GPII 1990 Insegnamenti - Lettera nel 50° della morte di don Orione - Vivere umili e piccoli ai piedi della Chiesa

Lettera nel 50° della morte di don Orione - Vivere umili e piccoli ai piedi della Chiesa


Cinquant'anni or sono, il 12 marzo 1940, ritornava alla casa del Padre, invocando il nome di Gesù, il beato Luigi Orione, apostolo della carità e padre dei poveri.

Pertanto la Piccola Opera della Divina Provvidenza, da lui fondata, fa bene a ricordare quel suo "dies natalis" per rendere grazie a Dio e per riaffermare la volontà di tutti i suoi figli spirituali di custodirne fedelmente il messaggio.

Mentre esprimo vivo compiacimento per tale iniziativa, incoraggio e benedico di cuore il loro intento di approfondire, lungo tutto l'anno giubilare, lo spirito e il carisma del fondatore per farne ragione di rinnovato slancio spirituale e apostolico, alle soglie del terzo millennio.

Se si osserva la multiforme attività caritativa, a cui si dedicano i Figli e le Figlie di don Orione, così pure se si considera la mole enorme di iniziative benefiche da lui personalmente intraprese, non si può trattenere una giusta ammirazione davanti a un servitore della Chiesa così fedele e generoso. E' tuttavia importante che ci si domandi quale sia il carisma unificante, sul quale la sua Opera è costruita, e che la distingue dalle altre Congregazioni, sorte nello stesso periodo storico e ugualmente dedite al servizio dei poveri.

Per rispondere adeguatamente a tale interrogativo, occorre rifarsi alla tipica esperienza spirituale di don Orione. Egli, totalmente abbandonato nelle mani della divina Provvidenza, avverti una bruciante passione per la salvezza dei fratelli espressa nel grido: "Anime! Anime!" che lo spinse sulle strade del mondo facendo del bene sempre, del bene a tutti.

Sentendosi chiamato dallo Spirito a riportare Cristo al popolo e il popolo a Cristo, in un periodo storico molto difficile di grandi cambiamenti sociali e culturali, nel quale tanta gente era attratta da ideologie materialistiche contrarie al Vangelo, don Orione fu ispirato da un profondo "sensus Ecclesiae". Pose pertanto quale fine speciale della sua Congregazione quello di diffondere la conoscenza e l'amore di Gesù Cristo, della Chiesa e del Papa, specialmente nel popolo; trarre e "unire con un vincolo dolcissimo e strettissimo di tutta la mente e del cuore i figli del popolo e le classi lavoratrici alla Sede apostolica", nella quale, secondo le parole del Crisologo, "il Beato Pietro vive, presiede e dona la verità della fede a chi la domanda" ("Ad Eut.", 2). E ciò mediante l'apostolato della carità fra i piccoli e i poveri (Costituzioni, cap. I).

Questo è stato, sin dal primo momento, l'insegnamento costante di don Orione, lo spirito che ha guidato il sorgere del suo Istituto. Del resto anche l'ultimo discorso rivolto ai suoi Figli, a pochi giorni dalla morte, riprendeva il suo frequente monito: "Vi raccomando di stare e di vivere umili e piccoli ai piedi della Chiesa". Questo fu il suo testamento spirituale lasciato in eredità alla sua Famiglia, perché lo custodisse e lo onorasse pienamente.

Egli volle dimostrare che si può stare con la Chiesa e con i poveri.

Constato che nella società scristianizzata esiste un solo linguaggio comprensibile, che smuove i cuori: il linguaggio della carità. E comprese che "la causa di Cristo e della Chiesa non si serve che con una grande carità di vita e di opere, la carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori d'amore verso Dio.

Opere di carità ci vogliono: esse sono l'apologia migliore della fede cattolica".

In lui dunque l'amore alla Chiesa e al Papa e l'amore ai poveri costituiscono le due punte dell'unica fiamma apostolica che divorava il suo cuore senza confini. E' stato giustamente affermato che si potrebbe capire don Orione anche senza i poveri, ma non senza il suo ardente amore alla Chiesa e al suo Pastore universale.

Fedeli a questa singolare spiritualità, i Figli della Divina Provvidenza, sacerdoti, fratelli, eremiti emettono nella loro professione religiosa, con i tre voti di povertà, castità, obbedienza, anche un quarto di "speciale fedeltà al Papa", mentre le Piccole Missionarie della Carità, sia le Suore di vita attiva che le Sacramentine non vedenti adoratrici, aggiungono un quarto voto "di carità".

Siccome "torna a vantaggio stesso della Chiesa che gli Istituti abbiano una loro propria fisionomia e una loro propria funzione" (PC 2) vi incoraggio, sorelle e fratelli carissimi, a proseguire su questa strada, resistendo a ogni tentazione di conformismo e accomodamento alla mentalità del mondo, anche a costo di sacrifici. Cooperate attivamente alla diffusione del regno di Dio specialmente fra i poveri, ponendovi generosamente al loro servizio e condividendone le sofferenze e le speranze. Dovunque operate siate testimoni dell'amore di Dio, con umiltà e nascondimento, in assoluta fedeltà agli insegnamenti della Chiesa e profondamente compenetrati nel mistero di Cristo crocifisso e risorto.

Scegliendo come motto programmatico per la sua Famiglia religiosa "Instaurare omnia in Christo" (Ep 1,10), don Orione volle fare di Cristo il cuore del mondo dopo averne fatto il cuore del suo cuore. E' necessario perciò che anche la sua Famiglia religiosa abbia il suo coraggioso ottimismo. "I popoli sono stanchi - egli scriveva - sono disillusi; sentono che tutta è vana, tutta è vuota la vita senza Dio. Siamo all'alba di una grande rinascita cristiana? Cristo ha pietà delle turbe: Cristo vuol risorgere, vuol riprendere il suo posto. Cristo avanza: l'avvenire è di Cristo" ("Lettere", II,216).

Mi è caro auspicare che, saldamente ancorati al suo carisma, i Figli della Divina Provvidenza, le Piccole Missionarie della Carità, i membri degli Istituti Secolari insieme con gli ex allievi, gli Amici dell'Opera siano pronti a rispondere con rinnovato slancio alle sfide della nostra epoca e degli anni avvenire, rivolgendo sempre lo sguardo verso la figura e gli esempi del Fondatore per esserne la vivente continuazione.

La Vergine Maria, madre della Divina Provvidenza, alla quale don Orione consacro la sua esistenza e l'intera sua Famiglia, vi protegga sempre e continui ad assistervi dal cielo il vostro beato fondatore. In pegno di questi voti, invoco dal Signore pienezza di grazie e di favori celesti, mentre di cuore imparto a lei e a tutti i membri della Famiglia Orionina una speciale benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 12 marzo 1990, cinquantesimo della morte di don Luigi Orione.

Data: 1990-03-12

Lunedi 12 Marzo 1990



Al Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Dobbiamo soddisfare il desiderio di informazione religiosa manifestato nei Paesi dell'Europa Centrale e Orientale"

Cari Confratelli nell'Episcopato, Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,


1. E' una grande gioia per me questo incontro con i membri e con il personale della Pontificia Commissione delle Comunicazioni Sociali in occasione della vostra Assemblea Plenaria. Rivolgo il mio speciale benvenuto ai nuovi membri che hanno acconsentito volentieri a mettere a disposizione il loro tempo e i loro talenti, per approfondire l'importante lavoro di questa commissione.

Come sapete, questo Dicastero è stato istituito su specifica richiesta dei Padri del Concilio Vaticano II, nella convinzione che i moderni mezzi di comunicazione sociale, se correttamente usati, "contribuiscono efficacemente a sollevare e ad arricchire gli animi, nonché ad estendere e consolidare il Regno di Dio" (IM 2). Oggi più che mai, la promessa e, allo stesso tempo, la sfida delle comunicazioni sociali esige da parte delle società umane e della Chiesa stessa una maggior attenzione e un maggior sforzo in questo campo. Ciò è particolarmente vero alla luce dell'urgente necessità, che si avverte in tutte le parti del mondo, di uno sviluppo spirituale, sociale e culturale.


2. I Paesi dell'Europa Centrale e Orientale, per esempio, offrono opportunità senza precedenti di proclamare la Parola di Dio attraverso i media. Dobbiamo cercare di soddisfare la fame e la sete di verità e di istruzione religiosa di quanti, per molti anni, hanno avuto una stampa, una radio e una televisione che lasciavano pochissimo spazio a temi specificamente cristiani. Adesso si presenta l'opportunità di diffondere a mezzo stampa notizie e riflessioni che riguardano la religione e di trasmettere per radio e per televisione importanti avvenimenti religiosi, per la grande gioia di molti. Nel fornire un'accurata informazione e la possibilità dello scambio di opinioni, il mezzo di comunicazione può inoltre promuovere quel dialogo e quella partecipazione che sono fondamentali per la vita democratica e lo sviluppo sociale.

Nell'Europa Occidentale e in una certa misura in Nord America, i cambiamenti prodotti da nuove politiche e tecnologie della comunicazione hanno creato nuove sfide per la Chiesa. Come indicato nei "Criteri di Cooperazione Ecumenica e Interreligiosa nei Media", recentemente pubblicati da questa Pontificia Commissione, i cattolici devono lavorare insieme ad altri cristiani e a tutti i credenti, per garantire il diritto della presenza religiosa nei media. In particolare le onde radio sono una pubblica concessione in cui il profitto privato è subordinato al servizio per il bene comune. Esse devono essere usate in modo da contribuire veramente al benessere integrale della persona umana. Alla fine di questo mese, Vescovi ed altre persone che operano nel campo delle comunicazioni in Europa si riuniranno a Fatima per riflettere su alcuni di questi stessi problemi.

Che la loro riunione - con l'intercessione di Nostra Signora di Fatima - possa essere fruttuosa per la riscoperta delle comuni radici cristiane della cultura europea e per una nuova evangelizzazione di questo continente.


3. Volgendo la nostra attenzione all'America Latina, vediamo che quella Chiesa sta compiendo un rinnovato sforzo per predicare il Vangelo in preparazione al Cinquecentesimo Anniversario della prima evangelizzazione dell'emisfero occidentale. Qui, come in Europa e altrove, vediamo ancor più chiaramente che l'evangelizzazione non è uno sforzo che, una volta fatto, non ha bisogno di essere ripetuto. In realtà, in ogni tempo e luogo, la Chiesa evangelizza costantemente se stessa cosicché, purificata e rinnovata, possa adempiere alla sua missione di vivere il Vangelo e di portarlo agli altri.

Oggi, nell'assolvere a questo compito di evangelizzazione, la comunità ecclesiale può far uso di forme di comunicazione sociale che cinque secoli fa non esistevano. Sono felice di notare che la Chiesa in America Latina sta adottando misure concrete per sviluppare una rete di computer allo scopo di diffondere informazioni sulla fede e la cultura cristiane. Come ho affermato nel mio messaggio di quest'anno per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni: "Nella nuova "cultura del computer", la Chiesa può informare il mondo più prontamente sulle sue convinzioni e spiegare le ragioni della sua posizione riguardo ad ogni problema o avvenimento" (20 gennaio 1990). Quanto ancora può e deve essere fatto, dagli sforzi creativi nei mezzi di comunicazione, per rafforzare e approfondire la testimonianza vivente della fede di tanti cattolici in America Latina!


4. Anche in Africa si avverte la urgente necessità di evangelizzazione attraverso i mezzi di comunicazione. Ciò ha spinto il Simposio delle Conferenze Episcopali dell'Africa e del Madagascar (Secam) a programmare a luglio un incontro continentale speciale, che tratterà esclusivamente questo tema. Sono fiducioso che questo incontro condurrà ad una maggiore consapevolezza e ad un'azione efficace nell'uso dei mezzi di comunicazione sociale per la missione della Chiesa di predicare il Vangelo a tutti i popoli. I media inoltre sono importanti anche per l'Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi. Attraverso il loro impiego creativo, le informazioni potranno essere scambiate e la partecipazione dei fedeli alla preparazione di questo importante evento potrà essere accresciuta.

Il fatto che la Chiesa in Asia costituisca una piccola minoranza fra tante popolazioni, presenta una sfida particolare nell'uso dei media.

L'evangelizzazione e la pre-evangelizzazione possono essere efficacemente sorrette da uno sforzo più intenso in questo campo. Una prossima riunione dei rappresentanti dei Vescovi dell'Asia, prevista per luglio in Indonesia, sarà occasione di riflessione sulla presenza della Chiesa nei media in questo vasto continente.


5. Infine vorrei menzionare il documento: "Pornografia e Violenza nei Media: Una Risposta Pastorale", pubblicato l'anno scorso da questa Pontificia Commissione.

Nel rivolgersi ai funzionari pubblici, ai professionisti dei media e alle famiglie, il documento fornisce sagge direttive ed incoraggiamento per sane iniziative e per una solida programmazione nelle pubblicazioni, film, trasmissioni televisive e videocassette. Sollecita allo stesso tempo quanti si occupano di queste attività a tutelare tutti i membri della società, soprattutto le donne e i bambini, contro un basso sfruttamento.

Il documento termina con le parole di San Paolo: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male" (Rm 12,21). In realtà occorre fare molto per vincere il male con il bene in ogni settore delle comunicazioni: film, radio e televisione, così nella nuova cultura del computer.

Mentre dedicate i vostri sforzi a questo importante compito, prego che lo Spirito Santo riempia le vostre menti e i vostri cuori di saggezza e di perseveranza. A tutti voi e ai vostri cari imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

(Traduzione dall'inglese)

Data: 1990-03-15

Giovedi 15 Marzo 1990

A un pellegrinaggio di Milano - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La comunione della sede ambrosiana con la Cattedra di Pietro




1. Il mio cordiale saluto a lei, signor cardinale Carlo Maria Martini, in questo momento di festa, che l'arcidiocesi milanese ha voluto dedicarle, nel ricordo del decimo anniversario della sua elezione alla sede dei santi Ambrogio e Carlo.

Saluto anche il vicario generale, mons. Renato Corti, e gli altri vescovi ausiliari. Rivolgo il mio pensiero affettuoso ai sacerdoti ambrosiani qui presenti e a tutti quelli che dal vasto territorio dell'arcidiocesi sono spiritualmente convenuti presso la tomba di Pietro per questa lieta circostanza.

Saluto, infine, tutti voi fedeli laici milanesi, che avete voluto partecipare a questo pellegrinaggio per attestare la vostra affezione e il vostro attaccamento all'arcivescovo, vostro padre e pastore, successore degli apostoli nella vostra terra. A lui esprimo il mio augurio e il mio compiacimento, al termine del primo decennio del suo servizio pastorale, invocando sulla sua persona e sull'intera Comunità ecclesiale affidata alle sue cure "grazia, misericordia e pace da Dio padre e da Cristo Gesù Signore nostro" (1Tm 1,2).


2. Mi pare particolarmente felice la scelta di solennizzare con un pellegrinaggio a Roma la celebrazione di questa ricorrenza: non solo perché qui avvenne l'ordinazione episcopale dell'arcivescovo, ma anche perché la sede ambrosiana ha sempre professato un singolare vincolo di comunione con la Cattedra di Pietro.

Nella vostra presenza presso la "memoria" dell'apostolo rivive la profonda convinzione che animo tutta l'azione di sant'Ambrogio, il quale amava affermare: "Ubi Petrus, ibi Ecclesia; Ubi Ecclesia, ibi nulla mors sed vita aeterna": "Dove è Pietro, ivi è la Chiesa, e dov'è la Chiesa ivi non c'è morte ma vita eterna" (S.

Ambrogio, "In Ps. 40", 30).

E' del resto a tutti ben nota la volontà del grande vescovo di armonizzare pienamente la vita della propria Chiesa con quella di Roma. Diceva infatti: "In omnibus cupio sequi Ecclesiam Romanam... cuius typum in omnibus sequimur et formam": "In ogni cosa io desidero seguire la Chiesa Romana... il cui modello e forma noi seguiamo sempre" ("De Sacram", III,5).

Questa udienza è pertanto motivo di conforto per me, e mentre confido nella vostra preghiera e nell'impegno di costante, generosa sintonia col ministero petrino che mi è stato affidato, vi ringrazio di cuore per l'affetto che mi dimostrate con la schiettezza di sentimenti che è tipica della gente lombarda.


3. Il pensiero torna spontaneamente alle molteplici occasioni che, nel corso di questi dieci anni, ho avuto di incontrarmi col popolo milanese. La partecipazione al Congresso Eucaristico nazionale, la visita pastorale ai luoghi di san Carlo, la beatificazione del card. Andrea Carlo Ferrari, il messaggio per il centenario del Duomo, e quello per la "rinnovazione dell'alleanza dei giovani con Gesù Cristo, Signore della terra, della cultura, della civiltà". In queste e in altre circostanze ho potuto constatare "la grande tradizione di santità, spiritualità, vigore civile e umano" che - come già riconosceva l'indimenticabile Papa Paolo VI - qualifica i fedeli ambrosiani. E' una tradizione che il vostro arcivescovo si è impegnato a mantener viva in questi anni di intenso ministero, profondendo tra voi i tesori della sua dottrina e del suo zelo.

E non solo tra voi. Mi è caro in questa circostanza esprimergli il mio grato apprezzamento per quanto egli ha fatto e tuttora fa anche a servizio della Chiesa universale, offrendo in particolare la sua preziosa collaborazione in alcuni Dicasteri della Curia Romana e negli organismi della Conferenza Episcopale Europea.


4. In questa ricorrenza decennale, mentre benedite il Signore per i passi finora compiuti insieme col vostro Pastore, voi ripercorrete le tappe del suo magistero tra di voi. Esse sono riassunte nell'invito a un'esperienza cristiana più viva attorno all'Eucaristia, partendo da un rinnovato impegno di vita interiore per culminare in un esercizio più generoso della carità. E' un'esperienza che ha avuto i suoi momenti forti nell'appello al silenzio contemplativo, all'ascolto della Parola, al riconoscimento della centralità dell'Eucaristia nella vita cristiana, alla pronta disponibilità per la missione a servizio del Regno di Cristo.

"Educare, comunicare e vigilare" sono le fasi attraverso le quali si svolge questo cammino di adesione alla chiamata di Gesù, maestro e pastore delle anime. Su questo programma sta maturando il Sinodo, che voi state preparando nell'intento di elaborare un piano pastorale aggiornato alle situazioni nuove che la vostra Chiesa sta vivendo. Voi volete così gettare un ideale "ponte" col Sinodo del 1972, promosso dal carissimo fratello, il card. Giovanni Colombo, al quale pure va il mio fervido saluto. Egli ricorda in questi giorni il 25° anniversario di elevazione alla porpora cardinalizia, il 30° di episcopato, e nella sua età veneranda tuttora offre alla comunità milanese fattiva testimonianza di zelo, di amore alle anime e di ininterrotta preghiera per tutti voi, in fraterna comunione col successore e con l'intero presbiterio.


5. Nell'affidare la sua persona alla protezione divina rinnovo a lei, signor card.

Carlo Maria Martini, fervidi auguri e rivolgo alla Chiesa che ella dirige con pastorale sollecitudine l'esortazione dell'apostolo Pietro: "Dopo aver santificato le anime vostre con l'obbedienza alla verità, per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, essendo stati rigenerati... dalla parola di Dio, viva ed eterna" (1P 1,22-23).

A conferma di questi voti imparto a lei, al venerando suo predecessore, ai collaboratori, soprattutto ai vescovi ausiliari e ai sacerdoti, come anche a tutti i religiosi e ai fedeli della cara arcidiocesi ambrosiana, la mia affettuosa benedizione.

Data: 1990-03-17

Sabato 17 Marzo 1990

All'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Sapienza deve animare e orientare l'azione del sacerdote

Carissimi fratelli e sorelle,


1. In questo tempo di Quaresima siamo invitati a riflettere, rientrando in noi stessi per cogliere meglio il senso del nostro destino. Si tratta di pensare alle cose veramente essenziali della nostra esistenza. Il nostro sguardo, infatti, e con esso il nostro pensiero, sono spesso attratti dalle cose visibili che ci circondano, così che noi rischiamo di fermarci solo alle nostre necessità più immediate, trascurando di interrogarci sullo scopo ultimo della nostra vita. Ma tale scopo è importante, perché dal suo conseguimento dipende l'esito della nostra vicenda terrena.

Per scoprire con sicura chiarezza questo scopo, dobbiamo abbandonare i nostri pensieri troppo superficiali, per fare spazio in noi alla sapienza divina.

Già l'Antico Testamento raccomandava la ricerca della Sapienza, che è dono divino, ma che "si lascia trovare da quelli che la cercano" (Sg 6,12). Cristo, poi, ci ha fatto capire di essere lui stesso la Sapienza venuta a istruire l'umanità.


2. Questa Sapienza deve animare il pensiero del sacerdote ed orientarne l'insegnamento e l'azione. Dal sacerdote non ci si aspetta soltanto che conosca le verità della fede, ma che sappia anche esprimere giudizi e apprezzamenti equilibrati, sulla base di una personale esperienza del mistero di Dio. Chi a lui si rivolge può contare su questa sapienza, che gli è donata dall'Alto per l'esercizio del suo ministero.

In particolare, il sacerdote ha il compito di ricordare ai suoi fratelli il senso ultimo della vita, per orientarli nella vera prospettiva della loro esistenza. Egli deve essere animato di buonsenso e più precisamente di buonsenso soprannaturale, per saper superare nella luce della grazia le vedute troppo strette dei ragionamenti puramente umani. Riconducendo lo sguardo verso Dio, il sacerdote aiuta coloro che incontra a realizzare il pieno sviluppo della loro personalità umana e cristiana.


3. L'esame di questo aspetto della formazione sacerdotale costituirà sicuramente un obiettivo del prossimo Sinodo, che dovrà preoccuparsi di indicare i mezzi per la preparazione di uomini dotati di una profonda sapienza. Nel mondo in cui viviamo, caratterizzato da una molteplicità di opinioni diverse, è importante formare candidati al sacerdozio capaci di orientarsi con equilibrio nelle complesse vicende della vita. L'acquisizione di questa maturità di giudizio ha un valore inestimabile per colui che, nel ministero, deve esprimere pareri e prendere decisioni, le cui conseguenze possono essere rilevanti. Domani ricorre la solennità di san Giuseppe: egli è stato un uomo dotato di vera sapienza, un uomo pieno di buonsenso, e sempre docile alle ispirazioni divine.

Preghiamo la Vergine Maria, Sede della Sapienza, e il suo sposo Giuseppe perché con la loro intercessione ottengano alla Chiesa sacerdoti che, con la loro sapienza, possano comunicare ai loro fratelli la luce di cui hanno bisogno.

Data: 1990-03-18

Domenica 18 Marzo 1990

Omelia in Piazza Freguglia - Ivrea (Torino)

Titolo: Pulsate col bastone della fede sulla roccia che è Cristo: sgorgherà acqua di vita nel deserto della storia umana

"Chi beve dell'acqua che io gli daro, non avrà più sete" (Jn 4,14).


1. Noi siamo qui raccolti, oggi, intorno all'altare di Cristo per "bere dell'acqua che egli ci dà", cari fedeli della diocesi di Ivrea e delle diocesi limitrofe. A tutti rivolgo il mio saluto cordiale insieme col mio grato apprezzamento per l'occasione che mi è offerta di prendere contatto con le popolazioni di questa terra dalle profonde tradizioni religiose.

Saluto con affetto fraterno il vescovo, mons. Luigi Bettazzi; con lui saluto i vescovi originari della diocesi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, che costituiscono il fermento evangelico posto in mezzo alle comunità cristiane.

Un saluto particolare esprimo alle autorità civili, che con la loro partecipazione hanno voluto onorare questo nostro incontro.


2. La liturgia della terza Domenica di Quaresima fa riferimento all'esperienza del deserto. Il deserto! Mi sia consentito di ricordare il recente pellegrinaggio africano in mezzo ai Paesi del Sahel: Capo Verde, Guinea-Bissau, Mali, Burkina Faso e Ciad. Tutti nel raggio del grande deserto africano: una parte nell'ambito del Sahara, l'altra ai suoi margini. Tutti questi Paesi sono minacciati da un comune pericolo: il deserto si allarga e spinge via l'uomo dai luoghi prima coltivati. Lo priva delle condizioni necessarie alla vita.

Il deserto del Sinai, attraverso il quale Mosè condusse i figli e le figlie di Israele, non era né così grande, né così pericoloso come il Sahara.

Tuttavia in questi due luoghi incombe lo stesso pericolo: la morte di sete per la mancanza d'acqua. "Perché ci hai fatti uscire dall'Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?" (Ex 17,3).


3. L'evento del deserto del Sinai si pone come uno dei temi di fondo della liturgia quaresimale. Questo periodo di quaranta giorni ci ricorda anzitutto i quaranta anni del cammino di Israele verso la terra promessa. La terra promessa è Cristo: la sua Pasqua. Nel corso di quaranta giorni la Chiesa muove in pellegrinaggio verso di lui, come verso la Roccia dalla quale l'acqua della vita è scaturita nel deserto della storia umana.

Cristo stesso lo ha manifestato, a Sicar, con le parole indirizzate alla samaritana, presso il pozzo di Giacobbe: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli daro, non avrà mai sete, anzi, l'acqua che io gli daro diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna" (Jn 4,13-14).

L'acqua: una grande metafora della parola rivelata! L'acqua: un grande simbolo sacramentale della nuova alleanza e della vita nuova! Mosè colpi col bastone la roccia... Quando il centurione romano colpi con la lancia il fianco di Cristo crocifisso, ne usci sangue e acqua.


4. In questo modo si è realizzata la speranza che "non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5,5). Ci è stato dato per opera della morte di Cristo sulla croce, per opera del suo sacrificio redentore. Ci è stato dato a somiglianza di acqua che "viene riversata" con grande abbondanza nei cuori umani, cambiando il deserto sterile nel raccolto della Vita e della Grazia.

La potenza vivificante dell'acqua; la potenza vivificante dello Spirito Santo, che "ci è stato dato"! In lui Dio stesso, che è la vita e la santità, si dona alle anime umane. Egli rende fertile il deserto.


5. Significative sono le parole di Gesù alla samaritana, presso il pozzo di Giacobbe: "L'acqua che io gli daro diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna" (Jn 4,14). La sorgente è in Dio stesso. La sorgente è nel sacrificio redentore di Cristo. Per opera dello Spirito Santo questa sorgente "zampilla" dentro l'uomo.

L'acqua di fonte è limpida. Essa simboleggia la limpidezza delle coscienze umane. La limpidezza della verità interiore. Proprio così è avvenuto alla samaritana presso il pozzo: "Mi ha detto tutto quello che ho fatto" (Jn 4,39). Cristo le ha aperto la vista interiore della coscienza sulla verità delle opere, sulla verità di tutta la sua vita.

E questa è la prima azione salvifica, l'azione vivificante dell'acqua che zampilla per la vita eterna. E' la prima azione dello Spirito Santo, per il quale l'amore di Dio è riversato nei nostri cuori. Questa è anche la prima e fondamentale chiamata della Quaresima: "Signore, tu sei veramente il salvatore del mondo: dammi dell'acqua viva, perché non abbia più sete".

La Quaresima è il tempo della conversione mediante la verità delle coscienze umane. Il tempo della remissione dei peccati. Il tempo della metanoia!


6. Mediante la verità della coscienza - come mediante la limpidezza dell'acqua - si apre la via sulla quale camminano i "veri adoratori" di Dio. Cristo dice: "I veri adoratori adoreranno il padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità" (Jn 4,24). Dio, che è spirito e verità, desidera incontrarsi con noi nella verità delle nostre coscienze, nella verità delle nostre opere, Dio, che è il Padre, desidera incontrarsi con noi mediante il suo Figlio unigenito, mediante la sconvolgente verità del suo mistero pasquale, nel quale si è aperta la sorgente inesauribile dell'acqua viva, "che zampilla per la vita eterna".

Tale è l'eterna volontà del Padre. Tale è la sua volontà salvifica.

Questa volontà è il cibo del Figlio. Cristo Redentore desidera dividere con noi questo cibo. I campi arati della Chiesa di Dio continuano a biancheggiare "per la messe". E così generazioni sempre nuove entrano in questa volontà salvifica del Padre, che è il cibo del Figlio, e il nostro cibo in unione con lui. E' il cibo della verità e dell'amore, riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato.


7. Nel deserto Dio disse a Mosè: "Prendi in mano il bastone... tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà" (Ex 17,5-6). Ecco il tempo di Quaresima: è il tempo in cui battere sulla roccia, per farne uscire l'acqua, che veramente disseta: l'acqua che appaga il desiderio più profondo dell'anima umana, il desiderio della verità e dell'amore.

Quel luogo nel deserto del Sinai fu chiamato "Massa e Meriba". Li i figli di Israele avevano litigato con il Signore e l'avevano messo alla prova.

Quanti sono stati e sono, sulla faccia della terra, tali luoghi! Quanti nomi diversi hanno! In quanti modi gli uomini litigano con Dio e Lo mettono alla prova! E' necessario che tutti ascoltino la voce di Cristo. E' necessario che gli dicano come la samaritana: "Dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete" (Jn 4,15). E' necessario che abbiano coraggio di battere sulla roccia! E' necessario che lo abbiate voi questo coraggio, fedeli della Chiesa che è in Ivrea! Il futuro del cristianesimo in questa regione dipende anche dal vostro coraggio.

Avvicinatevi alla roccia, che è Cristo! Avvicinatevi a lui e pulsate al suo cuore col bastone della vostra fede, perché ne esca l'acqua della grazia, capace di dar vita alle vostre anime. Avvicinatevi e pulsate con coraggio! Quell'acqua diventerà in voi "sorgente che zampilla per la vita eterna". Amen.

(Al termine della celebrazione:) Vorrei aggiungere una parola per i bambini che oggi, per la prima volta, hanno ricevuto la Comunione eucaristica. Per voi, carissimi ragazzi e ragazze, è un grande giorno. Che sia anche il giorno di una grande benedizione per voi, per le vostre famiglie, per tutta la Chiesa di Ivrea.

Ringrazio tutti per la loro partecipazione, per la preparazione che si è concretizzata durante questa celebrazione specialmente nei canti e in tutto il clima di preghiera, di gioia e di ringraziamento. Eucaristia vuol dire ringraziamento.

Data: 1990-03-18

Domenica 18 Marzo 1990

Alle autorità cittadine nel Palazzo vescovile - Ivrea (Torino)

Titolo: Autentico progresso nel rispetto dei valori umani essenziali




1. Dopo il mio primo incontro con i fedeli di questa città nella celebrazione eucaristica, mi è particolarmente gradito porgere il mio saluto a lei, signor sindaco, al signor ministro e a tutte le autorità cittadine e regionali. Ringrazio per le parole di benvenuto rivoltemi a nome del Governo e della popolazione, mentre ricambio di cuore ogni felice augurio di bene, di prosperità, di pace.


2. Ivrea è sede di strutture industriali tra le più moderne e innovatrici: basti pensare a quanto si produce qui nel settore dell'informatica e dell'automazione.

Ma in tutto il territorio il lavoro è onorato da numerose altre iniziative, tanto nell'ambito industriale quanto nel settore dell'agricoltura, che ha conosciuto in questi anni trasformazioni tecnologiche radicali. Né mancano a Ivrea importanti iniziative culturali, sostenute da un'intensa attività editoriale e dall'organizzazione di convegni e seminari che promuovono il dialogo sociologico, politico, filosofico e religioso.

Ivrea, dunque, riveste per lo sviluppo e la promozione culturale dell'intero Paese un suo ruolo importante, ed è giusto riconoscerlo, come è giusto meditare sul cammino percorso da questa popolazione per raggiungere mete significative di promozione umana e di benessere.


3. La Città ha tradizioni antichissime, che risalgono ad epoche anteriori alla stessa civilizzazione romana. Esse si sono ben presto arricchite con l'apporto dell'annuncio evangelico, qui recato già nei primi secoli dell'era cristiana. La storia di Ivrea conobbe poi tappe importanti nel corso del medioevo. In quel tempo alcune iniziative culturali ebbero originali attuazioni: basti ricordare la Scuola vescovile, già celebre all'inizio del secolo nono, e la diffusione dei suoi mirabili testi in tutte le biblioteche d'Europa.

Sono esempi cospicui e tuttora eloquenti. Ad essi i cittadini di oggi potranno utilmente rifarsi per trarne indicazioni illuminanti circa la collaborazione che la società civile e quella religiosa sono chiamate ad attuare in vista del bene comune. Occorre, infatti, riconoscere l'interdipendenza esistente tra i valori umani essenziali, e la conseguente necessità di promuoverli in modo coordinato, pur nel rispetto delle rispettive, legittime autonomie. Solo così sarà possibile attuare un autentico progresso di tutto l'uomo e dell'intera compagine sociale.


4. Il mio auspicio è che la comunità di Ivrea e di tutto il Canavese prosegua il suo cammino verso il pieno sviluppo, basato non solo sul benessere economico e sociale, ma anche sulla vigorosa affermazione dell'identità culturale di questo popolo e sulla sua apertura verso il trascendente. Per questo invoco sul popolo di Ivrea e su coloro che ne reggono le sorti la costante protezione di Dio e di Colei che ha dato al mondo il Salvatore.

Data: 1990-03-18

Domenica 18 Marzo 1990


GPII 1990 Insegnamenti - Lettera nel 50° della morte di don Orione - Vivere umili e piccoli ai piedi della Chiesa