GPII 1989 Insegnamenti - Le visite pastorali del Vescovo di Roma

Le visite pastorali del Vescovo di Roma

Parrocchia di sant'Agnese fuori le mura


[Ai bambini] Vorrei ringraziarvi per questa accoglienza e per gli indirizzi del vostro collega e della vostra collega. Erano molto brevi, ma nello stesso tempo erano molto cordiali e molto belli. Vi saluto di cuore e, alludendo a questi palloncini, da una parte, e dall'altra, a questa caduta del mio veneratissimo predecessore Papa Pio IX, vorrei dirvi che da tutte le cadute dobbiamo sempre cercare di difenderci. C'era un santo, san Stanislao Kosta, che diceva: "Ad maiora natus sum". Sono nato per le cose superiori, maggiori. E questo ci dice attraverso i secoli anche la santa patrona della vostra parrocchia, santa Agnese, e ce lo dice con grande efficacia: sono nato per le cose superiori. Non dimenticate mai questo indirizzo. Nella vita non si deve scendere, andare giù, ma si deve sempre cercare di andare su, di migliorare, di perfezionare se stessi, la propria intelligenza, la propria volontà, il proprio cuore. In questa strada, in questo cammino, in questa ascesa ci aiutano Gesù, lo Spirito Santo, ci aiuta anche la nostra Madre, la Vergine santissima, ci aiutano i santi e specialmente la vostra santa Agnese. A tutti voi auguro questa ascesa spirituale, questo progresso, e poi questa determinazione di non lasciarsi mandare giù, ma di andare sempre su, di cercare l'ascesa seguendo Cristo.

Offro a tutti i presenti, ai bambini, ai ragazzi, alle ragazze, ai giovani, alle famiglie, ai parenti, agli insegnanti, ai catechisti, una benedizione, insieme con il Cardinale e il Vescovo presenti. Sono molto contento di essere potuto venire oggi qui, in questa parrocchia, in questo Sacrario di santa Agnese.

[L'omelia durante la celebrazione della santa Messa]


1. "Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento" (Sg 11,23).

Le parole del libro della Sapienza, carissimi fratelli e sorelle, trovano una splendida attuazione nell'episodio narrato dall'evangelista Luca: Gesù volge il suo sguardo verso il pubblicano Zaccheo, che la gente considerava con sospetto ed emarginava, perché "peccatore" (Lc 19,7), entra nella sua casa e siede a mensa con lui (cfr Lc 19,5s).

Quando Zaccheo scopre di essere amato personalmente da colui che si presenta come il Messia atteso, si sente toccato nel profondo dell'animo ed apre il suo cuore. E col cuore apre anche la mano, nel gesto della giustizia e della carità.

Gesù stesso offre, nella valutazione conclusiva, la chiave per interpretare tutta la vicenda: "Oggi la salvezza è entrata in questa casa... Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto" (Lc 19,9).


2. Carissimi fratelli e sorelle della parrocchia che s'intitola alla gentile e suggestiva figura di sant'Agnese, noi siamo oggi raccolti intorno alla mensa eucaristica nella vostra antica e bella basilica per meditare sull'eterna verità di questo messaggio.

Anche oggi Gesù viene a "cercare e a salvare ciò che era perduto". Lo fa invisibilmente con l'azione misteriosa della sua grazia: ma lo fa, al tempo stesso, visibilmente mediante il ministero della sua Chiesa. Compito essenziale della Chiesa, infatti, è di farsi tramite verso ogni uomo dell'azione salvatrice di Cristo.

Consapevole di ciò, la Chiesa che è in Roma si sta preparando attivamente alla celebrazione del Sinodo pastorale diocesano, mediante il quale intende rendersi sempre più atta a svolgere la missione di salvezza che il Signore le ha affidato.

Come ho già avuto modo più volte di ricordare, la parola "Sinodo" significa "convergenza di strade" per camminare insieme come Popolo di Dio sulla strada che il Signore ci indica con il suo esempio e con il suo insegnamento.

Tutti i componenti della Chiesa di Dio - presbiteri, diaconi, religiosi e laici - illuminati e sostenuti dalla forza dello Spirito, sono sollecitati a verificare, sotto la guida del Vescovo, il loro cammino di fede per una più autentica fedeltà a Dio e agli uomini, loro compagni di viaggio.

Due istanze fondamentali investono la vita e la missione della Chiesa in questa città: quella di una più profonda comunione fraterna in Cristo e l'altra di un più forte impegno di evangelizzazione nei confronti di quanti, come Zaccheo, cercano Gesù Cristo e la sua salvezza, anche se in maniera confusa e contraddittoria.


3. Il Sinodo è una grande occasione, offerta dallo Spirito alla comunità ecclesiale romana, per verificare il suo cammino ed eventualmente per rimettersi sulla strada che Cristo ha tracciato per coloro che vogliono essere suoi discepoli.

così, di fronte all'esigenza di essere, secondo la Parola di Gesù, "una cosa sola" (cfr Jn 17,21), la Chiesa di Roma intende interrogarsi, nel Sinodo, sul modo concreto con cui vive il dono e l'impegno della comunione, disposta a superare le cause e le situazioni di difficoltà, di tensione, di contrasto che le impediscono di presentarsi agli uomini come "famiglia di Dio", unita nella professione della fede e nella testimonianza della carità. Essa sa bene, infatti, che questo è il presupposto indispensabile per un efficace annuncio del Vangelo a coloro che vivono nel territorio. Una missione, questa, che si esprime anche mediante la riconciliazione, la solidarietà e la condivisione con i più poveri, e soprattutto mediante una più forte testimonianza di fedeltà a Cristo, accolto nella propria "casa" (cfr Lc 19,5s) e riconosciuto come salvatore e Signore.

Se i cristiani, superando la tentazione dell'individualismo e della chiusura, e più in generale ogni forma di peccato, sapranno dar vita a forme di collaborazione e di reciproca integrazione, mettendo a servizio dell'evangelizzazione i doni ricevuti, sarà più facile a coloro che cercano Cristo, incontrarlo effettivamente ed essere salvati.


4. Questo impegno di testimonianza e di servizio riguarda tutto il Popolo di Dio, chiamato alla comunione e alla missione. Esso, pero, investe a titolo tutto particolare la Chiesa di Dio che è in Roma.

Roma è una metropoli complessa, nella quale la secolarizzazione ha prodotto e continua a produrre tristi fenomeni di lacerazione e di emarginazione, di indifferenza religiosa e di allontanamento da Cristo e dal suo messaggio. Roma, tuttavia, è ancora ricca di un grande patrimonio di fede e di cultura, di un enorme potenziale di solidarietà e di amore. Merita pertanto di essere conosciuta, amata, ascoltata, ma soprattutto "servita". Da ciò nasce per la Chiesa l'impegno di una "nuova evangelizzazione", che sappia leggere i segni dei tempi e rispondere alle nuove sfide che si pongono alla fede, denunciando con coraggio gli antichi e nuovi mali che affliggono la città.

Roma inoltre, per il fatto di essere la sede del successore di Pietro, è chiamata a "presiedere nella carità" e quindi ad essere "modello di tutte le altre Chiese a immagine dell'assemblea universale del... popolo" di Dio ("Oratio pro Synodo"). La sua vocazione e la sua identità la rendono in qualche modo partecipe del carisma del suo Vescovo, il Papa, che è anche Pastore della Chiesa universale.

Tutto ciò, mentre la colloca in una singolare posizione in quanto "casa" in cui tutti, e in primo luogo poveri e peccatori, devono poter incontrare Cristo e condividere i beni messianici del Regno, le impone più forti responsabilità in ordine alla testimonianza e al servizio da rendere alla comunione e alla missione.


5. Guardando la storia si deve dire che Roma ha sempre cercato di rimanere fedele al progetto che Dio ha disegnato su di lei. Lo dimostra, tra l'altro, la numerosissima schiera di santi che l'hanno evangelizzata e arricchita dei loro carismi e delle loro opere, spesso coronando col martirio il servizio reso a Dio e ai fratelli. Sant'Agnese, alla quale è dedicata la vostra comunità parrocchiale, appartiene a questo innumerevole stuolo. Essa può costituire un prezioso punto di riferimento per il cammino sinodale, che la vostra parrocchia è chiamata a compiere.

In questa prospettiva rivolgo, insieme con il Cardinale vicario e con monsignor Vescovo ausiliare di questo settore, il mio caldo incoraggiamento al parroco don Giuseppe De Nicola, e ai sacerdoti che con lui collaborano, quali eredi del prezioso servizio che da ben cinque secoli i canonici regolari lateranensi svolgono presso la Basilica. Nell'esortarli a perseverare con entusiasmo nel lavoro pastorale - opportunamente incentrato intorno agli impegni liturgico, catechetico, caritativo - desidero esprimere il mio compiacimento per l'opera che svolgono in parrocchia le diciassette comunità religiose presenti e i numerosi laici, aderenti ad associazioni e movimenti.

A tutti sia d'esempio la giovane martire Agnese, che seppe suggellare col sangue la sua testimonianza a Cristo. Guardando a lei e pensando al cammino al quale vi sollecita il Sinodo pastorale diocesano, faccio mia la preghiera, che Paolo rivolgeva al Signore per la comunità dei Tessalonicesi: "Il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e porti a compimento, con la sua potenza, ogni vostra volontà di bene e l'opera della vostra fede; perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù Cristo in voi e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo" (2Th 1,11s).

Si, carissimi fedeli della parrocchia di sant'Agnese! Iddio "vi renda degni...". Amen! [Rispondendo alle parole della religiosa, il Papa dice:] Nel nome di Gesù Cristo, saluto tutte voi qui riunite in questo luogo così splendido, suggestivo. E un luogo nel quale ci parla attraverso i secoli la testimonianza del Vangelo. Ed al centro di questa testimonianza c'è una consacrata di nome Agnese, consacrata giovanissima attraverso il martirio. E consacrata perché, come dicono tanti Padri della Chiesa e grandi teologi, c'è una analogia tra il martirio come quello di Agnese e la consacrazione religiosa, la consacrazione evangelica attraverso i tre voti. C'è una analogia. Allora, vi saluto nel nome di questa analogia, che ciascuna di voi porta nel suo cuore e anche nella sua presenza visibile tra il Popolo di Dio in questa parrocchia, in questa Roma di oggi, così diversa, così secolarizzata anche. Ciascuna di voi porta una testimonianza della consacrazione, porta un segno simile a quella martire, a quella consacrata la cui venerazione attraverso i secoli ci accompagna nella città di Roma, e ci accompagna anche nei nostri tempi, nel periodo del Sinodo pastorale diocesano. Ci accompagna e ci parla. Siamo ricchi di questa testimonianza. Io vi auguro, carissime sorelle, di dare questa testimonianza, di continuare nella vostra vocazione, nella vostra missione nei diversi ambienti sociali, umani, cristiani o scristianizzati, di essere testimoni, di portare la voce silenziosa di Cristo che parla attraverso la vostra consacrazione. Vi saluto tutte: non potrei ripetere tutti i nomi della lunga lista delle famiglie religiose e congregazioni.

Saluto non solamente tutte le persone qui presenti, ma anche le vostre comunità, le vostre congregazioni, queste comunità che fanno parte della vostra consacrazione.

La vostra vita consacrata in comunione è un valore speciale nella testimonianza evangelica. Vorrei offrire a tutte voi una benedizione. Portatela alle vostre consorelle e a tutte le persone a cui state vicine, lavorando, svolgendo il vostro apostolato nei diversi ambienti. E la stessa benedizione vi offre anche il Cardinale Vicario e monsignore Vescovo di questo Settore di Roma.

Egli dice che la chiesa di sant'Agnese è la "cattedra" di questo Settore.

[Al Consiglio pastorale e ai catechisti] Ringrazio per queste parole, per l'accoglienza cordiale e anche per questo dono significativo, che ci ricorda la luce, la luce da diffondere. C'è una luce naturale, tanto necessaria per la vita umana, e non solamente umana. Ma c'è anche una luce spirituale. Il simbolo di questa luce è questo dono offertomi.

Questa luce viene dallo Spirito. Iddio è Spirito, e lo Spirito Santo è l'espressione in Dio Trino - Padre, Figlio e Spirito Santo - di questa donazione, di questa autodonazione che Dio fa alle sue creature, specialmente a noi appartenenti al genere umano, diventati in Cristo i suoi figli adottivi. Questo è il nucleo della nostra vocazione e della nostra missione. Abbiamo parlato oggi, nell'omelia durante la santissima Eucaristia, del Sinodo romano che si prepara.

Sinodo vuol dire convergenza delle vie, del senso spirituale: convergenza delle idee, dei propositi, delle iniziative. E ogni parrocchia deve servire come punto di questa convergenza. Io sono convinto che tutti i presenti partecipano a questo lavoro in modo specifico, in modo consapevole, in modo attivo e apostolico.

Per questo vi ringrazio. Devo dire che mi trovo qui, in questo luogo, dopo tanti anni da quando sono venuto, da studente, a visitare sant'Agnese. Essa certamente appartiene all'eredità spirituale di Roma. Sant'Agnese ci parla di Roma, di questa città sacra, ci parla di Roma attraverso i secoli. E non è solamente il passato; è anche una continuazione, come tutti i santi, soprattutto Pietro e Paolo, e intorno a loro gli altri santi romani. E fra questi, c'è sant'Agnese. In questo Santuario di sant'Agnese vorrei augurare tutto il bene per la città di Roma e per la Chiesa di Roma. E lo faccio davanti a voi anche nelle mani del Cardinale Vicario, che ha tanta sollecitudine per questa città e per questa Chiesa, e che con tanto coraggio e con tanta lungimiranza entra nei problemi della vita cristiana, ma anche della vita umana della cittadinanza di Roma, nei problemi cittadini. Tutti questi problemi hanno una dimensione etica e, nonostante le diverse appartenenze ideologiche o anche religiose, questa dimensione appartiene alla responsabilità della Chiesa. Io ringrazio il Cardinale, come anche tutti i miei carissimi fratelli nell'episcopato, con monsignor Boccaccio, e tutti i sacerdoti di Roma, tutte le comunità, tutti i miei fratelli e sorelle in Cristo Gesù, per questo impegno, impegno per il bene della Chiesa e impegno per il bene della città di Roma. Che sant'Agnese ci aiuti in questo cammino attraverso i secoli, adesso che ci avviciniamo alla fine del secondo millennio.

[Ai giovani] Ricevo volentieri e con grande riconoscenza tutti questi doni: questo fazzolettone, questo simbolo degli Scout, e tutti questi doni offerti per l'America Latina. Questo canto "Insieme" è tanto caratteristico: basta una parola per dire tutto... Soprattutto vi sono grato per la vostra presenza numerosa in questo luogo che ci parla anche dell'età della vostra parrocchia. Certamente queste costruzioni, non sono moderne, ma sono, grazie a Dio, solide... Tutto l'ambiente, la chiesa, le costruzioni portano dentro di loro un gran tesoro: e questo tesoro ha il nome di una giovane romana, sant'Agnese, martire. E veramente un tesoro grande. Lo dico con commozione, perché ricordo che da giovane sacerdote, essendo studente qui a Roma, ho visitato questa chiesa, queste catacombe di sant'Agnese. Ella ci dice molto, ci parla attraverso i secoli, ci dà una parola che opera in senso verticale, perché attraverso i secoli si innalza sempre e porta in sé quasi lo stesso contenuto, diversamente applicabile. Qual è il mistero, il segreto di questa santa, giovane martire? Certamente, in un ambiente romano, pagano, anzi oppressivo, ha scoperto una novità assoluta: la novità assoluta che ci porta a Cristo. E questa scoperta di una novità assoluta che ci porta a Cristo ha dato a lei anche la forza del martirio. Vorrei farvi un augurio: auguro a tutti voi, giovani, dopo venti secoli quasi del cristianesimo a Roma e nel mondo, di scoprire sempre e di nuovo questa novità di Cristo. Certamente la vita, l'esistenza umana porta con sé tante difficoltà. Il vostro collega che ha parlato, ha elencato un po' queste difficoltà; ma l'elenco potrebbe allungarsi per tutti, specialmente per i giovani. Quando c'è questa novità del Vangelo di Cristo nel cuore di una persona, anziana o giovane, allora si diventa forti, si può trovare non solamente un punto di riferimento e di resistenza, ma anche di creatività: creare ciò che è vero, ciò che è buono ciò che è bello. Tutto questo ha il suo inizio, la sua sorgente, nella novità evangelica che ci porta a Cristo. E, nel nome di sant'Agnese, io vorrei augurare a ciascuno e a ciascuna di voi questa scoperta sempre più profonda, sempre più completa, convincente, vittoriosa.

1989-11-05

Domenica 5 Novembre 1989




Al coro "Jubilate Deo" di Woerden - Città del Vaticano (Roma)

Il ricordo di san Willibrordo rafforzi la luce della fede minacciata dalla secolarizzazione


Con grande gioia ed affetto saluto tutti voi, membri del coro "Jubilate Deo" di Woerden, nei Paesi Bassi. Siete venuti a Roma per dare lustro con il vostro bel canto liturgico alla celebrazione eucaristica in occasione dell'apertura dell'anno giubilare di san Willibrordo. Avete lodato e ringraziato Dio nella chiesa dei santi Michele e Magno, la chiesa nazionale dei frisoni; nella chiesa di santa Maria Maggiore, la più antica chiesa di Maria nell'Occidente; e nella chiesa di san Saba.

E' veramente cosa buona rendere lode e grazie per le grandi opere di Dio, e, in particolare, per il mistero che è commemorato e ripresentato nell'Eucaristia. Il mistero cioè del Figlio di Dio, il nostro Signore Gesù Cristo, che per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo e si è incarnato; che pati sotto Ponzio Pilato e mori sulla Croce per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte; che risuscito da morte per farci figli della luce e della vita.

Per annunziare questo mistero di liberazione dalla morte e di risurrezione alla vita san Willibrordo lascio nell'anno 690 il suo monastero in Irlanda e, attraversando il mare, si reco verso i Paesi Bassi allo sbocco del Reno. Là egli accese la luce della fede, che è rimasta accesa attraverso i secoli nella vostra Patria, ma adesso è minacciata dalla tentazione della secolarizzazione e dell'indifferenza.

Possa la commemorazione di san Willibrordo e dell'inizio della cristianizzazione nelle vostre regioni rafforzare la luce della fede, affinché essa sia trasmessa piena di splendore alle generazioni future. Vi auguro che possiate contribuire con i vostri canti ben curati ad elevare i cuori dei fedeli a Dio, nostro creatore e redentore. "Jubilate Deo", esultate per il Signore. A questo fine vi imparto di cuore la benedizione apostolica.

1989-11-06

Lunedi 6 Novembre 1989




All'inizio della Messa nella Basilica Vaticana - Città del Vaticano (Roma)

Messa in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi defunti


Siamo raccolti attorno all'altare del nostro redentore Gesù Cristo, Signore della vita e della morte, per commemorare e suffragare i Cardinali e i Vescovi "che ci hanno preceduti nel segno della fede e dormono nel sonno della pace".

Tra i numerosi defunti nel corso dell'anno, vogliamo ricordare in particolare i Cardinali Mario Nasalli Rocca di Corneliano, Giuseppe Siri, Joseph-Albert Malula, Timothy Manning, George Bernard Flahiff, e il Patriarca Mar Paul II Cheikho.

A questi compianti fratelli, come a tutti gli Arcivescovi e Vescovi dell'intera Chiesa cattolica, i quali hanno speso generosamente le loro ricche energie per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime loro affidate, vogliamo rinnovare l'espressione della nostra riconoscenza per gli esempi di ardore apostolico, di forza d'animo e di vibrante fedeltà alla Chiesa, che essi ci hanno lasciato in eredità, quasi a coronamento della loro vita.

Il ricordo si fa ora preghiera, affinché la pace eterna e il gaudio della luce beatifica siano assicurati a quei ministri della Chiesa, e possano pienamente godere dell'abbraccio gioioso di Dio, nostro Padre.

1989-11-07

Martedi 7 Novembre 1989









Ai partecipanti al convegno sulla pastorale dei nomadi - Città del Vaticano (Roma)

Il mondo cambi atteggiamento verso gli zingari: la tolleranza non basta, serve uno spirito fraterno



1. Cari fratelli e sorelle! In questi giorni vi siete interrogati sul problema della vocazione e della missione degli zingari nel mondo e nella Chiesa.

L'argomento è molto importante e attuale, ed interpella non senza inquietudine la nostra società umana e cristiana. Infatti, la presenza di queste popolazioni, per lo più nomadi ed in ogni caso scarsamente integrate nella società del lavoro e della cultura, nonché i fermenti che le agitano, specialmente quelli religiosi, esigono una risposta ed un impegno adeguato.

Nel quadro dell'insegnamento della Chiesa, sempre attenta ai problemi dell'uomo, ogni discriminazione degli zingari è ingiusta e stridente, perché chiaramente opposta agli insegnamenti del Vangelo, per il quale ogni uomo è Figlio di Dio e fratello di Cristo. perciò, ben a ragione Paolo VI ebbe a dire nel 1965, a Pomezia, quando si incontro con essi in occasione del loro primo pellegrinaggio internazionale, che li aveva portati presso la tomba degli apostoli: "Voi siete nel cuore della Chiesa, perché siete poveri, perché siete soli" ("Insegnamenti di Paolo VI", III, [1965], 491-92).

Per questo, carissimi, la vostra responsabilità e il vostro impegno è grande e meritorio, perché vi fate carico delle condizioni di vita e delle preoccupazioni della gente che viaggia. Anzi, vorrei dire che avete, che abbiamo tutti anche molto da imparare nel contatto con loro; essi hanno molto sofferto e ancora spesso soffrono a causa di privazioni, di insicurezza e di persecuzioni, e proprio per questo hanno molto da dire; la loro saggezza non è scritta in nessun libro, ma non per questo è meno eloquente. Ma a voi tocca di farli partecipi delle vostre premure e della vostra cultura umana e cristiana.


2. Nonostante il chiaro insegnamento del Vangelo, a cui ho accennato, accade spesso, che gli zingari si vedano rifiutati, o guardati con disprezzo. Il mondo, che è in gran parte segnato dall'avidità del profitto e dal disprezzo dei più deboli, deve cambiare atteggiamento e accogliere i nostri fratelli nomadi non più con la semplice tolleranza, ma con uno spirito fraterno.

La vostra azione, sia essa di ordine educativo - come l'alfabetizzazione - o di tipo assistenziale, sanitario o giudiziario, permetterà a coloro che sono portatori di "handicap" sociale, in particolare agli zingari provenienti da un altro paese, di prendere quanto prima nella società il posto che loro spetta di diritto. Ma questa prospettiva è ancora lontana. Gli zingari, troppo dispersi, troppo deboli, o poco organizzati, hanno bisogno di essere aiutati a prendere coscienza della loro dignità e delle loro responsabilità.

Voi che vi occupate in modo particolare di questi itineranti, compite il lodevole sforzo di conoscerli e di farli conoscere così come realmente sono e non come vengono talora ingenerosamente considerati. Voi studiate la loro storia, la loro psicologia, il loro linguaggio; condividete le loro gioie e le loro sofferenze, ed è a questo prezzo che potete aiutarli a realizzare la loro vocazione nel mondo e nella Chiesa.

Dovete in particolare portare loro la testimonianza della vostra fede, condividere con loro il pane del Vangelo. La scoperta della Parola di Dio, soprattutto da parte dei giovani, li metterà in grado di svolgere pienamente il proprio ruolo e di rispondere all'appello lanciato dalla Parola di Gesù Cristo.

Sono certo che voi farete tesoro di questo congresso per realizzare una comune e ben articolata azione di lavoro. Tale sforzo potrà essere seguito, se lo credete opportuno, da una collaborazione ancora più fraterna tra di voi, e da un rapporto più stretto con la gerarchia della Chiesa.


3. Vi auguro di riuscire ad aiutare sempre più efficacemente i nostri fratelli zingari a non sentirsi abbandonati sulla loro strada. Anche la Chiesa è in cammino sino alla fine dei tempi, in esso ha posto delle tracce, dei punti di riferimento: le Chiese locali con le loro comunità vive, e i loro santuari sono punti di riferimento sicuri per coloro che cercano protezione e difesa in mezzo a tante difficoltà.

Che la buona Madre celeste, a cui il mondo zingaro è tanto devoto, benedica sempre la vostra azione e vi accompagni per le vie del mondo.

1989-11-09

Giovedi 9 Novembre 1989




A conclusione della visita "ad limina" dei Vescovi caldei - Città del Vaticano (Roma)

Fiorisca una nuova civiltà fondata sull'amore e sul rispetto di tutti


Beatitudine, cari fratelli nell'Episcopato e voi tutti, figli della venerabile Chiesa Caldea.


1. Mentre vi do il più cordiale benvenuto nella casa del successore di Pietro, il capo del Collegio degli apostoli, il mio pensiero va a san Tommaso, uno dei dodici, che, secondo la tradizione, fu il primo evangelizzatore della vostra Chiesa. Essa perciò va giustamente fiera di questa origine apostolica, che attraverso i secoli è stata continuamente fecondata da doni molteplici dello Spirito Santo.

Ed è certamente sotto l'influsso e l'ispirazione dello Spirito Santo che voi, cari fratelli nell'Episcopato, avete potuto riunirvi in Sinodo per eleggere, nella persona di sua beatitudine Raphael Bidawid, il nuovo Patriarca chiamato a succedere al compianto Paolo II Cheikho.

Non appena sono venuto a conoscenza dei risultati del Sinodo - tenuto mentre la Chiesa caldea celebrava la seconda domenica degli apostoli, e la Chiesa di Roma la solennità della Santissima Trinità - ho voluto esprimere la mia gioia per l'avvenuta elezione, ed ho concesso a lei, beatitudine, la comunione ecclesiale, come ella chiedeva secondo i sacri canoni, insieme con tutti i fratelli del Sinodo dei Vescovi caldei.

Oggi la cerimonia dell'imposizione del pallio ha voluto esprimere il segno tangibile di questa comunione ecclesiale. Fatto di lana bianca, il pallio richiama alla mente le pecore che le sono state affidate come Pastore della sua Chiesa. Esso, inoltre, essendo stato deposto sulla tomba del principe degli apostoli, significa i legami della profonda comunione di fede che unisce la Chiesa caldea con la Chiesa di Roma la quale "presiede alla carità universale", come si esprime sant'Ignazio; una "presidenza" che la Chiesa romana ricorda in particolar modo nella festa della dedicazione della Basilica Lateranense.


2. Tale vincolo di comunione si esercita anche mediante il servizio di solidarietà per il bene e la pace universale, al quale la Santa Sede si è dedicata da sempre.

Con soddisfazione ho potuto constatare, a riguardo della pace nel mondo, che le preghiere alle quali avevo invitato voi, Vescovi caldei venuti dall'Iraq, nel 1986, per la visita "ad limina Apostolorum", non sono state vane: la guerra, infatti, che ha causato tante sofferenze e rovine, è finalmente cessata.

In questa occasione vi esorto ancora a cercare, con la vostra fede semplice e profonda, la stabilità della pace, nella convinzione che la vera pace, quella recata sulla terra da nostro Signore, si costruisce soprattutto con l'aiuto di Dio e con lo sforzo della buona volontà. Abbiate sempre in mente le parole di Agostino: "Contro la violenza della carità il mondo non può far nulla" ("Enarrationes in Psalmos, 48[47]", 14; CCL 38, 548). E vi sia di costante ispirazione e di grandissima fiducia quello che sant'Efrem, il più noto poeta e dottore della vostra Chiesa, dice a noi tutti: "Se la speranza ravviva i nostri occhi, vedremo ciò che è nascosto" ("Carmen Nisib.", 70).


3. Voglia il Signore rinvigorire questa speranza ed "illuminare gli occhi della nostra mente per far comprendere a quale speranza ci ha chiamati" (Ep 1,18). Non cessate dunque di adoperarvi per un mondo migliore, e perché rifiorisca una nuova civiltà, fondata sull'amore e sul rispetto di ogni persona, fatta ad immagine e somiglianza di Dio.

So che nutrite soprattutto grandi speranze per la crescita spirituale dei vostri fedeli come per l'aumento delle vocazioni sacerdotali e religiose.

Prego perché le vostre attese rivolte ad un autentico rinnovamento liturgico nello spirito del Concilio Vaticano II, secondo le direttive della congregazione per le Chiese orientali, e al proseguimento della riforma degli istituti religiosi maschili e femminili, si realizzino pienamente in conformità ai vostri piani pastorali. Vi sostenga il Signore anche nel vostro impegno per promuovere sia l'adeguata assistenza spirituale sia l'indispensabile collaborazione fra la gerarchia dei diversi riti, e quella fra le Chiese sorelle, sia il dialogo fraterno con tutti gli uomini di buona volontà, cosa che rimane un'urgente necessità.


4. Beatitudine, cari fratelli nell'Episcopato e voi tutti, figli della Chiesa Caldea! Nel ricordo del patriarca Abramo, nostro padre nella fede, il quale segui la voce di Dio che lo chiamava dalla vostra terra ad essere il capostipite del popolo eletto, e di tutti noi che crediamo in Cristo, ed agi "in spe contra spem" per corrispondere al piano divino della salvezza, io vi esprimo la profonda affezione mia e di tutta la Chiesa.

Abbiate sempre coraggio e costanza nel perseguire la mèta delle vostre sollecitudini pastorali; è questa la preghiera che elevo per voi, mentre, a vostro conforto, invoco su di voi e su tutta la Chiesa caldea, ovunque si trovi, le abbondanti benedizioni di Dio, Trinità Santissima, Padre, Figlio e Spirito Santo.

1989-11-09

Giovedi 9 Novembre 1989




Ai partecipanti all'inaugurazione della mostra di icone russe - Città del Vaticano (Roma)

Le icone segnano ed accompagnano la storia del cristianesimo russo


Venerati fratelli, signor ministro, signore e signori.


1. Ringrazio il signor ministro Melentev per il cordiale indirizzo, che ha voluto rivolgermi anche a nome del suo governo e per le significative parole con le quali ha presentato l'eminente significato di questa mostra di icone russe, la prima nel suo genere ad essere allestita in Vaticano; essa infatti si distingue sia per la qualità delle opere esposte, sia per il loro intrinseco valore, opportunamente messo in rilievo da un'accurata cernita e da un restauro scientifico.

Desidero esprimere pertanto il mio vivo compiacimento per tale iniziativa, che è stata frutto della cortese collaborazione tra il ministero della cultura della Repubblica Federativa Socialista Sovietica Russa e dell'associazione Italia-URSS. Il mio plauso si rende certo interprete anche dei sentimenti della Santa Sede, del mondo cattolico e di tutti coloro - e sono molti - che, anche a prescindere da precise convinzioni religiose, avvertono ed apprezzano il misterioso fascino spirituale che emana da queste opere pittoriche, così caratteristiche della nobile tradizione artistica del popolo russo.


2. Nelle icone, infatti, che segnano ed accompagnano tutta la storia del cristianesimo russo dalle origini fino ai nostri giorni, è dato rintracciare una serie di elementi che, nel loro insieme, costituiscono quel particolare stile di arte sacra, che le rende tanto preziose: esse sono infatti espressione propria della cultura slavo-bizantina, iniziata dai santi Cirillo e Metodio; sono manifestazioni dell'anima religiosa, nutrita dalla spiritualità dei padri orientali, per la quale si vede come trasferire all'immagine sacra una misteriosa "presenza" del Prototipo trascendente; una concezione dunque, della bellezza artistica, come occasione e stimolo di elevazione morale e di ascesa verso la bellezza divina, creatrice di ogni bellezza fisica ed umana. La devota contemplazione di tale immagine appare così una via reale e concreta di purificazione dell'anima credente e della sua elevazione al Prototipo, perché la stessa immagine, benedetta dal sacerdote e piamente eseguita dall'artista-monaco, costituisce, in certo qual senso, in analogia con i sacramenti, un canale della grazia divina. Il credente russo trae dall'icona una nobile ispirazione alla giustizia, alla riconciliazione ed alla pace, secondo il motto famoso di san Sergio di Radoniez: "Contemplando la Santissima Trinità vinciamo l'odiosa divisione di questo mondo".


3. Come ho ricordato nella mia lettera apostolica "Duodecimum Saeculum", pubblicata nel 1987 per il dodicesimo centenario del II Concilio di Nicea, la motivazione teologica ed il valore liturgico dell'arte dell'icona fu, in quella circostanza, solennemente definito dalla Chiesa, ancora indenne dalla funesta divisione tra Occidente ed Oriente che, di li a qualche secolo, sarebbe avvenuta, per cui la presente mostra e più in generale l'interesse sincero per l'arte dell'icona rappresenta oggi più che mai un fattore importante sul cammino dell'auspicata unità cristiana; per la gloria di Dio Padre, sotto la signoria dell'unico Signore Gesù Cristo e nell'unità dell'unico Signore vivificante, lo Spirito Santo.

L'arte dell'Occidente e dell'Oriente è espressione dell'unica anima cristiana, è, per così dire, il "respiro" di quei "due polmoni" della cristianità europea, l'occidentale e l'orientale, che devono parimenti contribuire, in fraterna e reciproca complementarietà, al recupero delle radici cristiane dei popoli europei.


4. Questa mostra, inoltre, secondo una giusta affermazione del signor ministro, può essere opportunamente ricollegata alle recenti, grandiose celebrazioni del millennio della conversione della Rus' al cristianesimo. Essa - potremmo dire - ne è come la conseguenza, un irraggiamento spontaneo, ricco di ulteriori promesse e sviluppi, che fanno solo ben sperare in una più profonda intesa tra Oriente ed Occidente, per una vita umana personale e collettiva, più fortemente ispirata ai valori morali e spirituali, e quindi più serenamente aperta ad un futuro di fraternità e di pace.

1989-11-10

Venerdi 10 Novembre 1989





GPII 1989 Insegnamenti - Le visite pastorali del Vescovo di Roma