GPII 1989 Insegnamenti - Le credenziali dell'ambasciatore della Repubblica Popolare di Polonia - Città del Vaticano (Roma)

Le credenziali dell'ambasciatore della Repubblica Popolare di Polonia - Città del Vaticano (Roma)

"E' un momento significante, un momento storico"


Egregio signor ambasciatore.


1. E' un momento significativo, un momento storico. Si riallacciano i rapporti diplomatici tra la Santa Sede e la Polonia il che significa una piena normalizzazione delle relazioni reciproche tra lo Stato e la Chiesa nel nostro Paese. Lo dimostra tra l'altro la legge del 17 maggio 1989 sull'atteggiamento dello Stato verso la Chiesa nella Repubblica Popolare Polacca, come anche la volontà reciproca di stabilire, nel prossimo futuro, una convenzione, e quindi un importante documento di carattere internazionale. Ad aumentare la gioia mia, della Santa Sede, della Chiesa e, suppongo, di tutta la nazione polacca contribuisce il fatto che questo atto solenne e ufficiale conferma e, in certo qual modo, suggella l'inizio di un grande bene che è comparso sull'orizzonte della nostra storia, un bene che da decine di anni non ha mai cessato di essere oggetto delle aspirazioni dei figli e delle figlie della nostra terra natale la maggior parte dei quali sono, da oltre un millennio, figli e figlie della Chiesa.

Il bene di cui parlo è la creazione delle condizioni in cui l'uomo, i singoli gruppi sociali, i vari ambienti, tutta la Nazione possono realizzare se stessi e il bene comune conformemente alla propria vocazione, coscienza e sensibilità, nella libertà e nel rispetto reciproco della dignità umana. E' un vero dono di Dio, progettato, secondo ciò in cui crede la Chiesa, nell'atto della creazione, e portato alla sua pienezza nel mistero della Redenzione.


2. E' per questo che nel giorno inaugurale del mio pontificato ho esclamato in piazza san Pietro: "aiutate... tutti quanti vogliono servire Cristo, l'uomo e l'umanità intera! Non abbiate paura! Aprite... i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo" ("", I [1978] 35ss).

E nel congedarmi con il mio Paese, dopo il mio primo viaggio pontificio, ho detto: "Questo viaggio è stato di sicuro un atto di coraggio da ambedue le parti. Tuttavia, ai tempi nostri, un tale atto di coraggio è necessario. Bisogna avere il coraggio di camminare nella direzione nella quale nessuno ha camminato finora" ("", I [1978] 1528).


3. Oggi la Polonia è di nuovo il paese del coraggio e degli avvenimenti che hanno forza profetica soprattutto per quelle parti del mondo dove l'uomo soffre ancora.

Dove soffrono gruppi sociali o gruppi che confessano la stessa religione, dove manca una concorde opinione su quel bene che è la stessa persona umana, la sua dignità, e le cose da essa prodotte, e indispensabili all'uomo per essere ad immagine e somiglianza di Dio.

Non sono mancati nella nostra Patria momenti di regresso e di crollo.

Non sono state risparmiate alla Nazione le sofferenze, le umiliazioni e le lacrime che nella Chiesa completano quello che manca ai patimenti di Cristo (cfr Col 1,24) e che, con la forza della sua Risurrezione, sono diventati fonte della vittoria e della letizia.

E non sono mancati da entrambe le parti uomini che, talvolta contro la speranza, si sono sforzati pazientemente per conferire alla Patria e alla società una nuova forma. Per questo sono grato alla Provvidenza divina. Ringrazio anche tutti coloro che hanno avuto il coraggio di pensare e di agire, secondo il metro dei pericoli e dei doveri storici. La società polacca ha fatto molta strada nel corso degli ultimi decenni. La Chiesa vi ha svolto un ruolo importante.

La strada da percorrere è ancora molto lunga e difficile. Gravi compiti rimangono da assolvere. Ci vorranno tanti sacrifici, tanta saggezza, pazienza e coraggio.

Divido con tutta la Nazione la gioia per quel che è nuovo, grande e desiderato. Divido con voi i timori, e tutto il promettente futuro, depongo, per intercessione materna della Regina di Polonia, nelle mani del Dio onnipotente e misericordioso. Confido nelle insondabili risorse spirituali e nelle universali capacità dei miei compatrioti, nella loro saggezza sperimentata nel corso della storia, nella fedeltà alla propria tradizione, e nelle loro facoltà creative che gli permettono non solo di sopravvivere, ma di rinascere sempre di nuovo. Non esiste altra strada che quella del rinnovamento. Ogni passo indietro sarebbe di cattivo auspicio per il mondo odierno. Pertanto oggi ripeto ai miei compatrioti le parole dell'Apostolo: "Comportatevi da cittadini degni del Vangelo, perché nel caso che io venga e vi veda... sappia che state saldi in un solo spirito... Non cerchi ciascuno il proprio interesse, ma anche quello degli altri" (Ph 1,27 Ph 2,4).


4. Signor ambasciatore, per mandato del Presidente della Polonia lei compie l'atto storico di consegnare nelle mie mani le lettere credenziali.

Tra poco compirà lo stesso atto il rappresentante della Sede Apostolica a Varsavia. Tutto ciò si svolge quasi esattamente cinquantanni dopo la partenza dell'ultimo nunzio e la fine della sua missione in Polonia, causata dalla seconda guerra mondiale e dalle sue conseguenze.

Nel cinquantesimo anniversario della seconda guerra mondiale, la quale deve rimanere per sempre un monito per il mondo, proprio da Varsavia si è alzata la voce della gente di buona volontà e la preghiera dei credenti in Dio affinché egli protegga l'umanità da simili prove, affinché preservi la coscienza degli uomini dalle decisioni folli e disumane. Come non scorgere anche in questo la mano della Provvidenza divina? Pertanto, nella lettera all'Episcopato polacco per il cinquantesimo anniversario della seconda guerra mondiale, ho scritto: "Si può dire che l'Europa, nonostante le apparenze, non è ancora guarita dalle ferite della seconda guerra mondiale. Occorrono enormi sforzi e tanta buona volontà sia all'Est, sia all'Ovest, occorre una vera solidarietà affinché questo avvenga" ("Epistula Episcopis Poloniae missa: de secundo bello mundiali saec. XX", 6, die 26 aug. 1989: vide "supra", 356).


5. Concludendo vorrei ancora una volta esprimere la speranza che le decisioni e gli atti solenni che le sanciscono rispondano sia alle ragioni e alle tradizioni millenarie della Polonia, sia alle aspirazioni attuali di tutta la società polacca: che, secondo quanto ha dichiarato la segreteria dell'Episcopato polacco, esse influiscano sulla realizzazione dei diritti civici nel nostro Paese e aprano nuovi orizzonti all'attività della Chiesa per il bene della società, e che favorendo la crescita del prestigio dello stato polacco sul piano internazionale diventino un elemento importante dell'ordine etico nella convivenza tra le nazioni (17 luglio 1989). In questo contesto mi sia permesso di ripetere ancora una volta le parole del mio predecessore Paolo VI, grande amico della nazione polacca. Egli disse che "la Polonia ricca e felice... è nell'interesse della pace e della buona collaborazione tra le nazioni europee" ("Insegnamenti di Paolo VI", XV [1977] 1119).

Ultimamente il presidente del consiglio dei ministri polacco ha detto: "Vogliamo vivere degnamente in un Paese sovrano, democratico e legalitario che può essere considerato proprio da tutti indipendentemente dai diversi concetti del mondo, idee e orientamenti politici. Vogliamo vivere in un Paese che abbia un'economia sana, dove valga la pena lavorare e risparmiare e dove soddisfare i fondamentali bisogni materiali non comporti angoscia e umiliazione. Vogliamo una Polonia aperta all'Europa e al mondo. Una Polonia che senza complessi d'inferiorità dia il contributo alla creazione di beni materiali e culturali" (12 settembre 1989). Ha proseguito poi, nello stesso spirito, parlando della necessità della grande riconciliazione nazionale.

La Chiesa ha lavorato sempre per il conseguimento di tale programma nella nostra Patria. Prego il Signore affinché questo programma unisca intorno a sè tutto ciò che è di buono nel nostro Paese, affinché sprigioni e dia l'ispirazione a nuove iniziative, affinché la Polonia, fedele a Dio e a se stessa, non deluda.

Le auguro, signor ambasciatore, che, secondo le nobili parole da lei pronunciate a nome suo e delle supreme autorità dello Stato polacco, lei sia a Roma portavoce dei veri interessi della Patria e della Nazione.

1989-10-05

Giovedi 5 Ottobre 1989




Ai Vescovi partecipanti al sesto Sinodo della Chiesa ucraina - Città del Vaticano (Roma)

Libertà religiosa per la chiesa cattolica ucraina


Eminentissimo Arcivescovo maggiore di Leopoli, eccellenze reverendissime, Arcivescovi metropoliti e voi tutti Vescovi, partecipanti al sesto Sinodo della Chiesa cattolica ucraina! Nel primo anniversario dell'indimenticabile giubileo del millennio del battesimo della Rus' di Kiev, desidero ripetere con l'apostolo Paolo: "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale" (Ep 1,3). Veramente è stato un anno di grazia e di ringraziamento per il grande dono del battesimo, per l'opera di san Vladimiro, principe della Rus' di Kiev, di santa Olga e di tutti coloro che diedero inizio alla fede che inseri quelle popolazioni in una nuova vita in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Tutta la Chiesa, insieme con il successore di Pietro, qui a Roma, un anno fa ha cantato l'inno di lode per questo avvenimento storico: Gloria a te, Padre, Figlio e Spirito Santo! / Gloria a te, o santa Chiesa!


1. Nell'anno millenario è iniziato un intenso movimento spirituale. Il programma delle solenni celebrazioni ha abbracciato tutte le comunità ucraine negli Stati Uniti di America, Canada, Brasile, Argentina, Australia, nei paesi dell'Europa occidentale, a Czestochowa in Polonia e nelle terre dell'Ucraina. La ricorrenza del millennio ha offerto una buona occasione per approfondire la vostra identità spirituale, ha permesso di riscoprire le radici storiche ed ha mostrato al mondo il tesoro spirituale del vostro rito e della vostra cultura nelle sue più vaste dimensioni.

Mi rallegro che nel programma delle vostre discussioni sinodali siano stati presi in considerazione la proposta di celebrare il quattrocentesimo anniversario dell'unione di Brest e il progetto di organizzare un Congresso Eucaristico previsto per il 1992, all'insegna del motto: "Un pane, un corpo".


2. Attraverso questi due avvenimenti, prossimi a noi, desiderate continuare l'impegno di rinnovamento spirituale della vostra Chiesa in patria e nella diaspora. La dimensione dello spirito ecumenico nella celebrazione del millennio, a cui ho dato rilievo nei documenti "Euntes in Mundum" e "Magnum Baptismi Donum", ci obbliga a non desistere dagli sforzi della "ricostruzione dell'amicizia delle Chiese di Dio" secondo le parole di san Basilio (cfr. "Epistula", 70). Dai tempi della dolorosa lacerazione e divisione nel seno della Chiesa, non ha cessato di ardere l'ansia della unità.

L'evento del 1596, iscritto in tutto un contesto storico, non era diretto "contro nessuno", ma verso l'edificazione di una Chiesa e verso il ripristino dell'unità perduta (cfr. "Magnum Baptismi Donum", 4). Nutro la fiducia che il tempo della preparazione al quarto centenario di quest'evento sarà contrassegnato da simposi e conferenze d'alto livello, in vista di un dialogo vicendevole nello spirito evangelico della fraternità, perché possiamo coraggiosamente formare il migliore avvenire ecumenico, "dimentico del passato e proteso verso il futuro" (Ph 3,13), "poiché l'amore di Cristo ci spinge" (2Co 5,14).


3. Parimenti con grande gioia plaudo all'iniziativa del Congresso Eucaristico in programma nella vostra Chiesa. Sempre più frequentemente gli Episcopati dei singoli paesi cercano nell'Eucaristia la forza dello spirito per rinnovare il volto della loro terra e i cuori dei loro fedeli. Tra qualche giorno iniziero un altro mio viaggio apostolico che mi porterà a Seul, nella Corea del Sud, per partecipare al Congresso Eucaristico Internazionale.

L'Eucaristia, come sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, ci introduce nel mistero della Chiesa-corpo, corpo di Cristo, corpo mistico. Da questo mistero senza interruzione nasce la Chiesa: nasce, vive e si rinnova.

Ricordiamoci che tutta la sfera della spiritualità può essere minacciata non soltanto dalla mancanza di libertà religiosa o di strutture ecclesiali, ma anche dalla mancanza di carità, dalla secolarizzazione e dai dissidi interni. Nel sacramento dell'Eucaristia cercheremo la forza dello spirito, perché "le armi della nostra battaglia non sono carnali" (2Co 10,4).


4. Delle prime comunità cristiane che si radunavano accanto agli apostoli leggiamo che "spezzavano il pane a casa, nutrendosi in letizia e semplicità di cuore" (Ac 2,46). così dunque l'Eucaristia, la più grande espressione dell'amore di Cristo, condurrà la comunità dei cattolici ucraini verso un profondo rinnovamento spirituale, sull'esempio delle prime comunità cristiane.

Da quasi mezzo secolo i fedeli e i Pastori della Chiesa ucraina nella madrepatria sono costretti a "spezzare" e distribuire il Corpo di Cristo nella clandestinità, sull'esempio delle prime comunità cristiane. Sempre più fortemente e sempre più spesso la loro voce, i loro appelli giungono a Roma: "Aiutateci - chiedono - perché possiamo pregare pubblicamente, non più in clandestinità ma nelle chiese che avevamo costruito". Il Vescovo di Roma deve ascoltare queste suppliche, specialmente dopo l'anno del giubileo, diventato "un anno di grazia del Signore" (Lc 4,19).


5. Ci separano ormai cinquantanni dall'inizio dell'orribile guerra. Essa "non risparmio le Chiese, e la Chiesa cattolica in particolare, la quale, prima e durante il conflitto, conobbe anch'essa la passione. La sua sorte non è stata certamente migliore nelle contrade dove si impose l'ideologia marxista del materialismo dialettico" ("Epistula L elapso anno ab initio secundo magno bello saec. XX", 6, die 27 aug. 1989: vide "supra", p. 381). Questo si riferisce anche alla Chiesa cattolica in Ucraina, la quale, spinta nelle catacombe, sperimento il martirio dei Vescovi e dei sacerdoti, le deportazioni, gli arresti, la chiusura delle chiese e dei monasteri.

Sull'esperienza dei tempi passati ed in nome dei principi dell'amore, della misericordia e della solidarietà cristiane, prego i responsabili della Chiesa sorella ortodossa di voler superare i pregiudizi e di venire in aiuto ai fratelli cattolici che sono nel bisogno. Questo è un compito da realizzare alla soglia del nuovo millennio, tenendo presente che "siamo messi sotto un continuo processo a causa delle divisioni e opposizioni confessionali nel Corpo di Cristo" (cfr. "Documento di Lima 1982", Eucaristia, n. 20). E' una esigenza non soltanto umanitaria e morale, ma un comando del Vangelo.


6. A tale riguardo non dovrebbero mancare lo sforzo e la buona volontà delle autorità affinché, edotte dalle tristi vicende socio-politiche del passato, risolvano il problema, ignorato per decenni, del riconoscimento dei diritti della Chiesa cattolica ucraina. La campagna di ostilità e di accuse condotta contro di essa ed i suoi Pastori non aiuta l'esito delle riforme, anzi lo impedisce. Senza la legalizzazione della comunità ucraina, il processo di democratizzazione non sarà mai completo.


7. Questa Sede Apostolica fa voti perché, in base ai principi dei diritti dell'uomo e nel rispetto degli accordi internazionali sottoscritti e garantiti dalla costituzione, le autorità competenti procedano speditamente al riconoscimento dei diritti della vostra Chiesa.

E' a tutti ben noto il documento di Vienna della conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa del gennaio di quest'anno. Esso non solo conferma i principi dell'atto finale di Helsinki, ma indica anche i mezzi da adoperare nella promozione della libertà religiosa. Alcuni di essi possono essere adottati per rimediare alla situazione presente della Chiesa cattolica ucraina: - libero accesso a luoghi di culto; - diritto all'organizzazione della propria struttura gerarchica; - possibilità di mantenere liberi contatti con i fedeli e con le loro comunità, sia nel proprio Paese che con l'estero.

L'accettazione di questi principi implica l'accettazione degli impegni non soltanto verso gli Stati, ma soprattutto nei riguardi dei propri cittadini. Il cittadino che si sente discriminato a causa della propria fede non può in pieno prender parte alla costruzione della società in cui vive (cfr. "Allocutio in urbe "Helsinki" habita", die 6 iun. 1989: , XII, 1 [1989] 1535).

Durante i miei numerosi viaggi apostolici ho avuto occasione di incontrarmi con le comunità ucraine che vivono nella diaspora. Oggi desidero assicurarvi che anche i fedeli che vivono nella vostra Patria sono presenti nelle mie preghiera quotidiane. E prendendo le parole di san Paolo per mie, voglio dire a tutti: "Ho un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io" (Rm 1,11-12).

Fratelli nell'Episcopato! All'inizio del nuovo millennio intraprendete con vigore ed entusiasmo l'opera di grande rinnovamento spirituale nelle vostre comunità. Questo lo desidera ardentemente anche il Vescovo di Roma, augurandosi che ogni persona battezzata nella terra di Vladimiro e Olga diventi la "pietra vivente" (1P 2,5) nella costruzione dell'edificio spirituale.

Possa quest'opera coinvolgere tutte le famiglie ucraine nella diaspora e in Patria. Non c'è via più efficace per la rinascita di una comunità ecclesiale che la rinascita nel sacramento dell'Eucaristia. Dobbiamo diventare il Popolo di Dio, popolo tra il quale dimora l'Emmanuele, "popolo chiamato alla santità" (cfr 1P 2,9).

Questo è il compito che ci sta dinanzi all'inizio del secondo millennio.

Ci incamminiamo verso il futuro con la speranza nell'Emmanuele.

La pace e la benedizione del Signore siano con tutti voi, con la vostra Chiesa e il vostro popolo!

1989-10-05

Giovedi 5 Ottobre 1989




All'alleanza internazionale dei cavalieri cattolici - Città del Vaticano (Roma)


Cari amici.

Sono lieto di questa opportunità per incontrarvi, illustri membri dell'alleanza internazionale dei cavalieri cattolici, in occasione del vostro convegno a Roma. Nel darvi il benvenuto in Vaticano, desidero manifestare il mio profondo apprezzamento per i molti modi in cui i membri dei vostri ordini hanno contribuito alla crescita materiale e spirituale della Chiesa dei nostri tempi.

Nell'esortazione apostolica post-sinodale "Christifideles Laici", ho ricordato che la Chiesa, nel proclamare il Vangelo di Gesù Cristo, è chiamata a servire tutta l'umanità (CL 36). Nella sua missione di servizio agli individui e a tutta la società, organizzazioni caritative e fraterne come la vostra hanno un ruolo importante da svolgere. Vedo con piacere che il tema scelto per il convegno di quest'anno è "La famiglia, culla della vocazione cristiana". Come laici cristiani che cercano di far si che la sfera temporale sia imbevuta dello spirito di Cristo (cfr LG 36), avete giustamente attribuito grande significato al compito di difendere la dignità della famiglia. Attraverso il vostro impegno in questo vitale apostolato, fa grandi passi in avanti la missione della Chiesa di servizio alla famiglia e alla società.

Vi assicuro delle mie preghiere per il successo dei molti lodevoli progetti che i vostri ordini hanno intrapreso. Alla conclusione del vostro convegno, invoco su tutti voi la grazia e la pace di nostro Signore Gesù Cristo e imparto di cuore la mia benedizione apostolica a voi e alle vostre famiglie.

1989-10-05

Giovedi 5 Ottobre 1989




Il discorso durante la cerimomia di benvenuto - Ai fedeli riuniti, Seoul (Corea)

Soltanto la forza che sgorga dallo Spirito potrà guarire vecchie ferite ed aiutare a superare profonde divisioni


Signor Presidente, eminenza, caro popolo coreano.

E' un vero piacere rivedervi dopo tanto tempo.


1. Sono passati cinque anni da quando sono stato l'ultima volta qui in Corea.

Durante questi anni ho serbato molti ricordi felici della mia precedente visita. E oggi sono tornato di nuovo in questa bella penisola! Saluto di cuore tutti voi e prego affinché Dio benedica la Corea e tutto il suo popolo con i suoi doni di benessere spirituale e di fraterna armonia. Sono grato a lei, signor Presidente, per le cordiali parole di benvenuto. In esse io sento la voce del popolo coreano, il quale mi accoglie per condividere ancora le speranze ed i profondi desideri spirituali di questa antica terra.

Desidero rivolgere un particolare saluto ai miei fratelli ed alle mie sorelle nella fede cattolica. La gioia del nostro ultimo incontro, che raggiunse il culmine nella Messa per la canonizzazione dei martiri coreani, è ben impressa nella mia mente, e nel mio cuore. Adesso sono tornato in Corea, insieme a pellegrini cattolici provenienti da molte altre parti del mondo, per partecipare al grande Congresso Eucaristico, che si terrà qui a Seoul. Con loro, sono venuto per venerare Cristo, nostra pace (cfr Ep 2,14), e per pregare affinché il nostro Padre celeste benedica tutti i cuori umani, tutte le famiglie e le nazioni, con la sua pace, una pace che va al di là della comprensione umana (cfr Ph 4,7).

Desidero anche estendere i miei saluti e i miei sentimenti di amicizia ai cristiani ed ai seguaci delle altre grandi tradizioni religiose.


2. "Anche i fiumi e le montagne cambiano dopo dieci anni". Cari amici: questo detto popolare coreano esprime una verità profonda. Il nostro mondo sta subendo mutamenti rapidi, anche sconcertanti. Qui in Corea, sono accadute molte cose anche durante i cinque anni trascorsi dalla mia ultima visita. Come il resto del mondo, la Corea ha subito cambiamenti che turbano, mentre altri riempiono il cuore degli uomini di nuove speranze e di fiducia. Come è accaduto ad altri popoli nel mondo, voi avete dovuto affrontare battaglie combattute da tutti coloro che si sforzano di costruire una società caratterizzata da armonia sociale e da possibilità economiche per tutti. La cosa più importante è che voi, quali Coreani, avete dovuto continuare a costruire una società degna del grande retaggio dei vostri antenati, e degna anche dei vostri figli e delle future generazioni.

Negli ultimi cinque anni gli occhi del mondo si sono rivolti sempre più alla Corea. La celebrazione indimenticabile dei giochi olimpici di Seoul ha aiutato ad unire i popoli del mondo intero nell'amicizia e nell'armonia. La forma del progresso industriale e dello sviluppo economico del vostro Paese si è diffusa anche all'estero. Nonostante varie sfide scoraggianti, tale progresso ha creato un esempio per altre nazioni in via di sviluppo. Questi risultati mettono in evidenza un ruolo importante che la Corea può avere all'interno della comunità internazionale. Essi ci inducono a sperare che questa Nazione continuerà ad essere esempio, non solo di prosperità materiale e di progresso, ma anche e più importante, di forza spirituale, la quale deve essere alla base di ogni società matura e umana. Perché soltanto una forza che sgorga dallo Spirito sarà all'altezza del compito di guarire vecchie ferite, di superare profonde divisioni, e di dare la possibilità a tutti i cittadini della Corea di partecipare attivamente alla vita politica del loro Paese mentre essa si sforza per raggiungere la vera pace.


3. Cari Coreani: voi che avete ricevuto un durevole e così grande valore spirituale dai vostri antenati non siete forse in una posizione privilegiata per poter dimostrare che la prosperità materiale può, e in verità deve, andare di pari passo con l'autentica sensibilità e crescita spirituale? Di fronte alle tragiche divisioni, che continuano a separare la vostra gente, non avete forse il compito urgente di mostrare ad un mondo dilaniato dalla sfiducia, dai conflitti e dall'odio, che l'umanità possiede realmente le risorse per porre fine alle guerre ed alle divisioni, e per creare una pace duratura? Queste sono le risorse! Le virtù spirituali di fiducia reciproca e di riconciliazione, di generosità disinteressata e d'amore fraterno. Esse sono parte del vostro retaggio e della vostra vocazione quali Coreani. Esse sono un tesoro che voi potete e dovete trasmettere ai vostri figli ed a tutto il mondo.


4. La vera pace, quella pace tanto desiderata da noi tutti, è un dono di Dio. Io sono ritornato in Corea quale messaggero della pace di Dio. Prego affinché la pace di Dio cresca nel cuore di tutti e di ciascun coreano, e che produca ricchi frutti per il futuro della vostra Nazione e per quello del mondo. Dio benedica voi tutti e vi renda veri strumenti della sua pace.

Caro popolo, uniamoci tutti per raggiungere insieme questa pace.

1989-10-07

Sabato 7 Ottobre 1989




L'omelia durante l'adorazione eucaristica - Ai fedeli riuniti, Seoul (Corea)

La carità pastorale è la virtù con la quale imitiamo Cristo nella su donazione di sé e nel suo servizio all'uomo



1. Sia lodato Gesù nel Santissimo Sacramento dell'altare! E' con grande gioia che rendo lode a nostro Signore insieme a voi. A tutti voi - Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici - io dico "Sia lodato Gesù! Lodiamo il Signore!".

Il mio saluto particolare va alla parrocchia di Nonhyon-dong: ai sacerdoti e alle suore, al consiglio parrocchiale e a tutti i parrocchiani che mi hanno accolto qui con tanto amore ed entusiasmo. Desidero anche ringraziare tutti quegli uomini e quelle donne impegnati che prestano il loro servizio quali ministri straordinari dell'Eucaristia. E' molto appropriato che la mia prima sosta in mezzo al popolo coreano abbia luogo in una chiesa come questa, in cui le menti e i cuori dei fedeli sono costantemente levati in adorazione dinanzi a Cristo nella santissima Eucaristia, - a Cristo che si offre in sacrificio al Padre per la nostra salvezza; - a Cristo che si dà a noi per nutrirci come pane di vita, affinché anche noi possiamo offrirci per la vita degli altri; - a Cristo che ci consola e ci rafforza nel nostro pellegrinaggio terreno con la sua costante presenza ed amicizia.

Nel contemplare il Verbo fatto carne, ora sacramentalmente presente nell'Eucaristia, gli occhi del nostro corpo sono uniti a quelli della fede mentre contemplano la presenza "per eccellenza" di Emmanuele, "Dio con noi", fino al giorno in cui il velo sacramentale verrà sollevato nel Regno dei cieli.

Se vogliamo fare l'esperienza dell'Eucaristia quale "fonte e apice di tutta la vita cristiana" (LG 11), dobbiamo celebrarla con fede, riceverla con rispetto, e permetterle di trasformare le nostre menti e i nostri cuori attraverso la preghiera dell'adorazione. Solo approfondendo la nostra comunione eucaristica con il Signore attraverso la preghiera personale possiamo scoprire cosa egli ci chiede nella vita quotidiana. Solo attingendo profondamente alla sorgente dell'acqua di vita "che zampilla dentro di noi" (cfr Jn 4,14), possiamo crescere nella fede, nella speranza e nella carità. L'immagine della Chiesa in adorazione dinanzi al Santissimo Sacramento ci ricorda la necessità di entrare in dialogo con il nostro Redentore, di rispondere al suo amore e di amarci l'un l'altro.


2. Cari fratelli sacerdoti che siete qui riuniti oggi insieme al Papa in così gran numero: questo grande sacramento di amore, così ricco di significato per la vita cristiana di tutti i fedeli, ha un valore particolare per tutti noi che abbiamo il privilegio di celebrare "in persona Christi". Il Concilio Vaticano II parla della "carità pastorale" che scaturisce soprattutto dall'Eucaristia. "il centro e la radice di tutta la vita del Presbitero" (PO 14). Il Concilio prosegue dicendo che il sacerdote deve cercare di far suo ciò che si compie nel sacrificio eucaristico, ma che "ciò non è possibile se i sacerdoti non penetrano sempre più a fondo nel mistero di Cristo con la preghiera..." (PO 14). E così essi devono "ricercare e implorare da Dio... l'autentico spirito di adorazione" (PO 19).

Cari fratelli, cos'è questa carità pastorale che scaturisce dal sacrificio eucaristico e che si perfeziona attraverso la preghiera e l'adorazione? Per rispondere a questa domanda dobbiamo entrare nel mistero di Cristo. Egli "spoglio se stesso, assumendo la condizione di servo... apparso in forma umana, umilio se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Ph 2,6-8). E' questo l'eterno sacerdote presente nell'Eucaristia: il Figlio di Dio che "spoglio se stesso" e che Dio risuscito per la nostra salvezza, il Figlio dell'uomo "che non è venuto per essere servito, ma per servire" (Mc 10,45).

La carità pastorale è quella virtù con la quale noi imitiamo Cristo nella sua donazione di sè e nel suo servizio. Non è soltanto quello che facciamo, ma il nostro dono di sè, che mostra l'amore di Cristo per il suo gregge. La carità pastorale determina il nostro modo di pensare e di agire, il nostro modo di rapportarci alla gente. E risulta particolarmente esigente per noi, perché, quali pastori, dobbiamo essere assai sensibili alla verità contenuta nelle parole di san Paolo: "Tutto è lecito. Ma non tutto è utile... Ma non tutto edifica" (1Co 10,23).


3. Se siamo chiamati ad imitare il dono di sè di Cristo, noi sacerdoti dobbiamo vivere ed agire in un modo che ci consenta di essere vicini a tutti i membri del gregge, dal più grande al più piccolo. Noi desideriamo dimorare in mezzo a loro, sia che siano ricchi o poveri, istruiti o bisognosi di educazione. Saremo pronti a dividere le loro gioie e i loro dolori, non soltanto nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere, ma anche insieme a loro, affinché attraverso la nostra presenza e il nostro ministero essi possano sperimentare l'amore di Dio. Noi desideriamo abbracciare uno stile di vita semplice, a imitazione di Cristo che si è fatto povero per amor nostro. Se a un sacerdote viene meno la povertà in spirito, sarà difficile per lui capire i problemi dei deboli e degli emarginati. Se non si sente disponibile prontamente per tutti, il povero e il bisognoso troveranno quasi impossibile avvicinarlo e aprirsi a lui senza imbarazzo.

La carità pastorale ci rende anche ansiosi di servire il bene comune di tutta la Chiesa, e di edificare il Corpo di Cristo, evitando ogni forma di scandalo o di divisione. Nelle parole del Concilio: "La fedeltà a Cristo non può essere separata dalla fedeltà alla sua Chiesa. La carità pastorale esige che i presbiteri, se non vogliono correre invano, lavorino sempre in stretta unione con i vescovi e gli altri fratelli nel sacerdozio. Se procederanno con questo criterio troveranno l'unità della propria vita nell'unità stessa della missione della Chiesa" (PO 14). Cristo non ha esitato ad offrire la sua vita per obbedire al Padre. Seguendo il suo esempio, i sacerdoti devono avere la prudenza, la maturità e l'umiltà per lavorare in armonia e sotto la legittima autorità per il bene del Corpo di Cristo, e non arbitrariamente per conto proprio.

La carità pastorale si estende anche al campo missionario in seno alla Chiesa universale. Come ho detto ai sacerdoti e ai religiosi nel corso della mia prima visita al vostro Paese nel 1984, la solenne sfida delle vostre vite è quella "di mostrare Gesù al mondo, di condividere Gesù col mondo" (cfr. "Allocutio Seuli ad Presbyteros et Religiosos habita", die 5 maii 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII, 1 [1984] 1259ss). Oggi più che mai siamo consapevoli delle necessità spirituali e materiali dei popoli, anche di quelli che sono molto lontani da noi. Vi sollecito a cooperare generosamente con i vostri Vescovi per contribuire a portare avanti la missione universale della Chiesa, che è quella di predicare il Vangelo. Possiate continuare a promuovere un'autentica coscienza missionaria fra tutti i cattolici, mentre pregate e lavorate per l'aumento delle vocazioni coreane al sacerdozio e alla vita religiosa destinate alle missioni estere.


4. Cari fratelli, so che il vostro generoso e zelante ministero è una parte importante della vigorosa vita della Chiesa in Corea. Siete molto impegnati nelle vostre parrocchie, nei loro numerosi apostolati e nei sodalizi organizzati, ed in molti corsi per il catecumenato. Proprio perché è tanto quel che vi viene chiesto, è sempre più importante che siate uomini di preghiera dinanzi al Santissimo Sacramento, che "imploriate da Dio l'autentico spirito di adorazione" (PO 19), perché siate ricolmi dell'amore di Cristo. Solo in questo modo potrete sperare di crescere in quella carità pastorale che rende fruttuosa la vostra vita e il vostro ministero.

Alla preghiera dobbiamo aggiungere la continua formazione spirituale e intellettuale, che è tanto essenziale se vogliamo continuare a donarci a imitazione di Cristo. La nostra vita interiore dev'e essere rinnovata e nutrita attraverso gli esercizi spirituali, la lettura e lo studio. Come il padrone che Gesù cita nel Vangelo, il sacerdote è colui che "estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche" (Mt 13,52).

Infine, ai laici qui presenti e a tutti i laici della Corea rivolgo questo appello: pregate per i vostri sacerdoti. Pregate per le vocazioni al sacerdozio. Proprio alla presenza dell'Eucaristia comprendiamo e apprezziamo meglio il dono del sacerdozio, perché le due cose sono inseparabili. La vostra partecipazione alla vita della Chiesa e il vostro impegno a vivere il Vangelo sono una grande fonte di incoraggiamento per i sacerdoti. Voi non soltanto li ispirate ad una carità pastorale ancora più grande, ma create anche un campo fertile in cui le vocazioni al sacerdozio possono crescere in risposta alla chiamata di Dio.

Cari fratelli e sorelle, cari fratelli Vescovi, cari fratelli nel sacerdozio! Sia lodato Gesù nel Santissimo Sacramento dell'altare! Sia lodato il nostro Salvatore, la cui presenza nell'Eucaristia ci accompagna nel nostro pellegrinaggio terreno! A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

1989-10-07

Sabato 7 Ottobre 1989





GPII 1989 Insegnamenti - Le credenziali dell'ambasciatore della Repubblica Popolare di Polonia - Città del Vaticano (Roma)