GPII 1990 Insegnamenti - Alla Conferenza Episcopale Italiana - Città del Vaticano (Roma)

Alla Conferenza Episcopale Italiana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Siate faro di luce e centro propulsore di fede e vita cristiana

Amati e venerati fratelli del Consiglio episcopale permanente!


1. A voi il mio saluto deferente e cordiale. Ringrazio il cardinale Ugo Poletti per i sentimenti che, a nome di tutti, ha espresso, accennando alla ragione specifica di questa mia visita. L'odierno incontro in questo edificio, nel quale ha il suo centro operativo la Conferenza episcopale italiana, intende infatti sottolineare un dato significativo: la consegna definitiva che la Santa Sede fa di questi locali alla CEI. Tale gesto vuole essere una manifestazione ancora più profonda e concreta del vincolo di comunione che esiste appunto tra il successore di Pietro e i vescovi italiani, tra la Chiesa Universale e quella che vive e opera in questa amata Nazione.


2. Questa sede di preghiera, di riflessione e di programmazione ha indubbiamente il suo significato. Qui infatti si riunisce periodicamente il Consiglio episcopale permanente per riflettere sui problemi più importanti del popolo di Dio in Italia e per indicare il piano di lavoro pastorale, che sarà presentato poi all'Assemblea generale dei vescovi. Questa mia presenza con voi vuole appunto sottolineare la mia piena partecipazione alle vostre ansie pastorali, come a quelle di ogni vescovo in Italia, per l'impegno di continuare l'opera del divin Redentore e di trasmettere integro il messaggio della salvezza. Il Signore vi illumini sempre nelle vostre decisioni e vi conforti, affinché la chiarezza e la fermezza nelle indicazioni si accompagnino costantemente alla prudenza e alla lungimiranza.


3. I tempi in cui viviamo, come ben sappiamo, sono ricchi di promesse, ma anche segnati da gravi difficoltà. Infatti, mentre da una parte assistiamo al crollo ideologico e politico di un sistema ateo e materialista, che aveva profetizzato l'eliminazione di ogni fede religiosa, dall'altra vediamo purtroppo numerose manifestazioni di materialismo pratico, che ostacolano l'affermarsi di una coerente concezione cristiana della vita. Qui, nella sede della Conferenza episcopale italiana, voi vi riunite appunto per riflettere insieme sulla situazione sociale dell'Italia come di altri Paesi, specialmente in Europa, e per indicare le linee di impegno e le metodologie concrete con le quali la Chiesa vuole rispondere alle esigenze emergenti.

Il programma di lavoro di questi giorni, nella prospettiva delle due prossime Assemblee generali, comprende diversi temi di notevole importanza: la procedura di approvazione dei catechismi da parte dell'episcopato e quella per il rinnovo delle cariche elettive nell'Assemblea generale del prossimo maggio, i problemi pastorali dell'università e della cultura in Italia, alcuni problemi concernenti il sostentamento del clero e il sostegno economico alla vita della Chiesa e all'attività della Santa Sede, la promozione dei consultori familiari nel quadro di un'organica pastorale familiare, la sensibilizzazione delle chiese locali alla celebrazione del centenario della "Rerum Novarum", il collegamento informatico di questa sede centrale con le varie diocesi italiane e, infine, l'esame dello statuto dell'Associazione religiosa istituti socio-sanitari. La semplice elencazione degli argomenti dà la misura della complessità dei compiti che vi stanno dinanzi.

Vi sia di orientamento e di conforto l'ammonimento del divin Maestro a costruire la casa sulla roccia della Verità rivelata da Gesù Cristo, il Verbo Incarnato, e costantemente insegnata dalla Chiesa. Compito primario del vescovo è di vigilare a difesa della "sana dottrina". Fate in modo che questa sede della Conferenza episcopale italiana sia sempre un faro di luce per i pastori e per i fedeli e un centro propulsore di fede e di vita cristiana.

Di fronte alle immense necessità spirituali della società e della Chiesa di oggi, le quali peraltro fanno parte anche dell'ineffabile mistero della provvidenza di Dio creatore e redentore, sentiamo vivo e impellente il dovere di attingere dall'assidua dedizione alla preghiera, luce e fervore per il nostro lavoro pastorale.

Vi accompagni la benedizione, che di gran cuore vi imparto, e che abbraccia con affetto l'intero episcopato Italiano.

Data: 1990-03-27

Martedi 27 Marzo 1990



A capitolo generale dei Fratelli Cristiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Vangelo fonte di formazione di ogni educatore cristiano

Cari Fratelli in Cristo,


1. Sono lieto di avere questa opportunità di porgere il benvenuto ai membri del XXVII capitolo generale della Congregazione dei Fratelli cristiani. I miei cordiali saluti e migliori auguri al vostro neo-eletto superiore generale e ai suoi assistenti che iniziano ora il loro periodo di carica. I fratelli cristiani sono celebri per il loro generoso e zelante apostolato nell'educazione dei giovani. E' mia fervente preghiera che le deliberazioni di questo capitolo contribuiscano a confermarvi e rafforzarvi in questo necessario servizio ecclesiale.


2. Nel periodo successivo al Concilio Vaticano II, il vostro Istituto è stato spinto ad adattarsi a nuove circostanze e a intraprendere nuovi cammini, mentre si sforzava di rimanere fedele alla sua distinta tradizione di eccellenza nel campo educativo all'interno della missione evangelizzatrice della Chiesa. Esso fu allo scopo di rispondere più esaurientemente a quelle richieste a ciò il vostro XXVII capitolo generale ha cercato di rispondere per rivedere la Congregazione dei Fratelli Cristiani in modo più consono alle realtà ecclesiali dei nostri giorni.

Nel far questo ha collocato le fondamenta per il rinnovamento della vita della comunità e le strutture richieste dal Concilio. Possa quest'ultimo capitolo generale, dedicato alla valutazione dell'impatto delle nuove Costituzioni sulla vita della vostra Congregazione, favorire una crescita più profonda nella santità e nell'impegno vocazionale che è il vero cuore dell'autentico rinnovamento della vita religiosa. Una parte essenziale di questo impegno sarà sempre la fedeltà al carisma e all'esempio del vostro Fondatore, il cui desiderio di recare ai poveri la potenza nobilitante del Vangelo ha generato abbondanti frutti nella vita dedita di innumerevoli fratelli cristiani negli Istituti di educazione cattolica sparsi in ogni parte del mondo. L'intuizione e lo zelo del servo di Dio, Edmund Ignatius Rice, rimane un punto fermo di riferimento per l'intero vostro Istituto, mentre esso cerca di adempiere al ruolo assegnatogli da Dio nell'avanzamento del suo regno. Un generoso interesse per i poveri e una dedizione inesauribile nell'educazione dei giovani nella sana dottrina e nella virtù devono continuare ad essere il marchio di garanzia di ogni scuola e dell'impegno apostolico dei fratelli cristiani.


3. Il fine di una vera educazione cristiana, come sottolinea il Concilio stesso, è di "coordinare l'insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, sicché la conoscenza del mondo, della vita, dell'uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dalla fede" (GE 8). Il Vangelo di Gesù Cristo, nel quale è rivelato il significato ultimo di tutta la vita e dell'attività umana, è veramente la misura di ogni autentico progresso nella crescita personale e nella tensione apostolica. La storia della vostra Congregazione reca eloquente testimonianza della convinzione, propria della Chiesa, che l'educazione dei giovani è un'espressione privilegiata del ministero di evangelizzazione che essa ha ricevuto dal suo Signore. In questo contesto, richiamo l'osservazione del mio predecessore Papa Paolo VI, che nel predicare il Vangelo la Chiesa comincia con l'evangelizzare se stessa (cfr. EN 15). Non può questa intuizione, che deriva da una profonda comprensione della natura della Chiesa pellegrina nella sua misteriosa crescita verso la pienezza del regno di Dio, essere applicata anche a coloro che intraprendono l'apostolato dell'educazione dei giovani nella loro crescita verso una maturità umana? Come educatori siete chiamati a formare le menti e i cuori dei bambini e degli adolescenti in un momento molto significativo della loro vita. Con saggezza, prudenza e grande pazienza cercate di assicurare che lo sviluppo delle loro personalità sia accompagnato dalla crescita di quella "nuova creazione" (cfr. 2Co 5,17) che essi ricevettero al momento del battesimo. Al fine di compiere questo delicato incarico, quanto è essenziale che ognuno di voi sappia prima di tutto cosa significhi essere educati alla scuola del Vangelo, per giungere a una ricca e integrata comprensione dell'amore paterno di Dio per noi rivelato nella vita e nell'insegnamento di Gesù, e nell'esperienza della potenza purificante e illuminante dello Spirito che è stato posto nei nostri cuori!


4. Cari fratelli: esprimo la fervida speranza che i fratelli cristiani mantengano le grandi tradizioni di competenza, zelo e santità di vita che hanno caratterizzato la vostra Congregazione dal suo inizio. Vi incoraggio a porre il nobile ideale della vostra vocazione prima delle nuove generazioni di giovani nella certezza che il Signore delle messi provvederà laddove i bisogni sono più urgenti. Colgo l'opportunità anche per esprimere la gratitudine della Santa Sede per la generosità con cui i fratelli cristiani l'hanno assistita nel suo lavoro durante gli anni. Raccomandandovi all'amorevole protezione della benedetta Vergine Maria, modello di ogni santità, imparto cordialmente la mia benedizione apostolica come pegno di grazia e di pace nel Signore Gesù Cristo.

Data: 1990-03-29

Giovedi 29 Marzo 1990

Al Consiglio degli archivi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'archivista assicura la continuità della memoria storica

Signor Cardinale, Signore, Signori, Sono lieto di ricevervi in questa casa in occasione della sessione della Presidenza del Consiglio Internazionale degli Archivi. I vostri lavori si svolgono presso la Sede degli Archivi Vaticani: accolgo con favore la vostra risposta positiva all'invito del Cardinale Archivista della Santa Chiesa e del Reverendo Padre Prefetto; in tal modo dimostrate la vostra considerazione per i nostri Archivi e per il lavoro che vi si svolge al servizio della scienza e della cultura.

Come sapete, gli Archivi Vaticani costituiscono per la Chiesa un patrimonio inestimabile, tuttavia essi possono di diritto essere considerati parte del patrimonio della comunità internazionale. Infatti, per esprimere in poche parole l'essenziale, questo insieme di documenti rappresenta una traccia di ciò che la Chiesa ha vissuto nel corso dei secoli, testimoniando così il passaggio di Cristo stesso nel cuore della storia umana.

Il vostro Consiglio si preoccupa di badare, in numerosi Paesi e istituzioni, alla conservazione e alla comunicazione di depositi d'archivi sempre più importanti e diversificati. Voi affrontate problemi tecnici diversi sui quali non posso dilungarmi. Desidero semplicemente sottolineare l'interesse primordiale dei vostri compiti. Non siete infatti custodi della vestigia di un passato concluso; servite, bensi, la continuità della memoria dei popoli del mondo. Senza una memoria viva e ben informata, i popoli perderebbero gran parte della loro cultura; essi invece ne hanno bisogno per vivere meglio la propria identità, per costruire il loro futuro e per apportare un contributo specifico nel coro delle nazioni, soprattutto in un tempo in cui l'evoluzione della storia è segnata da incidenti e momenti di ripresa la cui importanza può essere avvertita e valutata dalle nostre generazioni.

Vorrei esprimere la mia grande stima per l'eminente funzione che voi svolgete e per il lavoro che compiete, lavoro volto al raggiungimento di un'organizzazione sempre migliore della conservazione degli archivi e del loro impiego.

Vi offro volentieri il mio incoraggiamento e mi auguro, in particolare, che continui con successo, per il bene di tutti, la vostra collaborazione con gli Archivi Vaticani. Esprimo i miei auguri cordiali per ciascuno di voi, per le vostre famiglie e i vostri collaboratori. E prego il Signore di benedirvi.

(Traduzione dal francese)

Data: 1990-03-30

Venerdi 30 Marzo 1990

Al Convegno di Studi su "Michelangelo e la Sistina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nell'arte del Buonarroti il dramma e la rinascita di un'epoca

Illustri signori!


1. Si rinnova oggi in coloro che visitano la volta restaurata della Cappella Sistina lo stupore che fu già dei contemporanei allorché il Papa Giulio II mostro loro gli affreschi di Michelangelo. Si tratta di una singolare emozione estetica, che non può non suscitare un intenso sentimento di gioia e di sorpresa, tanta è l'eccezionalità dell'opera compiuta dal sommo artista.

La pittura di Michelangelo, nella sintesi d'arte realizzata nella Sistina, ci stupisce, incanta e, nello stesso tempo, ci induce a ricercare le idee ispiratrici dell'intero capolavoro, sia quelle connesse con la sua fede cattolica, sia quelle derivate dalle vicende esteriori e interiori della sua vita.

Le pitture della Cappella Sistina riassumono infatti tutto l'itinerario dell'uomo, considerato nei punti salienti della storia della salvezza: un cammino nel quale l'umanità è raffigurata in tutte le sue espressioni: da quelle bibliche, nel racconto della Genesi, nelle figure dei profeti, degli antenati di Cristo, e negli altri episodi più significativi del Vecchio Testamento, a quelle pagane, ricordate nelle Sibille, a quelle interiori dell'uomo, raffigurate nelle espressioni complesse delle immagini ornamentali e decorative. Il tutto, come è ben evidente, si esprime in un contesto che fa ricordare forme estetiche probabilmente non estranee all'ambiente culturale dell'epoca, non ignaro del pensiero medievale, che definiva la bellezza come "integritas, sive perfectio; debita proportio, sive consonantia; et iterum claritas; unde quae habent colorem nitidum praeclara dicuntur" (I 39,8).


2. Nell'incontrarmi con voi in questa circostanza desidero rinnovare il mio compiacimento per questo simposio di studi, che vuole informare accuratamente sullo stato dei lavori e intende ricercare, mediante documenti, notizie e confronti, le decisioni più opportune per il prossimo restauro della parete del Giudizio Universale.

Non è mia intenzione entrare nel merito dei problemi tecnici e dei criteri da seguire in tale delicata opera. Voi ben sapete che tutto il mondo guarda con grande interesse a quanto si sta compiendo qui. E' giusto, perciò, procedere dopo ampia consultazione, poiché si tratta di capolavori che appartengono alla cultura universale, la cui salvaguardia e il cui ripristino all'originario splendore interessano l'intera umanità. Vi esprimo il mio incoraggiamento per la vostra ricerca, particolarmente grato a quanti vi si prodigano con intelligenza e amore.


3. L'interesse della Santa Sede per l'arte non può essere oggi diverso da quello che animo i miei predecessori, che nel corso dei secoli si sono fatti mecenati e promotori di grandi opere. Con chiara intuizione essi compresero che la cultura costituisce un servizio all'umanità, e che l'arte, come la scienza e la filosofia, sono depositarie della verità eterna. Nel Rinascimento poi i Papi, consapevoli che la loro epoca costituiva una svolta culturale, fecero si che essa si esprimesse all'interno della Chiesa, diventando i promotori dell'apertura umanistica, mediante la scelta di collaboratori che avrebbero espresso le grandi linee maestre della componente culturale di quegli anni.


4. Nella sua arte Michelangelo esprime con chiarezza il dramma, l'esperienza complessa della sua epoca segnata da difficili vicende ecclesiali e politiche, e da provvidenziale rinascita spirituale, ad opera anche e soprattutto di grandi santi e riformatori. I due capolavori della Sistina, pur lontani tra di loro nel tempo, sono uniti da un'unica ispirazione religiosa, che riflette le angosce di una religiosità tormentata, ma non priva di una fondamentale speranza. Infatti nello stupore attonito dei "santi" del Giudizio Universale l'immagine della Vergine, accanto al Cristo, è segno di speranza e di fiducia.

La pietà di Michelangelo si coniuga con una fede non certo semplice; ma egli - con una granitica devozione a Pietro, al quale dedico le sue ultime fatiche alla celebre Cupola - seppe stabilire un nesso profondo tra la singolarità del proprio genio e l'idea ispiratrice, cioè il suo pensiero fondamentale circa il valore della vita umana, raffigurata nel suo inizio con il tema della creazione, e nel suo ritorno a Dio, mediante il Giudizio Universale, dominato dalla imponente figura del Cristo giudice e redentore. Ed è, questo, un messaggio tanto attuale anche oggi, che ci fa riflettere e ci edifica.

Con questi pensieri formulo cordiali auspici per tutti voi, mentre imparto la mia benedizione apostolica.

Data: 1990-03-31

Sabato 31 Marzo 1990

Alla Penitenzieria apostolica - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nella Penitenza si rinnova la risurrezione spirituale

Signor cardinale, reverendissimi prelati e officiali della Penitenzieria, benemeriti padri penitenzieri e voi tutti, che partecipate a questa udienza!


1. Siate i benvenuti nella casa del Padre! Ricevete e trasmettete ai vostri condiocesani, o confratelli nelle rispettive Famiglie religiose, il mio saluto.

Come vescovo di Roma, e successore di Pietro, avverto la necessità di richiamare a voi sacerdoti, come anche a voi che vi apprestate a ricevere entro breve tempo il presbiterato, il precipuo dovere di offrirvi costantemente e pazientemente al ministero della penitenza, della riconciliazione e della pace. Dio, infatti: "Reconciliavit nos sibi per Christum et dedit nobis ministerium reconciliationis... pro Christo ergo legatione fungimur tamquam Deo exhortante per nos: obsecramus pro Christo, reconciliamini Deo" (2Co 5,18-20).


2. La fonte divina del perdono, che è per noi la radice vigorosa da cui deriva la forza perseverante di dedicarci al ministero del sacramento della Penitenza è la "Caritas Christi": l'amore, cioè, di colui il quale "pro omnibus mortuus est, ut et qui vivunt, iam non sibi vivant, sed ei, qui pro ipsis mortuus est et resurrexit" (2Co 5,14-25).

Il sacerdote è così chiamato a restituire ai morti nello spirito la vita divina. Sacerdote e ostia, con Gesù sacerdote e ostia nell'Eucaristia, egli deve parimenti essere vittima immolata e pegno di risurrezione quando ascolta le confessioni sacramentali. Per imposizione delle mani da parte del vescovo ordinario, ogni presbitero viene consacrato e totalmente offerto al suo ministero per le anime a lui affidate. E poiché questa offerta corrisponde a un vero e fondamentale diritto dei fedeli, torna opportuno a questo proposito quanto ebbi a dire ai padri penitenzieri delle basiliche patriarcali dell'Urbe nell'allocuzione del 31 gennaio 1981: "Desidero mettere in luce che non a torto la società moderna è gelosa dei diritti imprescrittibili della persona: come mai - allora - proprio in quella più misteriosa e sacra sfera della personalità, nella quale si vive il rapporto con Dio, si vorrebbe negare alla persona umana, alla singola persona di ogni fedele, il diritto di un colloquio personale, unico, con Dio, mediante il ministero consacrato? Perché si vorrebbe privare il singolo fedele, che vale "qua talis" di fronte a Dio, della gioia intima e personalissima di questo grande frutto della grazia?" ("Insegnamenti", IV/1 (1981), 193). Nella confessione collettiva il sacerdote si risparmia, certo, sforzi fisici, e fors'anche psicologici, ma quando viola la normativa gravemente obbligante della Chiesa al riguardo, defrauda il fedele e priva se stesso del merito della dedizione che è testimonianza del valore di ciascuna anima redenta. Ogni anima merita tempo, attenzione, generosità, non solo nella compagine comunitaria, ma anche, e sotto un aspetto teologico si direbbe soprattutto, in se stessa, nella sua incomunicabile identità e dignità personale, e nel delicato riserbo del colloquio individuale e segreto.


3. Nella confessione sacramentale seguita dall'assoluzione ci si riconcilia con Dio e con la Chiesa: su questo ultimo elemento in particolare verte la disciplina canonica relativa al sacramento della Penitenza e in genere al foro interno, materia della quale vi siete occupati negli incontri con la Penitenzieria apostolica. Vi esorto a considerare attentamente che la disciplina canonica relativa alle censure, alle irregolarità e ad altre determinazioni di indole o penale o cautelare non è effetto di legalismo formalistico: al contrario, è esercizio di misericordia verso i penitenti per guarirli nello spirito e per questo le censure sono chiamate medicinali.

La privazione, infatti, di beni sacri può essere stimolo al pentimento e alla conversione; è monito al fedele tentato, è magistero di rispetto e di culto amoroso verso l'eredità spirituale lasciataci dal Signore, il quale ci ha fatto dono della Chiesa e in essa dei sacramenti. Non a caso la Penitenzieria Apostolica, emanando un documento destinato ai confessori, così si esprime: "Suprema Ecclesiae bona ita ipsi Ecclesiae cordi debent esse et sunt, ut non modo iugiter de illis tradatur doctrina et circa ea iugiter exerceatur pastoralis sollicitudo, sed etiam iuridica adhibeatur tutela, eo vel maxime quia in illis bonis stat, et illis spretis vel iniuria affectis patitur mystica Ecclesiae communio".


4. Nell'imminenza della santa Pasqua è bello ricordare il senso pasquale della nostra carità esercitata mediante la celebrazione del sacramento della Penitenza: in essa si rinnova la risurrezione spirituale dei nostri fratelli, e perciò è degno e giusto "gaudere... quia frater tuus hic mortuus erat et revixit, perierat et inventus est". Nell'enciclica "Dives in Misericordia" ho espresso ciò che si potrebbe chiamare la teologia del perdono: da essa deriva il carattere pasquale del sacramento della Riconciliazione: "Paschale ideo mysterium culmen huius revelationis et exsecutionis est misericordiae, quae hominem potest iustum facere, iustitiamque ipsam reficere".

Con questi sentimenti vi affido alla Vergine SS.ma, Madre del Redentore e Madre della Chiesa, rifugio dei peccatori, e con paterna benevolenza vi imparto l'apostolica benedizione.

Data: 1990-03-31

Sabato 31 Marzo 1990

Ai giovani per il "Genfest 1990 - Palaeur (Roma)

Titolo: La via del mondo unito, voi lo sapete, passa per Cristo

Carissimi giovani!


1. L'appuntamento quinquennale per il Genfest costituisce una significativa tappa programmatica per tutta la generazione nuova del Movimento dei Focolari. Sono lieto, perciò, di trovarmi qui con voi. Vi rivolgo il mio saluto e vi esprimo vivo compiacimento per questo convegno, che col numero dei partecipanti e con il loro festoso entusiasmo testimonia la fervida vitalità dei vostri gruppi, insieme con l'espandersi vivace e interessante del messaggio dei Focolari in tutto il mondo.

Il mio saluto va anche ai vostri amici, che seguono i lavori di questo incontro in collegamento radiofonico e televisivo. Desidero inoltre salutare in modo speciale Chiara Lubich e tutti i responsabili del Movimento.


2. L'argomento della presente manifestazione vi proietta verso il futuro con un sincero sentimento di attesa. Voi guardate, infatti, in avanti, bene attenti ai segnali e ai messaggi che la nostra epoca continua a proporre con i singolari rivolgimenti che la caratterizzano. Volete quindi scrutare il cammino che bisogna percorrere per raggiungere un "mondo unito", nella consapevolezza che tale "ideale" va facendosi "storia".

Davvero, questa sembra la prospettiva che emerge dai molteplici segni del nostro tempo: la prospettiva di un mondo unito. E' la grande attesa degli uomini d'oggi, la speranza e, nello stesso tempo, la grande sfida del futuro. Ci accorgiamo che verso l'unità si sta procedendo, sotto la spinta di un'eccezionale accelerazione. Gli eventi, che stiamo vivendo, incalzano e si moltiplicano, provocandoci a formulare subito, senza esitazioni o pigrizie, risposte adeguate e originali.

La Chiesa guarda all'avvicinarsi del terzo millennio come a una scadenza fortemente impegnativa per una rinnovata evangelizzazione: il decennio appena iniziato si prospetta per i cristiani come un nuovo avvento, una tappa significativa dell'incessante cammino di Dio nella storia dell'umanità.

Nel vostro programma voi avete colto bene il valore delle prospettive che di giorno in giorno ci si propongono e ci stimolano. Riconoscete in esse un annuncio profetico, che si trasforma per le coscienze di tutti in un invito etico di grande portata.


3. Occorre essere attenti alla voce di tali messaggi, poiché l'occasione che Dio ci offre non dev'essere sprecata. Se la meta attesa e cercata da tutti gli uomini di buona volontà è l'unità, tocca a tutti, ma specialmente a voi giovani aprire l'animo verso quei sentimenti e quegli atteggiamenti che possono promuoverne la progressiva affermazione. A tutti, perciò, è domandato di educare la propria coscienza a sentimenti di rispettosa convivenza, di concordia, di fratellanza, giacché senza questi non è possibile attuare un vero cammino di unità e di pace.

A voi giovani cristiani, poi, è affidato il compito di testimoniare l'apporto della Chiesa a quest'opera di portata storica. La Chiesa vuole essere nel mondo un segno vivo dell'unità di tutto il genere umano e desidera ardentemente di "contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina".

Se per costruire un "mondo unito" si richiede il superamento delle divisioni, delle incomprensioni, delle diffidenze e delle intolleranze, allora appare in tutta la sua verità e necessità l'immagine dell'uomo di cui Cristo ha tracciato il programma nel Vangelo. Di tale immagine la Chiesa è testimone e garante. Ad essa si rivolge il suo servizio. Ascoltatela, perché nelle sue parole voi potrete cogliere l'eco dell'insegnamento di Cristo.

In tale insegnamento il vostro programma è già in qualche modo enunciato e tracciato. Voi, giovani del Movimento dei Focolari, siete ben radicati nella fede che "a ciascuno di voi è stata data la grazia nella misura del dono di Cristo" e che il vostro compito è quello di "crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo": crescere in modo da edificare voi stessi nella carità, per "farvi imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminare nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per voi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore" (Ep 4,7 Ep 4,16 Ep 5,1-2). Solo impegnandovi in questa linea, carissimi giovani, voi potrete essere veri costruttori di unità.


4. Carissimi, non deludete tale appello. Siate consapevoli, nella luce della fede, che la via verso un mondo unito - che è la via della pace - è fondata sulla costruzione di rapporti solidali, e la solidarietà ha la sua radice nella carità.

Solo aprendosi alla carità e accettandone le esigenti implicazioni, gli uomini e le donne del mondo che si va costruendo sapranno rintuzzare le suggestioni sempre in agguato dell'egoismo e volgersi ai loro simili con atteggiamento fraterno.

Voi, certo, non ignorate quanto costi il cammino faticoso della carità.

Ve lo ricorda Cristo stesso dall'alto della croce. Ma voi sapete anche quanto sia esaltante recare un personale contributo alla promozione di una civiltà fondata su basi etiche veramente umane, una civiltà che si esprima come vera civiltà dell'amore.


5. Ovviamente, un simile ideale non può essere frutto del caso, né degli automatismi sociali, politici e tecnici. Esso dipende dalla buona volontà dell'uomo, di ogni uomo capace di arricchire la società col proprio servizio generoso e onesto. L'esperienza della storia dice chiaramente quanto sia rischioso sottostare alle illusioni delle ideologie distorte e, tuttavia, quanto insistentemente ritorni il loro richiamo, tanto a livello personale quanto a livello di società e di strutture.

Dio esige dagli uomini atteggiamenti precisi, affinché la carità abbia una sua storia nella costruzione dell'avvenire. Le speranze non vanno deluse, ma attuate mediante scelte che si ispirino alla verità, a valori etici corretti. Se voi giovani avrete il coraggio di chiedervi con sincerità: "Che cosa dobbiamo fare, affinché non domini su di noi il peccato dell'universale ingiustizia? Il peccato del disprezzo dell'uomo e il vilipendio della sua dignità, pur con tante dichiarazioni che confessano tutti i suoi diritti? Che cosa dobbiamo fare? E ancora: Sappiamo farlo?", se saprete farvi queste domande, allora vi accorgerete che proprio Cristo vi chiama a seguirlo con carità veramente oblativa in un impegno operoso, in un progetto di servizio ai fratelli, che rispecchi il disegno di Dio Padre, desideroso di fare dell'umanità un'unica famiglia.

Il mio augurio è che anche voi sappiate rispondere, come i profeti e gli apostoli: "Eccomi, Signore, manda me". Allora sperimenterete che è possibile dare senso e concretezza, credibilità e attuazione ai grandi valori che affascinano l'uomo di oggi e di sempre: la pace, la libertà, la giustizia, la solidarietà, lo sviluppo, la promozione di ogni uomo e di ogni donna. La via del mondo unito, voi lo sapete, passa per Cristo.

In voi tutti palpita il desiderio di un'autentica fratellanza; in voi è la certezza che essa si attua in Cristo e in forza del suo Spirito; in voi, ancora, è la convinzione che solo la parola del Vangelo potrà realizzare le attese del mondo nuovo. Sia perciò la parola di Cristo sulle vostre labbra, e diventi costantemente annuncio, buona novella per tutti gli uomini che incontrate e con i quali operate in amicizia.


6. Con tali auspici desidero incoraggiare il vostro lavoro, il valido programma educativo e formativo delle vostre comunità, la carica di fervore che intendete trasmettere a tutti i componenti dei Focolari, la chiarezza dell'ideale cristiano che intendete raggiungere nelle vostre coscienze.

Invoco per voi dal Signore l'abbondanza del suo Spirito, affinché abbiate il coraggio della speranza e sappiate leggere il valore della vostra vita e della vostra vocazione nella luce della parola di Dio che rimane in voi.

Programmate il vostro futuro come apostoli di un mondo nuovo, che ha bisogno di voi e del vostro apporto. A tutti dite il vostro ottimismo, nonostante i mali e le ingiustizie, di cui pur fate esperienza ogni giorno. E se qualcuno vi chiede il perché della vostra fiducia, rispondete che la ragione del vostro ottimismo è Cristo, lui "il Primo e l'Ultimo, il Vivente", lui che "era morto, ma ora vive per sempre" (Ap 1,17-18)! A voi tutti e ai vostri amici sparsi nel mondo imparto con affetto la mia benedizione apostolica.

Data: 1990-03-31

Sabato 31 Marzo 1990

All'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il sacerdote è il ministro della riconciliazione

Carissimi fratelli e sorelle!


1. In occasione della festa di Pasqua, i cristiani sono soliti accostarsi al sacramento della Penitenza, per ricevere dal sacerdote il perdono delle loro colpe. Per volontà di Cristo, infatti, il sacerdote è il ministro della riconciliazione.

Com'è noto, il Salvatore risorto conferi espressamente ai suoi discepoli, col dono dello Spirito Santo, il potere di rimettere i peccati: "Ricevete lo Spirito Santo - disse -. A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Questo potere divino è stato affidato a degli uomini, affinché coloro che confessano i loro peccati possano ricevere, mediante un segno sensibile, la certezza del perdono. Questo sacramento appare come una meravigliosa invenzione della bontà divina; esso è fonte di pace e di gioia.


2. Conscio del disegno amorevole di Dio, san Paolo si considerava incaricato del "ministero della riconciliazione" ed esortava i cristiani di Corinto: "Lasciatevi riconciliare con Dio". Egli sapeva, infatti, di essere l'ambasciatore di Cristo, più particolarmente l'ambasciatore del desiderio divino di perdonare, che si è rivelato pienamente nel sacrificio della croce, quando Dio ci ha riconciliato con se stesso per mezzo di Cristo (2Co 5,18-20).

Il sacerdote ha ereditato dagli apostoli il nobile compito di riconciliare gli uomini con Dio nel nome di Cristo. Come san Paolo, anch'egli, in qualità di ambasciatore di Cristo, esorta i cristiani a riconciliarsi con Dio, mediante il sacramento che ha lo scopo di concedere il perdono. Confido che, soprattutto in questo periodo, i cristiani, in tutta la Chiesa, sappiano avvalersi di questo sacramento, così da ricevere, insieme al perdono, un nuovo slancio verso la santità.


3. Il prossimo Sinodo nelle sue riflessioni sulla formazione sacerdotale non mancherà di prendere in considerazione la preparazione dei futuri ministri di questo sacramento tanto importante nella vita della Chiesa. Prepararsi, nel caso, significa, prima di tutto, sviluppare in se stessi il senso del peccato, la consapevolezza cioè dell'offesa che l'uomo fa a Dio quando disubbidisce alla sua legge. Nel mondo di oggi il senso del peccato appare frequentemente oscurato. Il futuro sacerdote deve approfondire in se stesso la consapevolezza del grave male che il peccato comporta.

Inoltre, il candidato al sacerdozio cercherà di assimilare sempre meglio i sentimenti di Cristo, che adotto un atteggiamento di grande benevolenza verso coloro che commettevano il male, al punto da essere chiamato l'amico dei peccatori. Anch'egli dovrà imparare a coltivare una profonda "simpatia" per coloro che sbagliano, nel costante desiderio di procurare loro la salvezza.

Vogliamo oggi pregare la Vergine tutta pura e misericordiosa, perché il Sinodo possa favorire, per mezzo della formazione sacerdotale, l'esercizio del ministero della riconciliazione.

Data: 1990-04-01

Domenica 1 Aprile 1990


GPII 1990 Insegnamenti - Alla Conferenza Episcopale Italiana - Città del Vaticano (Roma)