GPII 1990 Insegnamenti - Ai rappresentanti della Provincia di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Ai rappresentanti della Provincia di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Attenzione fattiva e rigore morale nella gestione pubblica




1. Con sentimenti di viva cordialità, accolgo e saluto voi, illustri rappresentanti della Provincia di Roma, venuti a rendermi visita all'inizio del nuovo anno.

Costituisce sempre un momento importante intrattenermi con quanti sono preposti alle pubbliche amministrazioni, per esortarli a proseguire, con coraggio e generosità, sulla strada del servizio, della ricerca della giustizia e della pace.

In effetti, le responsabilità delle civiche autorità si fanno sempre più gravose, specialmente se considerate in rapporto alle sfide emergenti in questo particolare e provvidenziale momento storico. La più matura coscienza sociale, i risvolti problematici dello sviluppo, l'accentuata interdipendenza delle comunità, dei popoli e dei continenti - il pensiero va, in particolare, ai recenti avvenimenti dell'Est europeo - postulano, da parte di chi gestisce la cosa pubblica, concretezza ed equilibrio, sia nell'analisi della situazione che nella ricerca delle soluzioni. Richiedono attenzione fattiva ai problemi e rigore morale nella gestione, senza peraltro mai dimenticare che la politica smarrirebbe il suo senso e il suo valore, se cessasse d'essere progetto d'una società fondata sulla giustizia e sulla solidarietà.


2. Nel vostro difficile, ma prezioso servizio, voi potete certo contare sulla comprensione dei pastori delle comunità cattoliche, i quali desiderano intrattenere con le autorità civiche relazioni di mutuo rispetto, di stima reciproca, di fattiva collaborazione. I tanti vincoli storici e culturali, che legano la Provincia di Roma alla Sede Apostolica, costituiscono un forte stimolo a promuovere tra le due realtà un clima di fiducia e di dialogo in ordine all'efficace perseguimento del bene comune.

Nell'auspicare che tale intesa possa sempre meglio attuarsi, vi assicuro che da parte della Chiesa cattolica non verrà mai meno la disponibilità all'impegno, poiché la promozione dell'uomo è parte integrante della sua missione evangelizzatrice. Come già sottolineava il Concilio Vaticano II, "la Chiesa, fondata nell'amore del Redentore, contribuisce ad estendere il raggio d'azione della giustizia e dell'amore all'interno di ciascuna nazione e tra le nazioni". E ancora: "Nella fedeltà al Vangelo e nello svolgimento della sua missione nel mondo, la Chiesa, che ha come compito di promuovere ed elevare tutto quello che di vero, buono e bello si trova nella comunità umana, rafforza la pace tra gli uomini a gloria di Dio" (GS 76).


3. E proprio in nome di questa ricerca del bene comune, che congiunge i nostri sforzi, mi sia permesso di accennare, nella prospettiva delle ampliate competenze derivanti alla Provincia dall'istituzione dell'area metropolitana, ad alcuni problemi, che ho già avuto modo di richiamare in occasione delle visite pastorali in Roma e dintorni.

Una società, che guarda con speranza al futuro, è chiamata innanzitutto a confrontarsi seriamente con l'attuale condizione giovanile. I giovani hanno bisogno di risposte concrete ai loro interrogativi e alle loro aspirazioni. La loro inquietudine, che talora sfocia nell'alienazione, nella devianza o nella disperazione, tradisce un'insoddisfazione che non si può colmare con i soli beni di consumo o con vuote promesse.

Mentre esprimo soddisfazione per quanto già s'è fatto, non posso non ricordare che Roma resta una città che registra un elevato tasso di disoccupazione. Vi incoraggio pertanto a un rinnovato sforzo nel promuovere opportunità di impiego a beneficio dei giovani, specie dei meno abbienti, sia attraverso esperienze cooperativistiche, sia con attività di lavoro tutelato nell'ambito dell'agricoltura, come pure con iniziative di difesa dell'ambiente.

Accanto alla gioventù un altro settore che occorre privilegiare è la scuola, dove vanno stimolati e concretamente aiutati gli sforzi di integrazione con il territorio, specialmente per quanto concerne il ricupero dei minori a rischio.

Inoltre il vostro specifico ruolo nell'ambito dell'assistenza e della prevenzione, il vostro impegno a favore delle categorie sociali più deboli e dei gruppi non integrati non potranno ottenere i risultati sperati, se la vostra azione verrà meno nel sostenere effettivamente le famiglie nei gravosi compiti che il moderno ritmo sociale loro impone. Centrale è infatti il ruolo della famiglia in ogni programma sociale, poiché essa, in quanto cellula primaria della società, rappresenta l'irrinunciabile punto di riferimento e di verifica d'ogni intervento programmatico.

Nel vostro quotidiano servizio alla popolazione vi sostiene il contributo dei credenti che operano a favore dell'uomo. La Chiesa, nelle sue molteplici articolazioni, lavora in questa direzione ogni giorno, assai spesso in silenzio. Accanto alle strutture pubbliche, essa interviene anche con la presenza qualificata e stimolante di volontari, operanti nell'ambito di associazioni e movimenti e, in special modo, della Caritas, con la quale da anni l'Ente Provincia intrattiene una proficua collaborazione. Quest'esercito di buoni samaritani, che voi ben conoscete, si fa così voce di chi non ha voce, dilatando l'ansia di carità che vibra nel cuore della Chiesa, perché il Vangelo diventi sempre più fermento di amore in un mondo rinnovato.


4. Accompagno queste riflessioni con l'esortazione a operare sempre coraggiosamente a difesa dell'uomo. La Chiesa di Roma, che si sta impegnando nella preparazione del Sinodo diocesano, chiama tutti i credenti a una coraggiosa revisione di vita per una più incisiva testimonianza cristiana. E' un richiamo che vale per coloro che hanno pubbliche responsabilità. "Ad essi, come ho detto ieri nella visita a una parrocchia romana, è richiesta una fede robusta, che non sia smentita sul piano dei fatti; è richiesta la trasparenza nella gestione dei beni di tutti; il rigore morale che non sopporta compromessi e l'impegno generoso, anche se non sempre compreso, per il bene comune.

In questa prospettiva assicuro un particolare ricordo nella preghiera, perché la vostra mente sia illuminata nell'individuare le opportune soluzioni ai problemi spesso complessi, con i quali dovete ogni giorno confrontarvi.

Con questi sentimenti, invoco sulle vostre persone, sulle vostre famiglie e sugli abitanti dell'intera Provincia di Roma la continua benedizione di Dio.

Data: 1990-02-26

Lunedi 26 Febbraio 1990



Messaggio al Brasile per la Campagna di fraternità - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Conversione personale e comunitaria per costruire una società più giusta e fraterna anche verso la donna

Cari fratelli e sorelle in Gesù Cristo, cari brasiliani,


1. In questo incontro di inizio di Quaresima vi saluto augurandovi tutto il bene, esortandovi alla conversione a Dio in una vita più degna e cristiana.

La Quaresima è tempo di cammino verso la Pasqua. La Chiesa è santa in Cristo ma peccatrice in noi. perciò, in tutta la Quaresima risuona nella Liturgia questo invito: "Lasciatevi riconciliare con Dio. Ecco ora il tempo favorevole, ecco ora il giorno della salvezza" (2Co 5,20 2Co 6,2).

Per entrare nel cammino della conversione ci è fatta una triplice proposta: ascolto della Parola di Dio, preghiera e penitenza personale e comunitaria, con la pratica delle buone opere. E inizia in Brasile una nuova Campagna della Fraternità.


2. La Chiesa vuole il bene di tutto l'uomo e di tutti gli uomini. Guidata dai Vescovi, maestri ed educatori della fede del popolo cristiano, amministratori dei misteri di Dio o costruttori dell'unità del Corpo Mistico di Cristo, la Chiesa concentrerà ora il suo impegno di evangelizzare nel tema "Fraternità e donna", avendo come motto "Donna e uomo, immagine e somiglianza di Dio".

Molto buona questa scelta, così come la ricerca della novità della Campagna: interpellazione diretta all'essere proprio della donna e dell'uomo, in ciò che i due sono l'uno per l'altra, in ordine alla conversione personale e comunitaria, per la costruzione di una società più giusta e fraterna, anche per la donna.


3. Effettivamente, la donna, così come l'uomo, è una persona; è l'unica creatura che Dio ha voluto per se stessa: l'unica ad essere espressamente fatta ad immagine e somiglianza di Dio che è amore. Proprio per questo, non può realizzarsi pienamente se non in un sincero dono di se stessa. Da qui l'origine della "comunione", nella quale si deve esprimere l'"unità dei due" e la dignità personale, sia dell'uomo che della donna (cfr. Lett. Apost. MD 10).

Così, né l'uomo è superiore alla donna, né la donna all'uomo. Ciò non vuol dire che i due sono uguali in tutto. Ciascuno dei due possiede la totalità e la dignità dell'essere umano, ma non nella stessa forma. La donna intende il suo compimento e la sua vocazione, come persona, secondo la ricchezza degli attributi della femminilità, che ha ricevuto nel giorno della creazione e che trasmette di generazione in generazione, come sua maniera peculiare di essere immagine di Dio, oscurata dal peccato e redenta in Gesù Cristo (Ga 3,27-28).


4. Con le sue qualità specificatamente femminili, anche la donna è chiamata a costruire un mondo nuovo, partecipando alla vita sociale e alla santità della Chiesa. E' importante che, in questa sua fondamentale uguaglianza all'uomo, non perda di vista la sua complementarietà e soprattutto la sua massima nobiltà: "Essere immagine e somiglianza di Dio".

Lo specchio riflette l'"immagine" solo quando si trova nel posto giusto, riceve la luce necessaria ed è pulito. Lo "specchio", sia per l'uomo che per la donna, è Cristo; la luce viene da Dio; e il luogo giusto è segnato dalla legge etica ("ethos") incisa in ogni cuore. La Parola di Dio proclama che, laddove la donna abbandona il suo essere "immagine" e "somiglianza" di Colui che è Amore, c'è un imperativo di conversione, per lei o per gli altri. Si impone la necessità di liberarsi dal male, dal peccato. Di tutto ciò che offende l'altro; l'offesa "diminuisce" non solo chi la subisce ma anche chi la commette.


5. La durezza del cuore umano, ferito dalle conseguenze del peccato originale, nel corso della storia, ha danneggiato e sconvolto il piano del Creatore, anche per quanto riguarda la donna, immagine di Dio. Ora, bisogna che percorriamo insieme il cammino della conversione, ritornando alla volontà originale del Signore.

Rivolgo il mio appello per la donna brasiliana e a favore della donna brasiliana, né schiava, né regina, solamente donna: - donna-bambina: perché sia guardata come fiore raro, ma semplice che, al fiorire, nell'alba della vita, vuole ricevere e riflettere la luce di Dio; - donna-ragazza: sole di una mattina di primavera, per la limpidezza dello sguardo ad irradiare speranza, bisognosa di rispetto, fiducia e dignità; - donna-adulta: sole del mezzogiorno, con la sua dignità semplice, la sincerità e il candore, per illuminare e dare calore, con la riflessione serena, con la rettitudine dello spirito e con l'armonia con cui si presenta, si veste e si orna; - donna-anziana: ombra che scende, accogliente, con naturale affetto materno e peculiare saggezza e prudenza, vivendo nella donazione, nel desiderio di servire la felicità del prossimo, la felicità dei suoi simili.

A tutte le donne brasiliane e a tutti i brasiliani, in tutte le situazioni e in tutti gli ambienti, rivolgo il mio appello. Ringraziate Dio e pregate per tutte e per ognuna: per le madri, per le sorelle, per le mogli, per le consacrate a Dio nella verginità, per quelle che si dedicano e si consumano come immagini di Dio e che sanno essere signore, e per le altre.

E chiediamo alla Donna, Maria di Nazareth, "specchio di giustizia", per la elevazione del Brasile, con l'aiuto della donna brasiliana, che la Madonna Aparecida aiuti tutti, come frutto della Campagna della Fraternità, a "camminare nella fede, nella carità e in una unione più perfetta con Dio". Con questa preghiera, benedico tutti: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Amen.

(Traduzione dallo spagnolo)

Data: 1990-02-28

Mercoledi 28 Febbraio 1990



Omelia del Mercoledi delle Ceneri - La verità lacerante di Dio all'uomo: "Lasciatevi riconciliare"

"Laceratevi il cuore e non le vesti" (Jl 2,13).


1. così dice il profeta Gioele nella prima lettura di questo Mercoledi delle Ceneri. Con tali parole egli fa riferimento alla consuetudine dei suoi contemporanei, i quali, in segno di penitenza o di lutto, si laceravano le vesti e si coprivano di ceneri il capo. Oggi, all'inizio della Quaresima, la Chiesa, rapportandosi a questa usanza, impone le ceneri sul capo.

Questo gesto ha un suo significato anche per la nostra epoca. Le parole del libro della Genesi, che le accompagnano, sono evidentemente sempre attuali: "polvere tu sei e in polvere tornerai!" (Gn 3,19). Esse parlano della legge di morte, alla quale sono sottoposti l'uomo e tutto il creato. Queste parole, nel contesto della liturgia del Mercoledi delle Ceneri, hanno ancora la forza di far "lacerare i cuori".


2. Il profeta Gioele infatti mira a tale scopo. La penitenza ("metanoia" - conversione) tende soprattutto a una svolta e a una trasformazione dell'uomo interiore: "Lacerate i vostri cuori". E certamente una testimonianza perenne di questa lacerazione del cuore è il Salmo di Davide "Miserere". Sono note le circostanze in cui questo Salmo nacque nel cuore e sulle labbra del re-profeta.

Attraverso tante generazioni e secoli il Salmo non ha perduto niente della sua attualità. E' rimasta costantemente viva la testimonianza del peccato umano e della conversione: "Riconosco la mia colpa, / il mio peccato mi sta sempre dinanzi. / Contro di te, contro te solo ho peccato, / quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto" (Ps 50,5-6).


3. "Crea in me, o Dio, un cuore puro, / rinnova in me uno spirito saldo!" (Ps 50,12). Questa "lacerazione del cuore" si realizza all'interno di tutto l'essere umano, sensibile al bene e al male. Se l'uomo compie questa lacerazione con uno sforzo della sua coscienza - allora in questa fatica è sempre presente Dio. Egli agisce.

L'uomo deve soprattutto "entrare nella sua camera", deve "chiudere la porta". Deve rimanere solo con Dio, che "vede nel segreto" (Mt 6,6). Perfino le opere della penitenza, come il digiuno, l'elemosina e la preghiera, non raggiungono il loro scopo se viene a mancare questa "segretezza" interiore, nella quale Dio riconquista nell'uomo lo spazio destinato per lui. Ed egli agisce.

Proprio in questo consiste "la lacerazione del cuore".


4. Infatti ciò che Dio ha da dire all'uomo in questo segreto quaresimale è una verità "lacerante". L'apostolo Paolo, nella lettera ai Corinzi, presenta con parole concise questa verità lacerante, chiamando alla riconciliazione con Dio: "Lasciatevi riconciliare con Dio!". "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo tratto da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2Co 5,20-21).

L'Apostolo parla di Cristo. Parla del mistero della redenzione, che si è compiuto a prezzo della sua passione e della croce sul Golgota. Ma non parla soltanto di questo. L'Apostolo parla anche di ciò che è il fondo stesso del mistero: ecco, il Figlio della stessa sostanza del Padre, colui che porta in sé tutta la giustizia di Dio - colui che assolutamente "non ha conosciuto peccato" - è trattato "da peccato" in nostro favore: "Il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti", come già aveva predetto tanti secoli prima il profeta Isaia.

Ecco la verità che realmente lacera i cuori! Nel nome di questa verità, nel nome di Cristo, l'Apostolo chiama alla riconciliazione con Dio.


5. L'uomo contemporaneo è sensibile a questa verità? Non si è forse barricato in se stesso contro la chiamata quaresimale della Chiesa? Tutto ciò che fa parte della nostra civiltà tecnica, audiovisiva, antropocentrica non chiude forse all'uomo l'accesso a questa camera interiore, senza permettergli di permanere nel "segreto" con Dio solo? Il cuore umano è ancora capace di questa "lacerazione" salvifica, che lo guarisce per mezzo della verità e della grazia? Comincia la Quaresima! Preghiamo per i nostri contemporanei! Preghiamo reciprocamente gli uni per gli altri! Al termine della preghiera e della penitenza di questi quaranta giorni ci sarà "la gioia della salvezza".

"Non respingermi dalla tua presenza / e non privarmi del tuo santo spirito / rendimi la gioia di essere salvato" (Ps 50,13-14).

Data: 1990-02-28

Mercoledi 28 Febbraio 1990

Al clero della diocesi di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Comunione e missione nella Chiesa di Roma

E' bene che questa prima giornata della Quaresima sia diventata il giorno dell'incontro con il clero di Roma. Durante questo incontro il vescovo di Roma si mette soprattutto in ascolto: è quasi un'anticipazione degli esercizi spirituali che il Papa inizierà fra qualche giorno; è un'anticipazione molto utile; con grande attenzione e con grande profitto per me ho ascoltato tutto quello che voi avete voluto dire, qui, in questa assemblea.

Naturalmente, sono i problemi del Sinodo, del Sinodo che si realizza, che cammina da parecchi anni; i problemi che nascono dentro questo cammino e anche i problemi che da questo cammino vengono provocati, perché il Sinodo certamente deve essere un "andare insieme", un "camminare insieme", come si è detto, e come significa anche la parola greca; ma deve anche essere una "provocazione". Questa provocazione è di tipo emotivo, affettivo, e tutto questo è giusto; ma deve essere sempre approfondita, per trovare una risposta. Genericamente parlando, e penso che per la Chiesa di Roma ci voglia una riflessione, a uno studio sinodale deve seguire anche una provocazione, perché questa Chiesa di Roma non si trova in una situazione perfetta. Siamo tutti consapevoli della sua bellezza e della sua forza, ma nello stesso tempo della sua debolezza, o delle diverse debolezze. La parola chiave, a cui le riflessioni sinodali sono arrivate, è la parola "comunione".

Questa è veramente la parola chiave.

Il Sinodo riprende naturalmente l'ecclesiologia del Vaticano II: ricchissima ecclesiologia. Più o meno tutti sono convinti che l'ecclesiologia del Vaticano II si riassume più adeguatamente con questa parola: "comunione". Non con la sola parola "comunione", ma soprattutto con questa parola. Lo hanno anche constatato, per esempio, i membri del Sinodo straordinario organizzato nel 1985, nel XX anniversario della conclusione del Concilio, nel documento finale. Ma, se prendiamo questa parola "comunione", si vede che il Concilio Vaticano II, essendo un Concilio soprattutto ecclesiologico, è stato, nello stesso tempo, un Concilio profondamente teologico, e ci ha mostrato la strada indispensabile che guida la Chiesa a Dio, alla realtà divina, al Mistero di Dio, perché Dio è comunione; è comunione perché è amore, ed essendo amore non può non essere comunione. Questo è il suo Mistero, ma questa è la sua profondissima realtà rivelata; senza rivelazione non sarebbe possibile concepire questa verità: che Dio è comunione.

I nostri fratelli delle religioni non cristiane hanno si un concetto di Dio "unico", un concetto "monoteistico", ma non hanno il concetto di Dio comunione. Questo Dio "comunione", che è creatore dell'universo, è creatore come comunione; ed è quanto si legge chiaramente nella rivelazione divina. Il carattere comunionale lo riscontriamo nella creazione. Nel creato c'è l'impronta del suo mistero, della comunione che è Dio; ma soprattutto Dio, essendo comunione, essendo creatore del mondo, non può rimanere - come vuole la mentalità dei "lumi", cioè illuministica - solamente trascendente o indifferente. Per la Chiesa, per il cristianesimo questa trascendenza indifferente è un'offesa a Dio. E' in contrasto con quello che lui veramente è. Dobbiamo aggiungere che questa mentalità, questo modo di pensare "illuministico", ispirato dall'illuminismo, è abbastanza diffuso nella società contemporanea, come anche nella società dei secoli precedenti, almeno nel secolo scorso.

Questo Dio che è "comunione" è anche "missione". La dottrina ecclesiologica del Vaticano II ci ha insegnato che Dio è "missione", perché è "comunione", è "creatore", perché è "missione trinitaria". Questo Dio non lascia il mondo a se stesso; non permette che questo mondo diventi una realtà separata da lui. Pur rispettando la sua autonomia, soprattutto l'autonomia dell'uomo, pur rispettando l'autonomia che viene dalla libertà umana, dal libero arbitrio, questa autonomia che proviene da lui, Dio-Amore, Dio-"comunione" si mette in missione. La Chiesa è frutto di questa missione. E' sacramento di questa missione.

Noi portiamo nelle nostre radici questa realtà di Dio che è "comunione" e che è "missione". così nasce la Chiesa; nasce la Chiesa nella sua universalità e anche in ogni sua dimensione particolare. così nasce anche la Chiesa in ogni parrocchia. La Chiesa in ogni parrocchia ha in sé questo mistero di Dio che è "comunione" e "missione", "missione" perché "comunione", perché è Amore. Con questa ecclesiologia del Vaticano II noi dobbiamo essere sempre più vicini: misurare sempre più il nostro modo di pensare e di agire. E' qui il ruolo profetico del Concilio Vaticano II per la nostra generazione e per molte generazioni future. Dobbiamo vivere con questa ecclesiologia perché, vivendo con questa ecclesiologia, viviamo con la teologia rivelata, trinitaria, e viviamo soprattutto insieme con il mistero della creazione, con questo stupendo mistero che costituisce il cristianesimo e costituisce la Chiesa; il mistero della redenzione, il mistero pasquale.

Dopo un Concilio, che ci ha portato tanta ricchezza di insegnamento del magistero, ci voleva un Sinodo e il Sinodo si celebra in molti luoghi, in molte diocesi del mondo. Il Sinodo si appropria di questa ricchezza, di questa ricchezza del Concilio Vaticano II per far vivere più la Chiesa e, attraverso la Chiesa, far vivere più profondamente il mistero di Dio, il mistero della creazione, il mistero della redenzione, e, finalmente, per vivere di più il mistero dell'uomo. Tutto questo è perfettamente connesso; è un'unità organica che certamente il Concilio Vaticano II, nei suoi documenti, nelle sue costituzioni, ha saputo trasmettere magisterialmente alla Chiesa.

Naturalmente, sapendo tutto questo, vivendo tutto questo, noi ci incontriamo nella realtà umana, in una città come Roma, del mondo occidentale, in ogni parrocchia romana ci incontriamo allo stesso tempo con un processo contrario.

Questo processo si può chiamare in diversi modi, ma forse la parola "secolarizzazione" è quella che corrisponde di più a una tendenza "anticomunionale", "antimissionale". Noi vogliamo vivere in questo mondo, siamo figli di questo mondo e non vogliamo vivere più come se Dio stesse fuori dal mondo, come se Dio non esistesse.

Questa tendenza non è una tendenza sempre esplicita: non è un ateismo programmatico, molte volte è agnosticismo. E' tante volte, una posizione comoda, perché, certamente, questo Dio-comunione, questo Dio rivelato attraverso la passione di Cristo, la passione, la croce e la risurrezione di Cristo, è un Dio esigente. Vuole l'uomo, vuole la sua salvezza, la sua perfezione; vuole che l'uomo diventi partecipe della sua divinità. Invece il programma secolaristico vuole liberare l'uomo da tutto questo.

Basta a te il mondo, afferma; basta per te il mondo. Non è vero - rispondiamo noi -. Non è vero, perché alla fine il mondo lascia l'uomo come un cadavere. Allora non è vera, anche se è suggestiva, questa proposta, anche se è facile.

Carissimi confratelli, la Chiesa, in tutte le sue dimensioni - Chiesa universale, Chiesa di Roma, Chiesa particolare, diocesana, Chiesa parrocchiale, ogni Chiesa, in ogni dimensione, e non potrebbe essere altrimenti - è un luogo in cui queste due realtà, la realtà di Dio comunione-amore, comunione-missione, creatore-redentore e la realtà dell'uomo, che può solamente attraverso Cristo conoscere se stesso (realtà che il Concilio Vaticano II ci ha ricordato, ripresentato), si scontrano. Dio da una parte; dall'altra, la tendenza che viene dal secolarismo, dall'indifferentismo, forse dall'illuminismo, e, qualche volta, dal marxismo. E' questa la nostra situazione; e non è una situazione facile. Noi abbiamo un compito responsabile, esigente, e qualche volta questo compito esigente sembra superare le nostre forze. Ma Cristo ha previsto tutto questo e ci ha lasciato l'assicurazione che egli rimane con noi sino alla fine del mondo. Alla fine, la vittoria sarà sua, è già sua con la risurrezione. Ma dentro questa situazione Cristo è già risorto, e la vittoria è già sua. E' la realtà storica del mondo. Vi sono sempre tensioni, anzi, tensioni crescenti.

Tutto questo ci dice due cose insieme, che forse saranno utili per la riflessione sinodale. Noi dobbiamo essere in comunione molto profonda con Dio per portare avanti la sua missione comunionale, la sua missione divina, trinitaria.

Noi dobbiamo essere sempre più in comunione fra noi, uniti fra noi, perché questa è la conseguenza della nostra somiglianza - siamo a immagine e somiglianza di Dio - della nostra vocazione cristiana. Questo è anche un imperativo della strategia evangelica, missionaria, pastorale. Per questo, sono molto grato al cardinale vicario, ai vescovi ausiliari e a tutti voi. Questo Sinodo cammina, va avanti. In che modo deve diventare prassi, ed è già una prassi? Già la sua convocazione, il suo processo sinodale è una prassi. In quale misura potrebbe diventare ancora più prassi? In quale modo potrebbe diventare ancora più "provocazione"? Forse sarebbe utile che diventasse ancora più provocazione, perché molti dormono. Ma, soprattutto, questo processo sinodale porta una luce su quello che costituisce il vostro lavoro quotidiano e la vostra esistenza sacerdotale e pastorale quotidiana.

E benché il Sinodo sia anche uno sforzo, un impegno, possiamo dire "più", questo impegno serve a ciascuno di noi, ci arricchisce, rende la nostra difficile vita forse un po' meno difficile, perché è una realizzazione per camminare insieme, nell'unità del popolo di Dio. E' l'unità del presbiterio e sappiamo bene che la forza si trova nell'unità. Dobbiamo sempre più promuovere questa unità del popolo di Dio, questa unità dei sacerdoti, del presbiterio, questa unità con i nostri fratelli e sorelle consacrati. Questa unità con tutti i nostri laici impegnati, e non ci mancano, con i nostri catechisti, con i nostri operatori sanitari, caritativi e tanti altri. Io faccio, quando posso, le visite pastorali a Roma, e vedo più o meno come queste forze siano presenti e crescano. Forse diminuisce il numero anche di quelli che fanno pratica domenicale. Forse questo diminuisce. Ma, d'altra parte, cresce il numero delle persone impegnate. Ci vuole, allora, una unità ancora più profonda, una comunione ancora più profonda di tutti quelli che costituiscono la Chiesa di Roma, la Chiesa viva. Anche davanti al mondo secolarizzato; anzi, a causa di questo mondo, la situazione è analoga a quella dopo la Pentecoste, dopo la risurrezione e dopo l'ascensione di Cristo, al tempo della Chiesa primitiva. E' molto simile. Naturalmente il contesto storico è molto diverso. Ma la situazione nostra è molto simile.

Grazie per avermi ascoltato e per avermi dato l'opportunità di presentarvi queste mie riflessioni intorno al Sinodo e soprattutto intorno al concetto di "comunione" con cui questo Sinodo lavora.

Data: 1990-03-01

Giovedi 1 Marzo 1990

Ai Consultori Familiari - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Rispettosi della vera natura di servizio alla famiglia

Cari fratelli e sorelle!


1. Ho accolto con gioia l'invito a incontrarmi con voi che partecipate al VI Convegno nazionale della Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione cristiana. Rivolgo a tutti e a ciascuno il mio affettuoso e cordiale saluto. Esprimo in particolare la mia stima per il consulente ecclesiastico mons.

Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Ancona-Osimo, e per la presidente nazionale onorevole Ines Boffardi.

La Chiesa guarda con grande interesse l'attività che i vostri Consultori da anni vanno svolgendo con competenza professionale e profondo spirito umano e cristiano, dal momento che oggetto del vostro servizio è la famiglia, quella stessa famiglia che, nella coscienza viva della Chiesa, costituisce un bene fondamentale dell'uomo e riveste la dignità di "Chiesa domestica" all'interno del popolo di Dio.

La famiglia, che corrisponde, da un lato, all'eterno e immutabile progetto di Dio, ma risente, dall'altro, delle caratteristiche contingenti delle varie epoche storiche, incontra nella società e nella cultura d'oggi, accanto a stimoli positivi, molteplici difficoltà e pericoli. Essa vive oggi una stagione fortunata, per il crescente affermarsi dei suoi valori personalistici e sociali all'interno della comunità civile e della Chiesa. Nello stesso tempo, pero, i suoi valori fondamentali, quelli dell'amore e della vita, sono oggi pesantemente minacciati in più modi e a diversi livelli. Fortunatamente, per la salvaguardia e la promozione della famiglia sono oggi disponibili risorse nuove e aiuti preziosi: tra questi si devono annoverare i Consultori familiari, sempre che siano rispettosi della loro vera natura di servizio alla famiglia.

La persona: un "io" aperto al "tu"


2. L'argomento dei lavori del vostro Convegno è stato formulato in modo suggestivo con queste parole: "Nascere persona, crescere persone". E' un tema che esprime felicemente la logica propria dei Consultori di ispirazione cristiana, il cui servizio è rivolto alla persona, alla coppia e alla famiglia: dunque alla persona-in-relazione. In realtà, la persona come tale deve definirsi come relazione vivente, come "io" aperto al "tu" dell'altro, in particolare in quella relazione fondamentale che si realizza nell'esperienza primordiale della vita di coppia e di famiglia. Di questa relazione avete voluto approfondire due momenti essenziali: quello della nascita e quello della crescita. E' senza dubbio di estrema importanza cogliere e proporre la dimensione "umana", e quindi tipicamente personale del "nascere" e del "crescere" nel contesto di una cultura che troppo spesso affronta questi momenti di vita considerandone solo alcuni aspetti parziali e superficiali.

Il servizio dei Consultori familiari, sia per la necessità di raggiungere le cause più profonde del disagio da cui sono segnate le relazioni interpersonali all'interno della coppia e della famiglia, sia per l'esigenza di sviluppare una tempestiva e allargata opera di prevenzione, ossia di educazione della persona, si volge innanzitutto agli aspetti umani, psicologici, affettivi, relazionali della persona.

In questo senso, i vostri Consultori familiari possono trovare nell'ispirazione cristiana che li anima lo stimolo per un'azione più incisiva a favore della globalità e unità dei valori e delle esigenze della persona, e, nello stesso tempo, lo spunto per un contributo del tutto nuovo e originale alla persona stessa: l'ispirazione cristiana, infatti, si radica in quella fede che scopre, con meraviglia e stupore grande, la verità intera dell'uomo come essere creato in Gesù Cristo a immagine e somiglianza di Dio: di Dio-Persona, di Dio-Amore che si dona.

Il figlio come dono


3. In questa luce, il "nascere" della persona si pone come fenomeno profondamente personalistico, non solo nel senso che coinvolge le persone dei genitori e del figlio, ma anche nel senso che gli uni e l'altro sono chiamati in causa nella loro dignità di persone che si donano.

Il "nascere" umano è frutto e segno di una donazione d'amore. Donazione dello sposo nei riguardi della sposa e di questa nei riguardi dello sposo. Ma, ancor più, donazione dei due insieme al figlio, giacché essi diventano "una carne sola" ultimamente nella "nuova carne" di lui. Nella prospettiva in qualche modo intuita dalla stessa ragione umana e luminosamente chiarita dalla fede, la donazione coniugale e parentale esprime nel tempo e rende visibile la donazione eterna di Dio Creatore e Padre. Di questa donazione misteriosa, che è la radice primigenia da cui scaturisce ogni uomo che viene in questo mondo, i genitori sono gli strumenti e i collaboratori coscienti e responsabili. E' allora urgente, perché il "nascere persona" riveli e attui la sua verità integrale, che i coniugi, come scrive il Concilio Vaticano II, "nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla... sappiano di essere cooperatori dell'amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti" (GS 50).

Ne deriva che il figlio deve essere, dall'inizio e sempre, considerato e amato nella sua incommensurabile dignità di persona, come valore in sé e per sé, come bene, come dono. Si, come dono, perché questa è la sua identità profonda: "Se è frutto della loro reciproca donazione d'amore, è, a sua volta, un dono per ambedue, un dono che scaturisce dal dono", come ho detto nel discorso al VII Simposio dei vescovi europei.


4. La prospettiva del dono, che pone i genitori e il figlio sull'identico piano della dignità personale, diventa decisiva e qualificante per tutti i problemi che si collegano alla crescita e maturazione umana delle persone, in particolare nel loro reciproco rapporto.

Tutte le relazioni interpersonali e in special modo le relazioni tra i coniugi e tra i genitori e i figli, che si configurano come fondamentali ed emblematiche rispetto alle altre, devono realizzarsi secondo la dignità e la finalità propria della persona umana. Il Concilio Vaticano II, in un suo passo assai semplice ma di straordinaria densità, così qualifica tale dignità: "L'uomo è in terra la sola creatura che Dio ha voluto per se stessa" e che non può "ritrovarsi pienamente se non mediante un dono sincero di sé" (GS 24).

Il "crescere persone" significa allora offrire a ciascuno i mezzi e le condizioni perché "si ritrovi pienamente", ossia si realizzi come persona nella sua dignità di "dono" e nella sua finalità di "donazione" agli altri. Ed è questo il primo e fondamentale compito della famiglia, come ho scritto nell'esortazione apostolica "Familiaris Consortio" (FC 18): "Suo primo compito è di vivere fedelmente la realtà della comunione nell'impegno costante di sviluppare un'autentica comunità di persone".

Anche il servizio consultoriale può offrire un importante aiuto di consulenza per la migliore realizzazione di tale compito, soprattutto nelle situazioni nelle quali, per difficoltà psicologiche, educative, ambientali e sociali, i rapporti all'interno della coppia e della famiglia si fanno problematici e tendono ad incrinarsi o addirittura a spezzarsi.

La famiglia: luogo primario della "umanizzazione" della persona


5. Questa visione della persona come dono-che-si-fa-dono non legittima affatto un'interpretazione privatistica e chiusa delle problematiche coniugali e familiari; al contrario, se ben compresa, una simile prospettiva fonda e stimola un impegno specificamente sociale. In realtà, la carica umanistica che ne scaturisce, arricchendo le relazioni interpersonali all'interno della coppia e della famiglia, contribuisce beneficamente all'umanizzazione dell'intera società.

Questa, a sua volta, scopre in tale prospettiva precise responsabilità nei riguardi della coppia e della famiglia, a cui capisce di dover offrire la possibilità di sviluppare al massimo il caratteristico ruolo umanizzante.

Anche in questo senso ho voluto richiamare l'impegno apostolico dei fedeli laici, un impegno che è assolto da voi operatori consultoriali in una forma privilegiata: "Urge un'opera vasta, profonda e sistematica, sostenuta non solo dalla cultura ma anche dai mezzi economici e dagli strumenti legislativi, destinata ad assicurare alla famiglia il suo compito di essere il luogo primario della "umanizzazione" della persona e della società. L'impegno apostolico dei fedeli laici è anzitutto quello di rendere la famiglia cosciente della sua identità di primo nucleo sociale di base e del suo originale ruolo nella società, perché divenga essa stessa sempre più protagonista attiva e responsabile della propria crescita e della propria partecipazione alla vita sociale" (CL 40).

Carissimi, ecco i nobili compiti che vi stanno dinanzi. Nell'esortarvi a perseguirli con slancio rinnovato, tutti benedico di cuore.

Data: 1990-03-02

Venerdi 2 Marzo 1990



GPII 1990 Insegnamenti - Ai rappresentanti della Provincia di Roma - Città del Vaticano (Roma)