GPII 1990 Insegnamenti - Alla "Graduate School" di Bossey - Città del Vaticano (Roma)

Alla "Graduate School" di Bossey - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Fermo impegno della Chiesa per il dialogo ecumenico

Cari amici.

Sono felice di porgere il benvenuto ai partecipanti alla "Graduate School" dell'Istituto Ecumenico di Bossey, in occasione del vostro pellegrinaggio a Roma. Vi saluto con la preghiera dell'apostolo Paolo: "La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi" (2Co 13,13).

Da oltre quattro mesi state riflettendo sul tema: "Lo Spirito Santo e la testimonianza profetica della Chiesa". Proprio il nome dello Spirito Santo trascina i nostri pensieri verso il mistero imperscrutabile del Dio Uno e Trino e della realtà della Chiesa; la comunione visibile di coloro che hanno ricevuto "l'amore di Dio (che) è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5,5). Nel Credo di Nicea e di Costantinopoli, la Chiesa professa la sua fede nello Spirito Santo come "il Signore, colui che dà la vita... che ha parlato attraverso i profeti". I vostri studi dovranno certo ispirarvi a lodare Dio per l'immensità del suo dono alla Chiesa e in particolare a ognuno di voi.

Sin dall'inizio la comunità cristiana sperimento la potenza dello spirito Santo, e quella potenza spinse gli apostoli e i discepoli a sostenere la testimonianza per Cristo con coraggio e forza, persino di fronte alle violente opposizioni. La testimonianza profetica della Chiesa in ogni periodo è la proclamazione dell'avvenimento salvifico di Gesù Cristo, e del suo mistero pasquale, il mistero del Signore crocifisso e risorto (cfr. Atti 2,14-36). Nel sostenere la testimonianza per Cristo, lo Spirito Santo convince il mondo del peccato, vale a dire, della "disobbedienza" che allontana gli uomini e le donne da Dio. Donde la testimonianza della Chiesa è sempre una chiamata alla conversione e al pentimento, alla pace e alla riconciliazione. Lo Spirito Santo, l'Amore del Padre e del Figlio, è il divino principio di quella profonda riconciliazione e comunione. Che noi tutti, come discepoli di Cristo, possiamo fare attenzione agli incitamenti dello Spirito Santo che ci guida verso la verità, e quindi verso l'armonia e l'unità.

Sono felice che la vostra permanenza in Roma vi abbia dato l'opportunità di incontrare i membri del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unione dei cristiani per discutere su temi di fondamentale interesse ecumenico. Come pure venendo a conoscere meglio la Chiesa cattolica, voi dovrete percepire la ferma natura del suo mandato nel compito ecumenico. Nelle mie preghiere chiedo allo Spirito Santo di colmarvi dei suoi doni per un sempre crescente servizio per l'unità e per la comunione. Nel ritornare verso i vostri Paesi possa lo spirito rafforzarvi e rendervi sempre più testimoni dell'amore del Padre. Dio sia con voi!

Data: 1990-02-12

Lunedi 12 Febbraio 1990



Alla Segreteria del Sinodo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Formazione sacerdotale: compito arduo, impegnativo e gioioso

Signori cardinali, venerati fratelli nell'episcopato!


1. La celebrazione dell'VIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi si trova ormai in una fase decisiva della sua preparazione e per questo voi, membri del Consiglio della segreteria generale, insieme col segretario, l'arcivescovo mons. Jan Schotte, siete convenuti ancora una volta nell'Urbe per esaminare gli ultimi atti da svolgere in vista dell'imminente avvenimento. Siate perciò i benvenuti nel nome del Signore! Insieme vogliamo servire nel modo migliore la Chiesa, madre e maestra, alla quale abbiamo consacrato la vita e il cuore, le parole e le opere, il tempo e le forze.

E' ormai di comune dominio la notizia che il prossimo Sinodo tratterà della formazione da assicurare ai presbiteri, al primo manifestarsi della loro chiamata, durante il tempo di preparazione all'ordinazione e nel periodo di vita sacerdotale.

Il compito della formazione sacerdotale è arduo, impegnativo ed esigente; esso pero è anche entusiasmante e gioioso per l'intensa carica di fede che comporta, e per le singolari qualità di carità teologale e pastorale, di comunione e di servizio, di attenzione ai segni dei tempi, di condivisione delle più diverse condizioni dei fratelli, che suppone. Tale compito perciò deve essere assunto con l'intento fondamentale di favorire una piena adesione al modello originario e normativo del buon pastore, e insieme di promuovere un'armoniosa integrazione dell'identità umana, cristiana e sacerdotale dei giovani chiamati.


2. A questo ricchissimo argomento dedicherà i suoi lavori, la sua meditazione e preghiera la prossima Assemblea, che stiamo preparando con la sollecitudine propria di chi ama la Chiesa. La riflessione sinodale sulla formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali si svolgerà in occasione di una duplice ricorrenza che merita di essere sottolineata: in questo 1990 si celebra il 25° anniversario sia dell'istituzione del Sinodo che della conclusione del Concilio Vaticano II.

La lettera "Apostolica Sollicitudo", con cui il mio predecessore di v.m.

Paolo VI istituiva il Sinodo risale al giorno 15 settembre 1965, quando il Concilio Vaticano II non era ancora terminato. Con la creazione di questo nuovo organismo, Paolo VI intendeva rispondere alle aspettative manifestatesi in seno all'assise conciliare e interpretare così il desiderio di collegialità e di unione nella carità pastorale, che i Padri avevano espresso come profonda aspirazione.

Il giorno 8 dicembre 1965 si chiudeva, poi, il Concilio Vaticano II che era stato davvero come una "nuova Pentecoste" per la Chiesa in cammino attraverso la seconda metà del secolo XX. Guidati dallo spirito, i pastori, convenuti a Roma da ogni parte del mondo, avevano indicato i modi migliori per accogliere ed esprimere la fede in un mondo per tanti versi mutato.

Verso questo storico evento occorrerà far convergere la memoria e la gratitudine di tutti i fedeli, affinché il loro animo resti aperto agli insegnamenti sempre vivi e attuali che lo Spirito ha dato in quella circostanza all'intero popolo di Dio.


3. E non è senza una speciale ispirazione dall'Alto che si è deciso di rivolgere l'attenzione del prossimo Sinodo al tema della formazione dei sacerdoti, poiché dalla loro buona preparazione dipendono sia la loro personale perfezione umana e cristiana che l'efficacia del loro ministero.

Alla formazione e alla vita dei sacerdoti il Concilio Vaticano II ha dedicato, com'è noto, due documenti: il decreto sulla formazione sacerdotale "Optatam Totius" e quello sul ministero e vita dei presbiteri "Presbyterorum Ordinis". Non si tratta, perciò, solo di una coincidenza di date; la ricorrenza anniversaria ci invita a vedere un collegamento di valore, di qualità, di dignità tra il Concilio Vaticano II e il Sinodo del 1990.

La figura del presbitero è stata descritta e proposta autorevolmente dal Concilio, che ha dedicato ad essa con sollecitudine amorevole e illuminata un abbondante spazio di discussione e di studio. Tutti ci auguriamo che anche il prossimo Sinodo concentri sull'argomento profonda riflessione e intenso amore, manifestando anche in questo modo la propria considerazione per coloro che sono i primi collaboratori dell'ordine episcopale. E' infatti ovvio, è opportuno, è necessario che a ricevere le primizie della mente e del cuore dei vescovi siano coloro che per vocazione e missione sono eletti a portare insieme con essi il "peso della giornata e del caldo" (Mt 20,12), il peso cioè del servizio pastorale che incombe sulle loro spalle: un peso che diviene leggero solo nella comunione col "pastore e vescovo delle anime" e nella condivisione fraterna, grazie alla quale ciascuno porta i pesi degli altri.

Una chiamata simile ricevono anche coloro che si consacrano al Signore in un particolare stato di vita nelle fila di una Congregazione religiosa o di un istituto di vita apostolica. Anch'essi sanno di essere mandati a testimoniare con modi propri, aderendo al loro carisma, la sollecitudine apostolica e missionaria e l'efficacia della tensione escatologica della Chiesa pellegrina nella fede e nella speranza.


4. Il compito che grava sul Sinodo riveste particolare urgenza, quando si pensi che gli orientamenti impressi alla formazione dei presbiteri nelle circostanze attuali sono destinati a proiettare la loro efficacia oltre la soglia dell'anno 2000; i giovani che oggi accolgono la chiamata e si preparano al sacerdozio, fatti adulti e maturi di età e di carità pastorale, dovranno allora apparire come chiari modelli del gregge.

E' questo un vanto e un privilegio che ci esalta ed entusiasma, mentre avvertiamo nel tempo che scorre la presenza fedele di quel Dio-con-noi, dell'Emmanuele, che chiama incessantemente quelli che vuole alla perenne missione di salvezza e sentiamo che il Signore del tempo e della storia ci vuole in essa attivamente presenti. Ma, parimenti, questo è anche un dovere e una responsabilità. Responsabilità di uomini che decidono del proprio cammino, ponendosi in atteggiamento di ascolto e di fede; dovere di pastori attenti più alle necessità del gregge che a se stessi, nella preoccupazione di non trovarsi mai impreparati alla grave sfida dei tempi.


5. Venerati fratelli nell'episcopato, ho voluto farvi partecipi della sollecitudine che provo per un problema di tanta importanza per la vita della Chiesa. Al tempo stesso, pero, sono certo di poter condividere con voi la gioia di ripercorrere, pensando ai lavori sinodali ormai prossimi, l'itinerario, spesso arduo ma sempre appassionante, della nostra stessa formazione al presbiterato. In esso dall'amore del Padre e del Figlio nello Spirito siamo nati alla carità pastorale, che tuttora ci urge dentro, e ci spinge a desiderare che altri, come noi, siano formati oggi per il domani come veri "cooperatores ordinis nostri".

Con questi sentimenti invoco sul vostro lavoro, auspice la Vergine Maria, l'abbondanza dei doni divini, in pegno dei quali vi impartisco l'apostolica benedizione.

Data: 1990-02-15

Giovedi 15 Febbraio 1990

A una delegazione islamica - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Una testimonianza prima che una civilizzazione

Cari amici.

Sono felice di dare il benvenuto alla delegazione del World Islamic Call Society, guidata dal vostro illustre segretario generale, dottor Muhammad Ahmad Sherif, e accompagnata qui dal card. Arinze e dagli altri partecipanti cattolici al dialogo su "Missione e da'wah". La visita dei rappresentanti del Pontificio Consiglio per il dialogo inter-religioso a Tripoli il marzo scorso, e questa visita ricambievole da parte del World Islamic Call Society, ci offrono la speranza di rafforzare la buona volontà e la cooperazione tra cristiani e musulmani. L'argomento del vostro dibattito è opportuno. Dal momento in cui noi crediamo in Dio - che è Bontà e Perfezione - tutte le nostre attività devono riflettere la santa e giusta natura del Dio unico che noi adoriamo e cerchiamo di obbedire. Per questa ragione, anche nelle fatiche della missione e del da'wah, le nostre azioni devono essere fondate sul rispetto per l'inalienabile dignità e libertà della persona umana creata e amata da Dio.

Sia i cristiani che i musulmani sono chiamati a difendere l'inviolabile diritto di ogni individuo alla libertà del credo e della pratica religiosa. Vi sono state nel passato, e continuano a esserci anche ora sfortunate circostanze di incomprensione, intolleranza e contrasto tra cristiani e musulmani, specialmente in circostanze che vedono o i cristiani o i musulmani come minoranza o come lavoratori ospiti in certi Paesi. E' nostro impegno come guide religiose cercare vie per superare queste difficoltà in spirito di giustizia, fraternità e reciproco rispetto. Da qui, considerando i significati propri del compiere la missione e il da'wah, voi siete occupati con una questione che è importante sia per le religioni che per l'armonia sociale. Vi interessate alle difficoltà di fronte a cui oggi si trovano coloro che credono in Dio negli sforzi di proclamare la sua presenza e la sua volontà per l'umanità. Come credenti, non neghiamo né respingiamo nessuno dei benefici reali che il progresso moderno ha portato, ma siamo convinti tuttavia che senza il rapporto con Dio la società moderna non è in grado di guidare gli uomini e le donne verso lo scopo per cui sono stati creati. E anche qui cristiani e musulmani possono lavorare insieme, portando una testimonianza prima che una civilizzazione moderna della presenza divina e dell'amorevole provvidenza che guida i nostri passi. Insieme possiamo proclamare che colui che ci ha creati ci ha chiamati a vivere nell'armonia e nella giustizia. Possano le benedizioni dell'Altissimo accompagnarvi nei vostri sforzi a favore del dialogo e della pace!

Data: 1990-02-15

Giovedi 15 Febbraio 1990

Al Patronato Leone XIII di Vicenza - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ruolo insostituibile della religione nell'educazione dei giovani

Carissimi fratelli e sorelle, che formate la famiglia spirituale del Patronato Leone XIII di Vicenza!


1. Siete venuti in pellegrinaggio per confermare, accanto alla tomba del Principe degli apostoli, la vostra fedeltà a Cristo e alla Chiesa e per rendere grazie al Signore, datore di ogni bene, per i favori di cui egli ha colmato questi cento anni della vostra storia.

In effetti, il Patronato Leone XIII, da quando ebbe inizio il 30 settembre 1890 per la generosa iniziativa di alcune benefattrici vicentine e la provvidenziale disponibilità di san Leonardo Murialdo, fondatore della Pia Società Torinese di san Giuseppe, è andato sempre più qualificandosi come comunità educativa, ben integrata nella pastorale della Chiesa locale e nella vita della città. Esso è diventato per i giovani vicentini punto d'incontro, luogo di crescita umana e spirituale, palestra di formazione culturale e religiosa: una famiglia sempre più numerosa di allievi e di ex allievi, accomunati dagli stessi ideali di fedeltà al Vangelo e di generoso servizio ai fratelli. Presso di voi si sono formate note personalità, che si sono rese benemerite, come responsabili della vita pubblica e come qualificati professionisti; nel vostro interno sono anche maturate, grazie alla cura premurosa e costante degli educatori, vocazioni alla vita consacrata e al sacerdozio.

Per questo, accogliendovi con un caloroso benvenuto, intendo salutare, oltre agli allievi ed ex allievi, gli insegnanti e gli animatori con le famiglie e le varie vostre associazioni. Un particolare ringraziamento rivolgo ai Figli di san Leonardo Murialdo, i quali, con la loro costante azione apostolica e fedele testimonianza religiosa, hanno assicurato la continuità del lavoro formativo dell'Istituto, di cui oggi si possono apprezzare i frutti. Il mio fervido saluto va soprattutto alle autorità civili, che vi hanno accompagnati in questo familiare incontro.


2. "La società non si migliora che attraverso la gioventù... pregare, imparare, giocare: ecco l'Oratorio". Questa tipica espressione di san Leonardo Murialdo, a voi ben nota, traccia il programma del vostro apostolato, sempre valido, pur nel mutare delle situazioni sociali. Se infatti il Patronato Leone XIII ha così profondamente segnato la cultura popolare e la storia sociale e religiosa del popolo vicentino è perché, affiancandosi alle pubbliche Istituzioni, ha offerto un supplemento d'anima alla città, facendola crescere cristianamente e diventando qualificata "oasi" religiosa per migliaia di giovani e innumerevoli famiglie.

Fedeli all'intuizione originaria del fondatore, voi avete perfezionato negli anni la vostra attività, ormai collaudata, come itinerario formativo e come proposta cristiana aperta a tutti. perciò questa ricorrenza giubilare, oltre ad essere un esaltante momento celebrativo, deve costituire soprattutto un'opportuna occasione per rendere sempre più intensa la vostra presenza fra la gioventù, che è alla ricerca della verità e dell'amore, assetata soprattutto di Cristo, profondo conoscitore del cuore umano.


3. Mi compiaccio pertanto nell'apprendere che il vostro Patronato è una struttura ecclesiale molto apprezzata, nella quale il progetto educativo, ispirato da san Leonardo Murialdo, mira alla formazione integrale della persona umana. Tuttavia, ciò che particolarmente vi qualifica, è il fatto che il vostro istituto è luogo di educazione alla fede. Gesù Cristo sia sempre al primo posto e sia lui ad accogliere e incontrare i giovani. Crescete nella sua conoscenza e nel suo amore, sentendovi sempre più fratelli in lui e mantenendovi fedeli ai suoi insegnamenti.

Pur vivendo in un'epoca, in cui il richiamo delle cose terrene e la sfrenata corsa al benessere rendono sempre più difficile la pratica della vita cristiana e la stima dei valori spirituali, sappiate dimostrare col vostro impegno quotidiano che non si può prescindere mai da fermi principi morali; dimostrate che la religione ha oggi un ruolo insostituibile, e tanto più nell'educazione dei giovani, perché solo seguendo il Vangelo si può costruire una società più giusta, aperta alla vita, alla pace, all'amore.

Vi guidi nella quotidiana missione quella che fu la costante sollecitudine del vostro maestro, san Leonardo Murialdo: la "salus animarum", come egli amava ripetere, cioè la salvezza delle anime, la totale salvezza dell'uomo, chiamato a realizzare il progetto che Dio gli ha affidato. E vi protegga sempre Maria, Madre di Cristo e della Chiesa, alla quale affido voi, giovani, e le vostre famiglie.

Su tutti e su ciascuno invoco infine la pienezza dei favori celesti, che desidero avvalorare con la mia benedizione.

Data: 1990-02-17

Sabato 17 Febbraio 1990

A vescovi brasiliani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Non subordinare il ministero episcopale a opzioni umane

Cari fratelli nell'Episcopato,


1. Il nostro incontro di oggi, a coronamento della visita "ad limina Apostolorum" che state realizzando, in qualità di Vescovi appartenenti alla "Regional Sul-Dois" della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile, è per me motivo di profonda gioia. Venite dallo Stato del Parana, dalle quattro provincie ecclesiastiche di Curitiba, Londrina, Maringà e Cascavel, in cui sono strutturate le diciotto diocesi, affidate alle vostre cure pastorali.

Siete portatori, quali discepoli ed amici di Cristo, di gioie e di speranze, così come delle tristezze e delle angosce degli uomini che abitano in questa bella regione dell'immenso Brasile. Questo mi avete confidato nelle udienze personali. Questo momento, senza pretendere di sintetizzare ciò che è stato oggetto dei nostri colloqui, è soprattutto un momento di comunione in continuità con l'Eucaristia, che è sempre il punto più alto della visita "ad limina": Egli, il buon Pastore, è realmente in mezzo a noi, come Emanuele.

Salutandovi, con sentimenti di affetto e di stima, saluto le Comunità del Popolo di Dio, di fronte alle quali Egli vi ha costituiti Pastori, esortandovi, sin da ora, a rimanere "fermi e irremovibili, sempre generosi nel lavorare per il Signore, sapendo che la vostra fatica non è infruttuosa" presso il Signore stesso (cfr. 1Co 15,58).


2. Non posso non ricordare, in questo momento, come ricordo sempre, e in maniera ancor più viva in questi giorni di contatto con Voi, il pellegrinaggio apostolico che mi condusse alle terre del Parana e che raggiunse il suo apice nella celebrazione dell'Eucarestia a Curitiba. In quell'occasione, come certamente ricorderete, ho fatto, con i paranensi e per loro, una richiesta, che, nonostante siano trascorsi quasi dieci anni, mi sembra ancora attuale. Dicevo allora: "Per voi, io chiedo a Dio, con il più grande fervore, che non si scoraggi mai, ma anzi si animi e cresca, la profonda integrazione razziale che esiste fra voi. Che in questa fraternità fra i vari popoli non manchi una speciale solidarietà con i nostri fratelli indigeni. Che vi sia, inoltre, fra voi, un'apertura ad accogliere molti altri gruppi umani che hanno bisogno di una patria, perché sono privati delle loro" (Omelia, Curitiba, 6 luglio 1980).

Essendo Pastori di una regione brasiliana relativamente ben strutturata, come Chiesa, ed avendo preparato questa visita con moltissima cura, avete nel cuore aspirazioni e progetti, con molta speranza. Ma non dimenticate di ascoltare, negli incontri con ognuno, che vi anima anche un vivo senso di responsabilità, con sereno realismo.

C'è una nuova configurazione sociale della vita e della cultura rurale della popolazione, che comincia a vivere secondo nuovi schemi, con mentalità prevalentemente urbana ed industriale. Inoltre, il momento politico, con nuove prospettive, così come la pressione dei mezzi di comunicazione sociale, naturalmente risveglia una nuova problematica. Bisogna ovviare al rischio di cedere ad un cristianesimo superficiale, insidiato dalle ideologie, da visioni dell'uomo indifferenti se non addirittura ostili alla tradizione cristiana, al quale viene ad aggiungersi la facile attrattiva delle sètte e l'opportunismo di quelli che il Signore ha ben stigmatizzato nelle sue allegorie (cfr. Mt 7,15 Jn 10,12), ponendoci in guardia contro nemici "domestici".

Di fronte a tali situazioni, bisogna che i fedeli cristiani sappiano "conoscere" e riconoscere la voce del loro Pastore, quella voce, cioè, che ha echeggiato quasi duemila anni fa: "Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo Pastore" (Jn 10,16). Ci sarà un solo Popolo di Dio, in una nuova Alleanza dell'unico Signore con gli uomini: "Abitero in mezzo a loro e con loro camminero e saro loro Dio, ed essi saranno il mio popolo" (2Co 6,16 cfr. He 8,10 Lv 26,18).


3. Già in un precedente incontro con i Vescovi del vostro "Regional" in visita "ad limina", mi compiacevo di osservare come l'amato stato del Parana, essendo, in certo modo, "la terra di tutte le genti", ci aiutava a farci un'idea e quasi a rendere palpabile la realtà di Chiesa come Popolo di Dio: ossia quell'ammirevole moltitudine che lo Spirito Santo, fra una così grande varietà di etnie e di culture, ha riunito nell'unità della dottrina degli Apostoli, della comunione fraterna, della divisione del Pane e della preghiera (cfr. Insegnamenti VIII,1 p 1711).

Voglio oggi qui condividere con voi alcune riflessioni su questa realtà misteriosa e tanto suggestiva, che impegna e stimola il vostro ministero di Pastori. Affinché non vediate mai frustrato né deturpato questo vostro devoto ministero, è bene che, a proposito, si ritorni alla considerazione del mistero del Popolo di Dio, che è allo stesso tempo ed indissociabilmente la Chiesa che è in cammino, come "soggetto" storico.

Questa riflessione è molto attuale. Il Concilio Vaticano Secondo, nel presentare le varie immagini della Chiesa, fra le altre molto significative, ha privilegiato questa di Popolo di Dio. Lascia intendere, così, che la considera la più felice per esprimere l'aspetto del corpo sociale, che, nonostante sia inserito nella storia degli uomini, trascende tutti i tempi e tutti i popoli (cfr. LG 9).


4. Questo titolo di Popolo di Dio, come Voi sapete, comporta tutte le risonanze degli interventi divini per salvare il mondo; e tende sempre verso la definitiva realizzazione degli stessi in Gesù Cristo, nostro Signore, nel quale "tutte le promesse di Dio diventeranno "si"" (cfr. 2Co 1,20).

La Chiesa, quindi, amati fratelli, essendo la continuazione d'lsraele, Popolo di Dio dell'antica Alleanza, è anche la sua trasformazione radicale.

Infatti, superando tutti i limiti di ordine etnico geografico o culturale, la Chiesa diviene la casa aperta a tutti indifferentemente, una volta che, in essa, tutti passano dall'essere "non-popolo" a Popolo di Dio (cfr. 1P 2,10).

La ragione primaria di questa trasformazione sta nel fatto che la Chiesa è stata fondata dal Figlio di Dio, fatto uomo, morto e risorto. Egli rende presente il mistero stesso della Santissima Trinità. E' in questo adorabile mistero che essa ha la sua unica e triplice fonte. E' da lui che essa riceve la connotazione unica di Popolo riunito nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (cfr. S. Geronimo, In Neoph.: CCL 78, p. 542s; S. Cipriano, De orat. dom. 23: PL 4,553).

E', di fatto, in virtù del sacramento del Battesimo, conferito precisamente in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che gli uomini vengono incorporati nel Popolo di Dio. E così, "a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo" (Jn 10,36), "rende partecipe tutto il suo corpo mistico di quella unzione dello Spirito con la quale è stato unto" (Decr. PO 2 cfr. Rm 6,4). Ed è questo il Regno, al quale Gesù Cristo ha dato inizio sulla terra, dotandolo di tutti i mezzi necessari alla sua definitiva realizzazione. Per farlo crescere, sono invitati tutti coloro che accolgono il Signore Gesù: affinché divengano suoi collaboratori, nella fedeltà dalla grazia, alla vocazione, al modo di vita e alla funzione che sono loro propri (cfr. 1Co 3,8ss).


5. In appoggio a questa fedeltà al servizio del Popolo di Dio, lo Spirito Santo distribuisce le sue grazie ed i suoi doni, per il compimento delle rispettive missioni di laici, religiosi o ministri consacrati, affinché tutti, ed ognuno per la parte che gli compete, contribuiscano all'edificazione dello stesso ed unico corpo.

Nell'ambito di questa disposizione organica e con questa finalità (cfr. Ep 4,7ss) è al primo posto la grazia conferita agli Apostoli ed ai Vescovi, loro successori, uniti al successore di Pietro. E' questa grazia che tutela la varietà e provvede che queste promuovano l'unità nella carità, in modo che tutti i membri del Popolo di Dio possano, liberamente ed ordinatamente, giungere alla salvezza.

Questa grazia ed il dono gerarchico, apostolico-episcopale, amati Fratelli, implicano un'autentica diversità all'interno del Popolo di Dio. Essa ci è stata conferita dall'Ordinazione sacramentale, che perpetua nella Chiesa quell'atto creativo, con il quale Gesù Cristo "fece" i Dodici, e dal quale deriva per i suoi successori la funzione specifica di essere presenza e testimonianza di Cristo stesso fra i fedeli (cfr. Const. LG 18 LG 19 LG 21). Questa differenza essenziale, come sappiamo, non comporta un distanziamento fra i Vescovi e gli altri membri del Popolo di Dio; la sua funzione si concretizza, precisamente, nel ministero di santificare, di istruire e di governare il Popolo di Dio stesso; un ministero che solo i successori degli Apostoli ricevono da Gesù Cristo, e che essi devono esercitare solamente in suo nome.


6. Molto diverso da qualsiasi altro popolo, in quanto alle norme costituzionali che lo reggono, questo Popolo di Dio non è depositario dell'autorità inerente alla successione apostolica; come se il ministero episcopale costituisse una specie di delegazione popolare, o rimanesse vincolato a tale Popolo, in termini di durata o di modalità di esercizio. Essendo di origine sacramentale, tale autorità è esclusivamente di origine divina, e tale rimane; non ha bisogno quindi, di essere ratificata da nessun altro.

Questo non significa che il Vescovo debba convertire la propria unicità sacramentale in isolamento pastorale. Al contrario, ha l'obbligo di accettare e, addirittura, di cercare la collaborazione di tutti, tanto delle persone singole, quanto, degli organismi diocesani e superdiocesani, al fine di perfezionare e dar maggior efficacia al proprio servizio di guida e rendere più facile l'accettazione dello stesso. Ma, diventerebbe indebita ogni collaborazione che si convertisse in pressione. Allora il Popolo di Dio sarebbe collocato al livello di un popolo in senso laico. Si correrebbe il rischio di subordinare, in un certo modo, il ministero episcopale a opzioni, anche di fede e di vita cristiana, fatte a misura d'uomo. Avremmo, in questo caso, un'inversione di termini e di valori: invece di Popolo di Dio, il Dio del popolo.


7. Se è bene che la Chiesa, seguendo l'esempio del suo maestro, che era "buono ed umile di cuore", sia ben ferma anch'essa nell'umiltà, e che abbia senso critico riguardo tutto ciò che costituisce il suo carattere e la sua attività umana, è ugualmente ovvio che anche la critica deve avere i suoi giusti limiti. Come Pastori della stessa Chiesa, portando avanti ciò che il mio predecessore Paolo VI ha chiamato il "dialogo della salvezza", (cfr. 1Tm 2,4), dobbiamo essere vigili riguardo a quello spirito critico, nel quale non si esprime solo un atteggiamento di servizio; ma soprattutto, la volontà di orientare l'opinione di altri secondo la propria opinione, alcune volte divulgata in modo assai imprudente (cfr. Enc. RH 4).

Il ministero episcopale, quindi, non si può scindere dal suo rapporto originale e irreversibile con Gesù Cristo. C'è un inviolabile diritto di quanti fanno parte del Popolo di Dio: il diritto di poter ascoltare, nei propri Pastori, Cristo stesso e il Padre che Lo ha inviato; e di ricevere da parte loro, non una parola di uomini, ma la Parola di Dio (cfr. Lc 10,16 1Th 2,13).

I fedeli e tutti in generale vogliono ascoltare da noi "Parole di vita eterna", l'illuminazione della fede riguardo il senso della vita temporale e le ragioni di speranza di beni futuri, per portare avanti la missione che Dio ha affidato loro nel mondo (cfr. Const. LG 48). Le beatitudini tutte, indicano il giusto giudizio, che non appartiene agli uomini né al tempo presente, ma solo a Gesù Cristo quando verrà nella sua gloria (cfr. Mt 25,21ss) per il compimento del suo Regno e per decretare che i giusti andranno verso la vita eterna.


8. Miei amati fratelli nell'Episcopato: questa riflessione sulla Chiesa come Popolo di Dio, mi viene suggerita e richiesta dalla responsabilità di cui sono investito, quale successore di Pietro: essere, in mezzo a questo stesso Popolo, il principio ed il fondamento visibile dell'unità. Tanto dell'unità dei Vescovi, quanto dell'unità della moltitudine dei fedeli. E in questa stessa linea di responsabilità, anche a Voi, in qualità di Vescovi, compete l'essere principio e fondamento visibile dell'unità nelle Chiese particolari che vi sono affidate (cfr. Const. LG 23).

Vi esorto, quindi, cari Fratelli, a conservare l'integrità di quella pace, che fu comunicata da Cristo risorto agli Apostoli, e che dissipa tutto il timore (cfr. Jn 20,19-22). E vi auguro e chiedo a Dio che gli atti del vostro ministero pastorale, come quelli degli stessi Apostoli, siano ispirati dalla consapevolezza che sono atti del Signore, perciò sono anche dello Spirito Santo (cfr. Ac 15,28).

Vi incoraggio a proseguire con zelo, intelligenza e entusiasmo, quel servizio che già state compiendo, dimostrando saggezza e amore, nelle vostre singole Chiese. Continuate ad armonizzare le esigenze delle vostre Diocesi con quelle della Conferenza Nazionale dei Vescovi, affinché vi sia sintonia nei programmi pastorali. E non vi stancate di essere vicini, di amare e di ascoltare il popolo, essendo, per tutti i fedeli diocesani, padri ed amici saggi. Siatelo particolarmente, per i Sacerdoti, e aspiranti al Sacerdozio, per i consacrati, Religiosi e Religiose, e per i laici impegnati nell'apostolato, infine, per tutti coloro che hanno una partecipazione peculiare e riconosciuta nella missione della Chiesa.

Per concludere, raccomando alla Madre di Dio, sede della saggezza - Nostra Signora Aparecida, come la invoca il caro popolo brasiliano - il vostro ministero episcopale. Alla sua cura materna affido la vostra sollecitudine di Pastori, nello Stato di Parana; e, con la sua intercessione, invoco abbondanti favori celesti per tutto il Popolo di Dio che è in pellegrinaggio li, con una grande Benedizione Apostolica.

(Traduzione dallo spagnolo)

Data: 1990-02-17

Sabato 17 Febbraio 1990

All'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il sacerdote è l'uomo della carità

Carissimi fratelli e sorelle!


GPII 1990 Insegnamenti - Alla "Graduate School" di Bossey - Città del Vaticano (Roma)