GPII 1989 Insegnamenti - Le credenziali del nuovo ambasciatore del Malawi - Città del Vaticano (Roma)

Le credenziali del nuovo ambasciatore del Malawi - Città del Vaticano (Roma)

"Approvo ed incoraggio lo sforzo del Paese che accoglie con amore i rifugiati"


Signor ambasciatore.

Ho il piacere di accogliere le lettere che la accreditano come ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica del Malawi presso la Santa Sede. Ho molto apprezzato i saluti e gli auspici trasmessi da parte del suo Presidente, Ngwazi Dr H. Kamuzu Banda, e la prego di assicurarlo delle mie preghiere per la pace e il bene del popolo del suo Paese.

Attendo con impazienza la mia prossima visita pastorale nel Malawi.

Avviene nell'anno che segna il centenario dell'arrivo dei primi missionari cattolici. Con questa visita desidero confermare nella fede i miei fratelli e sorelle cattolici ed unirmi a loro nel rendere grazie a Dio onnipotente per le copiose benedizioni ricevute dalla Chiesa del Malawi negli ultimi cento anni. In quell'occasione avro anche il privilegio di incontrare ufficialmente il suo Presidente e sebbene la mia visita sia principalmente di carattere pastorale, il mio messaggio sarà di pace e bene per tutto il popolo del Malawi. così è mia fervida speranza che la visita possa servire - come ha ricordato l'eccellenza vostra, - a rafforzare le buone relazioni esistenti tra il governo del Malawi e la Santa Sede.

Lei ha fatto menzione dell'impegno della Santa Sede per favorire il dialogo per la pace nel mondo. Il gap economico che divide il Nord dal Sud, e il contrasto ideologico tra l'Ovest e l'Est rendono necessario ai popoli il seguire la strada del dialogo. Il dialogo autentico supera il contrasto ideologico e aiuta ad abbattere i pregiudizi, concentrando l'attenzione sulle aspirazioni alla solidarietà presenti nel cuore di tutti gli uomini. Questo porta all'abbandono di quel tipo di mentalità che difende i privilegi personali e il potere e spinge, di fronte alle tensioni politiche, economiche, sociali e culturali, ad una apertura alla condivisione e alla collaborazione in uno spirito di mutua fiducia (cfr "Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum, pro a. D. 1986", 4, die 8 dec. 1985: , VIII, 2 [1985] 1468s).

Il suo Paese ha goduto della benedizione della pace per i venticinque anni di indipendenza. Lei ha precisato che questo è dovuto in larga misura alla protezione accordata dal suo governo al diritto del popolo alla libertà di culto e di associazione. Similmente, un importante fattore che ha contribuito all'unità nazionale è stato il rispetto, da parte del governo, della diversità e singolarità dei differenti gruppi etnici e religiosi che compongono la popolazione. Nel mio messaggio di quest'anno per la Giornata Mondiale della Pace ho ribadito la ferma convinzione della Santa Sede che solo con un impegno appassionato ad ogni livello della società tutte le forme di discriminazione religiosa, culturale o etnica possono essere eliminate e l'unità nazionale può essere raggiunta. Ho sottolineato che "la riconciliazione secondo giustizia, rispettosa delle legittime aspirazioni di tutte le componenti della comunità, deve essere la regola. Al di sopra di tutto e in tutto, la paziente trama per tessere una convivenza pacifica trova vigore e compimento nell'amore che abbraccia tutti i popoli. Tale amore può esprimersi in innumerevoli, concrete forme di servizio alla ricca diversità del genere umano, uno per origine e per destino" (cfr. "Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum, pro a. D. 1989", 12, die 8 dec. 1988: , XI 3 [1988] 1788).

Noto con soddisfazione l'apprezzamento del suo governo per l'impegno sociale della Chiesa, soprattutto nel campo dell'educazione e dell'assistenza sanitaria. La missione affidata da Cristo alla sua Chiesa è di condurre tutta l'umanità a Dio per partecipare della vita divina e della felicità per tutta l'eternità. Da questa missione di carattere strettamente religioso, scaturisce il servizio della Chiesa alla comunità umana, conforme al precetto divino della carità (cfr GS 42).

Pertanto la Chiesa del Malawi cerca, nella misura delle proprie forze, di aiutare nei programmi di sviluppo. Collaborando con il suo governo, la Chiesa con le sue diverse forme di apostolato cerca di servire da lievito per il miglioramento della società.

Desidero ricordare che la Santa Sede nota con preoccupazione l'aumento del numero dei rifugiati che arrivano nel suo Paese alla ricerca di sicurezza, cibo e riparo. Molti provengono dal Mozambico. Desidero lodare e incoraggiare l'impegno del suo governo nell'affronto di questo difficile problema. Faccio appello alla comunità internazionale e alle organizzazioni assistenziali umanitarie perché aiutino il Malawi nel soccorrere le necessità di questa gente povera e senza patria.

Signor ambasciatore, nell'inaugurare la sua missione le assicuro la completa collaborazione della Santa Sede nel compimento delle sue responsabilità.

La Santa Sede considera con favore i vincoli di amicizia in atto con il suo Paese e attraverso il suo lavoro si augura che si rafforzino ulteriormente. Su vostra eccellenza, il suo Presidente e il governo e il popolo della Repubblica del Malawi invoco copiose benedizioni da parte di Dio onnipotente.

1989-04-13

Giovedi 13 Aprile 1989




Alla plenaria della Congregazione per l'evangelizzazione: Ogni sacerdote è missionario per il mondo



Signori Cardinali, venerati fratelli nell'Episcopato, carissimi fratelli e sorelle.

A tutti il mio saluto deferente e cordiale. Ringrazio il signor Cardinale Jozef Tomko, prefetto della congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, per le parole che mi ha rivolto, come anche per le puntuali informazioni che mi ha offerto. Vi ringrazio per la presenza, con la quale esprimete fedele comunione con la Sede Apostolica, e soprattutto per il prezioso servizio che state rendendo alla Chiesa in questi giorni, mentre studiate un "direttorio generale o guida per i sacerdoti diocesani dei territori di missione". So che questo argomento continua quello della plenaria precedente, che si era appunto occupata della formazione dei seminari maggiori.

La speciale attenzione alla formazione del clero, che il dicastero preposto all'evangelizzazione dei popoli sta dimostrando in questi anni, è quanto mai lodevole, anche in considerazione del fatto che lo stesso tema sarà trattato nel Sinodo dei Vescovi del 1990.

La Chiesa ha sempre dimostrato stima e cura materna per i presbiteri, consapevole del sublime valore della loro vocazione. Ogni sacerdote, infatti, in comunione con il Vescovo, "rende presente Cristo" (LG 21); consacra "in persona di Cristo" (LG 28); mediante il servizio della Parola, compie lo stesso "ministero di Cristo" (PO 2) e guida, come pastore, la comunità "in nome di Cristo" (LG 10). Inoltre, ogni sacerdote esprime la Chiesa e ne realizza il progetto di salvezza.

Voi sapete che, fin dall'inizio del mio pontificato, sono stato particolarmente vicino ai sacerdoti. Ho voluto rivivere con essi la grazia del giovedi santo, inviando ogni anno un messaggio speciale. Ho sempre cercato di incontrarli a parte, durante le mie visite apostoliche alle Chiese.

Mentre, dunque, esprimo il mio più vivo compiacimento per questo impegno e vi incoraggio a portarlo a termine con l'aiuto del Signore Gesù, "grande Sommo Sacerdote" (He 4,14), desidero sottolineare alcuni punti, che ritengo fondamentali oggi per la vita e il ministero dei presbiteri, con speciale riferimento a quelli dei territori di missione.


2. Prima di tutto, intendo ricordare la preminenza della vita spirituale. Col sacramento dell'Ordine, i presbiteri partecipano alla "consacrazione" di Cristo sacerdote, avvenuta al momento dell'Incarnazione del Verbo nel seno di Maria, e ne diventano strumenti vivi per proseguire la sua mirabile opera. Da questa realtà soprannaturale scaturisce per i sacerdoti l'esigenza di una intensa vita spirituale, fino alle vette della santità (cfr PO 12).

Nel contesto ecclesiale missionario, di cui si occupa la plenaria, è necessario privilegiare alcune linee forti della spiritualità sacerdotale, che devono essere chiaramente "orientate alla missione": anzitutto, la comunione sentita e personale col Salvatore, tanto da poter dire con Paolo: "Non sono più io che vivo, bensi è Cristo che vive in me" (Ga 2,20); il servizio ecclesiale, che diventa zelo irresistibile: "l'amore di Cristo ci spinge" (2Co 5,14); l'impegno sincero di perfezione, ricercata con costanza nell'esercizio del ministero (cfr PO 13 CIC 276); la coerenza negli impegni propri del sacerdote: l'obbedienza generosa e con spirito di fede, il celibato per il Regno nella fedeltà totale a Gesù amato sopra ogni cosa, la povertà volontaria, la capacità di distacco e di sacrificio fino alla croce (cfr PO 15-17).

La vita spirituale dei sacerdoti si esprime in modo eminente nella preghiera. Il sacerdote, come "uomo del sacro", vive la preghiera comune condividendo l'esperienza liturgica della comunità cristiana nella quale è costituito pastore (cfr Ac 1,14 PO 13); ma perché ciò avvenga con autenticità e naturalezza egli deve nutrire la propria vita spirituale con la preghiera personale, frequente e ordinata, seguendo la saggia tradizione della Chiesa.

Nei territori di missione, poi, nei quali il sacerdote è chiamato ad essere annunciatore privilegiato della verità evangelica ai non cristiani, la personale testimonianza di santità acquista un rilievo singolarissimo e diventa, anche più che altrove, suggello di credibilità e garanzia di efficacia dell'attività apostolica.


3. Desidero inoltre sottolineare l'importanza del "senso di appartenenza ecclesiale". Per i presbiteri, questo senso di appartenenza alla Chiesa sia universale che particolare si concretizza nell'impegno di obbedienza, comunione e cooperazione apostolica sia verso il romano Pontefice, principio e fondamento perpetuo e visibile dell'unità della fede e della comunione (cfr Mt 16,19 Jn 21,15-17 LG 18), sia verso il proprio Vescovo, in sintonia con gli altri presbiteri e con i fedeli laici.

In particolare, nelle Chiese giovani non meno che in quelle di antica tradizione, dev'essere intensamente vissuto il senso di appartenenza al presbiterio locale. I sacerdoti siano coscienti di essere per vocazione "saggi e necessari collaboratori" dell'Ordine Episcopale nel servizio del Popolo di Dio (cfr PO 2 PO 7 LG 28), e di costituire con il Vescovo "un unico presbiterio" (LG 28). Accolgano con stima e amore il suo servizio di guida alla comunità diocesana e lo considerino padre. Inoltre, ognuno di essi si senta unito con tutti gli altri da "particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità" (PO 8). Non si insisterà mai abbastanza sul valore evangelizzatore che la fraterna comunione tra i presbiteri possiede per se stessa. Tale fraternità non si fonda su vincoli umani, ma "sacramentali" ed è intrinsecamente destinata a formare di tutti i presbiteri un "corpo" dinamico, unito, incisivo e credibile (cfr Jn 13,35). A questa "fraternità sacerdotale" hanno parte anche i sacerdoti appartenenti agli istituti missionari internazionali, che operano numerosi e con generosità nelle Chiese di missione.

Il senso di appartenenza alla comunità della Chiesa particolare fa si che i presbiteri si considerino Popolo di Dio assieme con gli altri fedeli laici e si sentano radicalmente dedicati al loro servizio, perché presi fra gli uomini e costituiti in loro favore, nelle cose che si riferiscono a Dio (cfr He 5,1 PO 3). Su questo particolare rapporto tra presbiteri e laici, che è fondamentale soprattutto per Chiese che stanno sviluppandosi, ho impostato la mia lettera in occasione del giovedi santo di quest'anno.

Sappiano dunque i sacerdoti vivere nella comunità cristiana come "fratelli tra fratelli", senza dimenticare - come ho ricordato nella citata lettera - che "per il loro stesso ministero sono tenuti... a non conformarsi a questo secolo; al tempo stesso, tuttavia, sono tenuti a vivere in questo secolo, in mezzo agli uomini (PO 3)" ("Epistula universis presbyteris Feria V in Cena Domini, anni MCMLXXXIX, missa", 5, die 12 mar. 1989: vide "supra", p. 541). E' bene ricordare che i laici "sono coloro tra i quali ciascuno di noi viene scelto, coloro tra i quali è nato il nostro sacerdozio" ("Epistula universis presbyteris Feria V in Cena Domini, anni MCMLXXXIX, missa", 3, die 12 mar. 1989: vide "supra", p. 541).


4. Infine, non dev'essere mai dimenticato che ogni sacerdote, in modo proprio è missionario per il mondo. La comunione delle Chiese "particolari con la Chiesa universale raggiunge la sua perfezione solo quando anch'esse prendono parte all'impegno missionario in favore dei non cristiani, dentro e fuori dei propri confini" (cfr AGD 20).

In questo stupendo dinamismo missionario, i presbiteri hanno necessariamente un posto di rilievo. Ciò tanto più vale per quelli operanti nei territori di missione, dove è in atto l'evangelizzazione dei non cristiani. Con l'ordinazione, infatti, essi hanno ricevuto un dono speciale, che - come spiega il decreto "Presbyterorum Ordinis" - "non li prepara ad una missione limitata o ristretta, bensi a una vastissima e universale missione, "fino agli ultimi confini della terra" (Ac 1,8)" (PO 10 AGD 20).

I sacerdoti delle Chiese di missione, dunque, si sentano onorati e felici di poter vivere in pienezza la loro comunione con Cristo mandato dal Padre (cfr Jn 17,18 Jn 20,21) e con la Chiesa universale, nel farsi carico, in modo speciale, sotto la direzione del Vescovo e in collaborazione con i sacerdoti degli istituti missionari internazionali, dell'evangelizzazione dei non cristiani nel loro territorio. In nessun altro settore dell'apostolato quanto in questo, i sacerdoti possono dimostrare l'intensità del loro amore per Cristo e per l'uomo.

Intimamente pervasi da questo amore, essi inoltre non mancheranno di rendersi concretamente disponibili allo Spirito Santo e al Vescovo, per essere mandati a predicare il Vangelo oltre i confini del loro paese. Ciò richiederà in essi non solo maturità nella vocazione, ma pure una capacità non comune di distacco dalla propria patria, etnia e famiglia, e una particolare idoneità ad inserirsi nelle altre culture, con intelligenza e rispetto (cfr AGD 25). L'intima conformazione a Cristo li renderà capaci di tutto ciò, così che anch'essi possano dire con l'Apostolo: "Mi sono fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno" (1Co 9,22).


5. Oltre a questi temi fondamentali che vi ho presentato, tanti altri meriterebbero la nostra attenzione. Voi non avrete certo mancato di prenderli in seria considerazione, durante la plenaria.

A Maria, madre del sommo ed eterno Sacerdote e regina degli apostoli, intorno alla quale s'è stretta la prima comunità cristiana (cfr Ac 1,14), affido con fiducia tutti i presbiteri delle Chiese di missione e i giovani che si stanno formando nei loro seminari.

A voi che siete qui presenti, alle Chiese da cui provenite e a tutte le Chiese dei territori missionari, ai membri del vostro dicastero, imparto di cuore la confortatrice benedizione apostolica.

1989-04-14

Venerdi 14 Aprile 1989




Ai delegati del "Consiglio nazionale delle Chiese di Cristo negli Stati Uniti" - Città del Vaticano (Roma)

La causa ecumenica progredirà se rimaniamo fedeli al Signore


Cari fratelli in Cristo.

Sono lieto di avere questa occasione di incontrarmi con voi, delegati del consiglio nazionale delle Chiese di Cristo negli Stati Uniti, durante la vostra visita a Roma. In questo tempo pasquale ci rallegriamo all'annuncio dell'angelo alle donne presso la tomba: "Non è qui. E' risorto, come aveva detto" (Mt 28,6). Questa buona Novella di vita e salvezza rinnovi la nostra speranza oggi e per sempre.

Ho un ricordo molto positivo dell'incontro con i responsabili cristiani a Columbia, nella Carolina del Sud, durante la mia visita pastorale negli Stati Uniti del 1987. La nostra conversazione, così come l'ufficio ecumenico di preghiera successivo, furono commoventi. Sono grato per il caldo benvenuto e per tutto quanto fu fatto dal consiglio nazionale delle Chiese in collaborazione con i Vescovi cattolici per assicurare il positivo svolgimento di quella giornata. So che alcuni di voi furono personalmente implicati e desidero ringraziarli.

La vostra presenza qui oggi continua, in un certo senso la conversazione di allora. Voi avete espresso la speranza che la riunione di questa settimana aiuti l'approfondimento delle relazioni ecumeniche tra il vostro consiglio e la Chiesa cattolica, mentre ci avviciniamo al terzo millennio della cristianità.

Condivido questa speranza nella ferma convinzione che dobbiamo percorrere la strada della riconciliazione in obbedienza alla volontà di Cristo.

I punti fondamentali del vostro incontro sono di grande interesse per le Chiese cristiane. Il problema dell'inculturazione, del razzismo, della collegialità, la valutazione dei risultati del dialogo ecumenico e delle future possibilità dell'ecumenismo: tutti questi temi richiedono uno studio e preghiera continui come parte della nostra ricerca di una più profonda fraternità. Come discepoli di Cristo noi condividiamo le gioie e le speranze, le sofferenze e le angosce degli uomini di oggi. Insieme siamo chiamati a dare testimonianza a Cristo in un mondo che cerca la fede, la speranza e la carità.

A noi che ci impegnamo per una più grande comunione, le Scritture offrono un orizzonte fondamentale: è l'orizzonte della fedeltà a Cristo risorto.

Secondo le parole di san Paolo, noi dobbiamo "rimanere saldi nel Signore" (Ph 4,1). Cari amici, non è forse la fedeltà al Signore l'unico sicuro fondamento del nostro lavoro ecumenico e di tutti i nostri sforzi per la giustizia e la pace? Sono fiducioso che, cercando di restare sempre fedeli al Signore, la causa dell'ecumenismo negli Stati Uniti farà grandi progressi. Con la preghiera e l'esempio di san Pietro e san Paolo, che diedero la loro vita per Cristo in questa città, possiamo noi crescere insieme nell'essere "radicati e fondati in lui" (Col 2,7).

Su ciascuno di voi, sulle Chiese e le comunità da voi rappresentate invoco una piena misura di grazia e pace da Dio nostro Padre e il Signore Gesù Cristo.

1989-04-14

Venerdi 14 Aprile 1989




A pellegrini di Desio - Città del Vaticano (Roma)

Le encicliche di papa Pio XI: un grandioso progetto di rinnovamento ecclesiale e sociale


Carissimi fratelli e sorelle.


1. Sono veramente lieto di incontrarmi con voi, giunti in devoto pellegrinaggio per ricordare, presso la sua venerata tomba nella Basilica Vaticana, il cinquantesimo anniversario della pia morte del vostro grande concittadino, che degnamente occupo la Sede di Pietro: Papa Pio XI.

Mi congratulo molto per la vostra iniziativa, che al di là della stessa persona di quel Pontefice, vuole essere un atto di omaggio al Papa, ispirato dalla fede. Grazie per la vostra visita, e siate i benvenuti! Ho saputo con piacere che non solo la comunità ecclesiale, ma anche quella civica di Desio, si appresta a celebrare tale ricorrenza, con particolare riferimento ai patti lateranensi che egli stipulo con lo Stato italiano giusto sessanta anni fa.


2. Ricordo ancora con viva simpatia la visita che feci tra voi nel maggio del 1983; durante la quale ebbi l'occasione per ricordare i meriti di colui che vorrei chiamare il "vostro Papa": uomo di studio e di preghiera, dotato di forte personalità e di eccezionali capacità organizzative. Trovatosi a vivere in un difficile periodo storico contrassegnato da perniciosi ed opposti totalitarismi egli non ebbe timore di difendere i diritti della Chiesa e quelli dei singoli individui, pur operando, nello stesso tempo, con fine acume, allo scopo di favorire tutti quegli accordi che potessero salvaguardare la pace e i diritti umani.

Le famose encicliche di Papa Ratti costituirono come le linee portanti di un grandioso progetto di rinnovamento ecclesiale e sociale, centrato sulla fede e sulla speranza: dal culto liturgico alla educazione cristiana, dalla vita familiare a quella sociale, dalla funzione dei laici nella Chiesa alle missioni, dalla lotta per la giustizia alla costruzione della pace, nell'amore e nella verità.


3. Vi auguro, cari fratelli e sorelle, che il ricordo del vostro grande concittadino possa essere per voi di sprone per un sempre più fervente impegno ecclesiale e spirituale, in comunione responsabile ed operosa col successore di Pietro, ricchi del desiderio, che fu tanto vivo in Pio XI, di lavorare con tutte le forze, sotto l'impulso dello Spirito, per l'estensione del Regno di Cristo.

Vi benedico tutti di cuore.

1989-04-15

Sabato 15 Aprile 1989




L'augurio ai giovani partecipanti alla "Maratona di Primavera" - Città del Vaticano (Roma)

"Tutto il cammino della vostra formazione vi prepari alle grandi responsabilità della vita"


La vostra "Maratona di Primavera", cari amici, responsabili, docenti, alunni delle scuole cattoliche di Roma e del Lazio, mi offre la gioia di questo incontro festoso.

Esprimo un particolare saluto alle autorità qui presenti, che presto daranno il "via" alla corsa; e saluto tutti voi, i vostri insegnanti, i vostri genitori.

Il mio pensiero va anche a tutte le comunità scolastiche cattoliche d'Italia, in particolare a quelle delle città dove oggi si svolge la medesima manifestazione, ed esprimo il mio compiacimento per il servizio che esse generosamente offrono a tantissimi giovani e alle loro famiglie.

A voi, giovani, porgo un fervido augurio per una felice giornata, perché tutto il "cammino" che percorrerete, non solo lungo le vie di Roma, ma anche a lungo quella vostra formazione, vi conduca e prepari alle grandi responsabilità che vi attendono nella vita. Il tema della giornata sottolinea questa responsabilità: "Una vita per una missione, educare oggi gli uomini del duemila".

Il compito fondamentale della scuola è, infatti, quello di prepararvi alla vita, facendovi raggiungere una maturità completa, che vi renda utili al bene della società e vi faccia contribuire, col vostro lavoro e con la vostra testimonianza cristiana, alla edificazione di un mondo più umano, più giusto e più solidale, alla luce dei principi del Vangelo.

Nella Chiesa la giornata odierna è dedicata alla riflessione e alla orazione per le vocazioni, e desidero, per questo, ricordare anche che il clima educativo della scuola cattolica deve proprio suscitare attenzione verso il progetto di Dio per la vita di ciascun giovane, aiutandolo a dare risposte generose.

Con questi pensieri, imparto di cuore a tutti voi, ai familiari ed agli insegnanti la mia benedizione. Vi protegga nel cammino la Vergine Maria.

1989-04-16

Domenica 16 Aprile 1989




Recita del "Regina Coeli": dalla Risurrezione all'effusione dello Spirito Santo - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Il dono dell'intelletto: la gioiosa percezione del disegno amoroso di Dio


Carissimi fratelli e sorelle.


1. In questa riflessione domenicale desidero oggi soffermarmi sul secondo dono dello Spirito Santo: l'intelletto. Sappiamo bene che la fede è adesione a Dio nel chiaroscuro del mistero; essa è pero anche ricerca nel desiderio di conoscere più e meglio la verità rivelata. Ora, tale spinta interiore ci viene dallo Spirito, che con la fede concede appunto questo speciale dono di intelligenza e quasi di intuizione della verità divina.

La parola "intelletto" deriva dal latino "intus legere", che significa "leggere dentro", penetrare, comprendere a fondo. Mediante questo dono lo Spirito Santo, che "scruta la profondità di Dio" (1Co 2,10), comunica al credente una scintilla di una tale capacità penetrativa, aprendogli il cuore alla gioiosa percezione del disegno amoroso di Dio. Si rinnova allora l'esperienza dei discepoli di Emmaus, i quali, dopo aver riconosciuto il Risorto nella frazione del pane, si dicevano l'un l'altro: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto, mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?" (Lc 24,32).


2. Questa intelligenza soprannaturale è data non solo al singolo, ma anche alla comunità: ai Pastori che, come successori degli apostoli, sono eredi della specifica promessa loro fatta da Cristo (cfr Jn 14,26 Jn 16,13), e ai fedeli i quali, grazie all'"unzione" dello Spirito (cfr 1Jn 2,20), posseggono uno speciale "senso della fede" ("sensus fidei") che li guida nelle scelte concrete.

La luce dello Spirito, infatti, mentre acuisce l'intelligenza delle cose divine, rende anche più limpido e penetrante lo sguardo sulle cose umane. Grazie ad essa si vedono meglio i numerosi segni di Dio che sono inscritti nel creato. Si scopre così la dimensione non puramente terrena degli avvenimenti, di cui è intessuta la storia umana. E si può giungere perfino a decifrare profeticamente il tempo presente e quello avvenire: segni dei tempi, segni di Dio!


3. Carissimi fedeli, rivolgiamoci allo Spirito Santo con le parole della liturgia: "Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce" ("Sequentia Pentec.").

Invochiamolo per intercessione di Maria santissima, la Vergine dell'ascolto, che nella luce dello Spirito seppe scrutare senza stancarsi il senso profondo dei misteri in lei operati dall'Onnipotente (cfr Lc 2,19 Lc 2,51). La contemplazione delle meraviglie di Dio sarà anche in noi sorgente di inesauribile gioia: "L'anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore" (Lc 1,46).

[Prima della preghiera il Santo Padre ha pronunziato le seguenti parole:] Oggi ricorre la "Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni", iniziativa assai importante perché tocca la Chiesa in una della sue note fondamentali, che è quella della sua apostolicità.

E' vero che la Chiesa non verrà mai meno e che avrà sempre vocazioni sacerdotali e religiose sufficienti per divina assicurazione, ma è anche vero che il Signore Gesù ci esorta a pregare perché il "padrone della messe mandi operai alla sua messe" (Mt 9,38).

Preghiamo, in modo particolare, perché le famiglie, le parrocchie e le scuole sappiano suscitare e favorire nel loro ambiente numerose vocazioni. Esse infatti hanno l'obbligo morale di aiutare i giovani a scoprire la verità esistenziale su se stessi, sul senso personale della propria vita, alla luce della volontà di Dio e nella certezza che, realizzando il disegno divino, essi possano essere e vivere veramente felici.

La Vergine santissima, regina degli apostoli, interceda per coloro che Dio chiama, ottenendo loro fedeltà, perseveranza e forza soprannaturale per corrispondere con generosità alla propria vocazione.

1989-04-16

Domenica 16 Aprile 1989




Ai partecipanti al convegno sulla vita promosso dalla CEI - Città del Vaticano (Roma)

La vita dei nascituri, dei bambini, dei malati, degli anziani, dei morenti è sacra e inviolabile


Signori Cardinali! Venerati fratelli nell'Episcopato! Cari partecipanti al convegno sulla vita! Sono lieto di darvi il benvenuto e di salutarvi tutti cordialmente.

Saluto in particolare il Cardinale Michele Giordano e i numerosi Arcivescovi e Vescovi presenti a questo incontro. Ringrazio il Cardinale Ugo Poletti per le parole tanto significative, con le quali ha introdotto questa importante udienza.

Ringrazio pure tutti coloro che hanno aderito al convegno promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana. Ricordo soprattutto gli appartenenti al movimento per la vita, i focolarini e i neocatecumenali.


1. Il convegno "A servizio della vita umana", che s'inserisce come una significativa tappa nella "Conferenza Nazionale per la cultura della vita", voluta dai Vescovi italiani nel ventennio dell'enciclica "Humanae Vitae" nel decennio dell'istruzione pastorale "La comunità cristiana e l'accoglienza della vita umana nascente", è una felice testimonianza dell'importanza che voi date a questo problema.

Esprimo il mio vivo compiacimento e il mio plauso per il lavoro compiuto sia nella preparazione che nella realizzazione di questo convegno, che vi ha dato la possibilità di operare un'analisi della situazione sociale e culturale italiana sul valore della vita e di delinearne alcune scelte operative per i prossimi anni.

Non c'è dubbio che, accanto a tante ombre che intristiscono il quadro dell'attuale società che ha paura della vita, splendono di vivida luce numerose iniziative in favore di essa. Al di là di ogni impegno concreto, è fondamentale lo spirito che deve vivificare e sostenere ogni azione volta a riscoprire e a riaccendere questo insostituibile servizio, tenendo lo sguardo fisso sul Cristo risorto: sul vivente che più non muore.


2. Divenendo uno di noi, Gesù ha sperimentato la vita umana in ogni sua fase e condizione. Ne ha accettato il naturale svolgersi, ne ha condiviso il destino: nasce, vive, muore.

Gesù ha condiviso anzitutto il nascere umano. Egli nasce "da donna" (Ga 4,4), concepito per opera dello Spirito Santo nel seno di Maria Vergine (cfr Lc 1,31ss). Sua Madre lo introduce in questo mondo, lo nutre, lo cura, lo protegge, lo fa crescere. Egli, come ogni altro bambino, è fragile, povero, indifeso, dipendente.

Eppure, fin dal suo primo istante di vita offre il suo corpo umano come sacrificio di lode al Padre al nostro posto e a nostro favore (cfr. He 10,5ss).

Già ancora nascosto nel grembo della Vergine, opera la salvezza: santifica il precursore, durante l'incontro fra Maria e Elisabetta. L'esultanza per il mistero di una nascita trova l'espressione più vera e significativa nelle parole stesse di Gesù: "La donna quando partorisce è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione, per la gioia che è venuto al mondo un uomo" (Jn 16,21).

così, anche la vita umana sbocciata sotto il cuore della madre e non ancora venuta alla luce trova nell'esistenza stessa di Gesù Cristo il riconoscimento più autorevole del suo valore assoluto.

La stessa celebrazione della vita la riscontriamo nella predilezione di Gesù per l'infanzia. Agli adulti presenta i bambini come esempio di semplicità e di umiltà (Mt 18,3-4 Lc 9,48), di disponibilità ad accogliere il Regno di Dio (Mc 10,15); e non teme di lanciare un gravissimo monito: "Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare" (Mt 18,6).


3. Gesù ha condiviso il soffrire umano. Accettando la vita, ne fa propria la condizione: conosce la fatica del lavoro; l'umiliazione dell'esilio; esperimenta la fame, la sete, la paura, il pianto, soprattutto il dolore: "In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore divento come gocce di sangue che cadevano per terra", annota l'evangelista Luca (Lc 22,44).

E proprio perché conosce il dolore dell'uomo, sia fisico che morale, per un'esperienza personale assolutamente unica, del dolore umano ha un'immensa pietà.

La sua compassione, mentre compie i miracoli delle guarigioni dei corpi, risana le anime e svela l'amore misericordioso di Dio. Egli è il buon samaritano di cui ci parla la parabola evangelica: "un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fascio le ferite, versandogli olio e vino... e si prese cura di lui" (Lc 10,33-34).


4. Gesù ha condiviso anche il morire umano. In assoluta libertà va incontro alla morte, esperimentando il dramma di sentirsi lontano da Dio, un dramma che lo scuote nelle profondità dell'anima e gli fa gridare: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46), ma che si placa nel filiale abbandono nelle mani del Padre.

Il suo morire è una donazione d'amore totale e perenne che, in modo misterioso ma reale, continua nell'Eucaristia con il sacrificio del suo "corpo dato" e del suo "sangue versato" "per la vita del mondo" (Jn 6,51).

Per questo, in virtù della sua morte e della sua Risurrezione, ogni morte diventa una "Pasqua", un passaggio dalla vita mortale a quella immortale.

In questa luce ogni vita umana, anche quella più disprezzata, emarginata, e rifiutata, ha un valore infinito, perché è il termine dell'immenso amore di Dio. così la vita dei nascituri, dei bambini, dei malati e dei sofferenti, degli anziani, dei morenti, come quella dei giovani e delle persone sane, è ugualmente sacra e assolutamente inviolabile, dal momento del concepimento sino alla sua fine naturale.


5. La Chiesa, fin dalle sue origini, in un contesto sociale e culturale di disprezzo e di rifiuto della vita umana espressi in termini di aborto e di infanticidio, di schiavitù e di condizioni disumane di lavoro, introdusse decisamente una nuova mentalità e un nuovo costume nei confronti della vita.

Nella "Didaché", un antico scritto cristiano, è detto chiaramente: "Tu non ucciderai con l'aborto il frutto del grembo e non farai perire il bimbo già nato" (V, 2).

Atenagora ricorda nella sua "Apologia per i cristiani" che i cristiani considerano omicide le donne che usano medicine per abortire; egli condanna agli assassini dei bimbi, anche di quelli che vivono ancora nel grembo della loro mamma, "dove essi sono già - così scrive - l'oggetto delle cure della Provvidenza divina" (35).

Sorge spontaneo un rapido confronto tra i primi tempi della Chiesa e l'attuale momento storico. Non c'è dubbio che l'umanità oggi dimostra un amore e una sollecitudine per la vita umana di notevole ampiezza e significato. E' confortante la crescita generale del senso della dignità della persona e del valore della vita umana; è rilevante l'aumento della sensibilità sociale che sfocia in numerosi e specializzati servizi a favore delle persone handicappate, anziane, povere e abbandonate.

Ma, nello stesso tempo, nessuno può negare che si registrano ancora troppe forme di disistima, di maltrattamento, di rifiuto della vita. Non si tratta solo di egoismi individuali, ma anche di una coscienza sociale che, non credendo nel valore inviolabile della vita, se ne fa padrona assoluta ed arbitra insindacabile. Le stesse leggi civili, non poche volte, sono le prime a violare, o comunque a non proteggere adeguatamente, l'intangibile diritto alla vita. Né si arresta lo sviluppo di quella che è stata chiamata la "cultura della morte". Tutto questo esige una urgente e indilazionabile "nuova evangelizzazione" che riservi un ampio spazio alla proclamazione del diritto alla vita.


6. Un impegno di così vaste proporzioni può essere assolto solamente se tutti, nella società civile e nella Chiesa, sapranno affrontare, con convinzione e con coraggio, le proprie responsabilità.

Su queste responsabilità il vostro convegno si è soffermato, costatando un impegno generoso da parte di tanti operatori sociali e pastorali a favore della vita. Ma resta ancora molto lavoro da fare. Occorre continuare con slancio e con fiducia. Permettete allora che rivolga una parola di esortazione ad alcune categorie di persone che hanno una missione particolare nei riguardi della vita umana.

[Alle famiglie:] Il primo appello è alle famiglie, culle dell'amore e della vita. Di fronte ai gravi problemi della denatalità, le coppie sono chiamate a riscoprire nei figli una benedizione di Dio: "Ecco, dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo" (Ps 127,3) e a testimoniare la verità riaffermata dal Concilio Vaticano II. "I figli sono il più prezioso dono del matrimonio" (GS 50).

[A quanti sono impegnati nell'opera educativa:] Mi rivolgo poi a quanti sono impegnati nell'opera educativa, a quanti concorrono alla formazione della coscienza morale individuale e collettiva, in particolare agli operatori degli strumenti della comunicazione sociale: l'opera educativa sia sempre ispirata dalla convinzione che l'amore e il servizio alla vita dipendono in modo determinante da una corretta visione dell'uomo e dei suoi autentici valori.

[A coloro che operano nel campo sociale:] Interpellati pure sono coloro che operano nel campo sociale, sia nelle strutture pubbliche e in quelle libere, sia nelle crescenti forme di volontariato.

A tutti loro ricordo che il bene comune, fine essenziale della società organizzata, non potrà essere realizzato se non viene energicamente difeso e promosso il bene della singola persona umana: ogni persona va rispettata in tutti i suoi diritti, a partire dal diritto fondamentale che è quello alla vita. E' compito dell'intera societa assicurare le condizioni economiche, lavorative, igieniche e sanitarie, ecologiche, assistenziali, giuridiche e culturali per uno sviluppo sempre più umano della vita di tutti e di ciascuno.

[Ai legislatori:] Un altro appello rivolgo ai legislatori perché, sia pure in situazioni politiche e sociali non facili, aiutino i cittadini a riconoscere il valore della vita e a rispettarlo, mediante una legislazione coerente con le esigenze inviolabili della persona umana. Solo nella giustizia la legge civile può conservare la sua dignità e adempiere il suo compito di umanizzare la società.

[Agli operatori della salute:] Invito gli operatori della salute a porsi al servizio della vita umana debole e sofferente con competenza professionale e con profonda umanità. Non dimentichino mai che la loro opera è sempre rivolta a tutto l'uomo, nel suo corpo e nella sua anima immortale.

[Agli scienziati:] Agli scienziati chiedo l'impegno a sviluppare una ricerca e un'applicazione tecnologica sempre rispettose della persona. Come in ogni altro campo dove è in gioco l'uomo, anche in questo la neutralità è del tutto impossibile: se non viene servito, l'uomo viene asservito!


7. Cari fratelli e sorelle! Preghiamo il Signore perché non ci manchino mai la coscienza e la fierezza della missione di essere, nel nostro servizio alla vita, specialmente alla vita che versa nelle situazioni più povere e difficili, i rivelatori e i testimoni dell'amore stesso di Dio, autore e vindice di ogni esistenza umana.

1989-04-16

Domenica 16 Aprile 1989





GPII 1989 Insegnamenti - Le credenziali del nuovo ambasciatore del Malawi - Città del Vaticano (Roma)