GPII 1989 Insegnamenti - L'omelia della Messa - Ai fedeli riuniti, Lucca

L'omelia della Messa - Ai fedeli riuniti, Lucca

Una qualificata celebrazione dell'eucaristia domenicale per un rinnovamento durevole della vita diocesana



1. Non dimentichiamo le grandi opere di Dio (cfr Ps 78,7).

Risuona ancora nelle nostre orecchie quest'appello del Salmo dell'odierna liturgia. E' la liturgia dell'Esaltazione della santa Croce, che ci introduce nel centro stesso della più grande opera di Dio.

Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra.

L'uomo ha oggi un'immagine del mondo creato molto più completa che in qualsiasi altro tempo. Conosce molto meglio gli orizzonti sconfinati del macro-cosmo, ed anche i segreti del micro-cosmo.

L'uomo della nostra epoca, affascinato dalle scoperte della scienza e dalle vertiginose applicazioni che ne ha fatto la tecnica, è pero spesso così assorbito dalle proprie opere, da dimenticare il creatore, il Dio dal quale prende inizio il creato con tutto ciò che contiene; con tutta la ricchezza delle possibilità di sviluppo, in esso racchiuse.


2. Se, tuttavia. il Salmo dell'odierna liturgia invita a non dimenticare le opere di Dio, non intende riferirsi in primo luogo alle opere visibili e riconoscibili della divina sapienza ed onnipotenza.

Esso fa riferimento prima di tutto alla Croce di Cristo; all'opera di Dio, più grande ancora della creazione. Infatti l'amore redentore di Dio è più grande della stessa sua onnipotenza creatrice. E proprio questo amore si è manifestato nella Croce di Cristo.

L'odierna liturgia ci invita a guardare tutte le opere di Dio attraverso la Croce di Cristo, che è l'ultima e definitiva parola dell'amore con cui Dio ha amato il mondo.

"Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua Croce hai redento il mondo" ("Canticum ad Evangelium").


3. Nicodemo era un uomo dell'antica alleanza, era un fariseo.

Per non rendere pubblici i suoi contatti con Gesù di Nazaret, venne da lui di notte.

Nel corso di quel colloquio notturno Cristo introdusse Nicodemo in quella verità su Dio, che costituisce il cuore della nuova alleanza: "Dio... ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Jn 3,16-17).

Gesù di Nazaret parla di Dio che è creatore del mondo. Nello stesso tempo parla di se stesso come del Figlio unigenito. Il Figlio è della stessa sostanza del Padre, è Dio da Dio e luce da luce. In lui, Dio rivela se stesso come amore.

L'amore del Padre va oltre la creazione del mondo. L'amore desidera il bene definitivo e lo elargisce. Il bene elargito da Dio all'uomo è la vita eterna.

Il mondo visibile non è in grado di donare all'uomo un tale bene. La vita umana in questo mondo è sottomessa alla caducità ed alla morte. L'uomo può avere la vita eterna soltanto in Dio e da Dio, come suo dono. Questo dono decide della salvezza del mondo.

"Dio... ha mandato il Figlio nel mondo... perché il mondo si salvi per mezzo di lui".

Nicodemo ascolta queste parole di Cristo, ma esse sono indirizzate simultaneamente a ciascuno di noi. In mezzo al creato, nelle sue dimensioni macro e micro-cosmiche, emerge la verità che lo supera: è la verità della salvezza.

La Croce di Cristo non cessa di rendere testimonianza a questa verità.

L'uomo assorbito dal mondo, affascinato dalle possibilità del creato, è portato a dimenticarsene.

La Croce di Cristo grida: non dimenticare.


4. Perché la Croce? Nel colloquio con Nicodemo Gesù si riferisce a ciò che ha fatto Mosè durante il cammino di Israele nel deserto. Quando, cioè, gli Israeliti morivano, morsi dai serpenti velenosi apparsi sulla loro strada verso la terra promessa, Mosè - per ordine di Dio - innalzo il serpente. Era un serpente fuso nel rame.

Guardandolo, coloro che erano stati morsi potevano ricuperare la salute.

E' una figura singolare. Ma, nello stesso tempo, molto eloquente. Era difficile prevedere allora, nel deserto, che quel serpente di rame avrebbe potuto avere un tale significato.

Ed ecco, Cristo dice a Nicodemo: "Bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna" (Jn 3,14).

Verrà il giorno in cui queste parole diventeranno realtà. Sul Golgota sarà innalzata la Croce per un Uomo condannato a morte.

Quest'uomo - il Figlio dell'uomo - è il Figlio unigenito dato dal Padre.

Questo Figlio consostanziale al Padre - "spoglio se stesso, assumendo la condizione di servo, e divenendo simile agli uomini". E, innalzato sulla Croce come condannato, egli - il Figlio dell'uomo - "umilio se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di Croce" (Ph 2,7-8).

Nell'obbedienza della Croce Cristo ha abbracciato l'intero peccato dell'umanità - tutti coloro che erano stati morsi dal serpente, dal padre della menzogna - tutta la disobbedienza dell'uomo di fronte a Dio.

L'ha abbracciata con un amore che è più grande del peccato. Ha abbracciato - e per questo ha redento.

In questa debolezza di Cristo crocifisso è contenuta la nuova e definitiva rivelazione della potenza, anzi dell'onnipotenza di Dio. Questa è la onnipotenza dell'amore. L'onnipotenza dell'amore che salva.


5. Dalla Croce sul Golgota Cristo alza verso di noi tutti questo grido: non dimenticate le grandi opere di Dio! Non dimenticarle tu, Chiesa che vivi in questa città di Lucca, e che tante volte, nel corso della sua storia, hai visto manifestarsi la potenza di tali opere nelle meraviglie compiute dai tuoi santi.

Conservane viva la memoria nel continuato confronto con la mensa della Parola e del Corpo del Signore, che ti è imbandito nell'Eucaristia. Solo così potrai essere una Chiesa che conosce a fondo il messaggio evangelico e lo vive con coerenza nell'umiltà della carità.


6. Carissimi fedeli di questa antica e gloriosa Chiesa, per essere all'altezza del disegno di Dio su di voi nel momento presente, dovete prender coscienza di alcuni impegni che stanno davanti a voi con urgenza prioritaria.

Occorre, innanzitutto che riscopriate la fondamentale importanza del "Giorno del Signore" al centro del quale sta la celebrazione del memoriale della morte e della Risurrezione di Cristo, occasione insostituibile di comunione nell'approfondimento della Parola di Dio, nella condivisione del Pane eucaristico, nell'elevazione della preghiera e del canto. Una celebrazione "qualificata" dell'Eucaristia in ogni domenica dell'anno: ecco il primo requisito per un rinnovamento durevole della vita diocesana.

L'altro impegno non procrastinabile va nella direzione della catechesi, specie degli adulti, mediante la preparazione di persone atte a svolgere tale compito, e, quindi, nella direzione di una nuova e diffusa evangelizzazione, adeguata alla mutata situazione socioreligiosa dell'arcidiocesi.

Il terzo impegno urgente riguarda la pastorale giovanile, da cui dipende il futuro anche della Chiesa lucchese. Solo lo sforzo solidale di sacerdoti, religiosi e laici, operanti concordemente secondo la linea del progetto pastorale diocesano, potrà suscitare nel variegato mondo giovanile un rinnovato interesse per il messaggio evangelico e una più generosa disponibilità per le necessità dei fratelli: sono le due dimensioni, appunto, quella verticale, e quella orizzontale, che i due bracci della Croce di Cristo continuano a proclamare davanti al mondo.


7. "Per questo Dio l'ha esaltato" (Ph 2,9) al di sopra di ogni cosa. Ecco il divino paradosso della Croce: nell'umiliazione, nell'infamia più grande, qual era per gli uomini di quei tempi la morte in Croce - Dio opera l'esaltazione! "Dio l'ha esaltato", lui, il Cristo. "e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" (Ph 2,9-11).

L'esaltazione della Croce e l'esaltazione nella Croce. L'onnipotenza dell'amore compie quest'esaltazione.

Ciascuno di noi è "esaltato" nella Croce di Cristo.

Ciascuno di noi è esaltato da questo amore, che supera il peccato e la morte! Da questo amore che qui a Lucca viene espresso anche misteriosamente dal Volto santo del Signore.


8. Fratelli e sorelle! Ecco il messaggio dell'odierna liturgia. Il mondo conosce la Croce di Cristo - ma, nello stesso tempo, non la conosce. Non conosce tutto il suo mistero. Tutta la sua verità. Tutta la sua realtà.

Ogni uomo... l'umanità intera sa forse di essere esaltata in questa Croce? Sa che soltanto l'amore è capace di "esaltare" veramente l'uomo in mezzo a tutte le umiliazioni e delusioni possibili? Anzi, in mezzo a tutti i successi, a tutti i piaceri possibili che ci dà il mondo, soltanto l'amore è capace di "esaltare" veramente.

Sa l'uomo di oggi che la Croce di Cristo manifesta un tale amore? Noi di adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo! 17/01/19102 Pag. 14809

1989-09-23

Sabato 23 Settembre 1989




Agli ospiti del "Centro Italiano di Solidarietà" - Lucca

La droga si combatte soprattutto instaurando nuovi rapporti umani


Carissimi giovani!


1. La Chiesa considera un dono la vostra presenza al suo interno, così come essa vuole essere un dono per voi.

E lo è attraverso la disponibilità verso di voi di operatori sociali e di volontari del servizio civile, che, con questo impegno, non scelgono una professione, ma uno stile di vita improntato all'accoglienza, all'ascolto, alla sobrietà, alla corresponsabilità.

La droga, infatti, è il sintomo evidente di una società che non riesce più a vivere i veri valori e spinge chi ne fa parte all'egoismo, all'incomunicabilità, alla solitudine. In questo clima le mete da perseguire diventano il denaro, il potere, la carriera, i beni di consumo: si e disposti a pagare qualsiasi prezzo pur di ottenerli! Questo male, insito sia nelle persone che nelle strutture, chiede di essere vinto con un nuovo impegno di responsabilità all'interno delle strutture della vita civile e, in particolare, mediante la proposta di modelli di vita alternativi.

Le varie istanze pubbliche, a livello nazionale e internazionale, sono chiamate a porre un freno all'espandersi del mercato delle sostanze stupefacenti.

Per questo occorre che vengano, innanzitutto, portati alla luce gli interessi di chi specula su tale mercato; siano, poi, individuati gli strumenti e i meccanismi di cui ci si serve; e si proceda, infine, al loro coordinato ed efficace smantellamento. Occorre, inoltre, operare per lo sviluppo integrale di quelle popolazioni che, per la loro sussistenza si dedicano alla produzione di tali sostanze. Al tempo stesso, si cercherà di promuovere reti collegate di servizi che operino per una reale prevenzione del male e sostengano il recupero e il reinserimento dei giovani, che ne sono coinvolti.


2. Ma tutto ciò non è sufficiente: è necessaria anche la proposta di valori e di modelli di vita alternativi.

E' soprattutto su questo piano che la Chiesa si sente interpellata, perché dare un significato all'esistenza di un giovane è già per se stesso combattere la droga. Con alto senso profetico, quando ancora non si coglieva in tutta la sua drammaticità il problema del diffondersi della tossicodipendenza, il mio predecessore Paolo VI richiamava l'attenzione del mondo su questa piaga tremenda. Io stesso, nel mio primo anno di pontificato, ho denunziato l'urgenza di proporre ai giovani valori capaci di orientarne la vita e la necessità di mettere l'uomo al centro della riflessione sul male sociale della droga. La Chiesa è tornata sul problema della tossicodipendenza in un'occasione solenne come il Sinodo dei Vescovi del 1980 e ha ribadito i principi che animano il suo operare in questo così delicato ambito della vita personale e sociale. Lo stesso vostro Arcivescovo è intervenuto più volte in merito, levando la sua voce insieme a quella di altri illustri e stimati Pastori. Da allora si sono moltiplicate le iniziative e i servizi, che la Chiesa ha ispirato e guidato, chiedendo e suscitando la collaborazione di tutti.

Essa sa di poter contare, a questo fine, proprio sulla vostra esperienza, quella delle vostre famiglie, e di coloro che nei centri e nelle comunità si dedicano al vostro aiuto per uscire da questa triste esperienza e avviare una esistenza personale e sociale improntata ai valori della dignità umana, della responsabilità, della condivisione e del servizio.

Per questo, vi dicevo, la Chiesa è un dono per voi, a motivo di ciò che è in grado di offrirvi; e, allo stesso tempo, voi siete un dono per la Chiesa, per la testimonianza che potete offrire e la sfida al cambiamento e alla ripresa che, col vostro esempio, voi costituite.

Voi, giovani, che siete passati attraverso il dramma della tossicodipendenza, e voi, giovani, che nella scelta coraggiosa del volontariato e del servizio civile offrite modelli alternativi di realizzazione personale e familiare, dimostrate con chiarezza che la droga si combatte non soltanto con provvedimenti di ordine sanitario e giudiziario, ma anche - e soprattutto - instaurando nuovi rapporti umani, ricchi di valori spirituali ed affettivi. Solo così, infatti, si può ridare senso pieno alla vita, suscitando in chi si trova in difficoltà rinnovato entusiasmo nella lotta quotidiana e ravvivando in lui la fiducia nella vittoria finale.

I modelli che vi proponete - quello dell'accoglienza e dell'ascolto, come sono vissuti nei vostri centri, e quello della corresponsabilità e della collaborazione, proprie delle vostre comunità - sono modelli validi, perché capaci di orientare verso scelte e atteggiamenti ispirati ai valori evangelici della povertà, del servizio e della condivisione; essi dimostrano che è possibile aiutare gli interessati a vincere la droga, e porre concrete barriere all'espandersi sociale del fenomeno.


3. Carissimi giovani, mentre vi esorto a continuare la vostra coraggiosa esperienza, vi assicuro che sono accanto a voi con la preghiera e con la mia benevolenza, in segno della quale vi imparto ora la benedizione apostolica.

1989-09-23

Sabato 23 Settembre 1989




Alle religiose dell'arcidiocesi - Pisa

L'autonomia giuridica degli istituti religiosi non faccia trascurare le necessità della diocesi


Carissime religiose.


1. Sono molto lieto di questo incontro. Saluto in voi una componente eletta della comunità diocesana, una sua parte preziosa ed insostituibile. Con le qualità proprie della donna consacrata, voi contribuite in modo determinante alla vita ed allo sviluppo della Chiesa locale, alla sua crescita nella fede e nella santità, ed alle sue molteplici attività indirizzate alla promozione umana, alle opere della giustizia e della misericordia e, in definitiva, al bene della stessa società civile.

Saluto in voi, sorelle carissime, le valide ed operose collaboratrici, in primo luogo, dei sacerdoti, che si votano completamente alla causa del Regno di Dio e, più in generale, di tutti coloro che sentono l'urgenza di porsi a disposizione del Signore e dei suoi piani misteriosi, per accendere nel cuore degli uomini la fiamma di quel "fuoco" (Lc 12,49), che Cristo è venuto a portare sulla terra.

Anche a nome della comunità diocesana il Papa vi ringrazia per quello che siete, per la testimonianza che date mediante la risposta generosa e totale alla chiamata del Signore.


2. Vedo riunite, in questa bella cattedrale, non solo le suore di vita attiva, ma anche le monache claustrali benedettine e domenicane, totalmente votate alla contemplazione nel silenzio, nella solitudine, nell'offerta orante di se stesse.

Voi, care sorelle, spendete la vostra vita nella preghiera, perché l'amore di Cristo trionfi nelle anime scacciando i fermenti dell'errore, dell'odio, della divisione e del peccato; perché il mondo comprenda questo amore infinito e possa essere rinnovato e redento dalla luce della grazia.

Grande, pertanto, è la vostra missione, care sorelle! Anche se siete nascoste, la vostra testimonianza resta sempre un punto di riferimento essenziale per tutta la comunità diocesana. Molta parte del fervore spirituale della diocesi trae alimento dal vostro contatto costante col mistero divino. Dai vostri monasteri si riversa su tutta la diocesi un'onda di grazia, a conforto delle anime che sono alla ricerca della verità e della pace, che solo Dio può dare. Nella potenza dello Spirito, voi potete e dovete "consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siete consolate voi stesse da Dio" (cfr 2Co 1,4).

La clausura non separa le comunità contemplative dalla realtà diocesana; al contrario, essa si pone, a suo modo, come il segno e la condizione materiale di una più profonda comunione con la Chiesa locale. La separazione fisica, regolata dalle leggi canoniche e dagli usi monastici, è tutta in funzione di una maggiore unità d'intenti, d'amore e di collaborazione soprannaturale, in virtù della comunione dei santi, col Corpo mistico di Cristo.


3. La comunione invisibile delle varie comunità religiose con la Chiesa locale, si esplicita grazie alla mediazione del Vescovo, al quale va la responsabilità di collegare tra loro le varie componenti della diocesi, siano esse di vita attiva o di vita contemplativa. Come è importante, care sorelle, di vita attiva e di vita contemplativa questo vostro collegamento reciproco! Quanto fruttuoso per la vostra santificazione, e quanto efficace per la testimonianza da dare al mondo! Vi esorto tutte, pertanto, ad incrementare la collaborazione tra voi per un autentico servizio alla Chiesa locale. Il carisma di cui un istituto gode sia di giovamento anche agli altri e, anziché assolutizzare la propria esperienza spirituale, ciascun istituto sia sempre pronto ad apprezzare quella degli altri, in modo che, grazie a questa stima reciproca, sia accresciuta l'efficacia apostolica di tutti.


4. Nell'attuazione di questo scopo altissimo vi sarà di grande aiuto il far riferimento, di comune intesa, alla paterna guida che vi viene dal vostro Arcivescovo per il tramite del suo rappresentante, il vicario episcopale per i religiosi e le religiose, che ringrazio per le parole che mi ha rivolto.

L'opera di sostegno e di coordinamento, da questi svolta, vi consentirà di avere una visuale d'insieme più precisa dei bisogni della diocesi e di scoprire i campi dove l'impegno pastorale è più urgente. L'individuazione di tali "priorità" è oggi particolarmente doverosa: la scarsità delle forze disponibili induce, infatti, ad un uso delle stesse, che non indulga a dispersioni o sprechi.

Ciascun istituto, pertanto, pur senza venir meno agli obblighi derivanti dalla fedeltà al proprio carisma, dovrà aver sempre una speciale attenzione alla situazione generale della Chiesa pisana. In altre parole, occorre evitare che sia esagerata la portata delle autonomie giuridiche e delle finalità interne, affinché l'istituto non finisca per ripiegarsi su se stesso, trascurando le necessità pastorali della diocesi, nella quale vive ed opera.


5. Un impegno urgente per gli istituti religiosi è sicuramente quello della pastorale vocazionale e giovanile. Voi, religiose, avete sempre svolto una funzione insostituibile in questo campo delicato della formazione umana e cristiana. Per quanto poi riguarda la pastorale delle vocazioni non di rado voi potete arrivare là dove lo stesso sacerdote incontrerebbe difficoltà.

E' importante che in quest'opera di promozione vocazionale sappiate essere totalmente disinteressate, tenendo conto soltanto di ciò che, nella scelta concreta della strada da percorrere, corrisponde meglio alle predisposizioni personali del soggetto. Non sono le anime al servizio degli istituti, ma gli istituti al servizio delle anime. Promuovere le vocazioni vuol dire aiutare il giovane o la giovane a scoprire il piano di Dio su di sè e ad accoglierlo con generosa disponibilità.

Un ambiente particolarmente adatto, anche se non sempre facile, per un'opportuna formazione dei giovani in questa città, è costituito dai pensionati universitari da voi gestiti. E' chiaro che per tale azione formativa si richiedono persone altamente specializzate, che sappiano unire alle capacità morali ed educative una preparazione culturale specifica. Occorre infatti che la religiosa sia in grado di rispondere alle domande e di soddisfare alle esigenze spirituali ed umane connesse sia con quel particolare periodo della vita che con l'esperienza universitaria in atto. Se un istituto si assume questo incarico, è necessario che si impegni a fornire i propri elementi degli strumenti culturali adeguati per farvi fronte. Mentre vi do atto volentieri, care sorelle, di quanto già fate in questo campo, vi esorto a qualificare ulteriormente la vostra presenza, per cooperare sempre meglio col Signore, che certo non manca di operare in tanti cuori giovanili.

Rendo atto a tutte voi, sorelle carissime, del grande impegno con cui collaborate su tutto il territorio diocesano in varie forme di pastorale a favore dei giovani: scuole, oratori, istituzioni caritative e assistenziali.

Vi ringrazio per la generosità con cui operate e tutte vi invito a perseverare in questa opera di bene.


6. A conclusione di questo incontro, auguro a tutte voi, sorelle carissime, di poter approfondire sempre più la vostra vocazione: questa è la cosa importante, a prescindere dal posto particolare nel quale Dio, attraverso i vostri superiori, vi ha messo.

E' l'esercizio di questa fedeltà e di questa perseveranza - a volte crocifiggente ma sempre fruttuosa - che vi dona quella pace alla quale aspirate e rende certamente feconda la vostra testimonianza. La Vergine Maria, che è in modo speciale modello per tutte voi, e della quale voi siete come una vivente immagine, vi conduca ad una conoscenza sempre più profonda del mistero di Cristo, "nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,3).

Ed io di cuore vi benedico insieme con i vostri cari e con tutti coloro ai quali prestate il vostro generoso servizio di carità.

[Prima di lasciare le religiose, il Santo Padre si rivolge all'assemblea:] Una benedizione particolare alle suore ammalate e anche una preghiera: che siano sempre vicine con i loro sacrifici.

Vedo che la maggioranza delle suore qui presenti è composta da Italiane, ma c'è una forte minoranza di suore del Kerala, Indiane. Auguro a tutte le giovani di Pisa, dell'Europa, come anche dell'India, di seguire Gesù in questa vocazione splendida, in cui si esprime il mistero sponsale. Cristo sposo, la Chiesa sposa. E la Chiesa sposa siete specialmente voi, vergini consacrate, espresione di questo carattere della Chiesa sposa. Vi auguro di continuare questo mistero.

1989-09-24

Domenica 24 Settembre 1989




L'incontro con i professori e studenti dell'università - Pisa

Senso autentico della vita e compiuta visione etica per acquisire nuove valide sintesi scientifiche


Illustri docenti, collaboratori e carissimi studenti dell'ateneo pisano!


1. Debbo innanzitutto esprimere un vivo ringraziamento per il saluto tanto cordiale e sincero che tutti voi qui presenti mi avete porto per il tramite del rettore magnifico, vostro rappresentante e portavoce. Al saluto rispondo con l'augurio non solo di personale benessere per ciascuno di voi, ma per le "sorti" di questa storica università, e tale augurio estendo alle comunità accademiche della scuola normale superiore e della scuola superiore di perfezionamento sant'Anna, che visitero tra breve.

Sono davvero lieto di questo triplice incontro, e ritengo molto significativo per il mio ministero pastorale trascorrere con voi e con i colleghi di dette scuole una buona parte di questa mattinata di domenica. Dopo la sosta nella chiesa cattedrale, mi è gradito trattenermi in queste prestigiose sedi accademiche della città, le quali si configurano in cattedre di altro tipo e finalità, ma non estranee alla mia missione pastorale. Dalla cattedra della fede cristiana son passato alla cattedra delle scienze, che sono finalizzate a preparare, a formare, a innalzare l'uomo: e dov'è l'uomo, li per un suo nativo diritto e dovere deve essere anche la Chiesa! Penso, pertanto, che l'itinerario che sto compiendo stamane possa indicare simbolicamente il cammino che connette tra loro scienza e fede.


2. Formulando i miei auspici per le "sorti" della vostra università non mi riferisco solo al suo sviluppo, al miglioramento delle sue strutture, alla sua efficienza organizzativa e amministrativa, ma soprattutto alla sua crescita "ab intus" nel rispondere con tempestività e saggezza alle sue connaturali finalità educative e formative, nell'interpretare le nuove istanze di questa nostra età, nel proporsi come imprescindibile traguardo il servizio dell'uomo.

In realtà, proprio in vista del servizio all'uomo, il discorso sul rapporto tra scienza e fede, che è tema ricorrente della problematica filosofica lungo i secoli ed oggetto di assidue e spesso sofferte riflessioni, si dimostra ancora una volta attuale ed aperto ad ulteriori, proficui approfondimenti.

Permangono, infatti, con immutata e stimolante validità gli interrogativi: sono forse contrapposti Dio e l'uomo? E se questi arriva a Dio per la via della fede, gli sarà forse precluso ogni accesso per la via della ragione? E se appartiene alla ragione promuovere la ricerca ed arrivare alla scienza, non sono forse possibili la ricerca di Dio e la scienza di Dio?


3. Questi interrogativi - che ripropongono il tema dell'"intellectus quaerens fidem" e dell'indagine che media il passaggio dalla fase del "quaerere" a quella dell'"invenire" - assumono più concreta consistenza, se vengono inquadrati e integrati nella dimensione etica. Nel suo irrinunciabile impegno di ricerca e di servizio, la scienza ha un'intrinseca moralità da rispettare: mentre gli orizzonti verso cui essa si muove appaiono sempre più vasti, l'uomo che la coltiva e la sviluppa scopre, al tempo stesso. nuovi limiti, dubbi e difficoltà. Alla luce delle esperienze fatte, dei traguardi già raggiunti o intravisti e, purtroppo, anche dei possibili pericoli, oggi più che in passato si impone il discorso sul rapporto tra ricerca ed etica. Dinanzi all'uomo di scienza, che indaga ed approfondisce per capire sempre di più e sempre meglio, si fanno vicini e quasi palpabili i misteri della natura e, prima di tutto, il mistero stesso dell'uomo.

Spingendosi fin verso i confini della realtà e della vita, egli avverte come un brivido nel suo stesso osare e non può non interrogarsi, oltre che sul senso generale del proprio lavoro conoscitivo, sull'esito finale e sulla validità morale di tanto impegno. Puntando lo sguardo sulle forze più nascoste della natura ed appropriandosi delle metodologie più ardite per dominarle e utilizzarle, l'uomo avverte il rischio di sconfinamenti e abusi.

Parlo ad un uditorio esperto: posso quindi limitarmi ad accennare a fatti innegabili, quali il pericolo ecologico, l'accumulo di armi dagli effetti disastrosi, la fondatezza di certe denunce e accuse. E nel campo della vita umana, tutti conoscono i mirabili progressi della biologia e della bioingegneria, ma sono noti parimenti i pericoli di operazioni troppo ardite, che comportano forme inaccettabili di manipolazione e di alterazione. Come sapete, io stesso in varie occasioni ho richiamato l'urgenza e il dovere di procedere in materia tanto delicata con la massima cautela: il che vuol dire - senza imporre mortificanti limiti alla ricerca - rispetto delle leggi supreme della natura e della vita, adeguamento in ciascuna fase della ricerca alle esigenze derivanti dalla dignità della persona. Vuol dire, in una parola, senso di responsabilità.


4. Dinanzi a talune contraddizioni tra le finalità della conoscenza scientifica e gli esiti, a cui essa può condurre sul piano pratico, il parlare di responsabilità non può rimanere un discorso puramente teorico - come se imputata fosse la scienza in se stessa -, ma deve raggiungere i soggetti che vi sono implicati in prima persona. E' non solo conveniente, ma necessario e obbligante parlare della responsabilità degli scienziati, la quale dovrà dimostrarsi nell'aderire a quell'"ordo rerum" che essi vanno via via scoprendo nella sua mirabile articolazione, nel rispettare la trascendenza ontologica della persona sugli altri esseri del mondo della natura, quando ad essa applicano gli strumenti della ricerca scientifica, nel tener conto infine delle conseguenze che possono avere, sul piano applicativo, le conoscenze raggiunte o raggiungibili in ambito puramente teorico.

Stiamo vivendo purtroppo un'esperienza inedita e terribile: quella di un grave deterioramento ecologico, imputabile non già ad agenti esterni, ma all'incongruenza di certi nostri comportamenti. Proprio una tale esperienza, lungi dall'allontanarci, deve piuttosto avvicinarci e ricondurci al centro della nostra esistenza, poiché ripropone imperativamente il tema del senso della vita e del nostro essere nel mondo. Lo scienziato, dalle sue stesse indagini e scoperte e dalle applicazioni che se ne fanno, è posto come dinanzi ad un bivio, in quanto egli ed il frutto del suo lavoro possono favorire o danneggiare l'uomo: a lui prima che agli altri si presenta in maniera del tutto particolare, ineludibile e, direi anche, preliminare l'istanza etica. Prima ancora che si accinga al suo specifico lavoro, a lui può esser riferito l'invito di sant'Agostino che, se non fu scienziato nel senso moderno del termine, fu finissimo pensatore e indagatore appassionato della verità: "Noli foras ire; in te ipsum redi; in interiore homine habitat veritas" ("De vera religione" 39, 72: PL 34, 154). Unitamente, anzi anteriormente all'approccio esterno con le cose, gli è necessario un attento e penetrante sguardo in se stesso per valutare modi e forme, mezzi e fini della sua attività. Da un tale esame risulterà più sicuro e più maturo il senso veramente personale della sua responsabilità di uomo, di studioso e di ricercatore.


5. Oggi si lamenta da parte degli stessi scienziati la "parcellizzazione specialistica" e giustamente si afferma l'esigenza di nuove sintesi in grado di connettere la pluralità delle acquisizioni, delle cognizioni, delle tecniche che si accumulano con sorprendente rapidità nei vari ambiti disciplinari e sub-disciplinari. Ma se è vero che la scienza non si limita a osservare e a catalogare, ma interviene sui processi per trasformare il reale - e si tratta a volte di interventi radicali che possono anche intaccare i ritmi naturali e introdurre gravi disordini nell'assetto del mondo -, non ci saranno nuove sintesi valide se non si integrano in esse il senso autentico della vita ed una compiuta visione etica. Di fronte ai perduranti misteri del microcosmo e del macrocosmo, cresce nonostante i prodigi delle scienze e delle tecnologie la coscienza della "finitudine" delle forze umane, e le certezze della ragione, pur reali e solide, ad un certo punto si arrestano, così che si è indotti ad invocare, per sciogliere i dubbi e per risolvere i problemi drammatici, l'approdo ad altre certezze, basate su una diversa scala di valori regolata dall'amore ed illuminata dalla fede.

Mentre si ridimensionano certe promesse eccessive della cosiddetta "speranza tecnologica" e declinano le concezioni di un benessere imperniato su falsi valori, s'avverte l'urgente necessità di un'operazione di ricupero. Tocca primariamente a voi, come studiosi e ricercatori, distinguervi in questo orientamento. Ne guadagnerà la qualità del vostro lavoro e - grande elemento morale da considerare - la dignità umana della scienza.


6. La mia non vuol essere una riflessione limitativa di quella giusta libertà o "legittima autonomia" (è parola del Concilio Vaticano II), di cui deve godere chi come voi è impegnato o, per dir meglio, implicato nella ricerca sulle frontiere avanzate della scienza contemporanea. Tutt'altro! La Chiesa ha fiducia, promuove e incoraggia il vostro impegno. Mi piace ricordarvi in proposito una breve espressione dello stesso Concilio: "Applicandosi allo studio delle varie discipline, quali la filosofia, la storia, la matematica, le scienze naturali e occupandosi delle arti, l'uomo può contribuire moltissimo ad elevare la famiglia umana alle più alte ragioni del vero, del buono e del bello" (GS 57).

Vi parlavo all'inizio di connessione tra la chiesa cattedrale e le cattedre di scienze di cui si compone questa università: anche l'uomo di scienza è chiamato ad esercitare un "suo" sacerdozio. Si, in un certo senso ogni vero scienziato è un sacerdote: quel fine che il Signore Dio ha assegnato al primo uomo al momento della creazione e che si ripropone con indubbia rilevanza etica ad ogni uomo che viene a questo mondo - essere dominatore del creato - ha una applicazione particolare e privilegiata per l'uomo di scienza. Proprio perché vede meglio e di più, più stringente è il suo dovere, da una parte, di riconoscere, lodare, ammirare, ringraziare Dio nelle opere della sua creazione e, dall'altra, di fare un uso retto e responsabile del proprio ingegno e delle conquiste piccole e grandi che ne sono il frutto.

Proprio da una lettura che la liturgia assegna a questo giorno mi piace ricavare lo spunto conclusivo del mio saluto. In una lettera al discepolo Timoteo san Paolo afferma che è volontà di Dio "che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità" (1Tm 2,4). Nel cammino, lungo e faticoso, di avvicinamento alla verità, la Provvidenza ha assegnato un ruolo anche a voi, illustri docenti e cari studenti dell'ateneo pisano, sulle orme dei maestri insigni che qui insegnarono e vissero: primo fra tutti il sommo Galileo Galilei, poi la folta schiera di clinici e matematici e, in età a noi più vicina, sociologi come Giuseppe Toniolo, fisici come Enrico Fermi e tanti altri cultori delle scienze umane.

Con la verità ricercata, amata, difesa, proclamata, procederà parallelamente l'opera umano-divina, temporale ed escatologica, della salvezza. Nè solo per voi, ma anche per ogni altro uomo, che voi giustamente sentite come vostro collega, come vostro studente, allievo, ma sempre come vostro fratello.

giovani universitari:] Vi ringrazio per la vostra presenza, cari studenti, care studentesse, e vi auguro di essere parte costitutiva di questa comunità universitaria come lo è stato per tanti secoli, dall'inizio della sua fondazione. Vi auguro di approfittare per voi stessi, certamente, per la vostra formazione intellettuale, culturale, morale, religiosa ma anche per il bene degli altri. Il principio fondamentale che riguarda la persona umana è che non si vive per se stessi ma si vive per gli altri e io dico anche che non si studia per se stessi solamente ma si studia per gli altri, per i vicini e per i lontani, per la vostra patria e per l'umanità intera.

1989-09-24

Domenica 24 Settembre 1989





GPII 1989 Insegnamenti - L'omelia della Messa - Ai fedeli riuniti, Lucca