GPII 1990 Insegnamenti - Ai rappresentanti delle comunità polacche all'estero - Città del Vaticano (Roma)

Ai rappresentanti delle comunità polacche all'estero - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il contributo dato dalla Polonia ai cambiamenti in Europa

Cari fratelli e sorelle, Amatissimi connazionali,


1. Mi sono incontrato molte volte con gli emigrati polacchi: qui a Roma ed in altri posti, ma un incontro come questo non c'è mai stato. Esso ha un carattere eccezionale. Si sono riuniti insieme i polacchi che vivono all'estero con i rappresentanti che vengono dalla Patria.


2. Do il benvenuto e saluto cordialmente tutti i presenti. Saluto soprattutto i Vescovi, do il benvenuto a Mons. Kaminski. Rivolgo un saluto al prof. Andrzej Stelmachowski, il presidente del Senato e nel contempo presidente della Comunità dei Polacchi e lo ringrazio per il discorso con il quale ha aperto l'odierno incontro. Saluto i Signori Ambasciatori presso la Santa Sede e presso il Quirinale. Saluto i signori presidenti delle organizzazioni dei polacchi all'estero, con l'ing. Stanislaw Orlowski, presidente del Consiglio di Coordinazione delle Comunità Polacche nel Mondo Libero, ringraziandolo per le toccanti parole, e tutti i delegati qui presenti e mediante voi tutti gli ambienti sociali che rappresentate.


3. Ho detto all'inizio che si tratta di un incontro eccezionale essendo il risultato della nuova situazione nella quale si è trovata la Polonia, l'Europa e il mondo intero. E' un incontro particolare, perché è stato instaurato il primo contatto ufficiale con le comunità polacche e con i polacchi di tutto il mondo. Mi ritornano alla mente le parole che ho detto ai polacchi a Londra il 30 maggio 1982. Ho detto allora: "Non si può pensare a voi partendo dal concetto "di emigrati"; bisogna pensare a voi partendo dalla realtà della "la Patria"". Questo legame con la Patria era ed è per voi una forza spirituale, profondamente radicata nei vostri cuori, nelle vostre tradizioni, nelle vostre famiglie, nella cultura.

Avete lasciato la Patria, ma non avete smesso di essere la Polonia, una parte speciale della Polonia. Tuttavia quella "assenza fisica" vi faceva stare male. In un certo senso eravate tagliati fuori della Polonia.

Ormai, ringraziamo Dio, ciò fa parte del passato. Oggi potete dire che i legami con la Patria hanno ricevuto un nuovo vigore. Potete ora allacciare un contatto ufficiale con la Patria, ed è ciò che tra l'altro avete preso in considerazione durante la vostra conferenza. Non occorrerà più parlare di voi con dolore come di "polacchi fisicamente assenti che non hanno ragione". Ed anche per questo bisogna ringraziare con ardore Dio, il Signore della storia, delle vicissitudini dell'uomo e delle nazioni. Oggi sentite di nuovo la vicinanza della Patria.


4. Sono oggi presenti tra noi i polacchi, i delegati dei polacchi che vivono in Lituania, in Lettonia, in Bielorussia, in Ucraina, in Cecoslovacchia, in Ungheria ed in Romania. Non sono degli emigrati ma hanno voluto lo stesso partecipare all'incontro dei polacchi emigrati. Voglio sottolineare la loro presenza in modo particolare. Grazie ai cambiamenti avvenuti in quei Paesi per la prima volta loro possono prendere parte ad un incontro del genere. Questo momento è commovente per me e per tutti noi qui presenti. Chi avrebbe mai pensato ad una tale possibilità ancora pochi anni fa? Li saluto tutti molto cordialmente, gioisco con loro e insieme a loro ringrazio Dio per questo dono dell'incontro così tanto desiderato.

La vostra storia è tragica. Ma avete conservato la fede dei padri. Vi unisce la tradizione di lotta, eroica e condotta da molti anni, per salvaguardare la propria nazionalità. Siete ricchi di esperienze conquistate durante gli anni di lotta per conservare e rafforzare la propria identità. Non avete mai dimenticato la Patria grazie al vostro attaccamento alle tradizioni polacche ed al patriottismo addirittura leggendario. Gioisco quindi della vostra gioia di poter essere qui.

Ricordiamo in questo luogo la viva fede di coloro che hanno sofferto per questi valori e sono morti per difenderli.


5. Come possiamo vedere, il volto dell'Europa è cambiato e continua a trasformarsi. Siamo una Nazione che ha dato un contributo particolare a questi cambiamenti. I nostri sforzi non sono stati vani e già oggi ne raccogliamo i frutti come per esempio in questo nostro odierno incontro. Le situazioni nuove esigono tuttavia gli atteggiamenti nuovi che nascono dalla riflessione serena.

Dovremmo rafforzare la nostra identità nazionale, non possiamo dimenticare chi siamo e quali sono le nostre radici. Dovremmo sentirci sempre una sola comunità, indipendentemente da dove sono le nostre case e i nostri posti di lavoro. Siamo responsabili dello sviluppo della nostra cultura e della scienza, ma nel contempo non possiamo dimenticare che facciamo parte della grande comunità delle Nazioni e che attingiamo dal loro patrimonio e dalle loro conquiste. Anche le altre Nazioni vogliono arricchirsi attingendo dal nostro tesoro. Possiamo essere fieri di ciò che abbiamo. perciò è così importante sentirsi polacchi, essere coscienti delle radici polacche che risalgono a mille anni e traggono la loro forza dalla fede cristiana e dalla cultura europea. La consapevolezza di questi legami e la coscienza del valore della propria cultura ci aiuteranno a giudicare adeguatamente noi stessi e accresceranno la nostra stima per la cultura di altre Nazioni. Siamo responsabili della Polonia, di ciò che essa rappresenta e di ciò che da essa abbiamo ricevuto e continuiamo a ricevere.

Desidero citare ancora le parole che ho rivolto ai miei connazionali un anno fa, in occasione dell'incontro per la Vigilia del 23 dicembre: "Ma è necessario che troviamo il nostro posto - il posto difeso ed ottenuto con tanta fatica tra tutte le Nazioni soprattutto quelle europee. Devono essere apprezzati il senso creativo e la fatica delle nostre proteste e delle nostre proposte.

Dobbiamo anche noi riconfermare il nostro contributo nella nuova formazione della vita del nostro Continente. Dobbiamo elaborare questa nuova forma insieme con tutti, prima di tutto con coloro cui ci unisce la vicinanza storica".


6. Vi ringrazio di cuore per quest'incontro. Vorrei molto che esso contribuisse a rafforzare il legame con il Paese il cui nome è Polonia. Ci arricchisca tutti e serva il bene comune quale è la nostra Patria, ogni comunità di uomini che si sentono uniti tra loro con i legami di sangue, ogni polacco ed ogni polacca dovunque essi vivono.

La Patria è la nostra Madre comune, è il nostro "grande dovere comune" (C.K. Norwid). Ne siamo responsabili.

Raccomando tutti a Dio nella mia preghiera e chiedo alla Signora di Jasna Gora di vegliare sulla nostra Patria e su tutti i polacchi che vivono all'interno e fuori dei suoi confini.

Chiedo ai Vescovi qui presenti di impartire insieme a me la benedizione ai partecipanti dell'incontro ed alle loro famiglie.

Prima ancora pregheremo per la nostra Patria e pregheremo per una partecipante a quest'incontro che è morta e che aveva dato ad esso un contributo così importante.

(Traduzione dal polacco)

Data: 1990-10-29

Lunedi 29 Ottobre 1990



All'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Le Beatitudini programma della vita dei santi

Cari fratelli e sorelle!


1. I santi, dei quali oggi ricordiamo "in un'unica festa i meriti e la gloria", sono coloro che hanno fatto dell'annuncio delle Beatitudini un programma di vita.

Hanno creduto alla parola divina e alla sua promessa, confidando che essa non avrebbe tradito la loro speranza; hanno compreso che le beatitudini evangeliche esprimono tutta la realtà dei doni divini offerti all'uomo dal mistero della redenzione. Con le parole delle Beatitudini il Figlio del Dio vivente ha annunciato la nostra riconciliazione, poiché proprio in lui, e solo in lui poteva trovare piena soddisfazione l'amore eterno del Padre.


2. La parola "Beati" indica altresi un programma di vita e un segno dell'avvicinarsi di Dio a ogni uomo che nel mondo soffre e rivive nella propria storia il mistero della croce di Cristo. I santi hanno saputo vedere una speciale presenza di Cristo nella povertà e nell'afflizione, nella mitezza e nella misericordia, nell'estremo bisogno di giustizia e nella purezza di cuore.

Da queste situazioni, che in qualche modo indicano altrettanti capitoli della vita di Gesù, i santi hanno raccolto un insegnamento, convinti che le Beatitudini riguardano tutti coloro che vogliono essere discepoli del Signore.


3. A queste medesime considerazioni ci riconduce la commemorazione di tutti i fedeli defunti. Ricordiamo i nostri morti con l'affetto che dobbiamo loro per i vincoli di sangue, di amicizia o di gratitudine. Il loro passaggio alla vita eterna non distrugge i legami costruiti qui in terra, ma li esalta nella comunione con Dio. Ricordiamo le loro virtù e i loro esempi ed eleviamo per loro preghiere di suffragio.

Ricordiamo, in particolare, tutti coloro che hanno trovato in questi giorni la morte per malattia, in guerra, per incidenti sulla strada e sul lavoro.

Con tutti voi, specialmente con i fedeli di Roma, confido di incontrarmi questa sera al cimitero del Verano, per la celebrazione del sacrificio eucaristico. Vi invito ora alla preghiera dell'"Angelus", quotidiano annuncio di beatitudine, che ci avvicina alla Madre dei santi, Colei che è detta "Beata" nel Vangelo, perché ha creduto.

(Omissis: saluti a due gruppi di pellegrini)

Data: 1990-11-01

Giovedi 1 Novembre 1990

L'omelia durante la Messa per i defunti - Verano (Roma)

"Finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi" (Ap 7,3).


1. Dio ha sigillato la storia dell'uomo sulla terra con il Vangelo delle otto beatitudini. Lo ha sigillato con il sangue dell'Agnello. Questo sigillo è impresso su tutti coloro che attraversano questa terra. Tutti coloro che scendono nella tomba portano su di sé il sigillo della creazione e della redenzione.

Ecco, questo cimitero romano e tutti i cimiteri del mondo, che sono oggi visitati, rendono testimonianza alla legge della morte. Spesso pensiamo soltanto a questo, ma non possiamo dimenticare la legge del sigillo di Dio.

Dio non solo ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, ma l'ha creato nel suo Figlio eterno. In lui siamo chiamati figli di Dio. In lui diventiamo figli di Dio e lo siamo realmente. Su di noi è impresso il sigillo della redenzione. Su tutti! Con questo sigillo camminiamo nel mondo, "viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (Ac 17,28). E con esso scendiamo nella tomba.


2. In virtù del sigillo di Dio, impresso sulla nostra esistenza umana, siamo invitati a "salire", a salire "il monte del Signore" (Ps 23,3). Anche il nostro morire è una fase di questa salita. Noi viviamo e moriamo alla luce delle otto beatitudini. Davvero inscrutabili sono le vie di questo salire mediante la morte, che porta con sé la distruzione del corpo; eppure queste vie sono scritte nell'eterno Verbo, che è il Figlio del Padre.

E non è stato versato invano il sangue dell'Agnello, con cui ciascuno di noi fu segnato. Per questo ogni uomo, che vive su questa terra, non cessi di cercare il volto di Dio e non si lasci affliggere e angosciare dalla prospettiva della morte.


3. "Ciò che saremo non è stato ancora rivelato" (1Jn 3,2), scrive san Giovanni.

Non è stato ancora rivelato! Infatti il tempo, in cui l'uomo vive su questa terra, è tempo di aspirazione, di acquisizione, di ricerca del volto di Dio mediante il Vangelo delle otto beatitudini e mediante la partecipazione al sangue dell'Agnello di Dio, affinché questo sigillo sia ancor più manifesto e chiaro. "Ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo pero che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1Jn 3,2).


4. La morte è un fatto evidente e certo. Ogni cimitero ne conferma la certezza.

L'uomo si ferma al suo limite. Si immerge nei ricordi di coloro che se ne sono andati, che ci sono stati strappati, non può andare oltre.

Ma la Chiesa non si ferma, va oltre. Attraverso le tombe e i cimiteri di tutto il mondo guida e sostiene la speranza del popolo di Dio con la luce della preghiera di suffragio, che può stabilire una mediazione tra noi e le anime dei fedeli defunti.

La Chiesa ci fa ripetere con le parole della liturgia: "Dona loro l'eterno riposo". / "Dona loro la tua pace". / "Splenda ad essi la luce perpetua".

E' la luce nella quale vediamo Dio faccia a faccia. La luce della gloria, quando diventiamo simili a lui, non soltanto come creature simili al Creatore, ma anche come figli simili al Padre. Come figli nell'Eterno Figlio! La Chiesa prega così, perché così crede e così spera. Veramente: su di noi è impresso il sigillo del Dio Vivente! Amen!

Data: 1990-11-01

Giovedi 1 Novembre 1990

Alla Federazione Farmacisti Cattolici - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Un codice perché i farmaci non siano usati contro la vita

Signor Presidente, Signore, Signori e cari amici,


1. E' con piacere che accolgo voi che siete giunti a celebrare il quarantesimo anniversario della fondazione della Federazione internazionale dei Farmacisti cattolici. Ringrazio il vostro Presidente, Dottor Edwin Scheer, per il caloroso saluto che mi ha rivolto e per la descrizione che ci ha fornito del fermo impegno della vostra Federazione nell'adempiere alle finalità coraggiosamente tracciate dai suoi fondatori. Quattro decenni di attività crescente confermano l'importanza e il valore della vostra istituzione.


2. Sapete che la Chiesa considera la sollecitudine verso i malati come un aspetto privilegiato della sua missione. Pur essendo particolarmente legata al sostegno spirituale, essa non potrebbe ignorare tuttavia la salute del corpo. Non ha essa improntato sovente il vostro linguaggio, parlando di "grazia medicinale", oppure descrivendo le virtù e i valori spirituali come dei "rimedi"? Lo straordinario sviluppo della scienza e della prassi medica, quello della cura dei malati da parte della società, quello della medicina preventiva presuppongono un considerevole sviluppo parallelo della farmacologia. In questa maniera, il farmacista, che è sempre stato un intermediario tra il medico e il malato, vede allargarsi l'ambito della sua funzione di mediazione. La coscienza dei vostri doveri vi porta a riflettere sempre più sulle dimensioni umane, culturali, etiche e spirituali della vostra missione. Infatti, il rapporto tra il farmacista e colui che chiede dei rimedi va molto al di là dei suoi aspetti commerciali, poichè richiede una profonda percezione dei problemi personali dell'interessato oltre che degli aspetti etici fondamentali dei servizi resi alla vita e alla dignità della persona umana.


3. Come ho avuto tanto spesso occasione di sottolineare, i farmacisti possono essere sollecitati verso fini non terapeutici, suscettibili di contravvenire alle leggi della natura, a danno della dignità della persona. E', quindi, chiaro che la distribuzione di medicinali - così come il loro concepimento e la loro utilizzazione - dev'essere retta da un codice morale rigoroso, osservato attentamente. Il rispetto di questo codice di comportamento presuppone la fedeltà ad alcuni principi intangibili che la missione dei battezzati e il dovere di testimonianza cristiana rendono particolarmente attuali.

Tutto questo richiede, da parte del farmacista, una riflessione rinnovata incessantemente. Le forme di aggressione nei confronti della vita umana e della sua dignità divengono sempre più numerose, in particolare attraverso l'uso di medicine, mentre queste non devono essere mai adoperate contro la vita, direttamente o surrettiziamente. E' per questo che il farmacista cattolico ha il dovere - in accordo, d'altronde, con i principi immutabili dell'etica naturale proprio alla coscienza dell'uomo - di essere un consigliere attento per coloro che acquistano i rimedi, senza parlare dell'aiuto morale che egli può dare a tutti coloro che, venuti ad acquistare un prodotto, si attendono da lui anche un consiglio, una ragione per sperare, una via da seguire.


4. Nella distribuzione delle medicine, il farmacista non può rinunciare alle esigenze della sua coscienza in nome delle leggi del mercato, nè in nome di compiacenti legislazioni. Il guadagno, legittimo e necessario, dev'essere sempre subordinato al rispetto della legge morale e all'adesione al magistero della Chiesa. Nella società si dovrebbero poter riconoscere i farmacisti cattolici, al tempo stesso competenti e testimoni fedeli, senza i quali le istituzioni e le associazioni che li raggruppano a questo titolo perderebbero la loro ragion d'essere.

Per il farmacista cattolico, l'insegnamento della Chiesa sul rispetto della vita e della dignità della persona umana, sin dal suo concepimento fino ai suoi ultimi momenti, è di natura etica e morale. Non può essere sottoposto alle variazioni di opinioni o applicato secondo opzioni fluttuanti. Conscia della novità e della complessità dei problemi posti dal progresso della scienza e delle tecniche, la Chiesa fa ascoltare più spesso la sua voce e dà chiare indicazioni al personale della sanità di cui i farmacisti fanno parte. Aderire a questo insegnamento rappresenta sicuramente un dovere difficile da adempiere concretamente nel vostro lavoro quotidiano, ma si tratta, per il farmacista cattolico, di orientamenti fondamentali cui non può rinunciare.


5. Nell'esercizio della vostra professione, siete chiamati a mostrarvi vicini agli utenti delle medicine: essi sono per voi il vostro prossimo da considerare, come il Buon Samaritano, non soltanto in funzione dei suoi bisogni immediati, ma come un fratello che chiede più che un aiuto materiale.

Il Vangelo parla di una potenza guaritrice che emanava dalla persona stessa di Cristo; i malati e gli infermi lo cercavano come colui che sapeva guarire le anime e i corpi. E' in questo spirito che siete chiamati ad agire, in virtù della vostra professione e della vostra fede cristiana.

Questa era l'ispirazione dei vostri fondatori, che noi oggi ricordiamo con ammirazione e con riconoscenza. La vostra associazione vi aiuta a prendere una chiara coscienza dei vostri doveri specifici. La Chiesa ha bisogno della vostra testimonianza che può esplicarsi, tra l'altro, attraverso la vostra azione per orientare i pubblici poteri verso il riconoscimento, nella legislazione, del carattere sacro ed intangibile della vita e di tutto quanto può contribuire a migliorare le sue condizioni fisiche, psicologiche e spirituali.


6. Di cuore, invoco sulla vostra Federazione, su voi stessi e sulle vostre famiglie, come sul vostro lavoro quotidiano, il sostegno della Benedizione di Dio.

Possa la Santissima Vergine, Madre di bontà e di saggezza, guidarvi sul cammino della fede e nel servizio che rendete alla vita! (Traduzione dal francese)

Data: 1990-11-03

Sabato 3 Novembre 1990

All'"Opera Don Giovanni Folci" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Solo dinanzi al tabernacolo si possono capire la grandezza e la dignità del sacerdozio

Carissimi fratelli e sorelle! Sono molto lieto di accogliere tutti voi, sacerdoti, religiose, alunni, ex alunni e amici dell'"Opera Don Giovanni Folci".


1. A cento anni dalla nascita del vostro amato fondatore, avete voluto ricordare questo anniversario, per voi particolarmente significativo, con varie manifestazioni che si sono svolte durante tutto il corso del 1990. E a conclusione delle celebrazioni giubilari, durante uno speciale pellegrinaggio della vostra famiglia spirituale presso la tomba del Principe degli apostoli, avete desiderato che non mancasse quest'incontro con il successore di Pietro per sottolineare, così, la speciale devozione e l'indomita fedeltà alla Chiesa che ha guidato i passi del vostro Maestro e che ispira il cammino dell'istituzione da lui fondata.

Vi accolgo con profonda gioia e di cuore porgo a tutti il mio saluto più cordiale. Ho, inoltre, una ragione particolare per esprimervi la mia viva gratitudine: è per il servizio liturgico che rendete nella Basilica Vaticana, per il quale cordialmente vi ringrazio.


2. Caratteristica della spiritualità di don Folci fu l'amore ardente per il sacerdozio, che manifesto nel coltivare nei fanciulli i germi della vocazione sacerdotale e nel dedicarsi con affetto alla cura dei sacerdoti anziani e ammalati. Egli si mostro sempre sacerdote entusiasta, dal carattere forte, ma affabile, temprato dai disagi della prima guerra mondiale, in cui fu cappellano militare, e poi dalla prigionia. Volle realizzare la sua intima vocazione di dedizione e di amore a Dio e ai fratelli, dando inizio a varie iniziative apostoliche, che culminarono nella fondazione dell'"Associazione dei Sacerdoti e delle Ancelle di Gesù crocifisso".

Nel gennaio del 1956, su invito del mio predecessore Pio XII, inauguro in Vaticano il preseminario san Pio X, con il particolare impegno di prestare il servizio liturgico nella Basilica di san Pietro.

Nel momento, poi, di lasciare questa terra, il 31 marzo 1963, egli affido come testamento ai suoi figli e alle sue figlie spirituali questo programma apostolico: "Vorrei l'Opera planetaria per soccorrere i sacerdoti!".

Nella sua esistenza, travagliata e irta di difficoltà, aveva compreso appieno che solo Gesù è il redentore e il salvatore. Aveva anche capito quale deve essere il ruolo del sacerdote, ministro del Signore e amico di ogni essere umano.

In nome di Cristo, infatti, il sacerdote insegna, conforta, sostiene, perdona e incoraggia; il sacerdote soprattutto ama! Divina e mirabile vocazione quella del sacerdote! Don Folci ne era profondamente convinto e volle vivere totalmente abbandonato nelle mani del Signore, cercando di infondere questa stessa fiducia nella sua Opera e nei suoi collaboratori.


3. Viviamo ancora nell'atmosfera spirituale del recente Sinodo dei vescovi, che ha trattato il tema della formazione sacerdotale nella società attuale. Da più parti è stata sottolineata la validità e la necessità, anche oggi, dei seminari minori per la formazione dei futuri pastori; allo stesso tempo da tanti è stata avvertita come urgente l'esigenza di assistere con cura particolare i sacerdoti anziani o malati. Non sono forse queste le geniali intuizioni di don Folci, per le quali opero spendendo ogni sua energia? Carissimi sacerdoti e religiose di Gesù crocifisso, portate avanti con generosità e spirito di fede questo programma che egli vi ha lasciato. Il vostro fondatore riteneva la santa Messa come l'azione più importante e impegnativa della giornata, come il culmine e la sorgente di ogni attività "per le anime particolarmente nostre, le anime sacerdotali".

E' vero, solo all'altare e presso il tabernacolo, in unione con Maria, si può comprendere la grandezza e la dignità del sacerdozio e viverlo in maniera coerente ed efficace. Siatene tutti profondamente consapevoli. E pure voi, amici di don Folci, che camminate nella scia luminosa della sua spiritualità, continuate, in questi tempi certo non facili, a pregare per le vocazioni e ad offrire ai sacerdoti la vostra collaborazione e il vostro aiuto spirituale e materiale.


4. Infine, uno speciale ricordo per voi, carissimi chierichetti del preseminario, che con tanta diligenza servite in Basilica: siate fieri del compito che vi è stato affidato, anche se talvolta vi costa fatica. Cercate di imitare il vostro Maestro, don Folci, e raccomandatevi a lui, perché vi aiuti a compiere fedelmente la volontà divina. Scoprirete, così, quale meraviglioso progetto sia stato preparato per ciascuno di voi e la vostra esistenza conoscerà la gioia profonda di coloro che amano veramente il Signore.

A tutti voi, infine, sia sempre chiaro, carissimi fratelli e sorelle, il programma apostolico che il vostro fondatore vi ha lasciato: "Uno sguardo al Crocifisso: lui è la guida e il modello. Uno sguardo alla Madonna: lei è la Mamma, conforto e aiuto!". Sarete, in tal modo, degni figli del vostro Padre e Maestro.

Vi accompagni, in questo cammino spirituale, la mia benedizione apostolica, che ora imparto di cuore a voi e a quanti si uniscono alla vostra gioia per questo anno centenario.

Data: 1990-11-03

Sabato 3 Novembre 1990

Lettera al card. Suquia Goicoechea - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Celebrazioni del 400° della morte di san Giovanni della Croce

Al nostro venerabile fratello S.R.E. card. Angelo Suquia Goicoechea, arcivescovo di Madrid, presidente della Conferenza episcopale spagnola.

I nostri passati studi teologici e il perenne amore verso il nome carmelitano ci richiamano dolcemente alla memoria, in questi giorni, con grande gioia, il mistico, poeta e dottore della Chiesa san Giovanni della Croce, del quale, come a tutti è noto, sta per iniziare l'anniversario dei 400 anni dalla sua santa morte. Non scompare, del resto, dall'animo nostro l'immagine della venerazione e dell'omaggio che noi stessi rendemmo direttamente all'illustre uomo di Segovia proprio il 4 novembre di otto anni fa, dopo che, pochi giorni prima, con pari devozione, avevamo onorato l'altro dottore della famiglia Carmelitana: Teresa d'Avila.

Possiamo perciò facilmente immaginare, per queste solennità, sia l'ubicazione negli illustri luoghi della nobile Spagna, sia gli stessi prolungati festeggiamenti, che si svolgeranno certamente per tutta la durata di questo anno dedicato a san Giovanni, tra studi e celebrazioni, incontri e colloqui, con cui si potranno approfondire il più possibile gli insegnamenti e le virtù di questo santo e scrittore, nonché la sua arte di poeta e la sua umanità, così da poterle riscoprire nuovamente e illustrare, per il vantaggio spirituale di questa nostra epoca.

Desideriamo pertanto intervenire in modo manifesto e significativo a quei solenni riti che avranno luogo il 16 dicembre prossimo, con i quali inizierà il centenario di san Giovanni della croce, a Segovia. Ci sembra, perciò, venerabile fratello nostro, che nessuno più di te sia adatto non solo per rappresentare in quell'occasione la nostra persona, a causa della tua pubblica autorità, ma anche per ripetere e confermare i nostri precisi sentimenti per questo salutare evento, che offrirà alla comunità carmelitana, alla nazione spagnola e alla Chiesa universale tante valide opportunità di rafforzare la loro fede e di accrescere la loro coscienza cristiana.

perciò, con questa lettera, noi ti nominiamo volentieri nostro messo straordinario per le solennità sopra ricordate, in occasione dell'apertura dell'anno giovanneo a Segovia. Sarai presente in vece nostra, così come noi eravamo presenti li tempo addietro, e porterai a tutti i partecipanti il nostro saluto, come se parlassi per bocca nostra: alla sacra gerarchia, come alla comunità di vita religiosa e laica, nonché agli studiosi di letteratura e di mistica; ad essi poi porterai le nostre parole di esortazione a perseguire lodevolmente un così alto ideale religioso e comunicherai la nostra benedizione apostolica, quale auspicio di ricevere dal cielo luce e forza, affinché da questa celebrazione si raccolgano copiosissimi frutti di salvezza e di grazie.

Città del Vaticano, 4 novembre 1990, anno tredicesimo del nostro pontificato.

Data: 1990-11-04

Domenica 4 Novembre 1990

Beatificazione di quattro religiose - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Hanno incarnato nella vita il primo e più grande comandamento del Vangelo: l'amore di Dio

"Chi rimane in me, e io in lui, fa molto frutto" (Jn 15,5).


1. Il maestro buono parla in parabole. Oggi la liturgia ci ricorda la parabola della vera vite e dei tralci. Dal testo evangelico di Giovanni notiamo che è stata narrata da Cristo nel cenacolo, dopo l'istituzione dell'Eucaristia, quand'egli stava per andare al Padre attraverso la Pasqua della sua morte e risurrezione.

Da quel momento le parole di Cristo: "Rimanete in me e io in voi" (Jn 15,14) hanno acquistato un'importanza particolare, esse significano anche rimanete in me mediante l'Eucaristia, rimanete in me mediante il mistero del sacrificio redentore. "Chi rimane in me, e io in lui, fa molto frutto".

E' il frutto della santità


2. E' il frutto del regno di Dio. E' il frutto della santità. Nel corso di tante generazioni i santi hanno confermato pienamente la verità e la potenza di queste parole. Infatti essi hanno portato frutti abbondanti, perché sono rimasti in Cristo, vera vite.

Oggi al numero di coloro, di cui la Chiesa gioisce per la santità della loro vita, aggiungiamo i nomi delle serve di Dio: Marthe Aimée Le Bouteiller, Louise-Thérèse de Montaignac de Chauvance, Maria Schininà, Elisabetta Vendramini.

D'ora in poi la Chiesa potrà venerarle come beate, con grande consolazione delle comunità dalle quali esse provengono.

Estrema semplicità di una vita nascosta


3. "Sei tu il mio Signore. Senza di Te non ho alcun bene" (Ps 15,2). Queste parole del salmista, che la liturgia di questo giorno ha messo sulle nostre labbra, riassumono bene le aspirazioni ad una intimità senza fine con Dio che furono quelle della Sorella Marthe Le Bouteiller.

Desiderosa di donarsi totalmente al Signore e agli altri, ella entro nella Congregazione fondata da Maria Maddalena Postel e per la totalità delle sue occupazioni quotidiane alla cucina, alla fattoria, ai campi, alla cantina, ella condusse una vita d'unione a Dio, facendo "grandemente le piccole cose", seguendo una massima cara alla fondatrice: "Facciamo il massimo bene possibile nascondendoci il più possibile". Suor Marthe ha saputo trovare nella sua vita nascosta con il Cristo l'anima del suo apostolato della bontà: "Se uno rimane in me ed io in lui, questo porta molto frutto perché senza di me non potete far nulla" (Jn 15,5). Molto unita alla santa fondatrice e alla beata Placide Viel, la "buona" Suor Marthe ha vissuto le sue umili mansioni con una qualità d'amore che suscita lo stupore.

Possa questa nuova Beata attrarre le giovani generazioni d'oggi e di domani a scoprire la gioia del dono di sé al Signore nella consacrazione religiosa. Possa ella aiutarli a comprendere la preminenza della vita spirituale per prendere parte all'edificazione della Chiesa e per condurre un'azione feconda al servizio degli uomini! I nostri contemporanei hanno bisogno d'incontrare sul loro cammino dei volti che manifestino la felicità autentica che porti all'intimità con Dio. Suor Marthe, in verità sorella della Misericordia, ha saputo irradiare attorno a lei l'amore di Dio. L'estrema semplicità della sua esistenza non ha impedito alle sue sorelle di riconoscere in lei una reale autorità spirituale. Ella ha portato frutto per la gloria del Padre: "Il Padre mio è glorificato in questo: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli" (Jn 15,8).

Ardente spirito apostolico. Devozione al cuore di Gesù


4. Nella seconda lettura di questa Messa, San Paolo raccomanda di accogliere la parola di Dio "ma com'è veramente, quale parola di Dio ed essa mostra la sua efficacia in voi che avete creduto" (1Th 2,13).

E' in questo spirito che Louise Thérèsa dè Montaignac di Chauvance, fondatrice delle Oblate del Cuore di Gesù, si impegna fin dalla sua gioventù del Vangelo e anche dei salmi, queste magnifiche preghiere, ricche di rivelazioni su Dio e sull'uomo, che la Chiesa tiene ad offrirci ogni giorno nella celebrazione dell'Ufficio Divino.

L'ascolto della Parola di Dio e la frequentazione dei sacramenti, in particolare dell'Eucaristia aiutano Louise Thérèsa a restare un tralcio vivente, seguendo ciò che Gesù ci dice nel Vangelo: "Rimanete in me ed io in voi" (Jn 15,4). "Dalla mia prima comunione io sono sempre restata sotto l'azione divina" confida ella. Figlia della Chiesa e donna nella Chiesa ella volle "servire il Signore, servire la Chiesa, ciò che è tutt'uno". Animata da un ardente spirito apostolico e sostenuta da una viva devozione al Cuore di Gesù, ella si mette all'opera in stretto legame col suo Vescovo, con i preti della sua parrocchia, con i fedeli laici. Ella fonda le Oblate che per la loro unione a Cristo e per la loro unione tra loro sono chiamate ad essere dei fermenti di unità.

All'uscita dal recente Sinodo dei Vescovi, consacrato all'importante questione della formazione dei preti, conviene nella circostanza solenne di questo giorno evocare il pensiero che Louise Thérèsa aveva a contribuire alla diffusione delle vocazioni sacerdotali. Per rispondere ai bisogni della Chiesa di allora, ella cerca di formare dei giovani aperti alla chiamata di Dio e a dargli un'istruzione di solida base al fine di aiutarli a risponderci.

Sappiamo, anche noi, svegliare le vocazioni e farle maturare.

Che questa liturgia di beatificazione rinnovi il nostro slancio missionario affinché laddove il Signore ci chiama a lavorare per il suo Regno noi doniamo "non solo il Vangelo di Dio ma anche la nostra stessa vita" (1Th 2,8).

Insieme domandiamo alla Beata Louise Thérèsa di Montagnac di Chauvance di aiutarci a "riconoscere l'amore del Cuore di Gesù e ricordarlo senza fine agli uomini", come ella ha così bene saputo farlo durante tutta la sua vita.

Contemplazione, adorazione, riparazione e vocazioni sacerdotali


5. Il cammino spirituale della beata Maria Schininà del Sacro Cuore prese le mosse dalla penetrazione profonda dell'amore di Dio, quale si rivela nel simbolo del Cuore di Gesù; per corrispondere a questo amore accentuo nella sua spiritualità la contemplazione, l'adorazione e la riparazione.

Disgustata dal lusso e dalle vuote cerimonie del suo palazzo gentilizio, diede inizio a una vita totalmente dedicata al servizio dei poveri, sull'esempio di Gesù, che nel suo amore per gli uomini si fece buon samaritano di ogni umana infermità.

I poveri per la beata erano gli ammalati e gli anziani, gli ignoranti, i bisognosi di istruzione, i minatori delle miniere di bitume e di zolfo che non conoscevano Dio e abbisognavano di catechismo, i carcerati, ai quali la beata predicava corsi di esercizi spirituali per la Pasqua; le peccatrici pubbliche, che si mostravano quanto mai sensibili alle sue iniziative caritatevoli.

La beatificazione della Schininà nei piani della Provvidenza viene celebrata all'indomani della conclusione del Sinodo episcopale sulla formazione sacerdotale. La beata fu valido sostegno per numerosi sacerdoti, che ella serviva e venerava come ministri della Riconciliazione e dell'Eucaristia. Quanti sacerdoti furono da lei protetti spiritualmente nella vocazione e aiutati anche economicamente durante la vita di seminario! Questa testimonianza di eroica carità evangelica è il "frutto" che la beata Schininà ha potuto portare nella Chiesa e nella società perché è "rimasta" intimamente unita al Signore. Il suo carisma resta sempre vivo e attuale, perché è presente e operante provvidenzialmente nelle mille forme di apostolato delle sue Figlie: le Suore del Sacro Cuore di Gesù.

Unione profonda con Gesù e amore verso i poveri


6. Anche la figura della beata Elisabetta Vendramini si inserisce nella dinamica spirituale che ha come fulcro centrale l'"unione" profonda con Gesù e l'amore verso i poveri, i quali sono i protagonisti di tante pagine del Vangelo. Le parole del Signore: "Sento compassione di questa folla, perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare" (Mc 8,2) segnarono profondamente il cuore della beata Elisabetta sin dalla sua prima giovinezza, quando avverti forte l'ispirazione di consacrarsi totalmente al Cristo e al servizio dei poveri.

Abbandono senza esitare gli agi della vita familiare e sociale per dedicarsi alle ragazze abbandonate e ai bisognosi dei quartieri più emarginati.

In questa sua opera Elisabetta traeva ispirazione e forza dall'Alto e dal suo forte spirito di orazione. Religiosa di raffinata sensibilità contemplativa, la beata si perdeva nella meditazione del Mistero della Santissima Trinità, cogliendone il dinamismo dell'incarnazione del Verbo, per arrivare, quindi, alla lode e all'ammirazione del Cristo povero e crocifisso, che riconosceva e serviva, poi, nei poveri tanto amati.

Dal cielo oggi Elisabetta esorta tutti coloro che vogliono efficacemente aiutare i fratelli nell'anima e nel corpo a trarre forza dalla fede in Dio e dalla imitazione di Cristo. Ella in questo si dimostro un fecondo germoglio della spiritualità francescana. Di san Francesco ella imito soprattutto la vita povera, la fede sicura e semplice, e l'amore a Cristo crocifisso.

La beata Vendramini ci insegna ancora che dove è più forte e sicura la fede, là sarà più audace lo slancio della carità verso il prossimo. Dove è più percepito il senso di Cristo, là sarà più preciso e fattivo il senso delle necessità dei fratelli.

Oggi la Chiesa gioisce


7. "Tu amerai" (Dt 6,5). Abbiamo guardato le figure delle nuove Beate. Ciascuna di esse ha incarnato nella vita questo primo e più grande comandamento del Vangelo: l'amore di Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza (Mc 12,30) e l'amore effettivo verso l'uomo-prossimo. L'amore che - particolarmente in queste beate - ha i tratti femminili, materni, così come viene messo in rilievo dalla prima lettera ai Tessalonicesi. Proprio con la potenza di tale amore sono rimaste in Cristo e Cristo in esse. Ed hanno portato molto frutto.

Oggi la Chiesa gioisce perché con questo frutto la beata Marta, la beata Teresa, la beata Maria e la beata Elisabetta hanno glorificato il Padre celeste.

E' la gloria della comunione dei santi. La gloria vivificante per la Chiesa sulla terra.

Queste religiose ci parlano dell'amore di Cristo, dell'amore che unisce la vite e i tralci. E perciò insieme a lui gridano: "Rimanete nell'amore" (Jn 15,10). Amen!

Data: 1990-11-04

Domenica 4 Novembre 1990


GPII 1990 Insegnamenti - Ai rappresentanti delle comunità polacche all'estero - Città del Vaticano (Roma)