GPII 1990 Insegnamenti - L'omelia nella Domenica Delle Palme - Città del Vaticano (Roma)


1. Oggi Gesù viene a Gerusalemme. E oggi è il giorno che la liturgia ricorda una settimana prima della Pasqua. Oggi è il giorno in cui le folle ricordano Gesù. Tra la folla ci sono i giovani. Questo è in modo particolare il loro giorno. Questo giorno è vostro, carissimi giovani - qui in Piazza San Pietro, e nello stesso tempo in tanti altri luoghi della terra, dove la Chiesa celebra la liturgia della Domenica delle Palme - come vostra particolare festa.

Questo giorno è vostro. Come vescovo di Roma esco insieme con voi all'incontro di Cristo che viene. "Benedetto colui che viene nel nome del Signore". Insieme con voi qui e insieme con tutti i vostri coetanei in ogni parte del mondo. Mi unisco spiritualmente anche a quei casi in cui la festa della gioventù viene celebrata in un altro giorno dell'anno liturgico.

Ecco, la grande folla si estende attraverso le nazioni e i continenti! Questa folla sta attorno a Cristo mentre entra in Gerusalemme, mentre va incontro alla sua "ora". Mentre si avvicina al suo mistero pasquale.


2. Solo una volta Gesù di Nazaret fece il suo ingresso solenne in Gerusalemme per la Pasqua. E solo una volta si compi ciò che i prossimi giorni confermeranno. Ma nello stesso tempo è rimasto in questa sua venuta. E una volta per sempre ha inscritto nella storia dell'umanità ciò che proclama san Paolo nella liturgia di oggi.

Ecco: "Pur essendo di natura divina, / non considero un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; / ma spoglio se stesso, / assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; / apparso in forma umana, / umilio se stesso, / facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. / Per questo Dio l'ha esaltato" (Ph 2,6-9).

Gesù Cristo - il Figlio di Dio della stessa sostanza del Padre - si umilio come uomo... spoglio se stesso come uomo, accettando la morte sulla croce, che, umanamente parlando, è l'obbrobrio più grande. In tale spogliazione Gesù Cristo è stato esaltato al di sopra di ogni cosa. Dio stesso l'ha esaltato e ha legato l'esaltazione del Figlio con la storia dell'uomo e del mondo. In lui la storia dell'uomo e del mondo hanno una misura divina. "Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre".


3. Noi tutti, presenti qui in Piazza San Pietro oppure in qualsiasi luogo della terra, noi che entriamo con Cristo a Gerusalemme, professiamo, annunciamo e proclamiamo il mistero pasquale di Cristo che perdura. Perdura nella Chiesa e, mediante la Chiesa, nell'umanità e nel mondo. Professiamo, annunciamo e proclamiamo il mistero di questa umiliazione, che esalta, e di questa spogliazione, che dà la vita eterna.

In questo mistero - nel mistero pasquale di Cristo - Dio si è rivelato fino in fondo. Dio che è amore. E in questo mistero - nel mistero pasquale di Cristo - l'uomo è stato rivelato fino in fondo. Cristo ha rivelato fino in fondo l'uomo all'uomo, e gli ha fatto nota la sua altissima vocazione.

L'uomo, infatti, esiste tra il limite dell'umiliazione e della spogliazione attraverso la morte e quello dell'insopprimibile desiderio dell'esaltazione, della dignità e della gloria. Tale è la misura dell'essere umano. Tale è l'estensione delle sue esigenze terrene. Tale è il senso della sua irrinunciabile dignità e il fondamento di tutti i suoi diritti.

Nel mistero pasquale Cristo entra in questa misura dell'essere umano.

Abbraccia tutta questa estensione dell'esistenza umana. La prende tutta in sé. La conferma. E al tempo stesso la supera. Quando entra in Gerusalemme, egli va incontro alla propria sofferenza - e, nello stesso tempo, va incontro alla sofferenza di tutti gli uomini - per rivelare non tanto la miseria di essa quanto piuttosto la sua potenza redentrice. Quando entra in Gerusalemme, egli va anche incontro all'esaltazione che, in lui, il Padre offre a tutti gli uomini. "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà".


4. così, dunque, entriamo con Cristo in Gerusalemme. "Benedetto colui che viene nel nome del Signore". Camminando insieme con lui, siamo la Chiesa che parla con le lingue di tanti popoli, nazioni, culture e generazioni. In tutte le lingue, infatti, essa annuncia lo stesso mistero di Gesù Cristo: il mistero pasquale. In questo mistero si racchiude in modo particolare la misura dell'uomo. In questo mistero la misura dell'uomo risulta penetrata dalla potenza divina, dalla potenza più grande che è l'amore.

Tutti portiamo in noi Cristo, lui che è "la vite", da cui germina la storia dell'uomo e del mondo. Cristo che è il continuo lievito della nuova vita in Dio.

Benedetto colui che viene... Osanna! (Prima della conclusione della Messa:) Carissimi giovani.

E' ancora vivo in tutti noi il ricordo del grande raduno a Santiago de Compostela dell'estate scorsa e, mentre oggi in tutte le diocesi del mondo si celebra la quinta Giornata Mondiale della gioventù, i nostri occhi guardano già alla prossima tappa di questo spirituale pellegrinaggio verso il terzo millennio.

Invito, pertanto, voi, giovani di tutti i continenti, a ritrovarci insieme, nell'agosto 1991, presso il santuario della Madonna di Czestochowa, che da più di 600 anni costituisce il cuore della storia del popolo polacco, per celebrare insieme la VI Giornata Mondiale della gioventù. Il tema, per tale incontro, sarà costituito dalle parole di san Paolo ai Romani (8,15): "Avete ricevuto uno spirito da figli". Nell'epoca che stiamo vivendo, segnata da profondi rivolgimenti sociali, questo spirito da figli di Dio costituisce il vero elemento propulsore della storia dei popoli e della vita delle persone: esso svela infatti le radici profonde della dignità dell'uomo e la grandezza della sua vocazione. Ci insegni Maria a vivere da veri figli di Dio Padre! (Al termine della Messa:) Al concludersi di questa solenne cerimonia, desidero rivolgere a tutti i giovani di lingua italiana, soprattutto a quelli della mia diocesi di Roma, un saluto particolarmente affettuoso. Cari giovani, vi ringrazio per la vostra partecipazione, qui in piazza San Pietro, alla V Giornata Mondiale della gioventù e vi esprimo il mio apprezzamento per la vostra calorosa testimonianza di fede. Vi dico: siate uniti al Cristo come i tralci alla vite. Solo così porterete frutti abbondanti per la dilatazione del regno di Dio e per l'edificazione di un mondo nuovo. A tutti dico: portate vivo nei vostri cuori il mistero pasquale di Cristo crocifisso e risorto, Cristo il nostro cammino, la nostra verità e la nostra vita.

Data: 1990-04-08

Domenica 8 Aprile 1990

A un gruppo di giovani spagnoli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Non lasciate spegnere l'entusiasmo del raduno di Compostela

Amatissimi giovani.


1. Mi è particolarmente grato porgervi il mio più cordiale benvenuto a questo incontro pieno di ricordi suggestivi, in occasione della V Giornata Mondiale della gioventù. La gioventù, fra i tanti suoi valori, annovera quello della gratitudine.

E per questo che come "viandanti" siete giunti dalla Galizia, dalle Asturie e da altri punti della vostra nobile Nazione, per restituirmi la visita che in ricordo dell'apostolo Giacomo durante lo scorso mese di agosto ho compiuto a Compostela come "pellegrino", per celebrare la IV Giornata Mondiale sul Monte del Gozo.

Innanzitutto, desidero ricordare il saluto di mons. Antonio Maria Rouco Varela, arcivescovo di Santiago, oltre alle parole del giovane e della giovane che hanno inteso esprimere i sentimenti di tutti voi e di tanti compagni e amici, spiritualmente qui presenti.


2. Ho ascoltato con attenzione le vostre riflessioni ed esperienze, i motivi di speranza e di preoccupazione che circondano la vostra vita, come pure le iniziative e i passi intrapresi dopo il nostro precedente incontro. E' motivo di soddisfazione constatare che la gioventù spagnola, con una risposta generosa e ardente al messaggio proposto a Santiago, ha deciso di venire incontro a Cristo e di seguire i suoi passi. So che molti giovani stanno seguendo un cammino concreto per il futuro della loro vita, affidandosi principalmente alla presenza interiore di Cristo, compagno e amico intimo dei giovani, e alla prossimità di educatori e di guide che li accompagnano e li consigliano nella scelta da adottare. Ma tali scelte devono essere compiute con viva coscienza di comunità ecclesiale. Solo dalla Chiesa, e con profondo senso di comunione è possibile intraprendere un'azione evangelizzatrice nell'ambito della società attuale. Cristo, con la fede e la carità, vi invita alla costruzione di un mondo nuovo, più fraterno, pacifico e giusto. La vita del cristiano implica certamente un costante impegno spirituale che deve manifestarsi anche nell'ordine temporale. A tale fine è di vitale importanza individuare solide ragioni che vi consentano di vivere, credere, sperare e amare pienamente.


3. Molti dei progetti che sono emersi, con l'occasione della Giornata Mondiale dello scorso anno, stanno pervenendo a felice realizzazione. In tal senso è di incoraggiamento l'iniziativa presentata da mons. Rouco Varela, consistente nella creazione sul Monte del Gozo, riecheggiando l'evento in Santiago, di un centro di preghiera e di incontri apostolici per i giovani. Sarà un centro di accoglienza di grande utilità per i pellegrini che giungono a Santiago di Compostela e dove essi potranno condividere e scambiare con altri giovani idee e aspirazioni che aprano nuove vie alla presenza cristiana nella società europea, che per secoli ha visto nel sepolcro dell'apostolo un faro per l'unità dei popoli sulla base delle loro comuni origini cristiane.


4. Molti di voi, rispondendo all'appello di quella Giornata, hanno rinnovato il loro impegno a servire fedelmente Gesù, che è la Via, la Verità e la Vita (cfr. Jn 14,6). La profonda attualità di queste parole vi sta facendo maturare nella vostra convinzione cristiana e crescere nelle virtù umane e nei valori civici, di cui così tanto ha bisogno la società di oggi. Ma al tempo stesso voi potete ancora vedere che molti giovani del vostro ambiente, non conoscendo il Signore, camminano nelle tenebre della miscredenza e della indifferenza.


5. Non lasciate che la distrazione, il vuoto e la disillusione si impadroniscano di questi vostri amici e compagni. Fate capire loro che esistono degli alti e nobili ideali per i quali lottare nella vita. Innanzitutto, cari giovani, la vostra missione è di dare agli altri testimonianza di Cristo con la fortezza della vostra fede, con la fermezza della vostra speranza, con la generosità del vostro amore. Agli affamati e agli assetati di Dio comunicate il messaggio di salvezza di suo Figlio. A quanti hanno perduto la luce della fede, riferite che Cristo è la luce del mondo. A quelli che cercano un motivo di speranza per sopravvivere, dite che Dio è presente anche nel profondo dei loro cuori. Non dimenticate che tramite voi il Figlio dell'uomo viene a creare e a salvare quelli che erano perduti o che si erano allontanati. Questa è la missione che vi aspetta: essere "il sale della terra" e "la luce del mondo" (Mt 5,13 Mt 5,14). Questo è ciò che il Papa si aspetta da ciascuno e da ciascuna di voi. Come già vi dicevo nella mia Lettera ai giovani e alle giovani del mondo (n. 16), "non rimanete passivi; assumete le vostre responsabilità in tutti i campi che vi sono aperti nel nostro mondo". Per questo, prima di concludere voglio lasciarvi un incarico: che non si spenga la fiamma dell'entusiasmo giovanile che già illumino il Monte del Gozo. Che le diocesi, le parrocchie, le comunità e i gruppi ecclesiali uniscano tutti i loro sforzi per realizzare un'unità pastorale che dia alla gioventù cattolica spagnola un nuovo dinamismo cattolico per costruire la civiltà dell'amore.


6. Al termine di questo felice incontro, voglio raccomandarvi in modo particolare alla Vergine Maria, "segno di speranza certa e di consolazione per il popolo di Dio in cammino" (LG 68). Che ella vi aiuti a seguire Cristo con fedeltà; che vi assista nei momenti di dubbio o di sconforto; che vi incoraggi ad affidarvi a Dio con generosità sempre maggiore. Portate il mio affettuoso saluto a tutti i giovani di Spagna, ai quali, come a voi, impartisco la mia benedizione apostolica.

Data: 1990-04-10

Martedi 10 Aprile 1990



Lettera ai sacerdoti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lettera ai sacerdoti per il Giovedi santo 1990

"Veni, Creator Spiritus"!


1. Con queste parole la Chiesa ha pregato nel giorno della nostra ordinazione sacerdotale. Oggi, mentre comincia il triduo sacro dell'anno del Signore 1990, ricordiamo insieme il giorno della nostra ordinazione. Ci rechiamo al cenacolo con Cristo e con gli apostoli per celebrare l'Eucaristia "in cena Domini" e per ritrovare quella radice che in sé unisce l'Eucaristia della Pasqua di Cristo e il nostro sacerdozio sacramentale, ereditato dagli apostoli: "Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amo sino alla fine" (Jn 13,1).

"Veni, Creator Spiritus"! In questo Giovedi santo, ritornando all'origine del sacerdozio della nuova ed eterna alleanza, ciascuno di noi ricorda, al tempo stesso, quel giorno che è inscritto nella storia della propria vita come inizio del suo sacerdozio sacramentale, quale servizio nella Chiesa di Cristo. La voce della Chiesa, che invoca lo Spirito Santo in questo giorno per noi decisivo, fa riferimento alla promessa di Cristo nel cenacolo: "Io preghero il Padre (per voi), ed egli vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità" (Jn 14,16-17). Il Consolatore, il Paraclito! La Chiesa è sicura della sua presenza salvifica e santificatrice. E' lui "che dà la vita" (Jn 6,63). "Lo Spirito di verità, che procede dal Padre, che io vi mandero dal Padre", proprio lui ha generato in noi quella nuova vita che si chiama ed è il sacerdozio ministeriale di Cristo. Questi dice: "Egli... prenderà del mio e ve lo annunzierà" (Jn 15,26). E' accaduto proprio così. Lo Spirito di verità, il Paraclito, "ha preso" da quell'unico sacerdozio che è in Cristo e ce lo ha rivelato come la via della nostra vocazione e della nostra vita.

E' stato in tale giorno che ciascuno di noi ha visto se stesso, nel sacerdozio di Cristo al cenacolo, come ministro dell'Eucaristia e, vedendosi, ha cominciato a camminare in questa direzione.

E' stato in tale giorno che ciascuno di noi, per virtù del sacramento, ha visto questo sacerdozio come realizzato in se stesso, come impresso nella propria anima sotto forma di un sigillo indelebile: "Tu sei sacerdote in eterno alla maniera di Melchisedek".


2. Tutto questo si ripresenta ogni anno dinanzi ai nostri occhi nel giorno anniversario della nostra ordinazione, ma si ripresenta, altresi, nel giorno del Giovedi santo. Oggi, infatti, nella liturgia mattutina della Messa crismale, noi ci riuniamo, all'interno delle rispettive comunità sacerdotali, intorno ai nostri vescovi per ravvivare la grazia sacramentale dell'Ordine. Ci riuniamo per rinnovare, davanti al popolo sacerdotale della nuova alleanza, quelle promesse che dal giorno dell'ordinazione fondano lo speciale carattere del nostro ministero della Chiesa.

E col rinnovarle noi invochiamo lo Spirito di verità, il Paraclito, perché conceda la forza salvifica e santificatrice alle parole che la Chiesa pronuncia nel suo inno di invocazione: "Mentes tuorum visita, / imple superna gratia, / quae tu creasti pectora".

Si! Oggi apriamo i nostri cuori, questi cuori che egli ha ricreati con la sua opera divina. Egli li ha ricreati con la grazia della vocazione sacerdotale, e in essi continuamente agisce. Egli ogni giorno crea: crea in noi, sempre di nuovo, quella realtà che costituisce l'essenza del nostro sacerdozio, che conferisce a ciascuno di noi la piena identità e autenticità nel servizio sacerdotale, che ci consente di "andare e portare frutto" e procura che questo frutto "rimanga" (Jn 15,16). E' lui, lo Spirito del Padre e del Figlio, che ci consente di riscoprire sempre più profondamente il mistero di quell'amicizia, alla quale Cristo Signore ci ha chiamati nel cenacolo: "Non vi chiamo più servi..., ma vi ho chiamati amici" (Jn 15,15). Se infatti il servo non sa ciò che fa il suo padrone, l'amico invece è al corrente dei segreti del suo padrone. Il servo può essere soltanto obbligato a lavorare. L'amico gode della scelta di colui che gli si è affidato e al quale anch'egli si affida, si affida totalmente.

Oggi, dunque, preghiamo lo Spirito Santo, affinché visiti di continuo i nostri pensieri e i nostri cuori. La sua visita è condizione per rimanere nell'amicizia con Cristo: essa garantisce anche a noi una conoscenza sempre più profonda, sempre più commovente del mistero del nostro Maestro e Signore. Di questo mistero noi partecipiamo in maniera singolare: ne siamo gli araldi e, soprattutto, i dispensatori. Questo mistero penetra in noi e, per mezzo di noi, a somiglianza della vite, fa nascere i tralci della vita divina. Quanto, dunque, è da desiderare il tempo della venuta di questo Spirito che "dà la vita"! Quanto deve essere a lui unito il nostro sacerdozio per "rimanere nella vite che è Cristo"!


3. "Veni, Creator Spiritus"! Fra alcuni mesi queste stesse parole dell'inno liturgico inaugureranno l'assemblea del Sinodo dei vescovi, dedicata al sacerdozio e alla formazione sacerdotale nella Chiesa. Questo tema apparve all'orizzonte della precedente assemblea del Sinodo tre anni fa, nel 1987. Frutto del lavoro di quella sessione sinodale fu l'esortazione apostolica "Christifideles Laici", che in molti ambienti è stata accolta con grande soddisfazione. Fu, questo, un tema obbligato, e i lavori del Sinodo, svoltisi con una notevole partecipazione del laicato cattolico - uomini e donne di tutti i continenti - si sono rivelati particolarmente utili in ordine ai problemi dell'apostolato nella Chiesa. Conviene anche aggiungere che all'ispirazione sinodale deve la sua genesi il documento "Mulieris Dignitatem", che costitui, in certo modo, il completamento dell'Anno mariano.

Ma già allora all'orizzonte di quei lavori si dimostro presente il tema del sacerdozio e della formazione sacerdotale. "Senza i presbiteri che possono chiamare i laici a svolgere il loro ruolo nella Chiesa e nel mondo, che possono essere di aiuto nella formazione dei laici all'apostolato, sostenendoli nella loro difficile vocazione, verrebbe a mancare una testimonianza essenziale nella vita della Chiesa". Con queste parole un benemerito ed esperto rappresentante del laicato si espresse su quello che avrebbe poi costituito il tema della prossima assemblea sinodale dei vescovi di tutto il mondo. Né questa voce fu l'unica. La stessa necessità avverte il popolo di Dio tanto nei Paesi dove il cristianesimo e la Chiesa esistono da molti secoli, quanto nei Paesi di missione, dove la Chiesa e il cristianesimo stanno mettendo le radici. Se nei primi anni dopo il Concilio si avverti un certo disorientamento in questo ambito da parte sia dei laici che dei pastori di anime, al giorno d'oggi il bisogno di sacerdoti è diventato ovvio e urgente per tutti.

In questa problematica è implicita anche l'esatta rilettura dello stesso insegnamento del Concilio circa il rapporto tra il "sacerdozio dei fedeli" - risultante già fin dalla loro fondamentale inserzione, per mezzo del battesimo, nella realtà della missione sacerdotale di Cristo - e il "sacerdozio ministeriale", del quale - in diverso grado - partecipano i vescovi, i presbiteri e i diaconi. Tale rapporto corrisponde alla struttura comunitaria della Chiesa. Il sacerdozio non è un'istituzione che esista "accanto" al laicato, oppure "sopra" di esso. Il sacerdozio dei vescovi, dei presbiteri, come anche il ministero dei diaconi, è "per" i laici e, proprio per questo, possiede un carattere "ministeriale" cioè "di servizio". Esso, inoltre, fa risaltare lo stesso "sacerdozio battesimale", cioè il sacerdozio comune di tutti i fedeli: lo fa risaltare e insieme lo aiuta ad attuarsi nella vita sacramentale.

Si vede così come il tema del sacerdozio e della formazione sacerdotale emerga dall'interno stesso della tematica del precedente Sinodo dei vescovi. Si vede, altresi, come questo tema, in tale ordine, sia tanto più giustificato e obbligato, quanto più è urgente.


4. Conviene, pertanto, che il triduo sacro di quest'anno, in particolar modo il Giovedi santo sia un giorno-chiave per la preparazione dell'assemblea autunnale del Sinodo dei vescovi. Durante la fase preparatoria, già in corso da circa due anni, è stato chiesto ai presbiteri diocesani e religiosi di intervenire attivamente e di presentare osservazioni, proposte e conclusioni. Benché il tema riguardi la Chiesa nel suo complesso, sono tuttavia i sacerdoti del mondo intero che hanno per primi il diritto e insieme il dovere di considerare questo Sinodo come "proprio": davvero, "res nostra agitur"! E poiché tutto ciò è, nello stesso tempo, "res sacra", conviene allora che la preparazione del Sinodo si appoggi non soltanto sull'interscambio di riflessioni, esperienze e suggerimenti, ma che abbia anche un carattere sacrale.

Bisogna pregare molto per i lavori del Sinodo. Molto dipende da essi ai fini dell'ulteriore processo di rinnovamento, avviato dal Concilio Vaticano II. Molto in questo campo dipende da quegli "operai" che "il padrone manderà nella sua messe". Oggi, forse, in vista del terzo millennio dalla venuta di Cristo, sperimentiamo in modo più profondo la grandezza e le difficoltà della messe: "La messe è molta"; ma avvertiamo anche la mancanza di operai: "Gli operai sono pochi". "Pochi": e ciò riguarda non soltanto la quantità, ma anche la qualità! Di qui allora la necessità della formazione! E di qui assumono decisivo significato le parole successive del maestro: "Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe".

Il Sinodo, al quale ci prepariamo, deve avere un carattere di preghiera.

I suoi lavori devono trascorrere in un'atmosfera di preghiera da parte degli stessi membri. Ma non basta. Occorre che tali lavori siano accompagnati dalla preghiera di tutti i sacerdoti e di tutta la Chiesa. Le riflessioni da me proposte durante l'Angelus domenicale, da alcune settimane, tendono a suscitare una tale preghiera.


5. Per queste ragioni il Giovedi santo del 1990 - dies sacerdotalis di tutta la Chiesa - ha in tale iter preparatorio un significato fondamentale. Fin da oggi occorre invocare lo Spirito santo che dà la vita: "Veni, Creator Spiritus"! Nessun altro tempo fa percepire così intimamente la profonda verità intorno al sacerdozio di Cristo. Colui che "col proprio sangue entro una volta per sempre nel santuario, dopo averci ottenuto una redenzione eterna" (He 9,12), essendo egli stesso il sacerdote della nuova ed eterna alleanza, nello stesso tempo "amo sino alla fine i suoi che erano nel mondo" (Jn 13,1). E la misura di questo amore è il dono dell'ultima cena: l'Eucaristia e il sacerdozio.

Riuniti intorno a questo dono mediante l'odierna liturgia, e nella prospettiva del Sinodo dedicato al sacerdozio, lasciamo operare in noi lo Spirito Santo, affinché la missione della Chiesa continui a maturare secondo quella misura che è in Gesù Cristo. Che ci sia dato di conoscere sempre più perfettamente "l'amore di Cristo, il quale sorpassa ogni conoscenza"! Che in lui e per lui possiamo essere "ricolmi di tutta la pienezza di Dio" (Ep 3,19) nella nostra vita e nel servizio sacerdotale.

A tutti i fratelli nel sacerdozio di Cristo invio l'espressione della mia stima e del mio amore, con una speciale benedizione apostolica.

Dal Vaticano, il 12 aprile - Giovedi santo - dell'anno 1990, dodicesimo di pontificato.

Data: 1990-04-12

Giovedi 12 Aprile 1990

Alla Messa crismale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cristo è "il testimone fedele" del nostro sacerdozio

"Grazia a voi e pace da Gesù Cristo".

Venerabili e cari fratelli nella vocazione episcopale e sacerdotale! E voi tutti, amati fratelli e sorelle!


1. Partecipando alla liturgia mattutina del Giovedi santo, rivolgiamo gli occhi della nostra fede verso il Mistero pasquale di Cristo, che ha la propria espressione liturgica nei prossimi giorni del triduo sacro. Volgiamo gli occhi della nostra fede verso Gesù Cristo, "il testimone fedele".

Ecco: lui, l'Unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, ha reso testimonianza a quel Dio che nessuno ha mai visto, né può vedere: a Dio che è Amore. Il "testimone fedele" ha reso testimonianza al Padre, come Figlio che conosce il Padre. E l'ultima parola di questa testimonianza è il triduo sacro: l'evento pasquale. In quest'evento lui stesso, Gesù Cristo, si è rivelato come "il primogenito dei morti e il principe dei re della terra" (Ap 1,5).


2. Noi tutti, cari fratelli nel ministero episcopale e in quello sacerdotale, noi che riceviamo in eredità dagli apostoli il sacramento del servizio salvifico, fissiamo in questi giorni, in modo speciale, i nostri occhi su Cristo Signore.

Infatti egli è "il testimone fedele" del nostro sacerdozio. E' per sua volontà e per sua grazia che siamo "amministratori dei misteri di Dio". Tutto il nostro sacerdozio deriva da lui.

In lui è il sacerdozio. Egli, con il sangue della sua croce, ha riconciliato il mondo con Dio. Il testimone dell'infinita maestà del Padre, il testimone della creaturalità dell'uomo e di tutto il cosmo. Lui solo "conosce il Padre" e lui solo sa come ogni cosa debba essere sottomessa al Padre e Creatore, "perché egli sia tutto in tutti".

E lui soltanto ha il potere di rimettere e restituire tutto questo e noi, uomini, a Dio, perché l'uomo vivente sia la gloria di Dio. In lui soltanto è la sapienza del sacerdozio.

E ciò che noi, cari fratelli, ereditiamo dagli apostoli - il sacerdozio sacramentale del servizio gerarchico - deriva tutto da lui. Oggi veniamo a ringraziare, in modo particolare, per aver concesso, a noi indegni, di partecipare al suo sacerdozio. Nello stesso tempo, veniamo a chiedere perdono per tutta la nostra indegnità e peccaminosità. E questa nostra espiazione è piena di fiducia.


3. Celebriamo la liturgia del Crisma, la liturgia degli oli sacri. Essi ci ricordano la nostra unzione sacerdotale: l'effusione dello Spirito Santo dall'illimitata abbondanza della redenzione di Cristo, di cui siamo stati fatti partecipi.

La liturgia, mentre ci ricorda il dono ricevuto il giorno della nostra ordinazione sacerdotale, nello stesso tempo ci parla della nostra particolare vocazione a donarci agli altri. A tale scopo è stato istituito nella Chiesa il ministero dei vescovi e dei presbiteri, oltre a quello dei diaconi.

Ravvivando oggi la grazia del sacramento del sacerdozio e riconfermando la nostra totale dedizione a Cristo nel celibato, preghiamo, a un tempo, per tutti coloro che ci sono stati affidati da lui, il buon pastore. Ad essi, a nostra volta, chiediamo preghiere - ai nostri amati fratelli e sorelle - perché ci sia dato di servirli degnamente e fruttuosamente, portando i pesi gli uni degli altri.


4. Ecco Cristo, il testimone fedele. Colui che ci ama, che ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre. Egli, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra.

A lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

Data: 1990-04-12

Giovedi 12 Aprile 1990

Telegramma al Patriarca di Antiochia dei Maroniti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Libano deve tornare a vivere!

La presente Settimana santa ci invita a meditare sul Mistero pasquale ricordando in modo particolare, nella preghiera e nella solidarietà, coloro che soffrono. Il mio pensiero corre spontaneo alla popolazione del Libano, alle sue molteplici comunità, messe tutte alla prova, da quindici anni, da enormi sofferenze causate dalla guerra. Molto spesso gli eserciti sono stati impiegati per superare conflitti che invece, come ci dimostrano i fatti, possono essere risolti soltanto dal dialogo e dal negoziato. Sono profondamente solidale con il dolore di vostra beatitudine, degli altri patriarchi e dei vescovi del Libano, voi che avete recentemente assistito a scontri fratricidi tra figli delle vostre Chiese e avete constatato, impotenti, la disperazione di coloro che, per sfuggire alle devastazioni della violenza, hanno abbandonato la propria casa. Ia regione e persino il Paese.

Tante sofferenze non possono essere inutili: devono costituire un grande monito per tutti, contribuendo così a una pronta risurrezione del Paese. Il dramma del Libano deve cessare. Possano in particolare i cattolici libanesi vedere in questi santi giorni soprattutto un invito a essere uniti tra loro e intorno ai loro pastori, posti dallo Spirito Santo a governare la santa Chiesa di Dio! Sono convinto che una leale volontà di dialogo, la sincerità degli spiriti e la solidarietà possano ancora far trionfare l'attaccamento concreto a una patria organizzata in tutte le sue istituzioni e far ritrovare le tradizioni più autentiche. Il Libano deve rivivere. In questa Settimana santa e nella festa di Pasqua, gli auguri e le esortazioni diventano fervente preghiera. Che Dio onnipotente aiuti la popolazione libanese tanto provata! Che egli ispiri i responsabili dei vari gruppi in conflitto e, con essi, tutti quelli che possono contribuire a restituire ai Libanesi un Paese unito e in pace! Con la mia paterna benedizione apostolica.

Data: 1990-04-12

Giovedi 12 Aprile 1990

Alla Messa "in cena Domini" - San Giovanni in Laterano (Roma)

Titolo: Il perenne "oggi" della redenzione del mondo

"In questo giorno, vigilia della sua passione".


1. Solo una volta all'anno, celebrando l'Eucaristia, il ministro sacro pronuncia le parole: "In questo giorno (cioè oggi), vigilia della sua passione".

"Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunziamo la tua morte, Signore". Annunziamo in modo sacramentale la morte del Signore, la rinnoviamo e la celebriamo.

Ma questa volta soltanto, in quest'unica volta rendiamo la testimonianza al giorno in cui ebbe origine il santissimo Sacramento. L'Eucaristia vespertina del Giovedi santo rende presente in modo particolare l'ultima cena.

Benché, quindi, quest'"oggi" eucaristico, istituito allora, sia destinato a durare sino alla fine del mondo, tuttavia, nell'annuale ritmo della liturgia, vi è un unico "oggi" in cui si celebra l'istituzione dell'Eucaristia.


2. Tutta la Chiesa si riunisce in questo "oggi". Tutta la Chiesa ne vive continuamente. Da esso nasce e in esso rinasce.

In questo "oggi" la Chiesa prende sempre rinnovata coscienza della pienezza, che è soltanto in Dio, e che soltanto da Dio può scendere nella dimensione della nostra realtà per svelare in essa le prospettive definitive della riconciliazione e dell'unione con Dio.


3. L'ultima cena. "Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre" (Jn 13,1), in questo giorno, vigilia della sua passione sofferta per la salvezza... del mondo intero... e alzando gli occhi al cielo a te Dio Padre suo onnipotente, rese grazie con la preghiera di benedizione, spezzo il pane, lo diede ai suoi discepoli e disse: "Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi". Dopo la cena, allo stesso modo prese il calice... "Prendete e bevetene... questo è il calice del mio sangue, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati". Il calice della nuova ed eterna alleanza...


4. Cristo ha la coscienza assoluta del suo atto - del suo atto redentore - del definitivo atto messianico. Per questo atto egli è venuto al mondo. Mediante questo atto egli passa al Padre. Questo atto deve rimanere presente, deve durare nella storia dell'uomo, nella storia di tutto il creato. Esso costituisce il perenne "oggi" della redenzione del mondo. Il perenne "oggi" della Chiesa. "Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amo sino alla fine".


5. L'istituzione ha preceduto lo stesso atto redentore, il sacrificio pasquale del Corpo e del Sangue. L'istituzione ha fissato quel sacrificio, quell'atto redentore di Cristo nel sacramentale "oggi" dell'Eucaristia. L'"oggi" del Giovedi santo.

L'"oggi" dell'ultima cena.


6. Tutta la Chiesa, comunità dei discepoli e dei credenti del mondo intero, partecipa con la più profonda commozione a questo "oggi" eucaristico dell'ultima cena. In verità, "ci amo sino alla fine".


7. E noi tutti, che abbiamo ereditato - insieme con gli apostoli e dopo di loro - il comandamento: "Fate questo in memoria di me", noi tutti, "amministratori dei misteri di Dio", vescovi e sacerdoti, che cosa possiamo desiderare di più in questo "oggi" del Giovedi santo, se non soltanto e unicamente ciò che il Maestro stesso ha manifestato mediante la lavanda dei piedi? "Sapete ciò che vi ho fatto" (Jn 13,12). Sappiamo ciò che ci ha fatto? Di fronte all'"oggi" eucaristico dell'ultima cena possiamo desiderare una cosa sola, quella in cui possiamo esprimerci e realizzarci appieno; questa: "Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio" (Jn 13,14-15).


8. Giovedi santo. Triduo sacro del 1990. Tempo di particolare preghiera per il sacerdozio ministeriale da parte di tutto il popolo di Dio. "La messe... E' molta" (Mt 9,37). "Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta". "La messe è molta"! Manda, o Signore, operai nella tua messe. Manda... Amen!

Data: 1990-04-12

Giovedi 12 Aprile 1990


GPII 1990 Insegnamenti - L'omelia nella Domenica Delle Palme - Città del Vaticano (Roma)