GPII 1989 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Ai fedeli riuniti, Castel Gandolfo (Roma)


1. Carissimi fratelli e sorelle, questa invocazione delle litanie del Sacro Cuore ci invita oggi a contemplare il Cuore di Cristo obbediente. Tutta la vita di Gesù è posta sotto il segno di una perfetta obbedienza alla volontà del Padre, suprema e coeterna sorgente del suo essere (cfr Jn 1,1-2): una è la loro potenza e gloria, una la sapienza, reciproco l'infinito amore. Per questa comunione di vita e di amore il Figlio aderisce pienamente al progetto del Padre, che vuole la salvezza dell'uomo mediante l'uomo: nella "pienezza del tempo" nasce dalla Vergine madre (cfr Ga 4,4) con un cuore obbediente per riparare il danno causato alla stirpe umana dal cuore disobbediente dei progenitori.

perciò, entrando nel mondo, Cristo dice: "Ecco io vengo... per fare, o Dio, la tua volontà" (He 10,5 He 10,7). "Obbedienza" è il nome nuovo dell'"amore"!


2. Nel corso della sua vita, i Vangeli ci mostrano Gesù sempre intento a fare la volontà del Padre. A Maria e Giuseppe, che durante tre giorni, addolorati, lo avevano cercato, Gesù dodicenne risponde: "Perché mi cercate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2,49). Tutta la sua esistenza è dominata da questo io devo, che determina le sue scelte e guida la sua attività.

Ai discepoli dirà un giorno: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato a compiere la sua opera"; e insegnerà loro a pregare così: "Padre nostro,... sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra" (Mt 6,10).


3. Gesù obbedisce fino alla morte (cfr Ph 2,8) benché nulla gli sia tanto radicalmente opposto quanto la morte, giacché egli è la sorgente stessa della vita (cfr. Jn 11,25-26).

In quelle ore tragiche sopravvengono inquietanti lo sconforto e l'angoscia (cfr Mt 26,37), la paura e il turbamento (cfr Mc 14,33), il sudore di sangue e le lacrime (cfr Lc 22,44). Sulla Croce poi il dolore strazia il suo corpo trafitto. L'amarezza - del rifiuto, del tradimento, dell'ingratitudine - ne colma il Cuore. Ma su tutto domina la pace dell'obbedienza. "Non la mia, ma la tua volontà sia fatta" (Lc 22,42). Gesù raccoglie le forze estreme e, quasi sintetizzando la sua vita, pronuncia la parola ultima: "Tutto è compiuto" (Jn 19,30).


4. All'aurora, nel meriggio e al tramonto della vita di Gesù pulsa nel suo Cuore un solo desiderio: fare la volontà del Padre.

Contemplando questa vita, unificata dall'obbedienza filiale al Padre, comprendiamo la parola dell'Apostolo: "Per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti" (Rm 5,19), e l'altra, misteriosa e profonda, della lettera agli Ebrei: "Pur essendo Figlio, imparo l'obbedienza dalle cose che pati e reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che obbediscono" (He 5,8-9).

Ci aiuti Maria santissima, la Vergine del "Fiat" trepido e generoso, ad "imparare", pure noi, questa fondamentale lezione.

1989-07-23

Domenica 23 Luglio 1989









Ai rappresentanti del movimento "Aide a toute détresse - Quart Monde" - Castel Gandolfo (Roma)

Lo scandalo insopportabile della povertà deriva dalla libertà che si tramuta in egoismo e potere


Cari amici.

Voi siete felici e commossi di vivere questo incontro a nome di tutte le famiglie collegate con il movimento "Aide à toute dètresse - Quart Monde". Vi assicuro che sono anch'io lieto e commosso quanto voi. Qualcuno, invisibile ai nostri occhi mortali ma vivo presso il Signore, condivide la nostra gioia: è il padre Joseph Wresinski.

Mentre parlavano i vostri rappresentanti, li ascoltavo con profonda attenzione e pensavo - ricordando una forte espressione dell'apostolo Paolo nella lettera ai Romani - che l'umanità continua a gemere nelle doglie del parto.

L'evento difficile, il parto doloroso di un mondo di dignità e di fraternità, di giustizia e di pace! Tutte le forme di povertà di cui voi soffrite, e con voi tante altre famiglie, sono uno scandalo. E' uno scandalo insopportabile, dal momento che queste realtà di povertà sono il risultato della libertà degli individui e delle nazioni, che si tramuta in egoismo, in potere, in indifferenza o perfino in emarginazione. Ci sono dei poveri, molti poveri, che non ne possono più. Allora si rassegnano alla fatalità del destino. Altri piangono e protestano contro l'opulenza e lo sfruttamento dei paesi ricchi. Altri subiscono la tentazione di accusare Dio. Qui, nel più grande rispetto delle vostre credenze, mi permetto di parlare di una visione del mondo che nasce dalla fede cristiana. Le sofferenze, così come il male, non vengono da Dio. Hanno la loro sorgente nella libertà umana mal compresa e mal utilizzata, persino traviata. Gli uomini non sono dei robots - questa è insieme la loro grandezza e la loro possibilità di caduta -, sono capaci del bene e del male. Ma la libertà autentica, che ha bisogno di educazione a livello delle persone e dei popoli, è capacità di apertura agli altri, di slancio profondo di pietà e di solidarietà nelle disgrazie, di volontà costante di costruire la pace nella giustizia. Meraviglia e ambivalenza della libertà! E' dunque necessario - e lo sarà sempre - lottare, con lucidità, con determinazione non violenta, contro le povertà umilianti e contro le strutture che le mantengono o le accrescono.

Detto questo, e tenendo conto delle situazioni descritte, il mio compito è di rafforzare in voi almeno due convinzioni in grado di mantenere viva la vostra speranza e di orientarvi con risolutezza sul cammino già iniziato della vostra liberazione.

La missione della Chiesa è essenzialmente di carattere spirituale. Ma essa non può dimenticare che il suo Fondatore è stato il difensore e l'amico dei poveri. Nel corso della sua storia, bisogna riconoscere che molto essa ha fatto. E se, in un qualche momento, la Chiesa ha dato l'impressione di restare inerte accanto alla miseria dell'uomo, dei santi si sono levati a suscitare dei volontari della carità evangelica, della solidarietà con i poveri. Vorrei ricordare solo san Vincenzo de' Paoli, universalmente conosciuto, o anche la beata Anne-Marie Javouhey, che ha operato per la liberazione degli schiavi negri. Attraverso le sue organizzazioni caritative o socio-caritative fondate in tutti i paesi, la Chiesa cerca di venire in aiuto di tutte le povertà, con il rispetto e la tenerezza del suo divino Fondatore, ma anche con le qualità umane di perspicacia e di obiettività, di metodo e di perseveranza. Essa veglia, almeno per i movimenti che da lei strettamente dipendono, perché nessuno possa rivendicare una sorta di monopolio della miseria e del suo affronto. La convergenza o la complementarietà delle organizzazioni di aiuto e promozione è indispensabile. Incoraggio vivamente il vostro movimento "Aide à toute dètresse - Quart Monde", davvero meritevole, a esaminare e valutare la possibilità di un rapporto più stretto o anche nuovo con i responsabili delle Chiese particolari o anche con le Conferenze Episcopali.

L'azione concertata è sempre una forza, specialmente di fronte alle terribili situazioni di povertà di tutto il mondo.

Desidero stimolare in ciascuno di voi un altro convincimento, affinché lo partecipiate a tutti i vostri fratelli e sorelle nella miseria. I poveri possono e debbono essere i salvatori dei poveri. La Chiesa non può compiere da sola tutto questo lavoro. I governi svolgono il loro ruolo nel vegliare a un'equa distribuzione dei beni nei loro paesi. Per quanto riguarda le vostre possibilità di collaborare alla vostra liberazione, sembrerebbe - e molte esperienze lo confermano - che la vostra presa di coscienza matura, cui fanno seguito delle iniziative ben preparate presso le istanze sociopolitiche di una città, di una regione, di un paese possa ottenere se non proprio una soluzione completa, almeno delle soluzioni graduali. Inoltre, la ripresa continua del dialogo con le autorità competenti valorizza i delegati del vostro movimento, responsabilizzandoli gradualmente, e può condurre a risultati impressionanti. Dalla sua fondazione, "Aide à toute dètresse - Quart Monde" ha fatto davvero molta strada. Oltre a questi interventi ben ponderati e condivisi da tutti i membri dell'associazione, dovunque si trovino, è importante sensibilizzare coloro che hanno dei beni, non classificandoli tutti come oppressori. Molti responsabili dell'economia e dell'industria - che hanno gravi problemi da risolvere - hanno bisogno di una giusta informazione. In questo voi potete forse lavorare armonizzando il lavoro di informazione con altre realtà simili alla vostra, confessionali o meno.

Tutte queste intenzioni, in famiglia e come eco alle vostre, non costituiscono delle dichiarazioni solenni. Il Papa, contrariamente ad alcune convinzioni dell'opinione pubblica sulle sue possibilità, non può e non deve sostituirsi ai legittimi responsabili della vita di un paese. La sua missione è di risvegliare le coscienze. Le coscienze dei cristiani e anche dei responsabili delle nazioni. Ovunque, dove mi è stato dato di compiere delle visite pastorali, non ho mancato di farlo. E ancora lo faro.

Cari amici, siate certi che la causa dei poveri è nel mio cuore. E voi, più che mai, abbiate coraggio e fiducia!

1989-07-27

Giovedi 27 Luglio 1989




Ai giovani della fondazione "Les orphelins apprentis d'Auteuil" - Castel Gandolfo (Roma)

La Croce che si fa luce e vita é la più grande sfida della storia


Cari giovani, cari amici.

Certo voi vi aspettate che anche il Papa faccia la sua parte! In questo caso, il mio compito sarà più breve e più facile del vostro! Per prima cosa, vi esprimo la mia profonda riconoscenza. Anche se questa venuta a Castel Gandolfo rappresentava per voi un bel sogno e una festa, avete avuto da risolvere dei problemi organizzativi. Ma, al di là di questo, la mia gratitudine ha per oggetto la vostra commedia musicale. Mi ha enormemente colpito.

Desidero congratularmi con gli attori, i cantori, i musicisti, i coristi, i tecnici. Nella sua parte, ciascuno è stato perfetto. Nel suo armonioso sviluppo, la vostra opera mi ha fatto pensare - con vivo desiderio - all'avvento di una società in cui le necessarie differenze e le indispensabili complementarietà possano realizzare il magnifico e benefico concerto degli individui e dei popoli.

Infine, voglio incoraggiarvi a far conoscere più ampiamente la vostra creazione artistica, soprattutto tra i giovani. Se la figura biblica del giovane Gionata è commovente, per la sua morte prematura sul monte Gelboè e, prima, per le sue grandi sofferenze a causa della rivalità tra suo padre, il re Saul, e David, la vostra rappresentazione descrive in qualche modo tutta la gioventù contemporanea segnata da difficili prove. Voi le avete ben descritte, non occorre ripeterle. Insomma, "Gionata, seme d'amore" è "il mistero della sofferenza vinta dalla speranza", il superamento morale e spirituale di tutti i Gionata del mondo.

Questo "mistero", nel senso medievale del termine, ricorda molto il "Mistero della Passione e della Risurrezione di Gesù di Nazaret". Siete riusciti a presentare con uno stile attuale la più grande sfida o il più grande paradosso della storia: la Croce, simbolo di tutte le forme di sofferenza, può condurre alla luce e alla vita. La vostra opera, o meglio la vostra testimonianza di giovani ha già riacceso la speranza in tanti cuori. Sarebbe bello che altri giovani nel mondo, nella propria cultura, realizzassero un lavoro simile al vostro, per dischiudere dappertutto le porte della speranza.

Affido a Cristo, redentore dell'uomo, le vostre persone, le vostre intenzioni, e l'opera ammirabile del vostro fondatore, il beato Daniel Brottier.

Raccomando ugualmente alle vostre ferventi preghiere l'esito del grande raduno per i giovani di Santiago di Compostela.

E ora vi imparto di cuore la mia apostolica benedizione.

1989-07-29

Sabato 29 Luglio 1989




All'Angelus la meditazione sulle litanie del Sacro Cuore - Ai fedeli riuniti, Castel Gandolfo (Roma)

Il Cuore trafitto di Gesù simbolo della vita nuova e sorgente della Chiesa


"Cuore di Gesù, trafitto dalla lancia, abbi pietà di noi".


1. Lungo i secoli, poche pagine del Vangelo hanno attirato tanto l'attenzione dei mistici, degli scrittori spirituali e dei teologi quanto la pericope giovannea che narra la morte gloriosa di Cristo e la trafittura del costato (cfr Jn 19,23-37).

A quella pagina s'ispira l'invocazione delle litanie, che ho appena ricordato.

Nel Cuore trafitto noi contempliamo l'obbedienza filiale di Gesù al Padre, il cui incarico egli porto coraggiosamente a compimento (cfr Jn 19,30), e il suo amore fraterno per gli uomini, che egli "amo sino alla fine" (Jn 13,1), cioè sino all'estremo sacrificio di sè. Il Cuore trafitto di Gesù è il segno della totalità di questo amore in direzione verticale e orizzontale, come le due braccia della Croce.


2. Il Cuore trafitto è anche simbolo della vita nuova, data agli uomini mediante lo Spirito e i sacramenti. Non appena il soldato ebbe vibrato il colpo di lancia, dal costato ferito di Cristo "usci sangue ed acqua" (Jn 19,34). Il colpo di lancia attesta la realtà della morte di Cristo. Egli è veramente morto, com'era veramente nato, come veramente risorgerà nella sua stessa carne (cfr Jn 20,24 Jn 20,27). Contro ogni tentazione antica o moderna di docetismo, di cedimento all'"apparenza", l'Evangelista richiama tutti alla scarna certezza della realtà. Ma, al tempo stesso, tende ad approfondire il significato dell'evento salvifico ed esprimerlo attraverso il simbolo. Egli, perciò, nell'episodio del colpo di lancia, vede un profondo significato: come dalla roccia colpita da Mosè scaturi nel deserto una sorgente d'acqua (cfr Nb 20,8-11), così dal costato di Cristo, ferito dalla lancia, è sgorgato un torrente d'acqua per dissetare il nuovo Popolo di Dio. Tale torrente è il dono dello Spirito (cfr Jn 7,27-29), che alimenta in noi la vita divina.


3. Infine, dal Cuore trafitto di Cristo scaturisce la Chiesa. Come dal costato di Adamo addormentato fu tratta Eva, sua sposa, così - secondo una tradizione patristica risalente ai primi secoli - dal costato aperto del Salvatore, addormentato sulla Croce nel sonno della morte, fu tratta la Chiesa, sua sposa; essa si forma appunto dall'acqua e dal sangue - Battesimo e Eucaristia -, che sgorgano dal Cuore trafitto. Giustamente perciò la costituzione conciliare sulla liturgia afferma: "Dal costato di Cristo morto sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa" (SC 5).


4. Accanto alla Croce, annota l'Evangelista, c'era la Madre di Gesù (cfr Jn 19,25). Ella vide il Cuore aperto dal quale fluivano sangue e acqua - sangue tratto dal suo sangue - e comprese che il sangue del Figlio era versato per la nostra salvezza. Allora capi fino in fondo il significato delle parole che il Figlio le aveva rivolto poco prima; "Donna, ecco il tuo figlio" (Jn 19,26): la Chiesa che sgorgava dal Cuore trafitto era affidata alle sue cure di Madre.

Chiediamo a Maria di guidarci ad attingere sempre più abbondantemente alle sorgenti di grazia fluenti dal Cuore trafitto di Cristo.

1989-07-30

Domenica 30 Luglio 1989









Ai giovani partecipanti alla "marcia francescana" - Castel Gandolfo (Roma)

"Una manifestazione di fede per portare il messaggio di Assisi per le vie del mondo"



1. E' con vera letizia che mi trovo in mezzo a voi, religiosi e laici, ragazzi e ragazze, partecipanti a questa nuova "marcia francescana", che ha avuto inizio dai vostri paesi d'origine, da varie parti d'Italia e dell'estero, con tappa ad Assisi, e che oggi, dopo una sosta di preghiera nella Basilica di san Giovanni in Luterano, si conclude qui a Castel Gandolfo. Vi accolgo volentieri, mi congratulo con voi e vi auguro di andare sempre avanti affinché il vostro cammino, sull'esempio del grande assisiate, abbia uno sbocco coerente e continuo.

Questa iniziativa francescana, nata dieci anni fa ad opera di poche persone, è cresciuta via via, come il corso di un fiume, ed ora siete così numerosi da contare parecchie migliaia.

Do a tutti il benvenuto; saluto in particolare il padre John Vaughn, ministro generale dell'Ordine Francescano dei Frati Minori, che ringrazio vivamente per le amabili parole, che ha voluto rivolgermi, interpretando anche i sentimenti di tutti i presenti.


2. Voi oggi avete dato compimento alla "marcia francescana verso Assisi". Ma il vostro itinerario, con quella connotazione che le è propria, assume un significato di un preciso orientamento di vita. Il Poverello d'Assisi è un santo che ha molto da dire ai giovani; la freschezza e attualità del suo messaggio non si sono mai spente, nè attenuate attraverso il corso dei secoli. Una volta che egli ebbe la fortuna di incontrarsi in maniera viva e personale con Gesù non dubito di lasciare tutto per vivere radicalmente le esigenze del Vangelo. Alla Verna, ricevendo le stimmate, raggiunse, per così dire, il culmine della conformità a Cristo crocifisso.

Voi siete giunti ad Assisi il 2 agosto, giorno in cui san Francesco ottenne dal Papa l'indulgenza della Porziuncola, estesa poi a tutta la Chiesa.

Nella suggestiva Basilica di santa Maria degli Angeli, avete dato vita ad una veglia di preghiera. Il vostro cammino di conversione, sulle orme del padre serafico, rappresenta una manifestazione di fede allo scopo di portare il messaggio di Assisi per le vie del mondo.

Ad imitazione del vostro venerato modello che fu un grande camminatore, voi avete voluto compiere questo pellegrinaggio per ricordare che su questa terra siamo tutti in cammino, viandanti verso un traguardo che non e di questo mondo.

perciò il vostro pellegrinaggio è stato caratterizzato dalla preghiera, dalla penitenza e dall'esperienza di stare insieme, per annunziare la gioia dell'incontro con Cristo. E' stato un momento forte; una sincera ricerca della via, a cui ciascuno di voi è chiamato dalla divina Provvidenza, per maturare ulteriormente la vocazione di laici veramente impegnati nella famiglia e nell'ambiente di lavoro, o quella della vita sacerdotale e religiosa.


3. Cari ragazzi e ragazze, quest'anno la marcia di Assisi ha raggiunto anche Roma, sui passi di san Francesco, che venne a piedi a Roma per ottenere dal mio predecessore Innocenzo III, che lo ricevette in Laterano, l'approvazione della sua Regola. Egli, che tanto amo il Cristo Signore, volle anche così manifestare il suo amore alla Chiesa, sua mistica sposa, e al Papa, suo capo visibile. Proprio per questo fu straordianria la sua fedeltà alla Chiesa, che egli contribui a rinnovare, rinnovando se stesso e creando un nuovo stuolo di imitatori di Cristo.

Di questi seguaci c'è più che mai bisogno in questa nostra epoca contrassegnata talora da indifferentismo religioso. Auspico che la marcia continui spiritualmente per raggiungere traguardi sempre più alti; nell'amore a Cristo e alla Chiesa, nell'amore ai fratelli, ai poveri e agli emarginati.

Vi benedico tutti di cuore.

1989-08-04

Venerdi 4 Agosto 1989




Con la comunità castellana il Santo Padre rievoca l'amato predecessore - Castel Gandolfo (Roma)

Paolo VI, come Pietro, ha avuto fede per mostrarci la verità su Cristo


"Maestro, è bello per noi stare qui" (Lc 9,33).


1. Quale gioia più grande di quella di contemplare Cristo nella sua gloria? La nostra eterna beatitudine consisterà appunto in questa visione a "faccia a faccia" del Verbo incarnato, nella luce della Trinità.

Pietro, Giovanni e Giacomo, nell'episodio della Trasfigurazione del Signore sul monte Tabor, hanno potuto pregustare la gioia e l'incontro della visione beatifica del paradiso. "Siamo stati testimoni oculari della sua grandezza", dirà Pietro (2P 1,16); e Giovanni, dal canto suo, attesterà: "Abbiamo veduto con i nostri occhi, abbiamo contemplato ed abbiamo toccato il Verbo della Vita" (cfr 1Jn 1,1).

Nella Trasfigurazione, come in altri momenti importanti della vita terrena del Signore, è Pietro, che prende la parola, facendosi portavoce dei sentimenti degli altri due apostoli: Pietro, corifeo della fede degli apostoli, della fede della Chiesa.


2. Fratelli carissimi, come è nostra consuetudine, nella giornata odierna ricordiamo la pia morte del venerato Pontefice Paolo VI, avvenuta, proprio in questa data, undici anni fa.

Paolo VI, successore di Pietro. Paolo VI, come Pietro, ci è stato maestro nella fede, ci ha confermati nella fede. Come Pietro egli ha avuto luce, ha avuto fede, per mostrare ai fratelli la verità su Cristo, l'amore a Cristo, la via che conduce alla visione beata di Dio. "Piacque alla sapienza di Dio - ebbe a dire nella sua esortazione apostolica "Gaudete in Domino" - porre la Roma di Pietro e Paolo, sulla strada, diciamo che conduce alla città eterna, per il fatto che essa ha scelto di affidare a Pietro le chiavi del regno dei cieli" (7). E ricordava la saldezza del carisma petrino, quella "soliditas Petri", sulla quale tutti ci dobbiamo fondare, per conoscere con certezza l'autenticità degli insegnamenti di nostro Signore. E questo perché - spiegava ancora quel Pontefice riprendendo le parole di san Leone Magno ("Sermo" V, 4) - "La stabilità che egli ricevette dalla Pietra che è Cristo, egli, divenuto anche lui Pietra, la trasmette ugualmente ai suoi successori" con una fede invincibile che non teme le avversità, le incomprensioni, i tradimenti e le più amare delusioni. La croce del successore di Pietro è legata alla sua stessa missione di maestro della fede. E Paolo VI non si sottrasse a questa croce. Infatti, come ebbi a dire in una mia omelia del settembre 1979: "Non gli furono estranei gli "insulti" e gli "sputi"" (cfr Is 50,6) che ha subito come maestro e servitore della verità. Alla sua anima non furono estranee quella "tristezza e angoscia che nascono dal senso responsabilità per i valori più santi, per la grande causa che Dio affida all'uomo".


3. "Paolo VI - dissi in un'altra occasione (6 agosto 1983) e lo voglio ripetere oggi - confermi soprattutto i nostri animi nella fede cattolica! In un lontano scritto, meditando sulla dottrina e sull'esperienza di san Paolo, il suo grande ideale, egli affermava con intrepido ardore: "L'ortodossia è un'esigenza primordiale del cristianesimo... Dove nel nostro mondo Cristo è assente, bisogna fare ogni sforzo cordiale e persuasivo, per renderlo presente. Dove nel nostro mondo Cristo è deformato e distratto ad altri fini che non quelli dell'eterna salvezza, bisogna essere fieri e duri nel difenderlo".

Era la coscienza, che egli aveva della missione petrina, a lui affidata come Pastore della Chiesa universale e maestro della fede. "Siamo scelti, siamo chiamati - diceva egli appunto ad un'assemblea del Sinodo dei Vescovi - siamo investiti dal Signore di una missione trasformatrice. Come Vescovi, siamo i successori degli apostoli, i Pastori della Chiesa di Dio. Un dovere ci qualifica: essere testimoni, essere portatori del messaggio evangelico, essere maestri, di fronte all'umanità. Tutto questo vogliamo ricordare, venerati confratelli, per ravvivare la coscienza della nostra vocazione, delle responsabilità dell'ufficio grande, pericoloso, incomodo che ci è stato affidato; ma soprattutto per riconfermare tutta la nostra fiducia nell'assistenza di Cristo alle nostre sofferenze, alle nostre fatiche, alle nostre speranze".


4. La missione apostolica comporta gli stessi sentimenti di Cristo crocifisso e risorto (cfr Ph 2,5). Se Papa Paolo VI ebbe a sperimentare la sofferenza, nel fondo del suo cuore c'era la gioia, quella che nasce dal compimento fedele del dovere quotidiano, dalla partecipazione alle sofferenze di Cristo, dall'attesa della beata speranza della gloria celeste. E per questo egli, proprio in un periodo particolarmente travagliato del suo pontificato, ha potuto parlare con accenti così intensi e sentiti della gioia cristiana, nell'esortazione apostolica già citata, "Gaudete in Domino". Questa gioia, diceva il Papa, nasce da una "trasfigurazione delle umili gioie umane, che sono nella nostra vita come i semi di una realtà più alta" (III), di una gioia divina e trascendente che si conquista attraverso l'accettazione della croce nella fedeltà a Cristo ed alla missione da lui ricevuta. Nell'accoglimento della Parola di Dio, osservava ancora il Pontefice, la pena stessa dell'uomo si trova trasfigurata, mentre la pienezza della gioia sgorga dalla vittoria del Crocifisso, dal suo Cuore trafitto, dal suo Corpo glorificato, e rischiara le tenebre delle anime: "Et nox mea illuminatio mea in deliciis meis ("Praeconium Paschale")" (III).

La gioia cristiana è la gioia della Trasfigurazione, che è a sua volta pregustazione della gioia ineffabile ed eterna della Gerusalemme celeste. Mi piace pensare che la morte di Papa Paolo VI nel giorno stesso della Trasfigurazione sia come un segno profetico: egli infatti, in quelle parole per l'"Angelus" del 6 agosto 1978, che non potè pronunciare, vedeva nel fatto evangelico "il trascendente destino della nostra natura umana, che (Cristo) ha assunto per salvarci, destinata anch'essa, perché redenta dal suo sacrificio d'amore irrevocabile, a partecipare alla pienezza della vita... Quel corpo, che si trasfigura davanti agli occhi attoniti degli apostoli - continuava Paolo VI - è il Corpo di Cristo nostro fratello, chiamato alla gloria; quella luce che lo inonda è e sarà anche la nostra parte di eredità e di splendore" ("Insegnamenti di Paolo VI", XVI, [1978] 588).


5. Il travaglio personale di Paolo VI, nell'intima incrollabile fiducia in Cristo e nell'assistenza dello Spirito Santo, giunge quasi a confondersi col travaglio della Chiesa, sposa di Cristo, tutta protesa a realizzare la volontà del Signore, così come si è espressa negli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Ogni vero rinnovamento è costoso, richiede di rinunciare alla propria volontà per compiere quella del Padre, così come essa si manifesta in coloro che hanno la responsabilità di guidare le anime.

Paolo VI ha fatto totalmente suoi gli interessi della Chiesa e così, abbiamo come un riflesso del cammino stesso della sposa di Cristo verso un'èra nuova della sua storia, in un faticoso ma sostanzialmente gioioso processo di "trasfigurazione". così infatti Paolo VI ha inteso il rinnovamento conciliare.

Egli lo ha descritto come sforzo della Chiesa per essere come Cristo la vuole, in tensione verso quella "perfezione", che corrisponde alla "concezione ideale, nel pensiero divino" ("Ecclesiam Suam", II, 193); come reazione di "nuove energie, rivolte a quella santità che Cristo c'insegno e che, con il suo esempio, la sua parola, la sua grazia, la sua scuola, sorretta dalla tradizione ecclesiastica, fortificata dalla sua azione comunitaria, illustrata dalle singolari figure dei santi, rende a noi possibile conoscere, desiderare ed anche conseguire" ("Ecclesiam Suam", II, 193).

Rinnovamento vuol dire altresi "rendere quanto più agevole sia possibile, in armonia col carattere soprannaturale che le è proprio, la pratica della vita cristiana", la quale ha certo una sua intrinseca austerità, che pero non dev'essere esagerata, giacché, come dice il Signore, "il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero" (Mt 11,30). Si tratta, dice ancora Papa Paolo, di "mondare e ringiovanire il volto della Santa Chiesa" ("Ecclesiam Suam", 22), senza alterarne "la concezione essenziale e le strutture fondamentali" ("Ecclesiam Suam", 23), così da poter conservare anche per oggi "l'eredità intatta e viva della tradizione apostolica" ("Ecclesiam Suam", 23).

Anche sul modo di questo rinnovamento Paolo VI è stato esplicito: "Non tanto cambiando le sue leggi esteriori la Chiesa ritroverà la sua rinascente giovinezza, quanto mettendo interiormente il suo spirito in attitudine di obbedire a Cristo, e perciò di osservare quelle leggi che la Chiesa nell'intento di seguire la via di Cristo prescrive a se stessa: qui sta il segreto del suo rinnovamento, qui la sua metanoia, qui il suo esercizio di perfezione" ("Ecclesiam Suam", 28).

così il vero rinnovamento sarà uno stimolo ad una maggiore perfezione spirituale.


6. Questi insegnamenti di Papa Montini sono attuali. Il rinnovamento conciliare è ancora in corso ed è ben lungi dall'essersi pienamente attuato; occorre ovviamente evitarne certe false interpretazioni o attuazioni, dalle quali il compianto Pontefice ci ha messo in guardia nella sua prima enciclica.

Preghiamo perché come quel grande Pontefice confermo nella fede il Popolo di Dio, che gli era stato affidato, così non cessi ora col suo esempio, col suo amore, con la sua intercessione di assistere la Chiesa che tanto ha amato e per la quale si è prodigato perché continui ad essere nel mondo la luce di Cristo, e a irradiare sugli uomini gli splendori della sua Trasfigurazione.

1989-08-06

Domenica 6 Agosto 1989




Ai fedeli riuniti - recita dell'Angelus, Catel Gandolfo, (Roma)

Paolo VI, Papa della Trasfigurazione


Cari fratelli e sorelle!


1. In questa domenica, in cui la liturgia celebra la festa della Trasfigurazione del Signore sul monte Tabor, la Vergine Maria ci chiama qui a raccolta per meditare su questo ineffabile mistero, come ci viene presentato dalle pagine dei Vangeli, in cui risuonano le parole del Padre: "Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo" (Mc 9,7 par). Obbediente a questo comando, la Chiesa vive in continuo ascolto della voce del Figlio di Dio, nel quale riconosce il suo Signore, facendosi banditrice della sua lieta Novella in mezzo agli uomini di ogni tempo e di ogni luogo.


2. Di questo messaggio evangelico fu testimone intrepido ed annunciatore instancabile il Papa Paolo VI, mio venerato predecessore, che proprio il 6 agosto di undici anni or sono, anche allora domenica della Trasfigurazione, veniva chiamato dalla luce di questo a quella del cielo. Si può dire che la festa della Trasfigurazione abbia segnato in modo singolare, quasi profetico, il servizio ecclesiale di quel grande Pontefice, tanto che egli si potrebbe definire - come mi sono espresso altre volte - "il Papa della Trasfigurazione". Infatti, la prima enciclica del suo pontificato, la programmatica "Ecclesiam Suam", porta la data del 6 agosto; e in quello stesso giorno si concludeva la sua vicenda terrena.

Si può dire, anzi, che tutta la sua vita fu una continua trasfigurazione alla scuola del Signore Gesù Cristo "luce del mondo" (Jn 8,12). Paolo VI infatti non si stanco di mettere in guardia i fedeli contro le tentazioni di rendere opaco lo spirito, sottomettendolo al dominio dei sensi. Alla luce del Risorto e della Vergine assunta, egli inculco negli animi l'amore alla Chiesa, trasparenza di Dio sulla terra, la forza della verità che ci rende liberi, e il gusto della bellezza di chi sa riscattare il proprio corpo dalla corruzione del peccato con l'aiuto della grazia dei sacramenti; di chi sa ridare dignità alla propria persona per conseguire titolo all'immortalità sovrumana della risurrezione e della vita eterna.


3. Sentiamo il dovere di ringraziare il Signore per aver dato alla Chiesa un tale maestro e Pastore che ha saputo amarla, difenderla ed illustrarla con parola sapiente e con la vita penitente ed operosa per la gloria di Dio e la salvezza delle anime; con i suoi scritti convincenti e con la sua esistenza consacrata alla testimonianza della fede cattolica egli seppe aiutare i cristiani ed ispirare la società umana, da lui tanto amata.

Innanzitutto la nostra preghiera a Maria, che Paolo VI nella citata enciclica invocava come "la beatissima, la dolcissima, l'umilissima, l'immacolata creatura, a cui tocco il privilegio di offrire al Verbo di Dio la carne umana nella sua primigenia e innocente bellezza" ("Ecclesiam Suam", 59) affinché ottenga a lui la pace eterna e a noi la forza di seguire i suoi insegnamenti e i suoi esempi, mentre lo contempliamo nell'abbraccio del Cristo trasfigurato.

1989-08-06

Domenica 6 Agosto 1989







GPII 1989 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Ai fedeli riuniti, Castel Gandolfo (Roma)