GPII 1990 Insegnamenti - Omelia per le famiglie indigene - Tuxtla Gutiérrez (Messico)


1. Sono molto felice di essere a Tuxtla Gutiérrez, bella capitale dello Stato di Chiapas, per presiedere la celebrazione liturgica della Parola. Sono accanto a me i Vescovi di questa zona Pastoral Pacifico sur, ed altri Fratelli nell'Episcopato, oltre a molti sacerdoti e religiosi che con generosa dedizione esercitano il loro ministero in mezzo a voi.

In modo particolare desidero far giungere la mia parola affettuosa ed un abbraccio cordiale a tutti i cari fratelli indigeni e contadini, dopo undici anni da quel primo incontro che ho avuto con loro a Oaxaca, durante la mia prima visita pastorale in Messico.

Ringrazio vivamente per le cortesi parole di benvenuto che mi ha rivolto Monsignor Felipe Aguirre Franco, Vescovo di questa diocesi che celebra in questi giorni i venticinque anni della sua erezione canonica. In questa circostanza porgo i miei auguri a tutti i fedeli della diocesi di Tuxtla Gutiérrez, con i miei migliori voti di un futuro fecondo di abbondanti frutti di vita cristiana. Porgo il mio saluto nel Signore, ed esprimo la mia gratitudine per la loro presenza, a tutti gli altri fedeli qui presenti, delle diocesi vicine: Tehuantepec, Oaxaca, Mixes, Huautla, San Cristobal de las Casas, Tapachula, accompagnati dai loro Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose e da altre anime consacrate. Sappiamo che la diocesi di Tapachula ha perso ieri il suo Pastore.

In questa terra chapaneca, che Dio ha benedetto con tanta bellezza di boschi e montagne, e soprattutto con la ricchezza delle sue genti ed etnie, sono felice di incontrarmi con rappresentanti di tante famiglie indigene. Attraverso di voi desidero inviare un affettuoso saluto e far giungere il messaggio d'amore del Vangelo a tutti gli indigeni della Repubblica e ai nostri fratelli dell'America Centrale che hanno dovuto abbandonare le loro terre e le loro case e hanno trovato rifugio qui.

Innanzitutto, desidero ripetere le parole che vi ho rivolto undici anni fa a Oaxaca, e che continuano ad avere tutta la loro validità: "Il Papa e la Chiesa sono con voi e vi amano: amano le vostre persone, la vostra cultura, le vostre tradizioni".


2. Nella prima Lettura che abbiamo ascoltato, il Profeta Isaia pone sulle labbra del popolo ebreo queste parole: "Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato" (Is 49,14). Deportati da Israele e dovendo vivere in un Paese straniero, gli ebrei avevano perduto ogni speranza. Si ritenevano dimenticati da Dio, abbandonati dalla sua mano.

Quanto suonano attuali quelle parole! Quanti tra voi, in una situazione di lontananza, di esilio, come quegli ebrei, potrebbero avere la tentazione di pronunciarle! Sono parole che ancora oggi continuano a riflettere un profondo pessimismo. Di fronte a tanta ingiustizia, dinanzi a tanto dolore. davanti a tanti problemi, un uomo può arrivare a sentirsi dimenticato da Dio. Voi stessi, fratelli miei, avrete qualche volta potuto provare simili sentimenti: la durezza della vita, la scarsità dei mezzi, la mancanza di opportunità per migliorare la vostra formazione e quella dei vostri figli, i continui attacchi contro le vostre culture tradizionali e tante altre ragioni che potrebbero portare allo scoraggiamento. Più ancora potrebbero sentirsi dimenticati quanti hanno dovuto abbandonare le proprie case, i propri luoghi di origine, in un'affannosa ricerca del minimo indispensabile per continuare a vivere.

Veramente in alcune situazioni, è tanta l'ingiustizia, il dolore e la sofferenza in questo mondo, che si comprende la tentazione di ripetere quelle parole di Isaia. Sono come un lamento continuo che attraversa la storia di ogni uomo e di tutta l'umanità.


3. Tuttavia, dopo quelle frasi dal sapore amaro, dopo quel lamento che esce dal cuore il Profeta raccoglie la risposta di Dio: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse la donna che si dimenticasse, io invece non ti dimentichero mai" (Is 49,15).

Fratelli miei, vi possono essere momenti duri nella vostra vita, vi possono essere perfino epoche più o meno lunghe in cui vi sentite abbandonati da Dio. Ma se qualche volta nasce dentro di voi la tentazione dello scoraggiamento, ricordate quelle parole della Scrittura: anche se una madre si dimenticasse del figlio del suo seno, Dio non si dimentica di noi. Ed aggiunge il Profeta: "Dice il Signore: "Al tempo della misericordia ti ho ascoltato, nel giorno della salvezza ti ho aiutato"" (Is 49,8). Dio ci ha sempre presenti, Dio ci guarda con speciale affetto perché siamo suoi figli carissimi.

Di questa Provvidenza divina, ci parla anche Gesù nel Vangelo: "Guardate gli uccelli del cielo: non seminano né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre... Osservate come crescono i gigli del campo... Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?" (Mt 6,26-28).

Queste parole di Cristo sono un appello alla speranza. Se Dio si preoccupa con paterna sollecitudine degli uccelli del cielo; se Dio veste l'erba del campo, come potrà cessare di preoccuparsi per l'uomo? Come potrebbe abbandonare l'unica creatura della terra che ha amato per se stessa? (cfr. GS 24).


4. La speranza cristiana ha, innanzitutto, una mèta che sta oltre questa vita; è la virtù per la quale riponiamo la nostra fiducia in Dio che ci darà le grazie di cui abbiamo bisogno per giungere in cielo. E' li, soprattutto che diventeranno realtà le parole che abbiamo appena ascoltato: "Io trasformero i monti in strade e le mie vie saranno elevate" (Is 49,11). "Non soffriranno né fame né sete, e non li colpirà né l'arsura né il sole, perché colui che ha pietà di loro li guiderà" (Is 49,10).

Ciò nonostante, la speranza cristiana è anche speranza per questa vita.

Dio vuole la felicità dei suoi figli anche qui, in questo mondo.

"La Chiesa - ho scritto nell'Enciclica Sollicitudo Rei Socialis - sa bene che nessuna realizzazione temporale s'identifica col Regno di Dio, ma che tutte le realizzazioni non fanno che riflettere e, in un certo senso, anticipare la gloria del Regno, che attendiamo alla fine della storia, quando il Signore ritornerà. Ma l'attesa non potrà esser mai una scusa per disinteressarsi degli uomini nella Ioro concreta situazione personale e nella loro vita sociale, nazionale e internazionale, in quanto questa - ora soprattutto - condiziona quella. Nulla, anche se imperfetto e provvisorio di tutto ciò che si può e si deve realizzare mediante lo sforzo solidale di tutti e la grazia divina in un certo momento della storia, per rendere "più umana" la vita degli uomini, sarà perduto né sarà stato vano" (SRS 48).


5. "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33). Cosa vuol dire il Signore con queste parole? In cosa consiste questo obbiettivo primordiale? Cosa dobbiamo fare per cercare, in primo luogo, il Regno di Dio? Sapete bene la risposta. Sapete che per raggiungere la vita eterna è necessario osservare i comandamenti, è necessario vivere in accordo con gli insegnamenti di Cristo, che ci vengono trasmessi continuamente dalla sua Chiesa.

Per questo, cari fratelli, vi esorto a comportarvi sempre come buoni cristiani, ad osservare i comandamenti, ad assistere alla messa domenicale, a curare la vostra formazione cristiana ascoltando la catechesi che i vostri Pastori vi impartono, a confessarvi frequentemente, a lavorare, ad essere buoni genitori e sposi fedeli, ad essere buoni figli. Non cadete nella seduzione dei vizi, come l'abuso dell'alcool, che causa tante stragi; né prestate la vostra collaborazione al traffico della droga, causa della distruzione di tante persone nel mondo.


6. E, per accompagnare quello sforzo per vivere cristianamente vi sarà anche un impegno per migliorare la vostra situazione umana nei suoi molteplici aspetti: culturale, economico, sociale e politico. La ricerca del Regno di Dio comprende anche quelle nobili realtà umane. Quelle parole del Signore che ordina ai servi della parabola, dopo aver consegnato loro dieci mine, "impiegatele fino al mio ritorno" (Lc 19,13), non possono essere intese in un senso meramente spirituale, come se l'uomo fosse soltanto anima. Cristo ci ammonisce dinanzi al pericolo di sovvertire l'ordine dei valori e di amare le creature al di sopra del Creatore: "Non potete servire a Dio e a Mammona" (Mt 6,24); ma ci mette anche in guardia dal pericolo della pigrizia e della codardia, dal pericolo di seppellire in terra il talento concesso dal Signore (cfr. Mt 25,25). Lo sviluppo umano contribuisce all'instaurazione del Regno (cfr. GS 39). E in questo sviluppo ciascuno deve essere protagonista (cfr. Paolo VI, PP 55).

Devono esserlo, in primo luogo, coloro cui incombe una maggiore responsabilità sociale o maggiori possibilità economiche. Questi devono ricordare che sono soltanto amministratori di quei beni e che dovranno rendere conto della loro amministrazione (cfr. Lc 16,2).

Allo stesso modo, devono essere protagonisti i più sfavoriti. Ciò che ho scritto nell'Enciclica Sollicitudo Rei Socialis riferendomi ai Paesi (SRS 44), deve applicarsi anche agli individui: lo sviluppo umano richiede spirito di iniziativa da parte delle medesime persone che ne hanno bisogno. Ciascuno deve agire secondo la propria responsabilità, senza attendersi tutto dalle strutture sociali, assistenziali o politiche, o dall'aiuto di altre persone con più possibilità.

"Ciascuno deve scoprire e utilizzare il più possibile lo spazio della propria libertà. Ciascuno dovrà rendersi capace di iniziative rispondenti alle proprie esigenze di società" (Ibidem SRS 44).

Pertanto, cari fratelli e sorelle, dovete sforzarvi di utilizzare i mezzi che sono alla vostra portata, sapendo, d'altra parte, che abbiamo riposto in Dio tutta la nostra fiducia: "E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita?" (Mt 6,27).


7. Oggi, sono qui presenti in mezzo a noi fratelli e sorelle dell'America Centrale, che hanno dovuto abbandonare i loro luoghi d'origine alla ricerca di un rifugio e di migliori condizioni di vita. Molti di loro si trovano in situazioni drammatiche a causa della mancanza di mezzi, dell'insicurezza e dell'ansiosa ricerca di un posto adeguato. Ad essi desidero ripetere alcune parole del mio ultimo Messaggio di Quaresima per la Chiesa universale: "Noi Cattolici vi accompagneremo e vi sosterremo nel vostro cammino, riconoscendo in ciascuno di voi il volto del Cristo esule e profugo, ricordando quanto Egli disse: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40)".

So che le diocesi messicane, in cui vi sono campi di rifugiati, stanno facendo tutto il possibile per organizzare la loro accoglienza ed assisterli nei loro bisogni. Questo gesto di comunione interecclesiale è apprezzato e suscita la gratitudine, in modo particolare, di alcuni Vescovi del Guatemala, che hanno voluto essere presenti accanto ai loro diocesani, in questa occasione. Mi unisco ad essi nel loro appello alla solidarietà, alla carità e alla giustizia, per soccorrere tanti fratelli e sorelle che soffrono ogni tipo di privazioni, lontani dai loro luoghi di origine.


8. Il mio messaggio di oggi, carissimi tutti, vuol essere un nuovo invito alla speranza, a mettervi nelle mani di Dio, sapendo che Egli si prende cura amorevole di noi. Ce lo dice il Signore nel Vangelo di San Matteo, che abbiamo ascoltato: "Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?" (Mt 6,26). Ma questa deve essere una speranza attiva e responsabile, che porti anche al lavoro e all'impegno personale.

Questa stessa speranza era espressa nel messaggio di Nostra Signora di Guadalupe a Juan Diego, per infondergli fiducia e forza nella missione che gli affidava: "Ascolta e comprendi, figlio mio, il più piccolo, che è nulla ciò che ti spaventa ed affligge; non si turbi il tuo cuore; non temere quella malattia né altra malattia ed angoscia. Non sono qui io, che sono tua Madre? Non sei sotto la mia ombra? Non sono io la tua salute? Non sei forse nel mio grembo?" (Nican Mopohua).

Come Juan Diego, figlio prediletto della terra messicana, che ho avuto la gioia di proclamare Beato, anche voi troverete nella Vergine di Guadalupe la consolazione nel dolore e la fortezza cristiana per superare le difficoltà.

Con un grido di speranza ci dice ancora il Profeta: "Giubilate, o cieli; rallegrati, o terra, gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha pietà dei suoi miseri" (Is 49,13). Adesso desidero rivolgere un saluto in idioma tzotzil: Fratelli contadini ed indigeni: Gesù vi ama, come tutti i suoi discepoli "sale della terra... Iuce del mondo" (Mt 5,13-14). "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15).

Un saluto anche in idioma Zoque: Fratelli contadini ed indigeni: il Papa vi vuole tutti pieni di fede, diffondendo il Vangelo, mettendo da parte la violenza, rispettando la vita della natura, ma consapevoli della vostra dignità di lavoratori nell'orto del suo Regno. Con voi grido: "Vieni, Signore Gesù!".

(Traduzione dallo spagnolo)

Data: 1990-05-11

Venerdi 11 Maggio 1990

Benedizione della nuova cattedrale - Villahermosa (Messico)

Titolo: La cattedrale segno visibile della rinascita spirituale

Caro Vescovo Mons. Rafael Garcia Gonzales, Sacerdoti, religiosi e fedeli tutti di questa diocesi.

Il mio più cordiale saluto a voi, a tutta la popolazione di Villahermosa e all'intero Stato del Tabasco. Vorrei salutare anche le sorelle religiose qui presenti. Vorrei salutare i seminaristi che non solo sono presenti, ma stanno anche gridando.


1. Prima di benedire la cappella espiatoria della Cattedrale, desidero soffermarmi brevemente per riflettere con voi sul significato di questa cerimonia.

Essendo la Cattedrale la migliore espressione concreta della diocesi, è in essa che mi incontro oggi con la Chiesa di Dio che vive nel Tabasco, come luogo di accoglienza per le generazioni passate, presenti e per quelle che verranno.

Infatti, le sue mura ci parlano di tutti quei cristiani - sacerdoti, religiosi e laici - che già dalla prima evangelizzazione, con fede ed amore, con preghiera e sacrificio, hanno collaborato con Cristo per l'edificazione della sua Chiesa nel Tabasco.

Inoltre, la Chiesa Cattedrale è segno visibile della rinascita spirituale nel Tabasco. E' dimostrazione del fatto che, con la vostra fede, non avete voluto dar vita ad altra cosa che non fosse la Chiesa di Gesù Cristo, costruita sulle fondamenta degli Apostoli.

Per questo, la Cattedrale deve essere un punto permanente di riferimento verso cui i fedeli del Tabasco possano rivolgere il loro sguardo. In essa confluiscono simbolicamente la vostra unione con Cristo e con tutta la sua Chiesa; essa richiederà da voi sempre fedeltà, collaborazione ed impegno, per diffondersi ulteriormente in abbondanti opere di evangelizzazione e di carità.


2. San Paolo rivolge ai cristiani di Efeso alcune parole che mi sembra opportuno ricordare in questi momenti: "Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù... per mezzo dello Spirito" (Ep 2,19-22).

La pietra angolare, la base dell'edificio della Chiesa è Gesù Cristo.

perciò, con sapienza evangelica, avete voluto che questa cappella espiatoria costituisse la prima parte della Cattedrale. E per dimostrarlo, il Santissimo Sacramento sarà perennemente esposto nella Cappella e sarà accompagnato anche dalla Adorazione notturna. Insieme con Gesù Sacramento ci sarà l'immagine del Divino Prigioniero, Cristo Re, Signore del Tabasco. In verità la Cattedrale rappresenterà in maniera eloquente, il posto centrale che Gesù Cristo deve sempre occupare nella vita di tutta la diocesi e di ognuno di voi.

Successivamente, e nello stesso modo in cui avete proceduto nella sua costruzione, dovete sforzarvi anche nell'edificazione delle vostre vite, come tempio dedicato a Dio. Comportatevi sempre, come afferma San Paolo, come saggi architetti che sanno costruire la propria esistenza sul vero fondamento, sull'unico fondamento solido, Gesù Cristo (cfr. 1Co 3,10-11). In Lui, presente in voi per mezzo della grazia, deve fondarsi tutto il vostro essere e il vostro operare. Vivendo in questo modo, avendo Cristo come centro, diventeranno realtà nella vostra vita le parole di San Pietro: "anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale" (1P 2,5). Essendo ognuno tempio dello Spirito Santo, sarete anche le pietre vive di cui Cristo ha bisogno per continuare ad edificare la sua Chiesa nel Tabasco.


3. Desidero ora rivolgerrni agli infermi qui presenti e a tutti coloro che, nella Repubblica Messicana, soffrono a causa della malattia. Mi rivolgo a tutti voi che soffrite per dirvi, ancora una volta, che occupate veramente un posto privilegiato nel cuore della Chiesa, nel cuore del Papa: il Papa, così come tutta la Chiesa, trovano nel vostro dolore, offerto a Dio, unito alla Passione di Cristo, un forte sostegno per realizzare la missione che il Signore ha loro affidato.

Se tutti noi cristiani formiamo, come pietre vive, la Chiesa di Gesù Cristo, voi malati siete in certo modo il fondamento di questo edificio. Cristo, morto e risorto, è il fondamento, la pietra angolare, e insieme a Lui, dando solidità alla costruzione, occupando un luogo apparentemente nascosto e sconosciuto, ci siete voi quando unite il vostro dolore al dolore salvifico del Redentore.


4. Il Vangelo ci ha trasmesso numerosi esempi dell'atteggiamento di Gesù verso gli infermi: il cieco che mendicava sulla strada (cfr. Mc 10,46ss), l'emorroissa (cfr. Lc 8,40ss), l'uomo che aveva una mano paralizzata (cfr. Mt 12,9ss), la donna curva (cfr. Lc 13,11ss), i lebbrosi (cfr. Lc 17,12ss). Sono molti coloro che si avvicinano a Cristo a causa della propria infermità: forse non si sarebbero avvicinati a Lui se fossero stati sani.

Fratelli e sorelle, cari infermi, voi lo sapete, voi avete avuto questa esperienza: la malattia, quando si accetta, ci avvicina a Cristo.

La malattia a volte ottiene che l'uomo cada dal suo piedistallo di arroganza e si scopra così come è: povero, invalido, bisognoso dell'aiuto di Dio.

La malattia porta frequentemente a cambiamenti radicali nelle relazioni tra Dio ed una persona: "Coraggio, figliolo ti sono rimessi i tuoi peccati" (Mt 9,2) sono le prime parole che ascolta il paralitico di Cafarnao: "Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio" (Jn 5,14) dirà il Signore all'infermo paralitico della piscina Probatica. Sono molti i miracoli che il Signore realizza nei corpi di questi infermi, ma sono molti e più importanti quelli che opera nelle loro anime.


5. Queste guarigioni servono a Cristo per annunciare la venuta del Regno: "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella" (Mt 11,4-6). Gli infermi del Vangelo sono segno del Regno quando sono guariti, anche voi siete segno del Regno e, anche in misura maggiore, quando, accettando la volontà di Dio, vivete con gioia la vostra malattia.


6. Capite perché la Chiesa vi guarda con predilezione? Capite perché la Chiesa si appoggia specialmente su di voi? Capite perché il Papa vi chiede il tesoro del vostro dolore per realizzare la nuova evangelizzazione del Tabasco, della Repubblica Messicana e del mondo intero? Nei vostri corpi malati, nella vostra sofferenza, nella vostra debolezza, e soprattutto nella vostra gioia, li dove voi siete, uniti a Cristo, la Chiesa troverà la forza per diffondere l'opera evangelizzatrice che Egli stesso le ha affidato.

Prima di concludere desidero manifestare il mio profondo apprezzamento a quanti negli ospedali, sanatori, centri di assistenza e nelle famiglie messicane dedicano la loro capacità professionale e le loro premure per alleviare e curare i fratelli che soffrono.

Vi affido malati qui presenti, e quanti seguono questo incontro attraverso la radio e la televisione, alla cura materna di Nostra Signora di Guadalupe, mentre vi imparto con affetto una speciale Benedizione Apostolica.

(Traduzione dallo spagnolo)

Data: 1990-05-11

Venerdi 11 Maggio 1990



Ai fedeli della diocesi di Tabasco - Villahermosa (Messico)

Titolo: La comunione ecclesiale fermento di riconciliazione e di pace

"Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo" (Ep 4,5).


1. L'Apostolo dei Gentili, prigioniero a Roma, ci esorta a conservare con sollecitudine l'unità della Chiesa. Egli stesso è testimone eroico di questa unità, che è dono e grazia dello Spirito Santo; questa unità tanto desiderata da Cristo e per la quale chiedeva al Padre: "perché tutti siano una sola cosa... perché il mondo creda" (Jn 17,21). Per questo San Paolo ci sollecita a "conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati" (Ep 4,3-4).

Si, Cristo è uno: "un solo Signore"; e perciò, abbiamo "una sola fede, un solo battesimo" (Ep 4,5). Cristo è uno; e uno solo è anche lo Spirito che opera nei cuori, edificando il Corpo di Cristo che è la Chiesa. Pertanto, anche la Chiesa è una sola. Questa unità ecclesiale proviene dalla unità di Dio e la deve incarnare nel mondo. Infatti, c'è "un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti, ed è presente in tutti" (Ep 4,6).


2. Ricordando questo mistero della Chiesa nel quale siamo uniti, mi rallegro nel salutare tutti ed ognuno di voi; in primo luogo il Vescovo di Tabasco, Mons.

Rafael Garcia Gonzàlez e i cari Vescovi di questa Provincia ecclesiastica dello Yucatan. Nelle loro stimate e venerate persone e in quelle di quanti siete qui presenti - presbiteri e diaconi, religiosi e religiose, uomini e donne cristiani di ogni condizione - saluto tutti i fedeli delle popolazioni del Tabasco e della penisola dello Yucatan.

La storia della vostra comunità si vede arricchita da questa unità ecclesiale. In essa è stato presente l'amore verso tutti, e specialmente verso i poveri, che animo la vita del venerabile Leonardo Castellanos, il Vescovo povero.

In essa si forgio l'offerta dell'indio Gabriel Garcia che diede la sua vita per la fede. Da allora è stato dato l'impulso alla crescita della Chiesa in questa regione. Una realtà che non è soltanto passato, ma che ora si prepara a rinnovarsi, con l'aiuto dello Spirito Santo, per mezzo del Sinodo pastorale diocesano, per affrontare il cammino che ha davanti.

Di fronte a questa incoraggiante realtà, desidero rivolgere un saluto particolare ai cari Chontales e Choles.

Fratelli Chontales: il Papa vi ama molto e vi incoraggia a seguire l'esempio del vostro antenato l'lndio Gabriel Garcia, che diede la sua vita per la fede. Nello stesso modo i Chontales devono essere fedeli nella loro fede.

Come state, fratelli Choles? Sono venuto a visitarvi qui nel Tabasco. Vi auguro che vi possiate rendere conto dell'importanza che ha per voi continuare a camminare secondo il Sinodo diocesano.


3. Qui, a Villahermosa, meditiamo oggi con profonda gioia sul mistero della Chiesa, che è stata istituita una sola da Cristo. E' una perché esprime l'unità di Dio stesso, l'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (cfr. LG 4). E' una perché realizza l'opera salvifica di Dio Uno e Trino. L'opera redentrice di Cristo si estende a tutti gli uomini e popoli per condurli all'unità di Dio.

Oggi meditiamo questo mistero ed eleviamo a Dio le nostre ferventi preghiere per l'unità della Chiesa. Nella nostra orazione ritorniamo con il nostro sguardo al cenacolo di Gerusalemme. Là gli Apostoli "erano assidui e concordi nella preghiera... con Maria la Madre di Gesù (Ac 1,14)". Con la preghiera si preparavano al momento della Pentecoste. Li, la Chiesa, nata dal costato aperto di Cristo sulla Croce, si manifesterà davanti al mondo con la forza dello Spirito di Verità, dando testimonianza di questa unità divina.

Nelle nostre preghiere per l'unità della Chiesa nel mondo, per l'unità della Chiesa in Messico, facciamo ricorso in modo speciale all'intercessione di Maria, Madre della Chiesa. La imploriamo affinché i cristiani possano essere una sola cosa con Cristo nella Chiesa, perché, così santificati nella fedeltà per mezzo dello Spirito vivificante "avessero così per Cristo accesso al Padre in un solo Spirito" (LG 4). E a chi possiamo raccomandare questa unità se non alla Madre di Dio? Effettivamente, si tratta dell'unità di tutti voi con Cristo, come "i tralci con la vite" (cfr. Jn 15,1).


4. Fratelli miei: nel riflettere su questo mistero, bisogna tener presente il fatto doloroso che alcuni hanno rotto questo vincolo di unità salvifica, unendosi alle sètte; e altri sono assaliti da dubbi e vacillano per mancanza di fede.

Tutto questo deve costituire una chiamata a ravvivare la vostra unione con Cristo nella Chiesa, sentendo come propria la responsabilità di sostenere coloro che vacillano e di recuperare coloro che si sono allontanati o sono indifferenti. Non bisogna risparmiare gli sforzi se il fine è quello di dare una testimonianza concorde di unità. Ugualmente è necessario cercare che questo vincolo di unione con Cristo sostenga una vita veramente centrata in Lui.

Nessuno di voi, nessun cattolico del Messico, può considerarsi libero da questa responsabilità. E, se risponderete con generosità e fermezza si verificherà una nuova crescita, una rinnovata vitalità della Chiesa nelle vostre comunità.


5. Queste esigenze che provengono da radicati sentimenti di comunione nella verità e nella carità, vi devono stimolare per rinnovare la vostra unità in Cristo, come il tralcio che è unito alla vite. Vi si chiede, soprattutto, che diate frutto come il Signore desidera. In che consiste questo dar frutto? La risposta può essere così riassunta: nell'amare i fratelli con abnegazione, fino alle ultime conseguenze, come Gesù ci amo sulla Croce.

Ogni attività, il lavoro e il riposo, la vita familiare e sociale, l'esercizio delle vostre responsabilità politiche, culturali ed economiche, devono avere presente questo atteggiamento di amore e di servizio (cfr. LG 10). Vivendo così, il vostro cuore verrà trasformato in un altare (cfr. Sant'Agostino, De civitate Dei, X,3) per offrire sacrifici graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Allo stesso tempo, sarete portatori di pace e di riconciliazione.

Li dove un cristiano si sforza di amare come Cristo, si crea un clima di cordialità; di affetto, di comprensione, di ricerca serena ed efficace della solidarietà e della giustizia.


6. In questo processo di crescita verso l'unità voluta da Cristo si delinea la natura della Chiesa come una comunione, dove regna la fraternità e allo stesso tempo esiste in essa una diversità di ministeri (cfr. 1Co 12,5).

La Chiesa, poiché è partecipe della vita divina della Trinità, è un mistero di comunione che deve manifestarsi nell'ambito di ogni comunità ecclesiale. Questa comunione ha il fondamento nell'unità della fede, della speranza e dell'amore cristiano, ricevuti nel battesimo. Si rafforza costantemente mediante la partecipazione all'Eucaristia, come espressione massima dell'unità della Chiesa. Si rinnova per mezzo del sacramento della conversione o della penitenza, che ci riconcilia con Dio e con i fratelli. Si concretizza nel condividere i propri beni e mediante la disponibilità personale. Nello stesso tempo, questa comunione ecclesiale è chiamata ad essere fermento di riconciliazione e di pace tra i fratelli, in mezzo ai quali opera, mossa dallo Spirito Santo.


7. Questa stessa comunione, in ogni Chiesa locale, è presieduta dal Vescovo, unito al Papa come Vescovo di Roma e Successore di Pietro. Il Papa, a sua volta, è il centro della collegialità o comunione episcopale, poiché è a capo della Chiesa che "presiede nella carità" (S. Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani).

Nello stesso tempo, questa comunione si verifica nella Chiesa attraverso le sue varie comunità presiedute dai presbiteri, i quali, come cooperatori immediati dei Vescovi, partecipano della loro cura pastorale al servizio del popolo (cfr. LG 28). Il sacerdote, rivestito di misericordia davanti ad ogni miseria umana, deve essere disponibile soprattutto per coloro che soffrono. In questo modo, la Chiesa potrà presentarsi davanti al mondo come "un luogo di verità e di amore, di libertà, di giustizia e di pace, affinché tutti trovino in essa un motivo per continuare a sperare" (Preghiera eucaristica, V/b).


8. Nel ricordare il gran valore e il grande dono dell'unità, mi tornano alla mente quelle persone che si sono allontanate dalla Chiesa cattolica. Ad esse mi rivolgo ora, con l'ansietà della mia anima.

Vorrei incontrarmi con ognuno di voi per dirvi: ritornate nel seno della Chiesa, vostra Madre! La Vergine di Guadalupe, con il "suo sguardo pietoso" ha voluto mostrarvi suo Figlio il "vero Dio per il quale si vive"; lo ha esaltato "manifestandolo con tutto il suo amore personale" (cfr. Nicon Mopohua, 26-28).

Tenete nel cuore ben salda questa convinzione: Lei non ci ha potuto ingannare. E' stata sempre al vostro fianco, in tutte le circostanze della vostra vita; e vi ha ascoltato in tutte le vostre necessità.

Forse, come successe a Juan Diego, qualche preoccupazione spirituale e materiale allo stesso tempo, vi ha portato a schivare l'incontro con la Santissima Vergine, ad allontanarvi da Lei (cfr. Ibidem, 94-103). E' possibile che siate rimasti soli con questa preoccupazione, pensando che avvicinarsi a Dio, dipende, prima di tutto, dal proprio sforzo. Addirittura avreste potuto credere che per raggiungere il benessere economico bisognasse lasciare da parte la fede cattolica.

E' a questi motivi se ne potrebbero aggiungere molti altri, come quello del sentirsi più accolti in un gruppo piccolo, di gente conosciuta, che si aiuta reciprocamente.

Dunque, vi invito caldamente a considerare tutto questo davanti alla Vergine di Guadalupe. Sentite che Lei - come a Juan Diego - vi aiuta in tutte le vostre preoccupazioni e ansietà, e oggi vi ripete: "Non ci sono Io, che sono tua Madre?" (Ibidem 19).

Tornate, quindi, senza paura! La Chiesa vi aspetta con le braccia aperte per incontrarvi di nuovo con Cristo. Nulla farebbe più felice il cuore del Papa, in questo viaggio pastorale in Messico, quanto il ritorno nel seno della Chiesa, di coloro che se ne sono allontanati.

Che Cristo vi illumini e vi muova alla conversione!


9. "Il Signore è il mio Pastore, non manco di nulla" (Ps 22,1). Queste confortanti parole del Salmo ci fanno contemplare l'immagine di Cristo, Buon Pastore, così come la sua attenzione costante per tutti, per ognuno ed ognuna di noi.

Seguire il Buon Pastore significa anche rimanere uniti alla vera vite.

Infatti, il Buon Pastore, Cristo, non solo desidera che lo seguiamo, ma anche che rimaniamo uniti a Lui, come il tralcio che, rimanendo unito alla vite dà frutto.

Cristo, il Buon Pastore, desidera che diamo frutto, molto frutto. Per questo vuole che noi rimaniamo in Lui come membra del suo Corpo che è la Chiesa.

E se il Buon Pastore cerca ogni pecora smarrita, lo fa per proteggerla dai pericoli e allo stesso tempo perché non si separi dalla vite vivificante.

10. Madre del Buon Pastore! Tu che perseveri nella preghiera con gli Aspostoli e con tutta la Chiesa, fa' che tutti i tuoi figli e figlie del Messico rimangano sempre fedeli a Cristo nella sua Chiesa: Una, Santa, Cattolica ed Apostolica.

Che si comportino sempre in maniera degna della vocazione alla quale sono stati chiamati, e così, ognuno, "secondo la misura del dono di Cristo" (Ep 4,1 Ep 4,7), contribuisca per questa unità del Corpo che è costituita dallo Spirito di Verità. In questa verità che ci unisce, risiede la speranza della vita eterna: la vita eterna in Dio. Amen.

(Al termine della celebrazione eucaristica, Giovanni Paolo II ha voluto ringraziare i fedeli presenti per l'accoglienza e la partecipazione alla Liturgia, con queste parole:) Fratelli e sorelle, Sono grato alla vostra Comunità di Tabasco ed anche allo Yucatan per questa bellissima accoglienza. I miei auguri per voi sono auguri di unità. Tutto deve servire questa unità. Come abbiamo potuto vedere nel corso della concelebrazione eucaristica, anche il canto serve a quest'unità. Cantate bene! Cantate bene. E dovete cantare sempre per essere uniti nel canto di lode a Dio, per esprimere il vostro cuore. Dovete sempre cantare insieme a Maria, la vostra Santa Patrona del Messico, di Guadalupe. Dovete unirvi al suo canto del Magnificat! Avete belle voci! Molte grazie. Ci vediamo la prossima volta a Roma! (Traduzione dallo spagnolo)

Data: 1990-05-11

Venerdi 11 Maggio 1990


GPII 1990 Insegnamenti - Omelia per le famiglie indigene - Tuxtla Gutiérrez (Messico)