GPII 1990 Insegnamenti - All'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

All'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il sacerdote del 3° millennio dovrà avere il volto di Cristo

Carissimi fratelli e sorelle!


1. L'anno appena cominciato ha avviato il decennio conclusivo del secolo e del millennio. Tutto invita a pensare a ciò che sarà la vita dell'umanità nel duemila.

Il credente s'interroga sul futuro della Chiesa, quindi anche sul ministero dei sacerdoti in quell'epoca. In effetti, occorre preparare i giovani chiamati al sacerdozio affinché sappiano entrare in quel nuovo periodo della storia col necessario equipaggiamento spirituale; essi avranno il compito di portare ai loro contemporanei la luce e la vita di Cristo. Il Sinodo, che avrà luogo nel prossimo mese di ottobre, dovrà dunque tenere gli occhi fissi sul terzo millennio, che offrirà ai futuri presbiteri il loro campo di apostolato.


2. E' pur vero che il futuro ci è sconosciuto, e nessuno può precisare lo sviluppo che assumerà la storia dell'umanità, né le condizioni verso le quali evolverà la vita dei popoli, sappiamo infatti che l'avvenire è nelle mani dell'Onnipotente, il quale agisce sulle vicende umane con prospettive ben diverse dalle nostre.

E tuttavia, c'è una fisionomia essenziale del sacerdote che non muta: il sacerdote di domani infatti, non meno di quello di oggi, dovrà assomigliare a Cristo. Quando viveva sulla terra, Gesù offri in se stesso il volto definitivo del presbitero, realizzando un sacerdozio ministeriale di cui gli apostoli furono i primi ad essere investiti; esso è destinato a durare, a riprodursi incessantemente in tutti i periodi della storia. Il presbitero del terzo millennio sarà, in questo senso, il continuatore dei presbiteri che, nei precedenti millenni, hanno animato la vita della Chiesa. Anche nel Duemila la vocazione sacerdotale continuerà ad essere la chiamata a vivere l'unico e permanente sacerdozio di Cristo.


3. Tuttavia il sacerdozio deve anche adattarsi a ogni epoca e a ogni ambiente di vita, per poter produrre i suoi frutti. Per questo adattamento è doveroso contare anzitutto sull'azione dello Spirito Santo, che discerne l'avvenire e guida tutta la Chiesa verso nuovi sviluppi.

Da parte nostra dobbiamo perciò cercare di aprirci, per quanto possibile, alla superiore illuminazione dello Spirito Santo, per scoprire gli orientamenti della società contemporanea, riconoscere i bisogni spirituali più profondi, determinare i compiti concreti più importanti, i metodi pastorali da adottare, e così rispondere in modo adeguato alle attese umane.

Spetterà al Sinodo tentare questo discernimento e dare le indicazioni opportune sulla formazione sacerdotale, affinché anche nel terzo millennio la Chiesa possa offrire al mondo il suo messaggio mediante sacerdoti ardenti e adatti al loro tempo.

Preghiamo la Vergine Maria perché i sacerdoti del duemila possano animare il mondo con lo spirito del Vangelo.

Per la "Giornata del Seminario di Roma" Proprio nello spirito del prossimo Sinodo dei vescovi, come pure in vista del Sinodo di Roma, riveste particolare importanza la "Giornata del Seminario di Roma", che si celebra oggi in tutta la diocesi per iniziativa dell'Opera delle vocazioni sacerdotali.

Anzitutto, cari fratelli e sorelle di questa nostra città, vi chiedo di pregare sia perché ragazzi e giovani rispondano sempre più numerosi alla chiamata del Signore, sia perché i genitori sappiano accogliere e favorire la vocazione dei loro figli.

Vi invito inoltre a dare un sostegno concreto ai seminari di Roma.

L'altezza dell'ideale sacerdotale richiede l'appoggio di tutti. Si tratta infatti dell'avvenire della Chiesa, che è in Roma. Questa città ha bisogno di numerosi e santi sacerdoti, che radunino la comunità dei fratelli per mezzo della Parola di Dio e dell'Eucaristia, e presiedano al servizio della carità.

Maria, salvezza del popolo romano, luce della famiglie cristiane, interceda ualcuno è in Cristo, scrive ancora san Paolo, è una nuova creatura".

Si manifesta così pienamente, nel mistero di Cristo morto e risorto, l'azione creatrice e rinnovatrice dello Spirito di Dio, che la Chiesa invoca dicendo: "Veni Creator Spiritus", "Vieni, Spirito Creatore".

Data: 1990-01-10

Mercoledi 10 Gennaio 1990

Al vicepresidente del Senato austriaco - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ciò' che profondamente ci unisce

Carissimi fratelli e sorelle.

Vi saluto di cuore in questo odierno incontro in Vaticano. Avete pregato per questo e avete manifestato così la vostra particolare unità con il successore di Pietro. Ciò che profondamente ci unisce è soprattutto la comune fede in Gesù Cristo e l'amore alla sua Chiesa. Il mio saluto di benvenuto si rivolge, in particolare, al vicepresidente del Senato austriaco, il professor Herbert Schambeck. A lei esprimo la mia sincera partecipazione per la recente, grave scomparsa della sua consorte. Lei è giunto a Roma con i suoi ospiti per consegnare al reverendissimo card. Agostino Casaroli, segretario di Stato, un'ampia raccolta di discorsi e relazioni, intitolata "Fede e responsabilità". Le fa molto onore, signor vicepresidente, che lei, accanto alle molteplici e pretenziose attività nella politica e nell'insegnamento universitario, trovi anche sempre il tempo e l'energia per una collaborazione, sempre servizievole, alla Chiesa e per diverse pubblicazioni, dedicate alla Santa Sede e in particolare all'espressione e all'operato di Papa Pio XII e alla meritevole attività dell'allora cardinale, segretario di Stato.

Anche queste pubblicazioni sono un prezioso servizio religioso, con il quale lei manifesta la sua profonda unità con la Chiesa e con la Santa Sede. Per questo le esprimo in questa occasione il mio sincero ringraziamento. "Fede e responsabilità": con questo titolo lei indica in maniera pregnante il desiderio fondamentale e la finalità dell'operato del card. Casaroli, e quindi della Santa Sede, nella molteplice vita sociale. La fede, la missione religiosa della Chiesa sono sempre l'impulso determinante e la forza ispiratrice di tutte le iniziative della Chiesa. Anche quella che viene indicata come "politica Est del Vaticano" corrisponde al compito pastorale della Chiesa e sussiste come servizio di salvezza verso gli uomini e i popoli e non serve nessun tipo di finalità politica.

Tuttavia, proprio gli insoliti sviluppi degli ultimi mesi hanno mostrato in modo impressionante quale grande significato possano avere la fede e la religione per la trasformazione delle condizioni sociali e politiche. In questo punto di partenza, sorprendente e non violento, verso la libertà e la giustizia, verso un'attenzione ai diritti degli uomini e verso un sicuro progresso sociale dell'ordine democratico la Chiesa e la Santa Sede possono certo scorgere anche un germogliare di pazienti semi, seminati da loro rappresentanti e anche da molti credenti, in condizioni spesso difficili e contro ogni aspettativa umana, per il bene degli uomini e dei popoli. A questo riguardo spetta un particolare merito al reverendissimo card. Casaroli per i suoi diversi uffici alla Santa Sede. Possano questi promettenti sviluppi, avviatisi alla fine dello scorso anno in molti Paesi, consolidarsi, dunque, in un più ampio annuncio e possano manifestarsi ulteriormente e fruttuosamente in un nuovo ordinamento di pace, giusto e sicuro, in tutta Europa e nel mondo. Il ringraziamento, che ho rivolto a lei, carissimo signor vicepresidente, per le sue pubblicazioni, relative alla Santa Sede, è esteso anche alla casa editrice e a tutti i suoi collaboratori. Auguro a lei e ai suoi ospiti un buon anno del Signore 1990, pieno di gioia e di soddisfazione, e imparto di cuore a voi e alle vostre famiglie in patria la mia particolare benedizione apostolica che invochi e rafforzi la presenza di Dio.

Data: 1990-01-12

Venerdi 12 Gennaio 1990

All'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il sacerdote del 3° millennio dovrà avere il volto di Cristo

Carissimi fratelli e sorelle!


1. L'anno appena cominciato ha avviato il decennio conclusivo del secolo e del millennio. Tutto invita a pensare a ciò che sarà la vita dell'umanità nel duemila.

Il credente s'interroga sul futuro della Chiesa, quindi anche sul ministero dei sacerdoti in quell'epoca. In effetti, occorre preparare i giovani chiamati al sacerdozio affinché sappiano entrare in quel nuovo periodo della storia col necessario equipaggiamento spirituale; essi avranno il compito di portare ai loro contemporanei la luce e la vita di Cristo. Il Sinodo, che avrà luogo nel prossimo mese di ottobre, dovrà dunque tenere gli occhi fissi sul terzo millennio, che offrirà ai futuri presbiteri il loro campo di apostolato.


2. E' pur vero che il futuro ci è sconosciuto, e nessuno può precisare lo sviluppo che assumerà la storia dell'umanità, né le condizioni verso le quali evolverà la vita dei popoli, sappiamo infatti che l'avvenire è nelle mani dell'Onnipotente, il quale agisce sulle vicende umane con prospettive ben diverse dalle nostre.

E tuttavia, c'è una fisionomia essenziale del sacerdote che non muta: il sacerdote di domani infatti, non meno di quello di oggi, dovrà assomigliare a Cristo. Quando viveva sulla terra, Gesù offri in se stesso il volto definitivo del presbitero, realizzando un sacerdozio ministeriale di cui gli apostoli furono i primi ad essere investiti; esso è destinato a durare, a riprodursi incessantemente in tutti i periodi della storia. Il presbitero del terzo millennio sarà, in questo senso, il continuatore dei presbiteri che, nei precedenti millenni, hanno animato la vita della Chiesa. Anche nel Duemila la vocazione sacerdotale continuerà ad essere la chiamata a vivere l'unico e permanente sacerdozio di Cristo.


3. Tuttavia il sacerdozio deve anche adattarsi a ogni epoca e a ogni ambiente di vita, per poter produrre i suoi frutti. Per questo adattamento è doveroso contare anzitutto sull'azione dello Spirito Santo, che discerne l'avvenire e guida tutta la Chiesa verso nuovi sviluppi.

Da parte nostra dobbiamo perciò cercare di aprirci, per quanto possibile, alla superiore illuminazione dello Spirito Santo, per scoprire gli orientamenti della società contemporanea, riconoscere i bisogni spirituali più profondi, determinare i compiti concreti più importanti, i metodi pastorali da adottare, e così rispondere in modo adeguato alle attese umane.

Spetterà al Sinodo tentare questo discernimento e dare le indicazioni opportune sulla formazione sacerdotale, affinché anche nel terzo millennio la Chiesa possa offrire al mondo il suo messaggio mediante sacerdoti ardenti e adatti al loro tempo.

Preghiamo la Vergine Maria perché i sacerdoti del duemila possano animare il mondo con lo spirito del Vangelo.

Per la "Giornata del Seminario di Roma" Proprio nello spirito del prossimo Sinodo dei vescovi, come pure in vista del Sinodo di Roma, riveste particolare importanza la "Giornata del Seminario di Roma", che si celebra oggi in tutta la diocesi per iniziativa dell'Opera delle vocazioni sacerdotali.

Anzitutto, cari fratelli e sorelle di questa nostra città, vi chiedo di pregare sia perché ragazzi e giovani rispondano sempre più numerosi alla chiamata del Signore, sia perché i genitori sr la salvezza del mondo. In una parola, nella celebrazione dei divini misteri, scuola di fede e di vita cristiana, la Chiesa si manifesta e si edifica come "popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (LG 4) ed è spinta dallo stesso Spirito ad andare nel mondo per annunciare a tutti gli uomini che solo in Cristo, morto e risorto, è possibile essere salvati.


4. In questa prospettiva si profilano con chiarezza alcuni obiettivi per il cammino sinodale della Chiesa di Roma, in modo che tutto questo diventi realtà.

Concluso ormai il lavoro per la riforma liturgica voluta dal Concilio, molto ancora resta da compiere perché il rinnovamento spirituale e pastorale prosegua ordinatamente, con una nuova consapevolezza e più forte vigore e porti i frutti sperati.

Non tutti ne hanno compreso lo spirito e ne hanno colto le implicazioni e le istanze spirituali e pastorali, così come emergono soprattutto dalle ricche "Premesse" dei nuovi libri liturgici. Si spiegano così da una parte le fughe in avanti e, dall'altra, le resistenze di alcuni ad accettare la riforma. Occorre allora proseguire nello sforzo, già intrapreso con frutto per una più adeguata formazione liturgica non solo dei fedeli, ma anche di quanti - soprattutto sacerdoti - si pongono lodevolmente a servizio dei fratelli, per un loro più attivo, gioioso e consapevole inserimento nel mistero.

In questa ottica ci sarà da lavorare ancora per instaurare un più armonico rapporto tra catechesi e liturgia, in modo da "leggere" alla luce della parola di Dio i segni che svelano e attuano il mistero della salvezza, così da esplicitarne tutte le conseguenze in ordine alla vita di fede e all'impegno missionario.

Ma non è ancora tutto. Se si vuole davvero che l'esperienza liturgica sia momento fecondo di comunione con Dio, bisognerà rivalutare il senso del sacro nella celebrazione, valorizzando il silenzio, la capacità di ascolto, l'intima gioia della contemplazione e dell'incontro con il Signore e quindi bandendo tutto ciò che distrae e fa scivolare l'attenzione su aspetti soltanto umani ed esteriori dell'azione liturgica.

Occorrerà impegnarsi finalmente, affinché nell'organizzazione dell'azione pastorale la celebrazione dei divini misteri abbia la sua centralità, in modo che tutta l'attività apostolica abbia, in certo senso, da essa il suo inizio e in essa il suo compimento. Proprio perché la liturgia è "culmine e fonte" della vita e missione della Chiesa.

Ciò non vuol dire che nella liturgia debba esaurirsi tutto l'impegno ecclesiale; occorre piuttosto che quanto la comunità ecclesiale annuncia e compie per portare agli uomini il dono della salvezza sia armonizzato con la celebrazione liturgico-sacramentale e cioè da essa scaturisca e ad essa conduca. Ciò vale particolarmente per le altre forme di culto e di pietà, ricche di valori umani e potenzialità educative, con cui il popolo cristiano esprime la sua fede e la sua religiosità.


5. Fratelli e sorelle di questa parrocchia che s'intitola ai Santi Fabiano e Venanzio, ampie sono le prospettive che il Sinodo, sulla scia del Concilio, apre davanti a voi, come davanti a tutta la Chiesa che è in Roma. Ampie prospettive e compiti impegnativi. Sono lieto di esprimere, in occasione di questo incontro con la vostra comunità, la mia fiducia nella vostra generosa corrispondenza.

Saluto con fraterno affetto il cardinale vicario Ugo Poletti e mons.

Giuseppe Mani, vescovo incaricato di questo settore. Saluto il parroco, mons. Edo Dradi con i vicari parrocchiali e gli altri sacerdoti che generosamente collaborano nelle varie attività pastorali. Il mio pensiero va poi alle numerose comunità religiose operanti nel territorio parrocchiale, a cominciare dalle Oblate di Gesù Sacerdote che prestano il loro servizio nella casa canonica e senza dimenticare la comunità dei Monaci di san Polo I Eremita.

Una speciale parola di saluto e di compiacimento desidero altresi rivolgere ai numerosi laici, che dedicano una parte almeno del loro tempo alla catechesi, all'animazione liturgica, al servizio caritativo e assistenziale. A questo proposito, mi sia consentita una particolare menzione del Centro di accoglienza per senza-tetto, che la Caritas romana con l'aiuto di tante persone buone ha aperto non lontano da qui, in via Casilina Vecchia, 15. La fioritura di iniziative di carità, rispondenti alle esigenze dell'ambiente in cui la comunità cristiana vive, è sempre stata la manifestazione e insieme la verifica dell'autenticità della sua fede.

Sono lieto, infine, di prendere atto della vivacità di associazioni, movimenti e gruppi, nei quali tanti giovani e meno giovani cercano sostegno e stimolo per un cammino di fede che ha un grande significato per essi stessi e per l'intera comunità parrocchiale.

A tutti vada il mio augurio a proseguire con entusiasmo nell'impegno di testimonianza generosamente assunto. Dico a voi quanto san Paolo auspicava per la Chiesa di Dio in Corinto: "A coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro, grazia e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo".

Si, "grazia e pace", carissimi fedeli della parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio! "Grazia e pace" a voi, ai vostri familiari e a quanti condividono le vostre convinzioni di fede. "Grazia e pace" anche a coloro che si sono allontanati dalla fede o ancora non l'hanno raggiunta. Possa anche ad essi arridere la luce che promana dall'incontro con Cristo. "Grazia e pace da Dio padre nostro e dal Signore nostro Gesù Cristo"! (Al Consiglio pastorale:) Vi ringrazio per la vostra costante presenza nella parrocchia. Questa presenza è significativa, rappresentativa, perché la parrocchia, come la Chiesa in genere, è popolo di Dio, e questo popolo di Dio è composto nella sua grandissima maggioranza dai laici. Questo non significa che essi non partecipano all'eredità apostolica, non nella successione, ma certo all'eredità apostolica. Tutti i battezzati, nella forza del Battesimo, sono chiamati all'apostolato. L'espressione di quest'apostolato è appunto il Consiglio pastorale nella parrocchia.

L'apostolato è sempre personale, ma deve essere anche comunitario. Naturalmente l'apostolato comunitario deve servire all'animazione cristiana dei diversi ambienti della parrocchia. Vi ringrazio per la vostra presenza attiva, apostolica nella parrocchia dei Santi Martiri Fabiano e Venanzio. Vi auguro che per voi questo anno nuovo sia un anno del Signore, perché lo è veramente. Esso comincia, si radica nel mistero dell'incarnazione. così è sempre un nuovo anno del Signore come se la nascita di Gesù desse nascita al tempo umano, alle nostre prospettive della vita nel tempo. Ringrazio i presenti e anche coloro, che per qualche difficoltà, non sono presenti, le vostre famiglie, offrendo una benedizione.

(Alle comunità neocatecumenali:) Vi auguro un anno 1990 come un anno nuovo per il vostro cammino.

Certamente l'anno precedente, il 1989, ci ha lasciato molte cose sorprendenti, soprattutto in Europa. Molti ambienti, molti Paesi si sono aperti, ma tutto ciò è solamente una sfida. Questo mondo che si apre, che forse rompe con la tradizione meno umana e meno cristiana, cercando quella cristiana e più umana, aspetta, queste popolazioni aspettano la parola della Verità, la parola del Vangelo, la parola della comunione con Cristo. Allo stesso tempo noi siamo qui in Occidente.

Ieri ho parlato agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede e ho detto che questo momento è anche una sfida per i Paesi dell'Europa occidentale, perché devono anch'essi riprendere i veri valori, ricercare le radici cristiane della loro identità e andare verso Cristo. così voi, carissimi, avete anche in Europa molte sfide davanti. Vi auguro che questo anno nuovo sia un nuovo anno per il vostro cammino, fruttuoso con la grazia del Signore, con la luce dello Spirito Santo e con la presenza delle Vergine e Madre.

(Ai giovani:) Vi incontro molto volentieri alla conclusione di questa mia visita pastorale nella parrocchia dei Santi Fabiano, papa e martire, e Venanzio. Il primo era papa e martire, nel secolo III, l'altro era giovane. Sono due figure che stanno tra loro davanti, un papa e un giovane. Vorrei che questo incontro, questo breve stare insieme tra il Papa e i giovani, tutti e ciascuno, fosse un incontro per voi significativo, che vi ritroviate nella tradizione patronale della vostra parrocchia dovuta ai due santi dei tempi romani della persecuzione, che hanno marcato la storia di questa Chiesa di Roma con il loro martirio. La parola martirio è parola greca. A questa parola greca corrisponde una parola latina e poi italiana: testimonianza. Certamente nei nostri tempi, almeno qui in Italia, a Roma, questi martiri sanguinosi non ci sono ma non mancano altrove. Sempre la Chiesa celebra i martiri di diverse Chiese e diversi continenti. Io stesso ho già elevato agli onori degli altari molti martiri di epoche più vicine, anzi del nostro secolo. Era tra loro anche un martire giovane, intorno ai vent'anni, martirizzato durante l'ultima guerra nel campo di concentramento dai nazisti per la sua fede. Ma possiamo dire che il martirio sanguinoso fa eccezione nei nostri tempi. Ma rimane sempre il significato più ampio di testimonianza. In questo senso tutti siamo chiamati da Cristo a essere martiri cioè testimoni del suo Vangelo, della sua fede, del suo regno, testimoni della sua grazia, dei valori che porta con sé il suo insegnamento, testimoni del suo messaggio.

Concludendo questa giornata, nella parrocchia dedicata ai Santi martiri romani, auguro a voi, giovani parrocchiani della nostra epoca, di questo secolo e di questo millennio, di essere testimoni del Vangelo di Cristo, di essere suoi testimoni e di prendere sul serio queste parole, di riflettere sul suo significato, di cercare le strade per diventare testimoni di Cristo nella nostra epoca. Sono altri i martiri significativi del nostro tempo. I maggiori sono l'indifferenza, il materialismo pratico, il consumismo. Tutto ciò è anche un martirio per il cristiano. Ciò ci pone una sfida e chiede da noi una risposta con la nostra fede.

Vi auguro buon anno carissimi. Siete giovani già appartenenti al terzo millennio. Vi auguro buon anno, buon decennio e anche buon millennio.

Data: 1990-01-14

Domenica 14 Gennaio 1990



Alla Rota Romana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il giudice si guardi sempre da una malintesa compassione




1. La solenne inaugurazione dell'anno giudiziario della Rota Romana mi offre la ricorrente e gradita opportunità di esprimere il mio più cordiale apprezzamento e incoraggiamento per l'attività che svolgete, cari fratelli, quali giudici o in altre funzioni connesse con l'operato di giustizia di questo Tribunale Apostolico.

Nel salutarvi con affetto, desidero farvi partecipi della mia sollecitudine di Pastore della Chiesa universale verso l'attività giurisdizionale dei tribunali ecclesiastici, giacché ho ben presenti le fatiche di quanti si dedicano "ex professo" a questo servizio al popolo di Dio.

Muovendo dalle chiare parole di mons. Decano sulla funzione del giudice nella Chiesa, mi sembra opportuno approfondire un tema che, dopo il Concilio Vaticano II, è stato al centro dell'opera legislativa, della giurisprudenza e della dottrina canonistica. Si tratta della dimensione pastorale del diritto canonico o, in altri termini, dei rapporti fra pastorale e diritto nella Chiesa.


2. Lo spirito pastorale, su cui il Concilio Vaticano II ha fortemente insistito nel contesto dell'ecclesiologia di comunione esposta soprattutto nella costituzione dogmatica "Lumen Gentium", caratterizza ogni aspetto dell'essere e dell'agire della Chiesa. Lo stesso Concilio, nel decreto sulla formazione sacerdotale, ha espressamente disposto che, nell'esposizione del diritto canonico, si rivolga l'attenzione al mistero della Chiesa, secondo la costituzione dogmatica "De Ecclesia"; ciò vale a fortiori per la sua formulazione, come anche per la sua interpretazione e applicazione. La pastoralità di questo diritto, ossia la sua funzionalità rispetto alla missione salvifica dei sacri pastori e dell'intero popolo di Dio, trova così la sua solida fondazione nell'ecclesiologia conciliare, secondo la quale gli aspetti visibili della Chiesa sono inseparabilmente uniti a quelli spirituali, formando una sola complessa realtà, paragonabile al mistero del Verbo incarnato.

D'altra parte, il Concilio non ha mancato di trarre molte conseguenze operative da questo carattere pastorale del diritto canonico, stabilendo misure concrete tendenti a far si che le leggi e le istituzioni canoniche fossero sempre più adeguate al bene delle anime.


3. In questa prospettiva è opportuno soffermarsi a riflettere su di un equivoco, forse comprensibile ma non per questo meno dannoso, che purtroppo condiziona non di rado la visione della pastoralità del diritto ecclesiale. Tale distorsione consiste nell'attribuire portata e intenti pastorali unicamente a quegli aspetti di moderazione e di umanità che sono immediatamente collegabili con l'"aequitas canonica"; ritenere cioè che solo le eccezioni alle leggi, l'eventuale non ricorso ai processi e alle sanzioni canoniche, lo snellimento delle formalità giuridiche abbiano vera rilevanza pastorale. Si dimentica così che anche la giustizia e lo stretto diritto - e di conseguenza le norme generali, i processi, le sanzioni e le altre manifestazioni tipiche della giuridicità, qualora si rendano necessarie - sono richiesti nella Chiesa per il bene delle anime e sono pertanto realtà intrinsecamente pastorali.

Non a caso in quella sorta di decalogo di principi, approvati dalla Prima Assemblea del Sinodo dei vescovi nel 1967 e successivamente fatti propri dal Legislatore, perché guidassero i lavori di redazione del nuovo Codice, il terzo principio iniziava con queste suggestive affermazioni: "La natura sacra e organicamente strutturata della comunità ecclesiale rende evidente che l'indole giuridica della Chiesa e tutte le sue istituzioni sono ordinate a promuovere la vita soprannaturale. perciò l'ordinamento giuridico della Chiesa, le leggi e i precetti, i diritti e i doveri che ne conseguono, devono concorrere al fine soprannaturale". Riprendendo tale principio, il mio venerato predecessore Paolo VI, nel corso del suo ampio e profondo magistero sul significato e valore del diritto nella Chiesa, espresse così il nesso fra vita e diritto nel Corpo mistico di Cristo: "La vita ecclesiale non può esistere senza l'ordine giuridico, poiché, come ben sapete, la Chiesa - società istituita da Cristo, spirituale ma visibile, che si edifica per mezzo della parola e dei sacramenti e si propone di portare la salvezza agli uomini - abbisogna di questo diritto sacro, conformemente alle parole dell'Apostolo: "Ma tutto avvenga decorosamente e con ordine"" ("Insegnamenti di Paolo VI", XV (1977), p. 536).


4. La dimensione giuridica e quella pastorale sono inseparabilmente unite nella Chiesa pellegrina su questa terra. Anzitutto, vi è una loro armonia derivante dalla comune finalità: la salvezza delle anime. Ma vi è di più. In effetti, l'attività giuridico-canonica è per sua natura pastorale. Essa costituisce una peculiare partecipazione alla missione di Cristo Pastore e consiste nell'attualizzare l'ordine di giustizia intraecclesiale voluto dallo stesso Cristo. A sua volta, l'attività pastorale, pur superando di gran lunga i soli aspetti giuridici, comporta sempre una dimensione di giustizia. Non sarebbe, infatti, possibile condurre le anime verso il regno dei cieli, se si prescindesse da quel minimo di carità e di prudenza che consiste nell'impegno di far osservare fedelmente la legge e i diritti di tutti nella Chiesa.

Ne consegue che ogni contrapposizione tra pastoralità e giuridicità è fuorviante. Non è vero che per essere più pastorale il diritto debba rendersi meno giuridico. Vanno, si, applicate le tante manifestazioni di quella flessibilità che, proprio per ragioni pastorali, ha sempre contraddistinto il diritto canonico.

Ma vanno altresi rispettate le esigenze della giustizia, che da quella flessibilità possono venir superate, ma mai negate. La vera giustizia nella Chiesa, animata dalla carità e temperata dall'equità, merita sempre l'attributo qualificativo di pastorale. Non può esserci un esercizio di autentica carità pastorale che non tenga conto anzitutto della giustizia pastorale.


5. Occorre, pertanto, cercare di comprendere meglio l'armonia fra giustizia e misericordia, tema tanto caro alla tradizione sia teologica che canonica. "Iuste iudicans misericordiam cum iustitia servat", recitava una rubrica del Decreto del Maestro Graziano (D. 45, c. 10). E san Tommaso d'Aquino, dopo aver spiegato che la misericordia divina, nel perdonare le offese degli uomini, non agisce contro la giustizia bensi al di sopra di essa, concludeva: "Ex quo patet quod misericordia non tollit iustitiam, sed est quaedam iustitiae plenitudo" (I 21,3, ad 2).

Convinta di ciò, l'autorità ecclesiastica si studia di conformare la propria azione, anche nella trattazione delle cause sulla validità del vincolo matrimoniale, ai principi della giustizia e della misericordia. Essa perciò prende atto, da una parte, delle grandi difficoltà in cui si muovono persone e famiglie coinvolte in situazioni di infelice convivenza coniugale, e riconosce il loro diritto ad essere oggetto di una particolare sollecitudine pastorale. Non dimentica pero, dall'altra, il diritto, che pure esse hanno, di non essere ingannate con una sentenza di nullità che sia in contrasto con l'esistenza di un vero matrimonio. Tale ingiusta dichiarazione di nullità matrimoniale non troverebbe alcun legittimo avallo nel ricorso alla carità o alla misericordia.

Queste, infatti, non possono prescindere dalle esigenze della verità. Un matrimonio valido, anche se segnato da gravi difficoltà, non potrebbe essere considerato invalido, se non facendo violenza alla verità e minando, in tal modo, l'unico fondamento saldo su cui può reggersi la vita personale, coniugale e sociale. Il giudice pertanto deve sempre guardarsi dal rischio di una malintesa compassione che scadrebbe in sentimentalismo, solo apparentemente pastorale. Le vie che si discostano dalla giustizia e dalla verità finiscono col contribuire ad allontanare le persone da Dio, ottenendo il risultato opposto a quello che in buona fede si cercava.


6. L'opera invece di difesa di un valido connubio rappresenta la tutela di un dono irrevocabile di Dio ai coniugi, ai loro figli, alla Chiesa e alla società civile.

Soltanto nel rispetto di questo dono è possibile trovare la felicità eterna e quella sua anticipazione nel tempo, concessa a coloro che con la grazia di Dio, s'identificano con la sua Volontà, sempre benigna malgrado possa apparire talvolta esigente. Va allora tenuto presente che il Signore Gesù non ha esitato a parlare di un "giogo", invitandoci a prenderlo e confortandoci con questa misericordiosa assicurazione: "Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero" (Mt 11,30).

Per di più, quale rilevantissima manifestazione della cura pastorale rivolta ai coniugi in difficoltà, va fedelmente applicato il CIC 1676, che non è disposizione di valore puramente formale: "Il giudice, prima di accettare la causa e ogni qualvolta intraveda una speranza di buon esito, faccia ricorso ai mezzi pastorali, per indurre i coniugi, se è possibile, a convalidare eventualmente il matrimonio e a ristabilire la convivenza coniugale".


7. Del carattere pastorale del diritto della Chiesa partecipa anche il diritto processuale canonico. Al riguardo, restano quanto mai attuali ed efficaci le parole che vi rivolse Paolo VI nel suo ultimo discorso alla Rota Romana: "Sapete bene che il diritto canonico "qua tale", e per conseguenza il diritto processuale, che ne è parte, nei suoi motivi ispiratori rientra nel piano dell'economia della salvezza, essendo la "salus animarum" la legge suprema della Chiesa" ("Insegnamenti di Paolo VI", XVI (1978), p. 75).

L'istituzionalizzazione di quello strumento di giustizia che è il processo rappresenta una progressiva conquista di civiltà e di rispetto della dignità dell'uomo, cui ha contribuito in modo non irrilevante la stessa Chiesa con il processo canonico. Ciò facendo, la Chiesa non ha rinnegato la sua missione di carità e di pace, ma ha soltanto disposto un mezzo adeguato per quell'accertamento della verità che è condizione indispensabile della giustizia animata dalla carità, e perciò anche della vera pace. E' vero che, se possibile, vanno evitati i processi. Tuttavia, in determinati casi essi sono richiesti dalla legge come la via più idonea per risolvere questioni di grande rilevanza ecclesiale, quali sono, ad esempio, quelle sull'esistenza del matrimonio.

Il giusto processo è oggetto di un diritto dei fedeli e costituisce al contempo un'esigenza del bene pubblico della Chiesa. Le norme canoniche processuali, pertanto, vanno osservate da tutti i protagonisti del processo come altrettante manifestazioni di quella giustizia strumentale che conduce alla giustizia sostanziale.

L'anno scorso ebbi modo di parlarvi del diritto alla difesa nel giudizio canonico e sottolineai il suo immediato rapporto con le esigenze essenziali del contraddittorio processuale. Anche le altre norme specifiche riguardanti le cause matrimoniali possiedono una loro rilevanza giuridico-pastorale. In particolare, vorrei richiamare l'attenzione su quelle concernenti la competenza dei tribunali ecclesiastici. Il nuovo Codice, nel CIC 1673, ha regolato questa materia, tenendo conto delle luci e delle ombre dell'esperienza più recente, e contemperando una legittima facilitazione dei fori competenti con alcune precise garanzie - che devono essere sempre accuratamente rispettate - per tutelare il contraddittorio a beneficio delle parti e del bene pubblico. L'osservanza di tali garanzie diventa quindi dovere di giustizia e anche di ben inteso senso pastorale.


8. Concludo queste riflessioni su alcuni aspetti del vasto tema dei rapporti tra pastorale e diritto canonico, con l'auspicio - che rivolgo non soltanto a voi, ma a tutti i sacri Pastori - di una sempre più chiara comprensione e più operativa attuazione del valore pastorale del diritto nella Chiesa, per il migliore servizio delle anime. Affidando quest'intenzione all'intercessione della Madonna, "Speculum iustitiae", vi imparto una speciale benedizione apostolica, pegno della costante assistenza divina nel vostro impegnativo lavoro ecclesiale.

Data: 1990-01-18

Giovedi 18 Gennaio 1990


GPII 1990 Insegnamenti - All'Angelus - Città del Vaticano (Roma)