GPII 1989 Insegnamenti - L'arrivo nel paese - Copenhagen (Danimarca)

L'arrivo nel paese - Copenhagen (Danimarca)

L'umanità è in bilico fra un futuro di speranza e un futuro di violenza e di povertà


Signor primo ministro, spettabili membri del governo, amato popolo di Danimarca.


1. E' con molto piacere che saluto voi e tutto il popolo di Danimarca. La mia visita nel vostro Paese esprime la stima che nutro per il regno di Danimarca e per tutto il suo popolo. In tutta la sua storia, la Danimarca ha sempre goduto del rispetto dei paesi confinanti e non solo per il coraggio dei guerrieri, ma anche, ed è un motivo più importante, per gli elevati ideali che hanno favorito la sua crescita come Nazione. Oggi, questi ideali continuano a trovare espressione in una fervida vita culturale ed intellettuale. Essi garantiscono il sostegno ad una vita civica e sociale, e trovano una profonda fonte di ispirazione e di rinnovamento nella fede religiosa di tantissimi uomini e donne che operano fra di voi.

All'interno della comunità internazionale, la Danimarca è stata a lungo stimata perché quegli ideali hanno trovato espressione nella generosità e nella solidarietà che caratterizzano il vostro rapporto con le nazioni del mondo che sono in via di sviluppo.

A causa dell'antica forza di coesione interna alla Nazione, i Danesi non sono peraltro mai stati isolati dal concesso delle nazioni. Per più di mille anni la Danimarca ha costituito un punto di unione geografica fra i popoli nordici ed il resto d'Europa. Il suo notevole contributo alla scienza, alle arti e alla letteratura è stato fonte d'arricchimento per il mondo intero. Quest'eredità è al tempo stesso motivo d'orgoglio e stimolo per un'ulteriore azione in questo senso.

Per questi motivi sono lieto, oggi, di avere l'opportunità di mettere piede in terra danese. Desidero esprimere la mia gratitudine alla regina Margrethe, a lei, signor primo ministro, e a tutte le autorità civili e religiose che hanno contribuito a rendere possibile questa visita.


2. Sono giunto in Danimarca come Vescovo di Roma, come ministro del Vangelo di Gesù Cristo, e come uomo impegnato, come voi nella ricerca di un'autentica pace per il mondo. Il mio viaggio mi conduce dai cattolici di Danimarca, miei fratelli e sorelle in Cristo. In accordo con il ministero ricevuto sono venuto a pregare con loro, a celebrare con loro i sacramenti ed a incrementare i legami di comunione ecclesiale che li uniscono alla Chiesa cattolica diffusa su tutta la terra. E' mia speranza che questa visita del successore di Pietro servirà a confermarli nella fede che hanno ricevuto, così che possano giungere ad una più profonda conoscenza di Cristo Gesù e del potere della sua Risurrezione (cfr Ph 3,10).

Sono venuto anche con l'intenzione di incontrare i Vescovi e il popolo della Chiesa luterana di Danimarca, così come i rappresentanti delle diverse comunità ecclesiali presenti in Danimarca. Mi è caro questo aspetto ecumenico della mia visita. Ai nostri giorni, i cristiani stanno tentando in tutto il mondo di superare le divisioni e i disaccordi che a lungo li hanno separati. In conformità col volere di Cristo, che prego affinché i suoi seguaci fossero una sola cosa (cfr Jn 17,21) noi cerchiamo la grazia della riconciliazione ed un rinnovato impegno nel portare al mondo il messaggio di speranza racchiuso nel Vangelo. Sono grato per questo momento privilegiato, e prego affinché la mia presenza, ed il Vangelo che io predico, possano incoraggiare tutti i cristiani ad amare più profondamente il dono di fede che abbiamo ricevuto.


3. La fede cristiana al giorno d'oggi continua ad essere ispirazione e sostegno per il popolo di Danimarca così come è stato per mille anni. Lo stesso simbolo della vostra esistenza di popolo, il "Dannebrog", è contraddistinto dal segno della Croce. Sotto questo simbolo la Danimarca è cresciuta forte nella sua identità di Nazione ed il suo popolo ha prosperato. Ai giorni nostri, la cooperazione e il reciproco sostegno fra le nazioni sono diventate la nostra unica speranza per il raggiungimento della pace e di una giusta ripartizione dei beni della terra. Anche in questo la Danimarca ha dimostrato una generosa solidarietà in accordo alle sue migliori tradizioni. Nella comunità internazionale, il vostro Paese è conosciuto per la sollecitudine nella salvaguardia e nel progresso dei diritti umani. La vostra ospitalità ai rifugiati ed agli stranieri fa a gara con il vostro sostegno alle nazioni del Terzo Mondo in via di sviluppo.

Questi generosi contributi allo sviluppo dei popoli ed al loro progresso sociale, sono espressione di valori profondamente radicati nell'animo del popolo danese. Possiate essere sempre fedeli a questi valori, facendone tesoro come parte delle più grandi ricchezze del vostro Paese e tramandandole ai vostri figli. La nostra epoca ha bisogno di essere sfidata da quest'esempio. Essa aspira ad una testimonianza di autentica generosità e di sacrificio personale per il bene degli altri. In un tempo in cui molti sono tentati di vivere alla giornata e di sfruttare in maniera egoistica le risorse che la natura ha messo a disposizione di tutti, la Danimarca può alzare la voce in difesa di tutti coloro che quella voce non hanno: i poveri, coloro che non godono di privilegi e coloro che non sono ancora nati. Nel comportarsi così, sarà fedele al "Dannebrog", fedele alla sua reale identità.

Cari amici: ogni giorno che passa, un nuovo mondo sta lottando per nascere. L'umanità è in bilico fra un futuro di speranze e promesse e un futuro di violenza e povertà. Ciascuno di noi, nelle nostre famiglie e comunità, nelle nostre Chiese e nei nostri governi, deve dare il suo contributo alla nascita di questo mondo nuovo. Vi sono grato per tutto quello che avete fatto, per tutto quello che state facendo per permettere il sorgere di un'èra di comprensione e cooperazione fra i popoli, un impegno per il benessere di tutti, specialmente di quelli che hanno più bisogno del vostro aiuto. Il vostro impegno nel raggiungere questi nobili mete avrà sempre il mio appoggio e la mia gratitudine. In questo senso sono molto lieto di ricordare l'inizio dei rapporti diplomatici tra Danimarca e Santa Sede. E' mia speranza che questi rapporti serviranno alla causa di una crescente comprensione fra i popoli e contribuiranno alla crescita di quella pace che noi tutti desideriamo. Dio vi benedica tutti! Possa egli benedire la Danimarca e tutto il suo popolo!

1989-06-06

Martedi 6 Giugno 1989




L'omelia della Messa - Ai fedeli riuniti, Copenhagen (Danimarca) In un mondo senza amore e senza Dio la Chiesa dice "si" all'amore e alla vita


"Dio infatti ha tanto amato il mondo" (Jn 3,16).

Cari fratelli e sorelle.


1. Con queste parole del Vangelo, fissate nelle nostre menti e nei nostri cuori, siamo riuniti in questo posto così bello per celebrare la santa Eucaristia. Io vedo fra di voi rappresentati i molti gruppi di fedeli che compongono la Chiesa cattolica in Danimarca. E' una gioia per me celebrare questa liturgia con il Vescovo Martensen, con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e tutti voi presenti.

Stiamo qui insieme, ad Aasebakken, un luogo cattolico di pellegrinaggio in onore della Vergine Maria, "piena di grazia" (Lc 1,28), che, credendo e obbedendo, ha dato alla luce il Figlio eterno del Padre "che amava il mondo".

Saluto le suore benedettine che pregano e lavorano qui, e le ringrazio per la ospitalità dimostrata a noi e a tutti coloro che giungono qui come pellegrini.

A tutta la comunità cattolica in Danimarca, composta da molti diversi elementi, esprimo il mio affetto nel Signore e la mia felicità per essere in grado di compiere questa visita pastorale. Quelli che sono Danesi di nascita e di famiglia possono essere orgogliosi del loro bel Paese e della sua storia, così profondamente radicata nel Vangelo cristiano. Sono anche felice di vedere tra di voi rappresentanti delle comunità cattoliche della Groenlandia e delle isole Faroe, che hanno compiuto un lungo viaggio per partecipare a questa santa Messa.

[In lingua danese il Papa ha quindi detto:] Sebbene le comunità cattoliche della Danimarca siano piccole, non sono meno importanti all'interno della comunione gerarchica della Chiesa universale, alla quale sono legati dai vincoli dell'unità, della carità e della pace. La Chiesa intera trae forza e ispirazione, per la sua missione, dalla vostra preghiera, dalla vostra adorazione e dalla testimonianza fedele a Cristo.

Di recente a Roma, insieme a molti di voi, ho avuto la gioia di onorare uno dei grandi figli della Danimarca, Niels Steensen.

Possa, attraverso il suo esempio e le sue preghiere, la luce di Cristo risplendere sempre fra i cattolici della vostra Patria.

So che la Chiesa cattolica in Danimarca comprende anche un certo numero di Polacchi il cui arrivo in questo Paese, sia all'inizio del secolo, sia in tempi più recenti, ha portato all'istituzione di molte nuove parrocchie danesi.

[Parlando in polacco il Santo Padre ha pronunciato queste parole:] Cari figli e figlie d'origine polacca, la fede cattolica che voi e le vostre famiglie avete portato qui dalla Polonia nella vostra nuova Patria possa non solo essere conservata ma sia accresciuta. Conservando la fede e le sue tradizioni voi aiutate a edificare la Chiesa in Danimarca. In questo modo insieme con tutti i vostri fratelli cattolici di questo Paese date il vostro contributo sia spirituale che materiale al benessere della società danese. Gli antichi legami d'amicizia, che uniscono la Danimarca e la Polonia, si rafforzino in questo periodo, così critico ma pieno di speranze per il Paese dei nostri avi.

A tutti gli altri gruppi di cattolici rivolgo un cordiale saluto nel Signore: ai Croati e agli Ungheresi; a quelli provenienti dagli altri paesi europei; dal Nord, dal Sud America e dall'Africa; dalle Filippine e da qualunque altro luogo dell'Estremo Oriente, che hanno lasciato il loro segno nella Chiesa, in particolare nella zona di Copenhagen. Rivolgo anche un saluto a quelli provenienti dal Vietnam che sono giunti qui negli ultimi vent'anni per trovare rifugio dalle sofferenze della loro terra natale. Dal Vietnam avete portato una fede viva. Possa essa dare frutti e crescere qui, e arricchire la vostra nuova Patria.

Non posso mancare di dire qualche parola ai visitatori cattolici giunti dalla Germania.

[In lingua tedesca il Papa ha quindi detto:] Cari fratelli e sorelle della Germania, da molti anni siete in stretto collegamento con la Chiesa di Danimarca. Le avete offerto il vostro aiuto e sostegno in vari modi. Possa questa celebrazione odierna rinforzare il vincolo spirituale della fede, che supera tutte le differenze umane tra popoli e nazioni.

Possiamo noi tutti essere uniti nella compartecipazione e amore.

Infine, desidero assicurare ai membri delle altre Chiese e comunità ecclesiali, specialmente della Chiesa luterana, che sono grato per la loro presenza qui, oggi. Con l'aiuto di Dio possiamo camminare insieme nel pellegrinaggio della fede che comincia con il Battesimo, cosicché nel mondo che spesso manca di fede possiamo essere testimoni efficaci dell'amore divino proclamato nel Vangelo di oggi.


2. "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Jn 3,16).

Cari fratelli e sorelle: queste parole furono dette da Cristo a Nicodemo. Sono riportate dall'evangelista Giovanni "l'amato discepolo" che per ultimo ha scritto il suo Vangelo, dopo quelli di Matteo, Marco e Luca. Si può dire che egli vede le cose da una prospettiva più ampia. Le parole dette a Nicodemo e stampate nella sua memoria sono udite da Giovanni nel contesto di tutto ciò che Cristo ha rivelato con la sua Parola e i suoi atti e in particolare con la sua Croce e la sua Risurrezione.

Nella liturgia di oggi abbiamo letto queste parole da tutta un'altra prospettiva. Il profeta Isaia, scrivendo secoli prima di Cristo, "guarda" e così parla, di ciò che si trova davanti a lui: del futuro. Ciò che descrive è destinato ad accadere "nella pienezza dei tempi". Nondimeno noi siamo colpiti dalla veridicità di questa visione: guardate, "poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità" (Is 9,6). Forse egli scrisse questo alla nascita di un sovrano terreno, ma le parole si riferiscono ad un Sovrano che il profeta chiama "Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace" (Is 9,6). E' il testo che leggiamo nella solennità della nascita del Signore, il Natale.

L'evangelista Giovanni è tradizionalmente simboleggiato da un'aquila. Si potrebbe dire che "l'occhio dell'aquila" del profeta e dell'Evangelista convergono sullo stesso mistero espresso da san Giovanni in queste parole: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito". Questo "dare" va al di là della notte di Natale a Betlemme, oltre l'Incarnazione di Dio. Va verso il mistero pasquale: alla notte che cade dopo la morte di Cristo e all'alba che segna la sua Risurrezione. Attraverso gli eventi del mistero pasquale, che rimangono così vivi nella memoria dell'Evangelista e della prima comunità della Chiesa, la missione di Cristo si realizzo in pieno: la sua missione messianica.

"Dio non ha mandato il Figlio nel mondo / per giudicare il mondo, / ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Jn 3,17).

Questo rivela il vero significato delle parole: "Dio ha amato il mondo".


3. Dio l'aveva già amato in questo modo al tempo della creazione. Il Creatore ha avuto gioia da ogni cosa che veniva dalla potenza creativa della sua Parola. Ha gioito e continuato a gioire soprattutto nell'uomo, creato a sua immagine e somiglianza. La gioia che c'era nella creazione, come il libro della Genesi ci rammenta, è l'espressione dell'amore creativo di Dio. Creava perché amava.

E' stato per mezzo del cuore dell'uomo che il peccato è entrato nel mondo; cioè attraverso il rifiuto dell'uomo di accettare l'amore che è Dio. E' un rifiuto che getta un'ombra di peccato e di morte sulla storia dell'uomo. Nei nostri giorni questo prende la forma di una diffusa indifferenza verso le cose di Dio, il materialismo che mette l'"avere" sopra l'"essere" e una tendenza a disgregare la vita umana o a manipolarla senza fare riferimento alla dignità inviolabile e ai diritti di ogni persona umana, dal concepimento fino alla morte naturale.

Dio ha chiamato l'uomo all'esistenza attraverso l'amore; l'ha chiamato nello stesso tempo per amore. Il peccato, comunque, ferisce perfino i principali rapporti d'amore, quello del matrimonio, facendoci pensare che sia troppo complicato, se non impossibile, essere legati ad una persona fedelmente per tutta la vita. In un mondo in cui i frutti amari del peccato sono la disperazione e la solitudine - una esistenza senza significato, senza amore e senza Dio - la Chiesa dice "si" ai misteri dell'amore e della vita (cfr FC 11 FC 20 FC 30).


4. Non possiamo forse dire che attraverso il peccato dell'uomo la creazione "provi" l'amore del Creatore? Da un punto di vista umano possiamo inclinarci a dirlo. Ma Dio è più grande. L'amore è più grande del peccato. Dinanzi al rifiuto dell'uomo, Dio non risponde rifiutando l'uomo. Dio risponde con un dono.

"Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito... / non per giudicare il mondo, / ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui".

Isaia ha parlato della "sovranità" propria del Messia.

Si, sulle sue spalle fu messa la sovranità dell'amore che salva - proprio sulle spalle dell'unico Figlio generato - che era destinato a morire in Croce sul Golgota. In quel momento Dio ha amato il mondo attraverso suo Figlio crocifisso e il Figlio - il Cristo - ci ha amato "fino alla fine" (cfr Jn 13,1).

L'amore è una forza salvifica. Solo esso può salvare. Dio ci salva perché è amore. Cristo salva perché ama "fino alla fine": fino alla morte in Croce. Egli aveva ogni ragione e ogni diritto di "giudicare il mondo" - di condannare l'uomo a causa del peccato. Egli scelse l'amore che salva, che fa rivivere, che purifica, che santifica. Di questo amore san Giovanni dice: "La luce è venuta nel mondo" (Jn 3,19). L'amore è la luce del mondo. Cristo è quella luce.


5. La luce si oppone all'oscurità. Di per sè stesso "il mondo" non è la luce, anche se all'occhio attento può rivelare Dio, il creatore che è amore. La luce che è presente nelle creature non è sufficiente. Questo è particolarmente vero se attraverso il peccato lo sguardo spirituale dell'uomo si allontana dalla luce di Dio. Allora il mondo diventa oscurità piuttosto che luce: diventa un luogo di morte per l'essere umano immortale.

perciò un'altra luce è necessaria: non la luce che il mondo può dare.

Era necessario che Dio ci desse suo Figlio che è la Parola, un essere della stessa sostanza del Padre. Era necessario che il Figlio sacrificasse se stesso sulla Croce, che egli stesso accettasse la morte che lo aspettava nel mondo. Era necessario che attraverso questa morte egli sconfiggesse la morte, che nella Risurrezione rivelasse il potere della vita.

"Dio infatti ha tanto amato il mondo". Attraverso la morte di Cristo, la sua Croce e la sua Risurrezione, il contrasto fra luce ed oscurità, tra bene e male può essere visto ancora più chiaramente. San Giovanni era consapevole di questo quando ha scritto: "...chiunque infatti fa il male, / odia la luce e non viene alla luce / perché non siano svelate le sue opere; / ma chi opera la verità / viene alla luce / perché appaia chiaramente che le sue opere / sono state fatte da Dio" (Jn 3,20-21).

Queste parole racchiudono la sfida principale del Vangelo: è la sfida perenne ad andare verso la luce. Chi "agisce nel modo sbagliato" non sarà forse incapace di venire alla luce? Di sicuro è in grado di superare il timore che le sue azioni vengano condannate. Perché, come la luce del mondo, non è forse Cristo, crocifisso e risorto, giunto per salvare, piuttosto che per giudicare? Qui si trova la sfida del Vangelo per ognuno di noi. La sfida a riconoscere nella fede che - l'amore "geloso" del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, rivelato nel mistero pasquale di Cristo, rimane nel mondo; - rimane in noi. Amen.

1989-06-06

Martedi 6 Giugno 1989




L'incontro con i Vescovi della Chiesa luterana - Roskilde (Danimarca)

L'obiettivo di una Eucaristia comune in piena unità travalica le forze e le possibilità umane


Venerati fratelli in Cristo.


1. Con immensa gratitudine ho accettato l'invito fattomi dal Vescovo Wiberg e dagli altri Vescovi della Chiesa luterana danese di partecipare ad una funzione serale qui nel duomo di Roskilde e ad un incontro in un luogo così ricco di tradizione.

Il duomo di Roskilde, carico di ricordi storici del popolo danese tra i quali spiccano la chiesa e la reggia, riporta alla nostra memoria un secolo che fu caratterizzato, più di cinquecento anni fa, da una solida unità del cristianesimo e nel quale anche la Chiesa di Danimarca viveva in piena unità con il Vescovo di Roma. Ma questa casa di Dio ci ricorda anche che, a metà di quel secolo, avvenne una frattura tra i cristiani della riforma e la Chiesa cattolico-romana.

Nel giorno in cui il Vescovo di Roma viene a rendere visita per la prima volta a questo luogo, è mia intima speranza che questo incontro possa contribuire ad abbattere quegli steccati che sorti nel corso di questi cinquecento anni, ci dividono e che ci rendono ancora ostili gli uni verso gli altri.

Incontrandovi in questo luogo, venerati Vescovi, io invoco la benedizione del Signore su di voi e sul vostro servizio in favore dei cristiani che vi sono affidati. Nonostante le asprezze che la divisione di fede tra di noi ha generato, nonostante tutte le divisioni che sono state espresse, io riaffermo con gratitudine e gioia che, a motivo del dono della grazia del Battesimo e dell'annuncio del Vangelo che Cristo ci ha portato, rimaniamo legati l'un l'altro da una comune eredità. Per questo, con gratitudine, posso rivolgermi a voi con le stesse parole del Concilio Vaticano II sulle Chiese e le comunità cristiane che non sono in piena comunione con Roma. Nonostante le differenze che ancora esistono tra voi e la Chiesa cattolica in materia di morale e di disciplina, che noi consideriamo ostacoli per una piena comunione, il Concilio afferma con chiarezza che queste Chiese e comunità cristiane "quantunque crediamo che abbiano delle carenze nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso. Poiché lo spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, di cui il valore deriva dalla stessa premessa della grazia e della virtù che è stata affidata alla Chiesa cattolica" (UR 3).


2. Il cristianesimo ha lasciato una traccia profonda nella storia e nella cultura danese non soltanto in età medievale ma anche dopo la riforma del XVI secolo. Ha sempre dimostrato che lo Spirito di Cristo suscita sempre una nuova vita e incoraggia alla sequela del Signore. E' cosa nota che la letteratura danese è caratterizzata da un copioso numero di autori cristiani e che la Tradizione cattolica della Chiesa - non ultima quella della Chiesa antica sia in Oriente che in Occidente - ha trovato piena espressione nelle bellissime traduzioni e nel riadattamento di Gurndtvigs. Ma anche in altri grandi e famosi poeti cristiani come Kingo, Brorson e Ingemann la Chiesa cattolica ha trovato spazio per la sua tradizione tanto è vero che ancora oggi molti versi di questi poeti vengono cantati dai cattolici danesi durante le funzioni liturgiche.

Il cristianesimo ha anche contribuito, mediante l'annuncio del Vangelo al popolo danese negli ultimi secoli, ad un approfondimento della consapevolezza della dignità e inviolabilità dell'uomo e dei suoi diritti fondamentali attraverso la libertà della coscienza, la responsabilità comune per il bene di tutti, soprattutto per quello dei poveri e dei meno fortunati. Su questo e su molti altri temi possiamo, come dice il Concilio "sentire la necessità che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati" (UR 4).


3. A partire dal Concilio Vaticano II sono cominciati importanti dialoghi ecumenici. Il primo dei colloqui bilaterali ha segnato l'inizio del dialogo tra la Chiesa cattolica e la Federazione mondiale luterana. Il professore danese Kristen Skydsgaard, che aveva partecipato in qualità di osservatore al Concilio Vaticano II, è stato uno dei promotori di questo dialogo.

Questi colloqui hanno incrementato in vari modi la collaborazione tra le nostre Chiese. Tuttavia esistono ancora, in tempi di dialogo ecumenico, dei grandi ostacoli. Molti ne individuano uno nella persona di Martin Lutero e nella condanna di alcuni suoi insegnamenti che la Chiesa cattolica aveva in quei tempi pronunciato. I risultati della sua scomunica hanno prodotto ferite profonde che, ancora, dopo più di quattrocentocinquant'anni non si sono rimarginate e che non possono esser sanate attraverso un atto giuridico. Dopo che la Chiesa cattolica ha compreso che la scomunica ha fine con la morte di ogni uomo questo tipo di provvedimenti sono visti come misure nei confronti di qualcuno finché è in vita.

Quello di cui oggi noi abbiamo bisogno soprattutto è una valutazione nuova e comune dei molti interrogativi che sono sorti da Lutero e dal suo messaggio. Per questo motivo ho potuto affermare nel corso della ricorrenza dei cinquecento anni della nascita di Martin Lutero: "Nella pratica gli sforzi scientifici dei ricercatori evangelici e di quelli cattolici, che, nel frattempo, hanno raggiunto lusinghieri risultati, hanno condotto ad un pieno e differenziato panorama della personalità di Lutero e ad un complicato intreccio degli eventi storici nella società, nella politica e nella Chiesa della prima metà del XVI secolo. Ciò che è comunque emerso in modo convincente è la profonda religiosità di Lutero che ardeva dell'ansia bruciante per il problema della salvezza eterna" ("Epistula Em.mo P. O.

Ioanni Willebrands, V expleto saeculo ab ortu Martini Luther, missa", die 31 oct. 1983: , VI, 2 [1983] 980).


4. Alcune richieste di Lutero relative ad una riforma e a un rinnovamento hanno trovato risonanza presso i cattolici da diversi punti di vista: così quando il Concilio Vaticano II parla della necessità di una permanente riforma e di un rinnovamento: "La Chiesa pellegrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma di cui essa stessa, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno in modo che se alcune cose sia nei costumi che nella disciplina ecclesiastica e anche nel modo di esporre la dottrina - il quale deve essere diligentemente distinto dallo stesso deposito della fede - sono state, secondo le circostanze di fatto e di tempo, osservate meno accuratamente, siano in tempo opportuno rimesse nel giusto e debito ordine". (UR 6). Il desiderio di ascoltare nuovamente la parola del Vangelo e di convincersi della sua veridicità che animava anche Lutero deve guidarci a cercare il bene negli altri, a donare il perdono, e a rinunciare a visioni che sono in contrasto e nemiche della fede.

A proposito della storia della nostra separazione desidero ripetere le parole che ho pronunciato in occasione della mia visita pastorale nella Germania Federale: "Cessiamo dunque dal giudicarci gli uni gli altri" (Rm 14,13). Vogliamo ancora una volta rispondere reciprocamente delle nostre colpe. Anche alla luce della grazia dell'unità vale vale la frase di san Paolo: "Tutti abbiamo peccato" (Rm 3,23). In tutta onestà dobbiamo confrontarci e parlare e tirare le conseguenze". ("Mogontiaci, allocutio ad reverendos Viros adscitos in consilium Ecclesiae Evangelicae Germaniae habita", die 17 nov. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 2 [1980] 1254). "Non evitiamo i fatti, perché soltanto allora diveniamo consapevoli che colpe umane hanno portato alla dolorosa separazione tra i cristiani e che il nostro rifiuto accresce gli ostacoli verso l'unità che è invece possibile e necessaria" ("Mogontiaci, allocutio ad Christianos fratres a Sede Apostolica seiunctos habita", die 17 nov. 1980: , III, 2 [1980] 1259). Come ho già detto in altre occasioni faccio mie le parole che il Papa Adriano VI pronuncio nel 1523 nell'anniversario di NUrnberg: "Noi tutti dobbiamo perciò dare onore a Dio e sottometterci a lui. Ciascuno di noi dovrebbe riflettere sul perché di quanto è accaduto e dirigersi di sua volontà verso la direzione in cui Dio lo aveva posto nel giorno dell'ira". ("Mogontiaci, allocutio ad Christianos fratres a Sede Apostolica seiunctos habita", die 17 nov. 1980: , III, 2 [1980] 1259).

L'ufficio petrino, secondo quanto insegna la Chiesa cattolica, è stato fondato da Cristo per essere di aiuto all'unità di tutti i cristiani. Quando il Papa secondo una antica definizione, chiama e stesso il "Servo dei Servi di Dio" esprime proprio il fatto che questa carica esiste per seguire la volontà di Gesù Cristo "che non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mt 20,28). Possano tutte le difficoltà che gravano su questo ufficio essere superate affinché appaia sempre più evidente che uno solo è il suo scopo: quello di guardare al Vangelo di Gesù Cristo nella pienezza della sua verità e di essere un contributo all'unità che egli, il Signore della Chiesa, ha voluto quando ha condannato ogni barriera di divisione e ha superato ogni inimicizia per riunire tutti in un solo corpo e per donare a tutti il perdono di Dio attraverso la sua Croce (cfr Ep 2,14-16).

E' fonte di dolore, sia per i cattolici che per i luterani il fatto che non esista tra di noi una comune Eucaristia e che non ci sia un reciproco avvicinarsi alla mensa del Signore. A questo proposito il decreto sull'ecumenismo ha così stabilito: "Tuttavia la comunicazione in cose sacre ("communicatio in sacris") non la si deve considerare come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento dell'unità dei cristiani. Questa comunicazione dipende soprattutto da due principi: dalla manifestazione dell'unità della Chiesa e dalla partecipazione di mezzi della Grazia. La manifestazione dell'unità per lo più vieta la comunicazione. La partecipazione della Grazia talvolta la raccomanda" (UR 8).

La strada verso il desiderato obiettivo di una Eucaristia comune in piena unità travalica le forze e le possibilità umane. Per questo la Chiesa con il Concilio ha riposto la "sua speranza nell'orazione di Cristo per la Chiesa, nell'amore del Padre per noi e nella forza dello Spirito Santo. "E la speranza non inganna, poiché l'amore di Dio è stato largamente diffuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato" (Rm 5,5)" (UR 24).

Lo Spirito di Dio continui ad accompagnarci e ad illuminarci con la sua luce nel nostro cammino comune sulla strada della piena unità di tutti i cristiani nell'amore e nella verità di Gesù Cristo.

1989-06-06

Martedi 6 Giugno 1989




L'incontro con gli immigrati polacchi - Copenhagen (Danimarca)

"Crediamo che porterà frutti sempre più maturi l'impegno per una giusta forma di vita in Polonia"


Vi ringrazio molto della visita. Ho già incontrato tanti emigrati polacchi in Danimarca, durante la Messa a Aasebakken. Devo dire che hanno fatto sentire alte le loro voci per non passare inosservati, per farsi riconoscere da me. Non è difficile riconoscervi. Vi ringrazio molto per questa visita. Saluto tutti quelli che sono venuti qui e quanti vivono in Danimarca.

Probabilmente domani ci sarà un'altra occasione per un simile incontro, in un altro luogo del Paese; del resto i Polacchi, già alcune generazioni fa sono venuti qui come emigrati, agli inizi in cerca di lavoro, nei tempi più remoti e ultimamente per altri motivi. La storia del nostro popolo ha questa particolarità: tutti siamo partecipi di un grande peregrinare, così come scrisse Mickiewicz nei "Libri della Nazione e della peregrinazione polacca". Per di più avete adesso un Papa itinerante.

Auguro a tutti che qui, in Danimarca, diano una bella testimonianza della nostra Nazione e della nostra Chiesa. Siete parte della Chiesa universale, cattolica, parte radicata nel nostro millennio polacco, nel cristianesimo polacco, nelle nostre tradizioni, nella nostra cultura; e questa parte è stata come trapiantata in un altro suolo, e in questo suolo mette le nuove radici, dà una forma nuova alla sua vita che non è più soltanto polacca, ma anche danese. Voi dovete vivere la vostra vita polacca adeguandola a quella danese, e, in un certo senso, vivere la vita danese alla maniera polacca. Ciò vale soprattutto per la vita della Chiesa (parlo ovviamente della Chiesa cattolica), che qui, in Danimarca, è in minoranza, ed è formata come si vede e si sente da gruppi di persone di diverse nazionalità. Lo si è potuto vedere e sentire oggi, e lo potremo costatare anche domani. Tuttavia la Chiesa cresce qui, su questo suolo, in questa società, cresce con quanti nella nazione danese si sono sentiti cattolici e nella nostra comunità cercano un loro posto preciso. Bisogna dunque che questa Chiesa, che è universale, cresca qui attraverso tutti: attraverso i Danesi e attraverso tutti gli emigrati, tutti i pellegrini, ed anche attraverso "I libri delle peregrinazioni polacche del XX secolo"; bisogna che cresca anche attraverso il Papa-pellegrino.

Vorrei rivolgere il mio pensiero al passato per rendere onore a quegli emigrati polacchi che sono venuti qui per primi, nei tempi più lontani, e per primi hanno gettato le basi della comunità polacca, e nello stesso tempo, di quella cattolica. Alcuni di loro vivono ancora, anche nelle congregazioni religiose femminili; che Dio li ricompensi dei loro sforzi, della loro fedeltà, del loro amore per Cristo e per la patria, quella vecchia e quella nuova.

E a voi, che siete qui, vorrei impartire la benedizione pensando a tutti i vostri cari, alle vostre famiglie, alle vostre comunità, alla vostra pastorale, ai vostri pastori (il vostro pastore, lo vedo sotto quell'ippocastano; questi ippocastani sono molto simili a quelli polacchi, ed anche la stagione è la stessa).

A tutti, quindi, va la mia benedizione, portatela con voi affinché vi accompagni nella vostra vita nella terra danese. Ricordatevi sempre che quel che voi siete in Danimarca è importante per quello che i Polacchi sono in Polonia, ed anche per quello che la Polonia è nella terra polacca, dove la Nazione vive e si impegna per una giusta forma di vita. Noi confidiamo nella Madre santissima, Signora di Jasna Gora, e confidiamo nelle energie che esistono nella nostra Nazione, credendo che questo impegno per una forma giusta ed autentica della vita polacca porterà dei frutti sempre più maturi. E' questo il nostro augurio ai nostri connazionali in Polonia, è la nostra preoccupazione comune, ed anche la nostra comune speranza.

Per concludere cantiamo "Maria, Regina di Polonia" perché è un canto che ci unisce profondamente.

Adesso prego sua eccellenza il Vescovo di Copenhagen, il vostro Vescovo, di benedire insieme a me tutti i presenti.

1989-06-06

Martedi 6 Giugno 1989





GPII 1989 Insegnamenti - L'arrivo nel paese - Copenhagen (Danimarca)