GPII 1990 Insegnamenti - A sacerdoti e religiosi nella cattedrale - Ivrea (Torino)

A sacerdoti e religiosi nella cattedrale - Ivrea (Torino)

Titolo: Attenzione ai doni ricevuti da Dio e ai bisogni dell'uomo

Venerato fratello nell'episcopato, cari sacerdoti, religiosi e religiose, carissimi laici.


1. Ho ascoltato con attenzione i vari interventi, a cominciare da quello del vostro vescovo. Essi mi hanno messo a contatto con i problemi più avvertiti oggi in diocesi nei vari settori, dei quali hanno parlato i singoli vostri rappresentanti: attività del Consiglio pastorale, evangelizzazione, catechesi, cultura, liturgia, pastorale sociale e familiare, problemi dei giovani e del lavoro, vita della comunità...

Alla luce anche degli altri contatti che ho avuto con la vostra realtà ecclesiale, sono lieto di prender atto di una grande ricchezza e varietà di iniziative, che offrono la prova della vitalità e dell'impegno, con cui la vostra Chiesa attende alla realizzazione della riforma promossa dal recente Concilio.

La coincidenza di questo nostro incontro con la festività di san Giuseppe sembra acquistare un particolare significato, in considerazione del fatto che uno degli elementi più caratteristici della vita della diocesi è certamente costituito da quell'insieme di realtà così profondamente umane che ruotano attorno al mondo del lavoro, con tutte le rispettive implicazioni nell'ambito dell'economia, dei diritti dei gruppi e delle persone, della vita familiare e sociale, e della stessa vita spirituale ed ecclesiale. In effetti, la persona umana non è strutturata a compartimenti stagni, ma tra i suoi interessi materiali e quelli spirituali corre una multiforme interazione. Si rivela perciò importante che l'una sfera di interessi non entri in collisione con l'altra, ma ciascuna cooperi invece alla miglior realizzazione del soggetto.


2. Carissimi, siamo qui raccolti stasera per riflettere su alcune implicazioni pastorali di questo fondamentale principio. Nell'esprimere la mia gioia di essere tra voi, desidero salutare tutti con affetto, avendo un particolare pensiero per i singoli presenti, anche se non mi è possibile un contatto personale con ciascuno.

Vedo in questo nostro incontro in cattedrale quella porzione della Chiesa di Dio che è in Ivrea, la quale svolge un ruolo particolarmente attivo di testimonianza cristiana e di servizio ai fratelli. Ma il mio pensiero va anche, in questo momento, all'altra componente della comunità cristiana, che, pur nascosta agli occhi degli uomini, è tuttavia ben nota a Dio: voglio dire la schiera dei contemplativi e delle contemplative, ritirati nei loro monasteri, ma non per questo meno presenti e meno operanti per la salvezza delle anime e il progetto spirituale della Chiesa locale. Penso altresi a tutti i malati, agli anziani e alle persone sole, che, con la loro fede e con l'offerta della loro sofferenza, possono svolgere un lavoro soprannaturale tanto prezioso e insostituibile. Penso infine ai fanciulli, che, con l'offerta della loro preghiera e della loro innocenza, sono strumenti preziosi dello Spirito Santo nell'edificazione del regno di Dio e nello sviluppo della Chiesa.


3. Dai vostri interventi è emerso, accanto al tema del lavoro e della giustizia sociale, anche quello della nuova evangelizzazione, che oggi è sempre più necessaria, a cominciare dai paesi europei, e che richiede da ciascuno una risposta alla propria vocazione di cristiano impegnato nella società in cui vive.

Evangelizzazione significa innanzitutto predicare Cristo per dare agli uomini una speranza che li aiuti non solo a trasformare il mondo, ma anche ad aprirli alla vita soprannaturale in Dio. Significa sapersi spendere e donare perché i nostri fratelli e sorelle abbiano un'esistenza sempre più consona alla loro dignità di creature, figli di Dio e redenti da Cristo. Significa impegnarsi a salvaguardare, in nome della sacralità della vita, alcuni valori fondamentali da cui dipende la sopravvivenza stessa dell'umanità, oggi minacciata da numerosi pericoli.

Carissimi sacerdoti, religiosi e religiose, e voi laici impegnati nei vari settori, associazioni e movimenti, quale meraviglioso capitale di forze spirituali potete mettere a disposizione per questo lavoro, insieme umano e soprannaturale, ciascuno nella chiara coscienza della rispettiva vocazione e nella fedeltà umile e coraggiosa al proprio carisma, al proprio ufficio, alla propria missione! Impegnatevi a chiarire sempre meglio a voi stessi il valore e la finalità dei doni ricevuti, per amarli con ardore, custodirli gelosamente, difenderli da ogni pericolo, farli fruttare generosamente. Ponete continuamente attenzione, con sano discernimento, alle necessità dell'ambiente che vi circonda o nel quale l'obbedienza vi conduce, per saper individuare ogni possibile occasione di dialogo, che vi consenta di comunicare ai fratelli i perenni insegnamenti del Vangelo. L'azione evangelizzatrice deve partire da questa duplice attenzione: attenzione ai doni ricevuti e attenzione alle necessità dell'uomo, nella luce della parola di Dio contenuta nella Scrittura, trasmessa dalla sacra Tradizione commentata dai padri e dai dottori, interpretata dal magistero della Chiesa, vissuta dai santi. Non perdete mai di vista queste sorgenti.


4. Confido che la vostra realtà ecclesiale sia sufficientemente preparata ai nuovi compiti di evangelizzazione, che oggi s'impongono non solo su scala nazionale, ma a livello europeo. Da tempo infatti la vostra città, col suo territorio, vive il fenomeno della immigrazione e dell'emigrazione: questo più tipico del passato, quello più caratteristico del presente. In ogni caso questa circolazione di persone ha fatto si che la vostra città superasse prontamente i ristretti limiti di una mentalità provinciale, per abituarsi ad apprezzare una convivenza umana multiforme e pluralistica, caratterizzata dall'intrecciarsi di culture e costumi assai diversi tra loro. Ciò vi ha abituato al dialogo e alla tolleranza, che creano quel clima indispensabile di mutuo rispetto e di reciproca fiducia, che consente di camminare insieme e di comunicarsi scambievolmente le rispettive acquisizioni, nella prospettiva di una conoscenza sempre più profonda di Colui che è la verità sussistente.


5. Nell'evangelizzazione - come è stato più volte ribadito dal recente magistero della Chiesa - ognuno ha il suo ruolo specifico, che deve essere rispettato e valorizzato, curando sempre, com'è ovvio, il coordinamento della propria azione con quella degli altri. L'evangelizzazione, infatti, non è e non può essere un affare privato, ma è opera solidale della comunità tutta intera sotto la guida del vescovo, che ne è il legittimo pastore.

In un simile contesto di solidarietà, il sacerdote non potrà sostituire il religioso o la religiosa, e questi a loro volta non potranno presumere di fare a meno dei laici. Il tutto, pero, senza rigidezze o esclusivismi. Quando sono in gioco valori primari della dottrina o della disciplina, è doveroso procedere uniti, parlando tutti con la stessa voce e con lo stesso tono. Quando, invece, si tratta di aspetti non altrettanto importanti nei quali il variare, ad esempio, delle circostanze può far intravedere soluzioni diverse, sarà pure doveroso riconoscere una giusta libertà di parola e di iniziativa, nella convinzione che, grazie all'interiore azione dello Spirito, l'apporto di ciascuno si tradurrà in un vantaggio per tutti.


6. L'opera evangelizzatrice, soprattutto oggi, è inscindibilmente legata all'opera di promozione delle vocazioni, sacerdotali e religiose. Sapete bene quante volte io stesso sia tornato su questo argomento. La sua importanza e urgenza mi spinge a trattarlo in ogni occasione favorevole, e so che anche voi ne siete vivamente interessati.

La prima cosa a cui vorrei invitarvi è la riaffermazione di una sicura fiducia non solo nella permanenza di carismi come quelli del sacerdozio e della vita consacrata, ma anche in una loro possibile e forse prossima rifioritura. Non lasciamoci impressionare dalle statistiche: la missione del sacerdote e del religioso ha certamente un legame con le mutevoli condizioni della società, ma non si riduce a quelle. Alla sua origine, infatti, c'è la trascendente forza dello Spirito divino, che "soffia dove vuole". Se guardiamo alla lunga storia della Chiesa, vediamo che tutti quei valori essenziali che in certi periodi hanno sofferto delle crisi, sono poi immancabilmente risorti, appunto perché essenziali.

Così è e sarà del sacerdozio e della vita religiosa.

L'odierna ricchezza di ministeri e carismi laicali, maschili e femminili, è certamente una benedizione dello Spirito Santo, ma sarebbe un grave errore, dettato dal malsano secolarismo, pensare che tale rigoglio di iniziative e di servizi laicali sia destinato a sostituire le istituzioni del sacerdozio e della consacrazione religiosa. Non sostituire tali istituzioni, ma integrarle in una logica di complementarità, è lo scopo che lo Spirito persegue mediante queste nuove manifestazioni della sua presenza vivificatrice.


7. Il secondo impegno, su cui desidero richiamare la vostra attenzione, discende direttamente dalla precedente riflessione: se il carisma del sacerdozio e della vita consacrata è necessario, non possiamo non sentirci stimolati a una rinnovata e più convinta azione nel settore importantissimo della pastorale vocazionale, nella quale non ci mancheranno le ispirazioni e il soccorso dello Spirito Santo.

E' lui stesso a essere interessato "in prima Persona" al successo di quest'opera.

Lo Spirito Santo attende, pero, la nostra cooperazione. Dobbiamo quindi accentuare l'uso di tutti quei mezzi umani che maggiormente si rivelano adatti allo scopo. In particolare - e qui mi rivolgo in modo speciale ai sacerdoti - è più che mai opportuno riprendere in considerazione l'importanza della direzione spirituale, intesa come servizio competente, discreto e generoso, che aiuta le anime a scoprire le vie del Signore.

Con simili voti e auspici prego Maria santissima, Regina degli apostoli, che non vi faccia mai mancare il soccorso della sua materna assistenza sul cammino della vostra testimonianza a Cristo. Possiate, inoltre, trovar sempre conforto e sostegno nella comunione dei santi, dei quali anche la vostra diocesi è ricca. In questa circostanza il mio pensiero va in modo speciale al giovane Gino Pistoni, la cui figura certamente conoscete come esempio splendido, soprattutto per voi laici, di totale dedizione a Cristo, alla Chiesa e al bene della società. Imitate la fermezza della sua fede e la generosità del suo animo.

Desidero, infine, esprimere il mio compiacimento per l'edizione in facsimile del Sacramentario di Varmondo, prezioso testo per la storia della liturgia e della teologia, testimonianza di un cammino di fede e documento significativo della vita liturgica della comunità ecclesiale e, nello stesso tempo, della letteratura e dell'arte.

Ringrazio i signori editori e quanti hanno curato la nuova pubblicazione di un libro così prezioso, del quale mi è stata offerta in omaggio la prima copia.

Sono riconoscente anche al vescovo, al venerando Capitolo, alle autorità pubbliche che hanno favorito e sostenuto il lavoro. A tutti voi, la mia particolare, affettuosa benedizione.

Data: 1990-03-18

Domenica 18 Marzo 1990

Omelia nell'abbazia - San Benigno Canavese (Torino)

Titolo: Cristo ha dato al lavoro un significato che travalica il tempo

Abramo credette a Dio... "Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli". Egli "è padre di tutti noi" (Rm 4,18 Rm 4,16).


1. Nella solennità di san Giuseppe la Chiesa fa riferimento alla fede di Abramo. E questa fede ha subito la prova della grande promessa di Dio. Dio gli aveva promesso il dono della paternità, pur essendo sua moglie Sara sterile. E quando, in età già avanzata, ebbero il figlio Isacco, Dio li fece passare attraverso un'ulteriore prova. Ecco, chiese ad Abramo che gli sacrificasse il suo unico figlio. Tuttavia Dio fermo la mano del padre, disposto a compiere tale volontà, e accetto soltanto il sacrificio del suo cuore paterno.

Il patriarca Abramo divenne padre della stirpe e capostipite del popolo di Dio, Israele. Grazie alla fede, pero, egli divenne e rimane, anche se non per generazione fisica, padre di molte nazioni: il padre di tutti i credenti.

La fede è un'eredità secondo lo spirito, non secondo la carne. Abramo credette a Dio stesso con una certezza superiore a ogni calcolo umano. Credette nel Dio vero non a misura d'uomo, ma a misura del mistero infinito, nel quale l'onnipotenza e l'amore sono una cosa sola.


2. così credette anche Maria al momento dell'annunciazione: "Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce... Lo Spirito Santo scenderà su di te... Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato figlio di Dio... nulla è impossibile a Dio" (Lc 1,31 Lc 1,35 Lc 1,37). così credette la Vergine di Nazaret, promessa sposa di un uomo, chiamato Giuseppe. E così credette pure lo stesso Giuseppe, l'"uomo giusto".

Nella solennità a lui dedicata la Chiesa si richiama oggi alla fede di Abramo, poiché anche lui, così come la sua sposa, "spero contro ogni speranza". E questa volta la speranza ando più in alto, ben oltre la vicenda di Abramo. La speranza di Giuseppe aveva per oggetto il compimento definitivo delle promesse di Dio mediante la nascita di un Figlio, che era lo stesso Unigenito consostanziale all'Eterno Padre.

Giuseppe ascolta le parole dell'angelo: "Non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.

Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,20-21).

A questo punto l'eredità della fede di Abramo raggiunge l'apice. Il Figlio di Maria, per il quale Giuseppe, qui sulla terra, deve fare le veci dell'Eterno Padre, si offrirà effettivamente in totale sacrificio per la remissione dei peccati. Diversamente da quanto era successo nel caso di Abramo e Isacco. La prova della fede di Maria, Madre del Redentore, andrà ancora oltre: fino alla croce, sul Golgota! E li la sua anima sarà trafitta da una spada. Non verrà risparmiata alla Madre la morte terribile del Figlio.


3. Giuseppe entro insieme con Maria sulla via di questa fede. Come sposo si trovo accanto a lei sin dal primo momento. Fu il custode fedele della Madre e del Bambino durante la fuga in Egitto, quando fu necessario sottrarsi alla crudeltà di Erode. Poi fu capofamiglia della casa di Nazaret, dove il Figlio di Dio "cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Lc 2,52) fino al trentesimo anno di vita.

E benché tutto questo periodo della vita nascosta del Redentore sia stato riassunto appena in poche parole, è noto che in queste parole è racchiuso il ricco Vangelo del lavoro umano. Infatti Giuseppe lavoro come un artigiano-carpentiere, e Gesù crescendo stava al suo fianco, presso il banco di lavoro. Per questo motivo, nella solennità di san Giuseppe, cerchiamo ogni anno di attualizzare il Vangelo del lavoro, mediante gli incontri in diversi luoghi con gli ambienti dei lavoratori.


4. San Giuseppe di Nazaret è un santo molto umano. Pienamente umano si rivela accanto a lui il Figlio di Dio, il quale "ha lavorato con mani d'uomo", così come "ha amato con cuore d'uomo" (GS 22). In questo modo sul lavoro umano è stato impresso - per tutti i tempi - un sigillo del mistero di Dio, che non potrà mai essere tolto.

E' una verità innegabile che l'uomo, mediante il suo lavoro, mediante la scienza e la tecnica, continua ad andare sempre avanti nel suo dominio sul mondo visibile. Questo fatto è certamente degno di ammirazione, benché sia anche all'origine di molteplici difficoltà, e perfino di vari pericoli. Pericoli del corpo: per l'incolumità fisica, che non di rado è posta a repentaglio da tanti fattori di insicurezza e di rischio; e, più in generale, pericoli derivanti dalla fatica spesso stressante e, alla fin fine, alienante; dall'anonimato e dalla monotonia del lavoro.

Pericoli, soprattutto, per lo spirito: i ritmi di lavoro possono allentare l'assiduità richiesta dalla cura familiare, con la conseguenza che ne risentono la convivenza e l'educazione dei figli; si può anche diventare meno vigili nella difesa della propria integrità e onestà morale; e può anche subentrare un certo assenteismo dalla pratica religiosa.

Il lavoro non deve spegnere lo spirito: deve porsi a suo servizio. Ciò richiede che sia svolto in modo umano e con ritmi umani. Di qui la necessità del riposo festivo, di una pausa di riflessione, durante la quale ricuperare in modo vivo e pieno i valori spirituali.

Ho saputo che voi venerati fratelli nell'episcopato - a cui rivolgo, unitamente ai sacerdoti qui presenti, il mio affettuoso saluto e apprezzamento per l'instancabile ministero pastorale - avete recentemente preso in esame il problema del lavoro festivo. Questo fenomeno purtroppo si sta ora introducendo anche nel processo lavorativo delle fabbriche. Giustamente voi avete rilevato che, già sul piano umano, il ritmo della vita dell'uomo non solo esige una sosta nel lavoro settimanale, ma chiede che essa sia possibilmente "contemporanea" per tutti i membri della famiglia, onde venire incontro alle loro esigenze di coesione e di comunione. Ancor più sul piano cristiano è necessario che si privilegi la domenica, che è il giorno del Signore, il giorno in cui la Chiesa si raccoglie nell'assemblea liturgica, il giorno di una più intensa vita religiosa. La domenica costituisce per il cristiano una testimonianza di fede non solo in Dio, ma anche nell'uomo e nei suoi valori soprannaturali.

Il cristiano deve impegnarsi per il rispetto di questo suo diritto alla sacralità della domenica. Egli dovrà dunque sostenere le forze sociali e politiche, perché orientino la pubblica opinione, e quindi i contratti e le leggi, in modo che gli sia assicurata la possibilità di vivere secondo i principi e i valori che trovano nella domenica il proprio punto di riferimento.


5. Che cosa significa che Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio, sta presso il banco di lavoro umano, accanto a Giuseppe? Non significa forse che, dappertutto e sempre, in ogni dimensione dell'umana attività e delle sue massime conquiste creative, penetra il mistero inscrutabile, il mistero senza limiti? Non significa forse che, al di sopra di tutti i calcoli e programmi collegati con l'attività temporale, l'uomo è costantemente chiamato da Dio stesso, perché contro ogni speranza abbia fede nella speranza? Il lavoro serve certamente alla realizzazione dei destini terreni dell'uomo. Ma esso è - può essere - il compimento di tutta la sua speranza? Di tutto ciò verso cui tende il misterioso "io" umano? In verità la grandezza del lavoro umano - di ogni lavoro umano - consiste nel fatto che, lavorando, l'uomo supera con la sua umanità lo stesso lavoro. Lo supera con la speranza che porta in sé. Infatti, l'umanità in ciascuno di noi è abbracciata dall'eterno disegno divino. E' abbracciata nel Verbo che è "generato prima di ogni creatura". E' redenta da lui. Redenta con il sacrificio della croce sul Golgota. Redenta anche col sacrificio del lavoro a Nazaret, al fianco di Giuseppe carpentiere.

Che questa umanità redenta apprenda dal Verbo incarnato, fattosi carpentiere accanto al carpentiere Giuseppe, il vero significato del lavoro, un significato che travalica il tempo e si proietta nell'eternità. Amen!

Data: 1990-03-19

Lunedi 19 Marzo 1990

Al mondo rurale - San Benigno Canavese (Torino)

Titolo: Rinnovamento dell'agricoltura e rinnovamento delle coscienze




1. Saluto con affetto tutti voi, agricoltori, coltivatori diretti e rappresentanti delle Associazioni che tutelano i vostri diritti, ringraziandovi per la vostra presenza e per le parole che or ora mi sono state rivolte a nome di tutti.

Il desiderio d'incontrarvi in questo giorno celebrativo del lavoro umano era ben giustificato dal fatto che nel territorio di questa diocesi l'attività agricola ha ancora un notevole rilievo e ha anzi conosciuto, grazie alle nuove tecnologie, confortanti sviluppi. Il risultato è che, se in questa zona è venuto formandosi uno dei poli più significativi dell'industria moderna, il suolo che si espande lungo il corso della Dora e dell'Orco ha mantenuto e aggiornato la sua tradizione agricola, orientando opportunamente le culture e applicando nel lavoro le conquiste della meccanica e dell'informatica.


2. E' ben noto quanto la tentazione dell'età industriale di trascurare il settore delle attività primarie e di far defluire le unità lavorative verso altri ruoli abbia profondamente segnato il lavoro agricolo sin quasi a umiliarlo. Oggi, tuttavia, l'economia mondiale si vede costretta a riconsiderarne l'importanza fondamentale, riconoscendo il bisogno urgente di favorire, ancor più che nel passato, l'incremento delle culture in corrispondenza con le accresciute necessità della popolazione del pianeta.

Per poter corrispondere a queste attese, l'agricoltura deve avvalersi delle moderne tecnologie, avendo cura, tuttavia, di non recare danno alla vita dei coltivatori e dei consumatori. Diventa sempre più urgente intensificare una fattiva collaborazione tra agricoltura e altri settori dell'economia; ma è necessario resistere alla tentazione del profitto ad ogni costo, ben sapendo che in realtà le prime vittime di abusi ecologici sarebbero proprio i lavoratori della terra. perciò anche il rinnovamento dell'agricoltura esige un rinnovamento delle coscienze, ed ogni lavoratore deve superare suggestioni egoistiche, obbedendo a un severo impegno morale ispirato alla solidarietà.


3. Cari lavoratori della terra, sappiate salvaguardare, nel contesto delle grandi trasformazioni contemporanee, i valori umani e religiosi della vostra tradizione, traendo da essi ispirazione per suscitare concreti segni di fraternità.

Formulo per tutti voi l'auspicio e la speranza che possiate godere della giusta ricompensa per la vostra fatica e ottenere pieno riconoscimento del valido apporto da voi recato ai piani di sviluppo. Per questo desidero esortare e incoraggiare le autorità pubbliche a prodigarsi con coraggio e con fiducia per la giusta difesa dei vostri diritti e per un'intensa promozione di tutto il settore agricolo.

A voi raccomando di custodire i valori dell'operosità, della solidarietà e dell'aiuto reciproco. Raccomando soprattutto di mantener vivo in voi il senso di Dio. Trasmettete questi valori ai vostri figli, alimentandone lo spirito religioso nel forte e sano contesto della cultura contadina. Siate operatori di vera fraternità e testimoni della carità di Cristo, aperta a tutti gli uomini.

Con questi sentimenti, imparto a tutti voi, alle vostre famiglie e a tutte le vostre comunità di lavoro la mia benedizione.

Data: 1990-03-19

Lunedi 19 Marzo 1990

Discorso nello stabilimento Olivetti - Scarmagno (Torino)

Titolo: Passione per l'uomo, passione per la sua umanità

Saluto cordialmente tutti i presenti. Sono molto lieto per questo primo contatto con la Olivetti, soprattutto per questo primo contatto con la realtà, oggi tanto conosciuta e tanto diffusa, che si chiama "computer". Devo confessarvi che capisco un po' la parola, ma dovrei imparare che cosa vuol dire, che cosa c'è dietro questa parola, che cosa è la realtà dei computers. L'ho detto anche al vostro Ingegnere ed egli me l'ha spiegato. Tuttavia la spiegazione muoveva da un punto di partenza per lui molto chiaro, ma per me un po' meno chiaro, perché si dovrebbero studiare ancora molti aspetti per capire questo punto di partenza. E poi, naturalmente, si potrebbe capire anche il "computer" come processo creativo e processo produttivo di una fabbrica.

La vostra fabbrica - e lo dico alla presenza dell'erede del nome Olivetti, al quale essa è legata dai suoi inizi e durante tutto il periodo, non tanto lungo ma molto rapido, del suo sviluppo - genera ammirazione. Essa è moderna e anche molto umana, perché non vi sono tanti elementi delle fabbriche del passato. Vi è quasi un salone - come diceva il signor direttore - quasi un salone lavorativo dove vanno insieme il lavoro e la dignità delle cose e la bellezza dell'ambiente. Non è la bellezza della natura: è la bellezza dei prodotti umani, dei manufatti. C'è una bellezza, una distinta bellezza, in questo ambiente.

Ma torniamo al "computer". Ho cercato di essere illuminato scientificamente e tecnicamente, ma ho cercato anche di ritrovare qualche cosa nelle mia formazione personale. E ho ricordato questa idea del secolo XVIII: "l'homme machine", l'uomo-macchina. Penso che qui, con il "computer", ci troviamo nella situazione opposta: piuttosto "machine homme", macchina-uomo, macchina che sostituisce l'uomo. Questo è un problema fondamentale, perché dagli inizi le macchine sostituiscono l'uomo, soprattutto sostituiscono la sua mano, perché per l'uomo lo strumento di lavoro è soprattutto la mano. così, esteriormente, si può dire che tutte le macchine sostituiscono la mano, non solamente la sostituiscono ma anche la moltiplicano. In questo consiste il progresso tecnologico, il progresso generato dalle macchine nella storia dell'umanità. Le macchine hanno saputo non solamente sostituire, ma anche moltiplicare le mani dell'uomo e l'opera di queste mani.

Adesso faccio un'interpolazione o una mia interpretazione di quello che è il "computer". Se i diversi strumenti, diciamo le diverse macchine, sostituiscono l'uomo, l'uomo che lavora, sostituiscono il suo lavoro manuale, qui si tratta di entrare molto più intimamente nell'uomo, di imitare, di sostituire, anzi di moltiplicare quello che appartiene all'intelligenza dell'uomo, alla sua dimensione intellettuale e quindi spirituale. Sembra che, in qualche misura, anche in questa dimensione della sua umanità l'uomo sia sostituibile. Ma egli è sostituibile e anche moltiplicabile solo "in qualche misura". Devo dire, alla fine di questa mia rapida analisi, che l'uomo rimane "insostituibile".

Mi congratulo con questo Centro Olivetti, che è il più rinomato nel mondo della produzione dei "computers" più sofisticati. Mi congratulo con questa opera dell'umana intelligenza, inventività, creatività. Tutto questo genera ammirazione. Ma, ripeto, l'uomo è "insostituibile".

Così, passando attraverso questi splendidi strumenti prodotti dall'uomo, questi stupendi "computers" sempre più moderni, non ho potuto, ad esempio, entrare in dialogo con nessuno di questi strumenti, di queste macchine. Non ho potuto sentire una voce e soprattutto un sentimento umano. Non ho potuto essere accolto con amore come sono stato accolto con amore dalle persone.

La conclusione è allora questa: se l'uomo può costruire gli strumenti, le macchine, che sono immagine in qualche misura anche della sua intelligenza, nello stesso tempo l'uomo, in se stesso, rimane unicamente "simile a Dio": era, è e sarà sempre "immagine di Dio, somiglianza di Dio". così si spiega la sua umanità, la sua definitiva, adeguata insostituibilità.

E' stata breve la "lezione" scientifico-tecnico-filosofica che ho dovuto fare qui, durante questo percorso, ma è stata molto efficace, perché mi ha lasciato riscoprire di nuovo questa mia passione originaria, primordiale e principale: questa passione per l'uomo, passione per la sua umanità, per la sua originalità insostituibile, questa passione che finalmente trova la sua spiegazione completa nel mistero di Dio e specialmente nel mistero di Dio fattosi Uomo, nel mistero di Cristo. Come ci dice il Concilio Vaticano II, l'uomo è un grande interrogativo. Ma solamente nella luce del mistero di Cristo questo interrogativo, questo mistero dell'uomo, può essere spiegato sino in fondo.

Vi lascio queste riflessioni, queste parole, ringraziandovi per la vostra apertura, per la vostra accoglienza, augurandovi anche un buon lavoro nella festa di san Giuseppe, che è il patrono dei lavoratori, possiamo dire, accanto a Gesù, e augurando tutto il bene alle vostre famiglie, alle persone qui presenti.

Accanto ad ogni persona vedo anche una famiglia, una comunità, una comunione di persone. Auguro tutto il bene alle vostre famiglie, perché san Giuseppe è anche patrono delle famiglie insieme con la sua sposa, la Vergine Maria, e insieme con Gesù.

Questi sono i miei auguri conclusivi alla fine di questa "improvvisazione" provocata dalla parola "computer". Grazie ai "computers"!

Data: 1990-03-19

Lunedi 19 Marzo 1990

Ai lavoratori delle Officine Olivetti - Ivrea (Torino)

Titolo: Non si può sacrificare l'uomo alla macchina

Carissimi fratelli e sorelle.


1. A tutti il mio saluto deferente e cordiale. Sono lieto d'incontrarmi con voi, dirigenti, impiegati e operai di questa grande azienda, vanto della vostra città e dell'Italia. Ringrazio il signor presidente della Olivetti e chi s'è fatto interprete dei comuni sentimenti per le espressioni rivoltemi, nelle quali ho potuto cogliere, in rapida sintesi, le preoccupazioni e le speranze, che animano il mondo aziendale in questo particolare momento.

E' spontaneo, in una circostanza come questa, riandare col pensiero alla figura dell'ing. Adriano Olivetti, il coraggioso imprenditore che volle fare della fabbrica un luogo di autentica esperienza umana, attingendo sicuramente ispirazione, in questo suo progetto, anche dal patrimonio di valori religiosi tramandatogli dagli avi.


2. La Chiesa celebra oggi la solennità di san Giuseppe, sposo di Maria santissima, padre putativo di Gesù, ma anche "carpentiere" (Mc 6,3) e degno, come tale, di essere venerato quale patrono di tutti i lavoratori. San Giuseppe, la persona più vicina al Signore dopo Maria, Madre Vergine di Gesù, era un lavoratore: non uno scienziato, non un dottore della legge, non un dirigente politico, non un professionista, non un sacerdote, ma un "carpentiere". E questo non per caso, ma per volontà di Dio Padre.

Ciò sta a indicare quanto il lavoro umano, anche il più umile, conti agli occhi di Dio, agli occhi del suo Figlio Gesù Cristo, il quale volle nascere in una famiglia di lavoratori e, come insegna san Paolo, "da ricco che era (perché era Dio), si fece povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2Co 8,9). In che senso "ricchi"? In un senso che trascende il semplice dato materiale e tocca la dimensione spirituale dell'uomo, quella in cui si fonda la sua dignità di persona. Scegliendosi come "padre putativo" un carpentiere e facendosi carpentiere egli stesso, Cristo ha "arricchito" il lavoro umano di una dignità ineguagliabile. Ormai chi lavora sa di compiere qualcosa di divino, che ben può ricollegarsi con l'opera iniziale del Creatore.

E' noto che nel mondo pagano il lavoro manuale era poco considerato, al punto da essere ritenuto attività non degna di uomini liberi. Il cristianesimo ha capovolto tale valutazione. Da quando il Figlio di Dio ha accettato di chinarsi sul banco di lavoro accanto al "carpentiere" Giuseppe, la fatica fisica ha cessato di essere considerata disdicevole, e ha anzi cominciato ad essere ritenuta un motivo di legittimo vanto. Ormai chi s'affatica nell'adempimento del proprio dovere professionale - qualunque dovere, purché onesto - può sentirsi "ricco" della dignità che il Signore ha conferito ad ogni lavoro e a tutti i lavoratori.

Oggi guardiamo a san Giuseppe, modello e prototipo di tale "dignità", e in lui rendiamo omaggio a ogni persona che lavora per il proprio sostentamento e per quello della sua famiglia. E' la Chiesa stessa che, alla luce di questo modello, sente oggi il dovere di riconoscere e onorare la "dignità" di ogni lavoratore. E' proprio per dare espressione a questo riconoscimento che il Papa è qui, oggi, tra voi.

Rendere onore al lavoro è celebrare l'uomo, la sua dignità, il suo ingegno, la sua capacità produttiva. Alle nuove sfide che le trasformazioni sociali e le frontiere della tecnologia pongono alla coscienza cristiana, occorre rispondere guardando, come a stella polare, al messaggio che ci viene dal Vangelo.


3. Nelle parole che mi sono state rivolte si è fatto riferimento a conoscenze e tecniche complesse, ancora in via di rapido sviluppo, sulle quali non è ovviamente possibile formulare giudizi esaustivi o proporre orientamenti definitivi. Il fatto, tuttavia, che si sia sentito il desiderio di mettermi a parte di problemi, difficoltà, aspirazioni oggi particolarmente avvertite, mi sembra una testimonianza significativa di quel cammino di confronto e di dialogo, che ritengo condizione essenziale per risolvere situazioni di così vasta complessità.

I valori spirituali e morali, peraltro, a cui nel dialogo si deve far riferimento, pur nel variare delle strutture tecniche non sono mutati né possono mutare. Certo, chi utilizza un computer, sia digitando le informazioni necessarie sia provvedendo alla elaborazione di nuovi programmi, compie un lavoro ben diverso da quello a cui era abituato l'uomo nel passato. Anche qui, tuttavia, resta il dato costante della necessaria applicazione della mente e delle forze umane alla trasformazione di una materia prima, che rimarrebbe altrimenti informe e inerte.

Neanche il computer, con tutte le sue molteplici prestazioni, può compiere tutto da sé.

Proprio in questo si manifesta la vera "dignità" del lavoro: nel fatto cioè che i prodotti, per essere tali, richiedono il sigillo dell'uomo. Prima del marchio di fabbrica, questo è il connotato che li distingue e quasi li qualifica dall'interno: l'essere prodotti umani. Dietro ciascuno di essi, per quanto sofisticato e perfetto, si celano l'intelligenza, la volontà e le energie di un uomo o di una donna. La tecnologia, anche quella più avanzata, non sopprime questa esigenza.


4. Di qui scaturisce anche la norma fondamentale che regola ogni attività lavorativa: essa non deve umiliare l'uomo, ma consentirgli di esprimersi nella sua trascendente dignità, attuando progressivamente le proprie capacità personali. E' alla luce di questa norma che occorre valutare anche la tecnologia applicata alla produzione. Le finalità che con essa si perseguono sono note: rifinire un prodotto più di quanto non si potrebbe con le sole capacità naturali; agevolare il lavoro così da incrementare la produzione; ridurre i costi contraendo il numero delle persone impegnate nel processo produttivo. Orbene: in che misura tali finalità rispettano la norma ora enunciata? Questo è l'interrogativo che le nuove condizioni di lavoro pongono con urgenza sempre maggiore.

Certo, il processo di avanzamento tecnologico è irreversibile. E', questo, un dato che occorre riconoscere senza indulgere a sterili rimpianti. Il credente, anzi, ringrazia di ciò Iddio, che ha trasmesso all'uomo non soltanto la capacità, ma anche il dovere di sviluppare le risorse del creato (cfr. SRS 29). Anche le attività collegate con l'alta tecnologia fanno parte del lavoro "umano" e possono quindi rivestirne la medesima "dignità".

Esse, anzi, in quanto più complesse e perfette, di regola rispecchiano meglio che non altre la dignità dell'uomo che le svolge. Al tempo stesso, pero, proprio per la loro sofisticata complessità, esse possono anche nascondere insidie particolarmente sottili, dalle quali la dignità dell'uomo può essere messa a repentaglio.

E' necessario, perciò, mantenere un atteggiamento di prudenza e vagliare con occhio attento natura, finalità e modi delle varie forme di tecnologia applicata. E' chiaro, ad esempio, che non potrebbe essere accettata, al riguardo, una programmazione delle scelte tecnologiche governata dalla sola logica del profitto. Nell'attività economica la ricerca del profitto è di per sé legittima e necessaria, ma la sua "massimizzazione" non può essere criterio né unico né assoluto. Di conseguenza, non si può moralmente accettare, né ci si deve passivamente rassegnare ad una crescente disoccupazione come effetto inevitabile dell'applicazione di tecnologie avanzate. Ciò significherebbe, infatti, sacrificare l'uomo alla macchina e la "dignità" del lavoro, che a un tale effetto conduca, verrebbe radicalmente pregiudicata.

E' solo un esempio dei molti che si potrebbero fare. Da esso, tuttavia, già appare la complessità del problema, che non può essere opportunamente affrontato e risolto senza la previa considerazione di tutti i suoi aspetti. E' perciò legittimo chiedere ai responsabili di voler tener conto, nelle loro decisioni, di ogni fattore, avendo sempre presente che criterio supremo nelle scelte operative deve restare il rispetto della "dignità" del lavoro umano e delle persone che lo esercitano. E' solo a questa condizione infatti che la tecnologia può ottenere il suo giusto posto.


5. E' necessario resistere alla tentazione di fare della tecnologia un nuovo idolo. E ciò vale tanto per la tecnologia applicata al lavoro industriale che per i prodotti da esso risultanti.

E' vero che grazie al contributo di aziende come la vostra la società si è arricchita di notevoli "comfort" e che il peso di alcuni lavori gravosi si è di molto alleggerito. Tuttavia, occorre ripeterlo: la tecnologia e i suoi prodotti non sono tutto. E' infatti il caso di chiedersi, se il semplice incremento tecnologico applicato al lavoro e al tempo libero, porti di per sé a un miglioramento della qualità della vita nella sua globalità. Come dimenticare, ad esempio, gli effetti inquinanti, collaterali allo sviluppo tecnologico, dei quali ho parlato nel Messaggio per la Giornata della pace di quest'anno? E si può forse ignorare l'interrogativo circa la destinazione dei prodotti tecnologici? La loro qualità umana non si può certo decidere soltanto sulla base della loro "praticità", della perfezione delle loro prestazioni tecniche, del "comfort" che ne risulta. Ci sono altri valori che occorre rispettare perché la qualità del prodotto possa considerarsi pienamente degna dell'uomo.

Come credenti in Dio, che ha giudicato "buona" la natura da lui creata, noi godiamo dei progressi tecnici ed economici, che l'uomo con la sua intelligenza riesce a realizzare. Restiamo, pero, consapevoli che essi, come tutti i beni creati portano in sé una radicale ambivalenza. Sta all'uomo farne il giusto uso, operando per la propria crescita e per una più profonda solidarietà nei confronti del prossimo. così, dipende dal suo senso di responsabilità valersi delle nuove tecnologie informatiche per accrescere le proprie conoscenze e ampliare la propria influenza sul creato, rifiutandosi tuttavia di ridurle a strumenti di sfruttamento irrazionale, di manipolazioni antinaturali o di indebite pressioni psicologiche.

Ugualmente dipende da lui servirsi della biotecnologia e della ingegneria genetica a vantaggio della vita e della salute, non cedendo alla tentazione di far violenza alla persona umana o di manipolarla in modo incompatibile con la sua dignità.


6. Tutto ciò presuppone, da parte degli imprenditori, ampiezza di vedute e vigile consapevolezza delle proprie responsabilità, le quali vanno ben oltre il campo puramente manageriale e finanziario. Ma ciò chiama in causa anche il sindacato, che deve rivedere il suo ruolo e i suoi metodi di azione, per non trascurare la funzione di promotore della solidarietà che gli compete, non solo all'interno della fabbrica, ma anche nell'ambito più vasto della comunità civile.

L'impegno, infine, del legislatore non mancherà di orientare i cittadini nella ricerca dei necessari equilibri, secondo i criteri di vera giustizia, specialmente verso i più deboli e i meno abbienti, opponendosi a ogni interferenza che tenti di piegare la norma a favore di interessi privati.


7. Cari amici, auspico di cuore che questa vostra azienda sappia progredire verso gli obiettivi ora tratteggiati.

La Chiesa non può non rallegrarsi di ogni progresso umano che esalti l'intelligenza, sigillo di Dio nell'uomo, alleviando la fatica fisica e scongiurando l'appiattimento psicologico e spirituale. Nella linea del Concilio Vaticano II, essa promuove i veri valori della scienza e della tecnica, al servizio della crescita personale e della solidarietà universale.

Cari dirigenti, impiegati, maestranze, amici tutti, affido voi e il vostro lavoro all'umile artigiano di Nazaret, a cui fu chiesto di sostenere, con il frutto della sua operosità, la Sacra Famiglia, nella quale viveva il Figlio stesso di Dio fatto uomo. Egli vi protegga e vi sostenga nel perseguimento delle vostre giuste aspirazioni.

A voi e alle vostre famiglie l'augurio cordiale di prosperità e di pace nel Signore!

Data: 1990-03-19

Lunedi 19 Marzo 1990


GPII 1990 Insegnamenti - A sacerdoti e religiosi nella cattedrale - Ivrea (Torino)