GPII 1989 Insegnamenti - In occasione del quarantaquattresimo Congresso Eucaristico Internazionale - Città del Vaticano (Roma)

In occasione del quarantaquattresimo Congresso Eucaristico Internazionale - Città del Vaticano (Roma)

Lettera al Cardinale Roger Etchegaray


Al nostro venerabile fratello Cardinale Roger Etchegaray.

Ci sembra impossibile che siamo passati più di cinque anni da quando abbiamo avuto la possibilità di vedere sperimentare la forza sempre crescente della religione cristiana e il mirabile fiore della fede cattolica nella nobile nazione della Corea, quando nel nostro viaggio apostolico celebravamo l'anniversario della conversione al cristianesimo di quel popolo. Ci sembra che non avrebbe potuto verificarsi un avvenimento più opportuno del prossimo quarantaquattresimo Congresso Eucaristico Internazionale, che si celebrerà nel mese di ottobre nella medesima fertile terra e presso il medesimo fedelissimo popolo.

Si può perciò comprendere facilmente con quanta attesa, con quanta sollecitudine paterna, con quanta attenzione del nostro apostolato universale ci prepariamo a ritornare in quella stessa comunità e in quella lieta accolita dei fratelli nell'Episcopato e dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose che con la loro fertile attività e con l'opera indefessa costruiscono ogni giorno e accrescono la Chiesa di Dio in quei luoghi e preparano il tempo della futura evangelizzazione, risplendendo di fulgida luce per le altre Chiese particolari nel mondo ad esempio e forte incitamento.

A quel Congresso Eucaristico che si celebrerà felicemente e salutarmente dal 5 all'8 ottobre, in parte saremo presenti noi stessi, in parte da lontano guarderemo con sollecita attenzione. Perché nessun momento della celebrazione manchi nel nostro favorevole consenso e perché non sembri mancare a nessun suo atto peculiare la nostra stessa efficace presenza e la voce e la suprema autorità, vogliamo che sia presente dall'inizio alla fine del congresso di Seoul l'interprete del nostro pensiero e il pubblico oratore che a nome nostro presieda alle celebrazioni e conferisca la massima importanza a questa singolare esperienza di devozione eucaristica e di illuminata religiosità.

Con questa nostra lettera, perciò, nominiamo te, nostro venerabile fratello, che conosci il nostro pensiero e l'efficacia e l'utilità pratica di questi convegni, come nostro inviato speciale al quarantaquattresimo Congresso Eucaristico Internazionale che si terrà dal 5 all'8 ottobre, dove parlerai a nome nostro, quando la situazione lo richiederà, e inviterai secondo l'intenzione dello stesso Vicario di Cristo a raccogliere frutti più abbondanti e sostanziosi di grazie da un culto tanto insigne del mistero eucaristico da tutta la comunità della Chiesa cattolica universale.

1989-09-02

Sabato 2 Settembre 1989




L'omelia della Messa per la festa di san Sebastiano - Castel Gandolfo (Roma) - Domenica 3 Settembre 1989


"Non abbiate paura di soffrire per la fede e per la giustizia"


1. "Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscero davanti al Padre mio che è nei cieli" (Mt 10,32).

Con queste parole di Cristo, che sembrano in qualche modo riassumere lo spirito e la tenace testimonianza del martire Sebastiano, vostro celeste patrono, porgo a tutti voi, fedeli di Castel Gandolfo e pellegrini qui convenuti, il mio affettuoso e cordiale saluto.

Siamo radunati per commemorare un santo, la cui testimonianza di fede, narrata dai padri della Chiesa come Ambrogio e Gregorio, o da antichissime e pie tradizioni, come la "Passio Sancti Sebastiani" del V secolo, ha commosso i cristiani di ogni tempo.

Ambrogio dice che proprio per dare prova della sua fede Sebastiano venne a Roma, dove la persecuzione era più intensa, qui sofferse, qui fu coronato della gloria del martirio, qui raggiunse la dimora dell'immortalità. Il Papa san Gregorio lo esalta come soldato e martire di Cristo, difensore della Chiesa, e patrono di Roma, insieme a Pietro e Paolo.


2. L'esempio di Sebastiano, nella luce della Parola divina, può offrirci spunti di riflessione validi anche per il tempo presente, per il tempo in cui noi siamo chiamati a vivere la fede. Il primo spunto ci viene offerto mediante una parola del Vangelo: "Non abbiate paura".

Si tratta di un invito pressante di Gesù a bandire dall'anima ogni timore e ad avere coraggio. La parola è rivolta agli apostoli, chiamati a compiere la missione dell'annuncio in una maniera pubblica, forte, decisa, anche se ciò può mettere a repentaglio la loro vita.

Il coraggio cristiano si fonda sulla consapevolezza che Dio ama i suoi discepoli fedeli, dei quali egli ha cura, perché essi valgono di più delle altre creature: "Voi valete più di molti passeri". Non avverrà che la vita dell'uomo possa essere tolta o offesa senza che il Padre celeste lo sappia. Nemmeno la fine della vita del martire, oggetto della persecuzione del mondo contro il Vangelo e contro Cristo, può accadere al di fuori di un disegno divino. Tale disegno, che porta a perfezione la grazia della testimonianza, dona al martirio il valore di un atto di piena comunione con la Croce di Cristo.

"Non abbiate paura". La paura, infatti, può condizionare la libertà delle scelte e spingere a decisioni in contrasto con i propri convincimenti. Ma come superare la paura? Gesù stesso indica la strada per dominare questo istinto, radicato così profondamente nell'essere umano. La strada sta nella scoperta dell'amore personale di Dio per ciascuno, nella scoperta della sollecitudine amorosa con cui egli segue le vicende anche più insignificanti dei suoi figli.

In forza di tale scoperta l'uomo non si sente più solo; egli sa di potersi abbandonare con totale fiducia alla provvida saggezza di un Padre che non permette alcun male se non in vista di un bene più grande.


3. Ciò che innanzitutto si richiede dal cristiano è, dunque, che egli ravvivi nel suo cuore l'occhio interiore della fede, così da arrivare a riconoscere in ogni evento della propria vita la presenza rassicurante di Cristo che, se ha sofferto fino a morire sulla Croce, ha poi trionfato definitivamente della morte e vive ora glorioso presso il Padre.

In questo senso l'apostolo Pietro raccomanda: "Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori" (1P 3,17).

"Nei vostri cuori", cioè nel profondo della vostra personalità umana.

Ciascuno infatti deve costruire come dal di dentro della propria esistenza l'atteggiamento fondamentale della fedeltà e del coraggio. E' una costruzione che si opera progressivamente, con l'aiuto della grazia e con scelte coerenti, agendo con perseveranza, accettando pazientemente i ritmi talvolta alterni dello sviluppo della personalità, affinando lo spirito nella fatica.

"Nei vostri cuori", cioè organizzando in modo nuovo la vita intera, sulla base della docilità alla parola del Vangelo, accolta con rettitudine, "con una coscienza retta", affinché le scelte morali, corrispondenti alla santità voluta dal Signore, costituiscano giorno dopo giorno il fondamento di una crescita fino "allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (Ep 4,13).


4. Solo così la "paura" potrà essere vinta e sarà possibile adorare il Signore, superando gli ostacoli che generano timore e scoraggiamento.

Non possiamo chiudere gli occhi, infatti, di fronte alle molteplici minacce del mondo che ci circonda. In ogni epoca della storia il cristiano deve "soffrire per la giustizia". Non sono forse motivo di sofferenza per il cristiano di oggi la critica esasperata ai contenuti della fede, lo scetticismo e il cinismo spregiudicato circa i valori morali, circa il significato della famiglia e l'impegno per salvaguardarne la consistenza? Non si sente egli forse insidiato nella sua interiorità da quelle circostanze tipiche della società del benessere, o della logica del profitto ad ogni costo, che inducono alla passività, all'egoismo, al disimpegno ed all'isolamento? Quanto pertinente è, dunque, l'esortazione dell'Apostolo: "Non vi sgomentate per paura di chi vi perseguita..., pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1P 3,14s)! E quanto saggia l'ammonizione a formarsi una "retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangono svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo" (1P 3,16)!


5. "Ti glorifichero, Signore mio re, ti lodero, Dio mio salvatore; glorifichero il tuo nome, perché fosti mio protettore e mio aiuto ed hai liberato il mio corpo dalla perdizione". (Si 51,1).

Questa preghiera del Siracide noi amiamo oggi immaginarla sulle labbra di Sebastiano, testimone della fede. La sofferenza del martire comprende anche l'angoscia interiore quando, di fronte agli uomini, egli si sente perduto ed abbandonato: "Mi rivolsi per soccorso agli uomini, ma invano" (Si 51,7).

Tale è anche la quotidiana fatica del credente, quando è posto di fronte alla necessità di rendere conto della sua fede in situazioni continuamente nuove e difficili, che egli sente come il "soffocamento di una fiamma avvolgente" (Si 51,4).

Ma la prova, se superata, è destinata a formare una fede più autentica, proprio perché più provata. Impariamo perciò anche noi ad elevare a Dio, tra le prove che nella sua provvidenza egli permette, la preghiera che la liturgia oggi ci suggerisce: "Signore, mio padre tu sei autore della mia salvezza, non mi abbandonare nei giorni dell'angoscia, nel tempo dello sconforto e della desolazione" (Si 51,10).

Tale preghiera noi rivolgiamo a Dio, insieme con il martire Sebastiano, insieme con tutti coloro che hanno subito la desolazione della persecuzione e l'hanno superata con fede; insieme con tutti coloro che, nell'intimo delle angoscianti prove dell'anima, hanno operato una scelta coraggiosa, quella di fidarsi di Dio e della sua Parola, di credere alla voce ed alla chiamata di Cristo, di accogliere l'annuncio che la morte e la Risurrezione sono le due fasi inscindibili dell'unico mistero di Cristo.

"Per questo ti ringraziero e ti lodero, benediro il nome del Signore" (Si 51,11). Amen!



Recita dell'Angelus - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Nel Cuore di Cristo ha avuto luogo la perfetta riconciliazione tra cielo e terra


"Cuore di Gesù, nostra pace e riconciliazione abbi pietà di noi".


1. Carissimi fratelli e sorelle.

Recitando con fede questa bella invocazione delle litanie del Sacro Cuore, un senso di fiducia e di sicurezza si diffonde nel nostro animo: Gesù è veramente la nostra pace, la nostra suprema riconciliazione.

Gesù è la nostra pace. E' noto il significato biblico del termine "pace": esso indica, in sintesi, la somma dei beni che Gesù, il Messia, ha portato agli uomini. Per questo, il dono della pace segna l'inizio della sua missione sulla terra, ne accompagna lo svolgimento, ne costituisce il coronamento. "Pace" cantano gli angeli presso il presepe del neonato "Principe della Pace" (cfr Lc 2,14 Is 9,5). "Pace" è l'augurio che sgorga dal Cuore di Cristo, commosso dinanzi alla miseria dell'uomo infermo nel corpo (cfr Lc 8,48) o nello spirito (cfr Lc 7,50). "Pace" è il saluto luminoso del Risorto ai suoi discepoli (cfr Lc 24,36 Jn 20,19 Jn 20,26), che egli, al momento di lasciare questa terra, affida all'azione dello Spirito, sorgente di "amore, gioia, pace" (Ga 5,22).


2. Gesù è, al tempo stesso, la nostra riconciliazione. In seguito al peccato si è prodotta una profonda e misteriosa frattura tra Dio, il creatore, e l'uomo, sua creatura. Tutta la storia della salvezza altro non è che il resoconto mirabile degli interventi di Dio in favore dell'uomo perché questi, nella libertà e nell'amore, ritorni a lui; perché alla situazione di frattura succeda una situazione di riconciliazione e di amicizia, di comunione e di pace.

Nel Cuore di Cristo, pieno di amore per il Padre e per gli uomini, suoi fratelli, ha avuto luogo la perfetta riconciliazione tra cielo e terra: "Siamo stati riconciliati con Dio - dice l'Apostolo - per mezzo della morte del Figlio suo" (Rm 5,10).

Chi vuol fare l'esperienza della riconciliazione e della pace deve accogliere l'invito del Signore e andare da lui (cfr Mt 11,28). Nel suo Cuore troverà pace e riposo; là, il suo dubbio si muterà in certezza; l'affanno, in quiete; la tristezza, in gioia; il turbamento, in serenità. Là troverà sollievo al dolore, coraggio per superare la paura, generosità per non arrendersi all'avvilimento e per riprendere il cammino della speranza.


3. In tutto simile al Cuore del Figlio è il cuore della Madre. Anche la beata Vergine è per la Chiesa una presenza di pace e di riconciliazione: non è lei che, per mezzo dell'angelo Gabriele, ha ricevuto il più grande messaggio di riconciliazione e di pace, che Dio abbia mai inviato al genere umano (cfr Lc 1,26-38)? Maria ha dato alla luce colui che è la nostra riconciliazione; ella stava accanto alla Croce, allorché, nel sangue del Figlio Dio ha riconciliato "a sé tutte le cose" (Col 1,20); ora, glorificata in cielo, ha - come ricorda una preghiera liturgica - "un cuore pieno di misericordia verso i peccatori, / che volgendo lo sguardo alla sua carità materna / in lei si rifugiano e implorano il perdono" di Dio (cfr. ""Missale Romanum", Praefatio "de Beata Maria Vergine"").

Maria, regina della pace, ci ottenga da Cristo il dono messianico della pace e la grazia della riconciliazione, piena e perenne, con Dio e con i fratelli.

Per questo la preghiamo.

1989-09-03

Domenica 3 Settembre 1989




A presuli dell'India in visita "ad limina" - Castel Gandolfo (Roma)

L'incremento della vita religiosa al centro del ministero individuale e collettivo dei Vescovi


Cari fratelli Vescovi.


1. Nel corso dell'anno ho già avuto il piacere di incontrare in due occasioni gruppi di Vescovi provenienti da diverse regioni dell'India. Oggi sono lieto di ricevere voi, Pastori della Chiesa nelle provincie ecclesiastiche di Ranchi e Hyderabad, insieme con alcuni Vescovi di altre giurisdizioni che hanno fissato insieme a voi la loro visita "ad limina". Vi saluto con l'augurio di san Paolo agli Efesini: "La grazia sia con tutti quelli che amano il Signore nostro Gesù Cristo, con amore incorruttibile" ().


2. Il tema generale delle mie conversazioni con i Vescovi dell'India è stata la Chiesa, sacramento della nostra unione con Dio e di unità di tutto il genere umano. Come Vescovi, voi siete pienamente consacrati, soprattutto in ragione della grazia sacramentale ricevuta, attraverso l'imposizione delle mani, a servire con amore il Corpo di Cristo, la famiglia della fede, una parte del quale è stato affidato alla vostra cura e sollecitudine quotidiana. Parlando a un gruppo precedente di Vescovi indiani, ho già ricordato la necessità di riferirsi in modo esplicito a Cristo e alla Chiesa in tutto il ministero pastorale. Non esiste vita o servizio ecclesiale che non siano chiaramente fondati sulla suprema grazia della Redenzione. che si è realizzata nel mistero pasquale del Salvatore e viene resa presente e celebrata nel "sacramento della fede" con cui le persone vengono condotte alla santità e la Chiesa viene edificata e Dio viene opportunamente onorato (cfr SC 59).

Anche se oggi ci sono alcuni che vorrebbero limitare o ridurre il Vangelo a un'impegno puramente umanitario di buon vicinato o a un lavoro per il "progresso" sociale, che pure sono necessaria e giusta preoccupazione, è compito dei Vescovi ricordare il grido del grande apostolo Paolo: "Quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso" (1Co 2,1-2). La vita della Chiesa in ciascuno dei suoi membri e in ciascuna comunità è vita in Cristo attraverso lo Spirito, una vita di grazia e di santità, alimentata dalla Parola di Dio e sostenuta dall'assidua partecipazione ai sacramenti e una instancabile lotta contro la tentazione e il peccato, affinché possa vincere l'amore. L'obiettivo primario del vostro ministero pastorale di Vescovi in ogni Chiesa particolare deve essere il rafforzamento della comunione dei fedeli con la Santissima Trinità.


3. E' chiaro che la comunità ecclesiale sarà meglio preparata al compimento della missione che promana dal Battesimo quando i suoi membri vivono una profonda attenzione per la santità di vita e l'obbedienza a Dio. Il mistero della comunione che rende la Chiesa "un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (cfr LG 4) è la sorgente di un'attività dinamica che riceve il suo impulso e la sua direzione dallo Spirito mandato da Cristo per guidare e santificare i suoi discepoli fino alla fine dei tempi. La vostra azione evangelizzatrice e missionaria mira a comunicare la conoscenza e l'esperienza della salvezza e della libertà portate da Gesù Cristo. Le parole della prima lettera di san Giovanni sono degne di costante meditazione da parte dei Vescovi e dei loro collaboratori: "Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi" (1Jn 1,3). Tutta la storia della Chiesa dagli inizi testimonia del fatto che la presenza cristiana è soprattutto una storia di santità e virtù, di fedeltà generosa a Dio, spesso fino al martirio.

Perché la Chiesa possa compiere la sua missione evangelizzatrice è necessario che ogni Chiesa particolare sia rafforzata in questo compito dall'essere essa stessa continuamente evangelizzata. Dalla profondità della vita di fede, speranza, carità scaturiscono tutti gli altri aspetti della vita della Chiesa nel vostro Paese, come l'azione nel campo dell'educazione e della sanità, il servizio ai poveri che è il grande segno della presenza di Cristo e l'espressione autentica della vitalità delle vostre comunità cristiane.

Nell'ambiente multiculturale e multireligioso del vostro Paese, la comunità ecclesiale ha una vocazione particolare a promuovere la riconciliazione e la comprensione nel popolo di origini diverse e di incoraggiare un'aperta e seria riflessione sulle tematiche fondamentali di carattere etico o morale, vecchie e nuove, che sono al cuore del dovere della società di identificare e servire il bene comune di tutti i suoi membri. Tutto questo richiede un chiaro senso della nostra vocazione e missione cristiana.


4. Oggi desidero parlare anche della speciale responsabilità pastorale dei Vescovi per la crescita e lo sviluppo della vita consacrata dei religiosi. "I consigli evangelici, per mezzo della carità alla quale conducono, congiungono in modo speciale i loro seguaci alla Chiesa e al suo mistero" (LG 44). Per questo il vostro servizio ai religiosi è una componente essenziale del vostro ministero di Vescovi. Il vostro primo obbligo a questo proposito è certamente di amare e difendere questo "dono divino, che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e colla sua grazia sempre conserva" (LG 43). I Pastori della Chiesa in India devono essere colmi di gratitudine per quanto la vita religiosa ha significato e significa ora per la vita della comunità ecclesiale nel vostro Paese. Dovete essere ispirati ed edificati dall'abnegazione e dalla dedizione della moltitudine di religiose e religiosi che testimoniano la vita evangelica in mezzo a voi.

Ho notato con piacere che la conferenza dei religiosi dell'India (CRI) ha deciso questo tema per la sua assemblea nazionale del dicembre 1989: "Il ruolo dei religiosi nell'evangelizzazione nella situazione indiana". Al dibattito su questo tema i religiosi porteranno la grande eredità della loro esperienza di secoli di evangelizzazione in ogni parte dell'India, in tutti i settori della popolazione. In questo campo i religiosi e le religiose sanno che non lavorano per se stessi, che la responsabilità ultima della vita e della missione della Chiesa è dei Vescovi in unione con il successore di Pietro, e che pertanto devono aver cura di integrare e coordinare il loro apostolato con quello delle diocesi in cui operano. Essi sanno che non si tratta di reinventare continuamente il lavoro di evangelizzazione o di cambiare sempre scopi e metodi, ma di perseverare saggiamente e coraggiosamente nell'essenziale, adattando quegli aspetti che, una volta migliorati, fanno sperare in grandi benefici.


5. Il ministero del Vescovo nei confronti dei religiosi presenti nella sua diocesi è della stessa natura del suo ministero verso tutto il Popolo di Dio. E' per compiere la missione sacerdotale, profetica e pastorale a lui affidata da Cristo in quanto membro dell'ordine episcopale. Poiché i religiosi appartengono inseparabilmente alla vita e alla santità della Chiesa (cfr LG 44), egli deve esortarli con la parola e l'esempio a restare saldi nella strada della "sequela Christi" nella quale i loro voti li hanno radicalmente inseriti. Egli dovrebbe trovare delle occasioni per spezzare il pane eucaristico e il pane della parola di vita insieme a loro, per partecipare ad alcuni momenti di vita delle loro comunità nella comunione fraterna ed ecclesiale, con rispetto per la vita di ogni comunità secondo il suo carisma e le norme canoniche.

Un Vescovo ha una grande responsabilità di predicare il Vangelo e insegnare il modo di vita cattolico a tutto il suo popolo, compresi i religiosi e le religiose. Ha il diritto e il dovere di assicurare che venga insegnata e presentata nella sua diocesi la corretta dottrina. Questo comporta, qualora sia il caso, il compito di presentare una corretta esposizione teologica della stessa vita religiosa. In questo egli non si sostituisce ai responsabili della formazione nelle comunità religiose, ma il suo compito è di dare testimonianza autorevole alla verità divina e cattolica (cfr LG 25), e in questo modo diventare un sicuro punto di riferimento per tutti i membri della Chiesa che cercano di identificarsi con Cristo che è la via, la verità e la vita.

Come Pastore, è dovere del Vescovo guidare la Chiesa particolare alla pienezza della vita cristiana. Questo dovere è particolarmente urgente in questioni liturgiche, nella cura delle anime e nella salvaguardia del bene pubblico della Chiesa. In tutti questi campi sono importanti il dialogo e la comunicazione con i religiosi che prestano servizio nelle vostre diocesi per il bene della comunità ecclesiale e per l'unità dell'azione pastorale. A questo proposito, degli incontri con i superiori maggiori dei religiosi sono una condizione necessaria per la comprensione e la collaborazione e, di conseguenza, il lavoro del comitato congiunto CBCI-CRI merita il vostro sostegno e incoraggiamento.


6. Cari fratelli: nel descrivere brevemente il ruolo del Vescovo in rapporto con la vita religiosa, la mia intenzione è anzitutto di esortarvi a fare dello sviluppo della vita religiosa una delle preoccupazioni fondamentali del vostro ministero individuale e collettivo. Lo farete, proponendo ai vostri religiosi alcuni specifici obiettivi come l'importanza di promuovere un sempre maggior senso della comunità e della vita consacrata tra gli stessi religiosi, la selezione e formazione dei candidati alla vita religiosa, l'eliminazione di tensioni che possono talvolta esistere tra religiosi e religiose e clero diocesano, una giusta inculturazione della vita religiosa che purifica anche certi aspetti delle culture locali, e in particolare la dignità e il ruolo delle donne nella società.

Preparandovi a tornare nelle vostre diocesi, vi chiedo di portare il mio saluto e la mia benedizione ai vostri sacerdoti, religiosi e laici. Ogni giorno nella preghiera io ricordo voi e i vostri collaboratori nella vigna del Signore, invocando su di voi la sollecitudine materna di Maria, nostra madre nella fede. Vi chiedo di essere autentici amici e padri del vostro popolo, offrendogli sempre l'esempio del Buon Pastore che dà la vita per le pecore.

"Ringrazio il mio Dio a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente, e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù" (Ph 1,5-6). Con la mia apostolica benedizione.

1989-09-04

Lunedi 4 Settembre 1989




Ad un gruppo di pellegrini del Senegal - Castel Gandolfo (Roma)

Continuate a spandere intorno a voi il messaggio di pace di Cristo


Cari fratelli e sorelle del Senegal.

Benvenuti in questo luogo dove vi ricevo con grande gioia in occasione del vostro pellegrinaggio in Terrasanta e a Roma, guidati da monsignor Adrien Théodore Sarr, Vescovo di Kaolak e Presidente della Conferenza Episcopale del Senegal, che sono lieto di salutare.

Un saluto cordiale anche a sua eccellenza André Coulbary e ai membri dell'ambasciata del Senegal, che lo accompagnano.

Avete appena visitato il paese di Gesù e ne avete approfittato per approfondire il suo messaggio, scoprendo le località dove egli ha vissuto, pregato, predicato, guarito i malati, costituito i primi discepoli della sua Chiesa e dove è morto offrendo la sua vita per la salvezza del mondo. Vi siete recati alla sua tomba dove le donne sono state le prime testimoni della Risurrezione.

Ed eccovi ora a Roma, dove sono venuti gli apostoli Pietro e Paolo, dove hanno versato il loro sangue per il loro amatissimo Maestro.

Sulla tomba di Pietro, l'umile pescatore di Galilea, si innalza la grandiosa Basilica che è il centro di attrazione dove confluisce la folla incessante dei pellegrini, dei visitatori e dei turisti.

E presso la tomba di Pietro si trova la Sede del suo successore, il Papa. Con i Vescovi, successori degli apostoli, il Papa è alla guida della Chiesa fondata da Gesù Cristo.

Questa Chiesa è aperta a tutti. Quattro, lo sapete, sono le sue caratteristiche essenziali. Essa è una, vive della stessa fede e dello stesso culto reso a Dio. Essa è santa, per il suo Fondatore, per il dono del Battesimo che santifica tutti i suoi membri e li spinge sulla via del Vangelo che sono chiamati a percorrere fino alla perfezione con l'aiuto dello Spirito Santo: "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48). Essa è cattolica, perché è istituita a favore di tutti i popoli, per tutta l'umanità.

Infine essa è apostolica, perché fondata sugli apostoli e retta dai loro successori, il Papa e i Vescovi uniti al Papa.

Auspico che il vostro pellegrinaggio a Roma rafforzi il vostro attaccamento e la vostra fedeltà alla Chiesa. Tornando in Senegal, continuerete ad edificarla, con i vostri pastori, dando ciascuno il proprio contributo personale, che è indispensabile. Soprattutto, continuerete a diffondere intorno a voi il messaggio di pace di Cristo, nel rispetto dell'identità religiosa delle persone con in cui vivete.

Nella vostra preghiera nella Basilica di san Pietro, non mancate di chiedere al grande Apostolo il dono della sua fede solida, lui che disse a Gesù: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,68).

Di tutto cuore vi benedico insieme alle vostre famiglie e i vostri amici del Senegal.

1989-09-04

Lunedi 4 Settembre 1989




A pellegrini della diocesi di Regensburg - Castel Gandolfo (Roma)

La nuova evangelizzazione scaturisce dalla fedeltà alla tradizione cristiana


Signor Vescovo, sorelle e fratelli carissimi della diocesi di Regensburg! Milleduecentocinquanta anni fa, nel 739, san Bonifacio lascio Roma per recarsi a Regensburg dove, su incarico del Papa, doveva predicare l'unità nella fede ed istituire il vescovado di Regensburg. Oggi, a milleduecentocinquanta anni dalla fondazione della vostra diocesi, siete venuti a Roma per provare la comunione della Chiesa nella preghiera, nella fede e nelle esperienze comunitarie.

I fedeli della vostra diocesi si sono recati in pellegrinaggio alla tomba di san Bonifacio a Fulda al motto del giubileo "Il futuro appartiene ai credenti". Ho ricevuto un loro telegramma ed ho gioito per questa prova d'affetto.

Quest'anno ho nominato Basilica la chiesa di Sankt Jakob di Straubing. Il legame particolare esistente tra questa chiesa ed il successore di san Pietro, deve diffondersi a tutta la vostra diocesi.

La ricca storia della fede del vostro vescovado è stata da voi ampiamente ricordata con delle mostre ed i venticinquemila cattolici che hanno partecipato a questa vostra celebrazione sono prova della viva fede che anima la vostra diocesi.

E' particolarmente significativo il fatto che il giubileo della Chiesa di Regensburg non sia stato festeggiato solo entro i confini della diocesi. Vi siete infatti recati a Fulda, ed ora siete qui per visitare le tombe dei santi apostoli Pietro e Paolo. In questo momento voi rappresentate tutti i vostri fratelli e le vostre sorelle di Regensburg. Poiché il futuro sarà dei credenti solo se essi non terranno la fede solo per sè. La nostra fede si nutre della testimonianza comunitaria e con la Chiesa. Dobbiamo provare la nostra fede oltre gli stretti confini della nostra vita quotidiana e diffonderla a tutto il mondo.

Noi tutti siamo preoccupati per l'avvenire della fede cristiana in Europa. Io stesso non mi stanco mai di esortare alla rievangelizzazione di questo continente. Col motto "Il futuro appartiene ai credenti" anche voi vi siete uniti a questo appello. Con esso esprimete la vostra fiducia per l'avvenire della nostra fede in Europa. La vostra celebrazione del giubileo ha dimostrato che siete personalmente impegnati per la riuscita di questo rinnovamento e che volete dare una nuova svolta alla vita nell'ambito familiare, comunitario e del lavoro.

Vi esorto quindi a proseguire su questa strada per il rinnovamento della fede e ad approfondire e sviluppare in modo pastorale le molteplici esperienze spirituali vissute nell'anno del giubileo. così l'anno del giubileo diverrà per voi, per la Chiesa di Regensburg e per tutta la Chiesa della Baviera un anno di grazia, benedizione e salvezza.

Il vostro Paese ha subito notevoli cambiamenti dai tempi di san Bonifacio. Oggi appartenete ad una delle nazioni più ricche del mondo! Siate coscienti della responsabilità che ne deriva! Proprio dalla vostra disponibilità nei confronti del mondo intero dipende in quale misura il futuro apparterrà ai credenti.

Quest'anno la vostra diocesi si recherà in pellegrinaggio ad Altotting insieme ad altre diocesi nominate nello stesso anno: Salzburg, Munchen Freising e Passau. In questo modo vi avviate sul cammino del futuro accompagnati da Maria, madre di nostro Signore e di tutti i credenti. Rivolgetevi sempre a Maria, fulgido esempio della fede dell'uomo: Il futuro appartiene (anche se non sempre in modo evidente) ai credenti.

In questo cammino con Maria verso suo Figlio, a voi tutti, alle vostre famiglie ed a tutti i fedeli della diocesi di Regensburg va di cuore la mia benedizione apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

1989-09-05

Martedi 5 Settembre 1989




Ai religiosi non-cristiani giapponesi - Castel Gandolfo (Roma)

Ricordare il passato significa impegnarsi per un futuro di pace


Carissimi e distinti leaders religiosi del Giappone, benvenuti a Roma! Vi ringrazio per l'onore che mi avete fatto, venendomi a trovare dopo il raduno di preghiera per la pace in Varsavia.

Alcuni di voi li ho incontrati otto anni fa a Tokyo; con altri, accogliendo il mio invito di tre anni fa, abbiamo pregato insieme per la pace ad Assisi.

così, mi ricordo bene del venerabile Etai Yamada che ho visto sia a Tokyo che ad Assisi, e ammiro davvero la sua passione per la pace, con la quale anche questa volta, all'età di novantacinque anni, ha guidato la delegazione giapponese a Varsavia.

Voi tutti siete stati in Polonia, mia patria, dove avete commemorato, attraverso la preghiera, il cinquantesimo anniversario dello scoppio della seconda guerra mondiale che ha culminato con le bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki.

Siete anche particolarmente sensibili alla pace perché avuto questa terribile esperienza.

"Ricordare il passato è impegnarsi per il futuro", ho ripetuto nel mio messaggio della pace a Hiroshima, che ho cominciato con queste parole: La guerra è opera dell'uomo. La guerra è distruzione della vita umana. La guerra è morte.

Hiroshima e Nagasaki testimoniano perennemente questa verità.

Ho concluso il discorso con la preghiera che Dio ci desse la forza di rispondere sempre all'odio con l'amore, all'ingiustizia con la dedizione alla giustizia, al bisogno con la nostra condivisione, alla guerra con la pace.

così, come la guerra viene concepita nel cuore umano, anche la pace deve essere generata dal nostro cuore. Nell'incontro coi rappresentanti religiosi giapponesi a Tokyo ho citato la frase del grande Saicho: "Dimenticare se stessi e servire gli altri è l'apice dell'amore-compassione". La legge di Cristo pure si riassume nel comandamento dell'amore: Amare Dio con tutto il cuore e amare il prossimo come se stessi.

Noi, uomini religiosi, desideriamo dare al mondo la testimonianza di rispettarci ed amarci a vicenda e di pregare incessantemente per la pace del mondo.

Con questo augurio porgo i miei cordialissimi saluti a ciascuno di voi e alle vostre famiglie e istituzioni.

1989-09-05

Martedi 5 Settembre 1989









Ai partecipanti all'incontro "Les Journées romaines" - Castel Gandolfo (Roma)

La qualità della vita di una società è fondata sul rispetto dell'uomo

GPII 1989 Insegnamenti - In occasione del quarantaquattresimo Congresso Eucaristico Internazionale - Città del Vaticano (Roma)