorare saggiamente e incessantemente perché il Popolo di Dio affidato alle sue cure impari la vera fede e sia guidato alla pienezza di vita che lo Spirito dona ai discepoli di Cristo. La summenzionata esortazione apostolica richiama i Vescovi a "proclamare con autorità la Parola di Dio, radunare il Popolo di Dio che era disperso, nutrire questo popolo con i segni dell'azione di Cristo, che sono i sacramenti, condurlo sulla via della salvezza, conservarlo in quella unità di cui noi stessi siamo, a differenti livelli, strumenti attivi e vitali, animare incessantemente questa comunità raccolta attorno al Cristo secondo la sua intima vocazione" (cfr. Pauli VI, EN 68). Nessun'altra preoccupazione o lavoro può sostituire questa fatica quotidiana. Il comando del Signore di lavorare mentre è giorno (cfr Jn 9,4) può ben essere applicato all'importanza e all'urgenza del nostro ministero pastorale.

Ma tutto questo deve esprimersi in ciascuna situazione attraverso la presenza della comunità cristiana, soprattutto i sacerdoti e i religiosi a stretto contatto con la cultura locale. Nel passato, i missionari hanno compiuto un lodevole sforzo per imparare la lingua dei popoli in cui vivevano e per comprendere i loro usi e la loro mentalità. Oggi, ci sono molti strumenti per rendere più facile questo compito e, pur essendo questo lavoro sempre necessario, ha particolare importanza là dove ci siano diversi gruppi etnici che si avvicinano alla fede per la prima volta.


4. Nel suo servizio esteriore a una società in difficoltà, la Chiesa nelle vostre regioni è chiamata a svolgere il suo compito in un ambiente multiculturale, multireligioso, unendosi a tutti gli uomini di buona volontà in un leale dialogo interreligioso e nello sforzo per elevare i livelli sociali e culturali e per migliorare le condizioni di vita dei bisognosi. In quanto sacramento dell'unità di tutto il genere umano, la Chiesa non può che essere ardente promotrice di umana solidarietà. Essa incoraggia atteggiamenti di fraternità e amicizia. Molte sue iniziative ed istituzioni sono aperte a tutti.

In India la Chiesa ha una speciale vocazione ad insegnare e incoraggiare la riconciliazione tra gruppi e individui, tra popolazioni di diverse origini etniche, sociali o culturali. Questo può fare solo se essa stessa è una comunità riconciliata, se i suoi membri respingono nella pratica ogni forma di discriminazione dimostrando con le parole e con i fatti di guardare veramente a tutti gli uomini e le donne come fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre ed eredi dello stesso Regno.

Vengono subito in mente molti esempi nelle vostre Chiese locali, in particolare le religiose, vicine ai più poveri e diseredati, che si prendono cura amorevolmente dei malati e che condividono la sorte dei contadini e dei baraccati per amore del Vangelo. Quanti esempi di eroico amore evangelico potremmo ricordare? E non è forse questo amore il grande segno della presenza di Cristo e l'espressione autentica della vitalità delle vostre comunità cristiane?


5. Un altro tema desidero affrontare in questa nostra conversazione, Vescovi della Chiesa in India. E' la questione del rispetto della vita e la necessità di un serio dialogo con tutta la società sulle implicazioni etiche e morali delle politiche pubbliche in questo campo. Due eventi hanno suscitato questa riflessione. Una è stata la mia visita al "Nirmal Hriday Ashram" di Calcutta il 3 febbraio 1986. Là, in mezzo a tante sofferenze e morti, si resta colpiti non dalla disperazione ma dalla speranza, e dalla potenza dell'amore che trasforma il dolore in una meravigliosa lezione sulla verità della dignità di ogni vita umana. La mia riflessione è suscitata anche dalla "Festa della Vita", organizzata a Bombay nel dicembre del 1988 dalla federazione internazionale delle associazioni dei medici cattolici, con la collaborazione di persone di altre tradizioni religiose.

In quanto Vescovi voi avete spesso parlato della sacralità della vita umana. Nelle vostre regioni questa sacralità viene spesso negata dall'aborto, l'uccisione dei neonati di sesso femminile o l'infanticidio, i tentativi di introdurre l'eutanasia legalizzata, il lavoro coatto, il terrorismo e altre forme di violenza. In un paese come l'India, in cui filosofia e religione sono strettamente connesse, sacerdoti e seminaristi devono essere bene formati nella filosofia morale e l'etica medica, così da partecipare al dialogo interreligioso su questioni relative alla trasmissione naturale della vita e il valore e l'inalienabile dignità di ogni vita umana dal momento del concepimento alla morte naturale. Là dove sono presenti associazioni e movimenti per la pianificazione naturale familiare e a favore della vita, ispirati dalla dottrina cattolica o in piena armonia con essa, i laici cattolici devono essere incoraggiati a lavorare insieme a loro; dove tali gruppi non esistono, dovrebbero essere costituiti così che la posizione della Chiesa su questi temi così importanti possa essere meglio conosciuta e si veda la sua corrispondenza con il reale bene e sviluppo della società.


6. La famiglia è l'unità primaria della società e va ricordato che l'influenza educativa della famiglia sulle persone è molto più importante di qualsiasi altro gruppo. I valori morali e religiosi e le virtù sociali di cui ogni società ha bisogno vengono acquisiti anzitutto in questa comunità basilare. In nessun altro luogo si può sperimentare così fortemente la potenza dell'amore. In questo punto originario vengono rafforzate le dimensioni individuali e sociali della vita. E' nella famiglia che le persone imparano una sana stima di sé. E' in casa che l'arte della comunicazione comincia e deve essere incoraggiata. E' soprattutto in famiglia che le verità religiose vengono assimilate e si sviluppa un rapporto personale con Dio. Nessun piano pastorale può trascurare la priorità da dare alla famiglia come cellula fondamentale della società e della stessa Chiesa.


7. Miei cari fratelli: siate certi della mia continua preghiera, per voi e per il Popolo di Dio in India. La Chiesa universale guarda a voi con ammirazione per la crescita e la vitalità delle vostre comunità, per l'abbondanza delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. La fecondità della grazia di Dio in mezzo a voi è nello stesso tempo una sfida alla vostra responsabilità pastorale. La beata Vergine Maria, madre della Chiesa, interceda per voi in tutte le vostre necessità; il suo esempio di fede e sequela ispiri voi e il vostro popolo a una fedeltà sempre più intima a suo Figlio, nostro Signore Gesù Cristo.

Vi chiedo di portare la mia benedizione ai sacerdoti e ai religiosi, ai seminaristi e ai catechisti delle vostre diocesi: "Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell'amore vicendevole" (1Th 3,12).

1989-04-13

Giovedi 13 Aprile 1989





GPII 1989 Insegnamenti - Recita del "Regina Coeli": dalla Risurrezione all'effusione dello Spirito Santo - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)