GPII 1990 Insegnamenti - Omelia alla Messa - santuario mariano di Barmasc (Aosta)


1. Come la pioggia irrora la terra, così Iddio con la sua grazia ridà vigore all'uomo schiacciato dal peso del peccato e della morte. Egli è fedele e mantiene sempre la parola data. Nessuna potenza riuscirà a frenare la forza irresistibile della sua misericordia.

Carissimi fratelli e sorelle, le parole del Deutero-Isaia, che abbiamo ascoltato nella I lettura, sottolineano in modo significativo la promessa che Jahvè rinnova a Israele afflitto e disorientato. Esse si rivolgono anche a noi come richiamo alla speranza e come stimolo alla fiducia. Si rivolgono all'uomo del nostro tempo, assetato di felicità e di benessere, che va in cerca della verità e della pace, ma che, purtroppo, sperimenta la delusione dell'insuccesso.

Le parole del profeta sono un invito a credere che Iddio può ribaltare ogni situazione, anche la più drammatica e complessa. Chi, infatti, può contrastare il suo agire? Egli, che è onnipotente e buono, ci abbandonerà forse alla nostra fragilità o ci lascerà vagare in balia della nostra infedeltà?


2. Nei testi biblici di questa XV Domenica del Tempo ordinario, l'Onnipotente ci appare rivestito di tenerezza e di attenzione, prodigo verso l'umanità dei doni della salvezza. Egli accompagna con pazienza il popolo che si è scelto; guida fedelmente nei secoli la Chiesa "nuovo Israele dell'èra presente, che cammina alla ricerca della città futura e permanente" (LG 9). Parla e agisce, dona senza misura e senza pentimento, interviene nelle nostre quotidiane vicende anche quando siamo deboli e non corrispondiamo al suo amore gratuito e generoso.

L'uomo, pero, ha la tremenda possibilità di rendere vana l'iniziativa divina e di rifiutare il suo amore. Il nostro "si", adesione libera alla sua proposta di vita, è indispensabile perché il progetto di salvezza si compia in noi.


3. Riflettiamo sulla parabola del seminatore. Essa ci aiuta a meglio comprendere questa provvidenziale realtà e a ponderare saggiamente il peso della responsabilità che incombe su ciascuno nel far maturare il seme della Parola, largamente diffuso nel nostro cuore. Il seme di cui parliamo è la parola di Dio; è Cristo, il Verbo del Dio vivente. Si tratta di un seme, in sé fecondo ed efficace, sgorgato dalla fonte inesauribile dell'Amore trinitario. Tuttavia, il farlo fruttificare dipende da noi, dipende dall'accoglienza che ad esso ognuno riserva.

Spesso l'uomo è distratto da troppi interessi; gli giungono da ogni parte innumerevoli richiami e gli è difficile distinguere, tra tante voci, quella dell'unica Verità che rende liberi.

Occorre, cari fratelli, diventare terreno disponibile senza spine né sassi, ma dissodato e sarchiato con cura. Dipende da noi essere quella terra buona, nella quale "il seme dà frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta" (Mt 12,23). Quanto grande è allora la responsabilità del credente! Quanto numerose sono le opportunità offerte a chi accoglie e conserva questo mistero! Beato colui che apre tutto se stesso a Cristo, seme che feconda la vita! Vi esorto, carissimi fratelli e sorelle, a crescere nel desiderio di Dio, vi incoraggio ad accogliere generosamente l'invito che ci rivolge l'odierna liturgia. Possiate sempre corrispondere agli impulsi della grazia e recare frutti abbondanti di santità.


4. Sono grato a tutti coloro che mi hanno reso possibile celebrare l'Eucaristia in questo santuario di Barmasc. Ringrazio il vescovo di Aosta, mons. Ovidio Lari, vostro amato pastore. Rivolgo un pensiero e un ringraziamento ai vescovi ospiti qui presenti come anche un pensiero deferente a tutte le autorità presenti, al presidente della Giunta regionale, al sindaco di Ayas, abbraccio spiritualmente tutti voi, intervenuti a così raccolta celebrazione eucaristica.

Fa da sfondo al nostro incontro questa incantevole conca alpina della Valle di Ayas, percorsa dal torrente che sgorga dai maestosi ghiacciai del Monte Rosa. Ci guarda benedicente la Madonna del Monte Zerbion. A non grande distanza da qui, svetta superbo il Monte Cervino che 125 anni fa, tre giorni dopo la conquista da parte dell'inglese Edward Whymper e delle guide svizzere e francesi, fu raggiunto dal versante italiano dalla cordata tutta valdostana composta da Jean-Antoine Bich, Jean-Augustin Meynet e dall'abate Amé Gorret, tutti di Valtournenche.

Tutto porta a volgere lo sguardo verso i cieli, tutto incoraggia a invocare Maria, la Madre di Dio, che ha corrisposto fedelmente al volere dell'Altissimo. In questo suggestivo santuario, costruito in epoca anteriore al XVII secolo, la Vergine è venerata sotto il titolo di "Bon Secours". A lei, sin da tempi antichi, hanno iniziato ad accorrere numerosi fedeli per implorare il dono della pioggia e del tempo favorevole alla campagna, mossi dalla certezza di essere esauditi. Anche noi, oggi, condividiamo quella stessa fiducia. Ma oltre la pioggia che ristora la terra, ci è necessaria un'altra più importante pioggia "sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna" (Jn 4,14).

Se viene a mancare questa acqua soprannaturale, il cuore dell'uomo diventa un deserto, arido e infecondo. Si rischia allora la morte dello spirito.


5. Il mondo, "sottomesso alla caducità" (Rm 8,20), grida che ha sete di Cristo.

Invoca la pace, ma non sa dove trovarla pienamente. Chi potrà trasformare questo terreno sassoso e pieno di rovi in campo ubertoso, se non la pioggia e la neve che scendono dall'alto? "Virgo potens, erige pauperem - Vergine potente, innalza il povero".

Questo fu il motto di mons. Giuseppe Obert, missionario e poi vescovo in India, di cui ricorre proprio quest'anno il centenario della nascita e la cui modesta abitazione si trova a pochi metri da qui.

E' vero: la Vergine sostiene il povero che in lei confida. Aiuta il cristiano, giorno dopo giorno, a seguire i passi di Gesù, a spendere per lui ogni risorsa fisica e spirituale, realizzando in tal modo la missione affidatagli con il battesimo. Il credente diventa, così, a sua volta, un seme di vita offerto, insieme a Cristo, per la salvezza dei fratelli.


6. "La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio" (Rm 8,19). L'umanità invoca aiuto e cerca sicurezza. Tutti abbiamo bisogno della pioggia della misericordia, tutti aspiriamo ai frutti dell'amore.

Dio continua a visitare la terra benedicendo i suoi germogli e sicuramente porterà a termine l'opera iniziata. Lo stupendo panorama, che qui contempliamo, ci parla della sua eterna fedeltà. Ci parla anche della ricchezza dei suoi doni. Nel silenzio di queste vette, Dio si manifesta dall'alto e "mostra agli erranti la luce della sua verità perché possano tornare sulla retta via" ("Collecta"). Ci mostra Gesù Cristo, il suo Verbo eterno. Lo mostra e ce lo offre nell'Eucaristia; ce lo offre per le mani di Maria, sua Madre, nostra Madre.

Vergine del Bon Secours, intercedi per noi. Amen.

Data: 1990-07-15

Domenica 15 Luglio 1990

All'"Angelus Domini" - santuario mariano di Barmasc (Aosta

Titolo: La Madonna del Buon Soccorso protegga tutti gli uomini

"Monti e colline, lodate il Signore" (Da 3,75).


1. Con queste parole del Cantico dei tre giovani nel libro del profeta Daniele, che si intonano al suggestivo paesaggio che ci circonda, vogliamo elevare la preghiera dell'"Angelus" alla Vergine santissima, tanto venerata in questo santuario di Barmasc sotto il titolo di Madonna del "Bon Secours".

La devozione a questa antica immagine ha attirato da secoli, e attira tuttora numerosi pellegrini, i quali si recano qui per lodare la Madre di Dio e per invocare aiuto e protezione. Resta famosa la storica processione del 1872, che parti da Chatillon, una cittadina del centro di questa valle, e raggiunse il santuario attraverso il ripido Col Portola e fece poi ritorno per l'aspro sentiero di Col Joux, prospiciente lo scenario di Saint-Vincent. E' un segno, questo, che la vostra pietà mariana non si arrende davanti agli ostacoli, pur di rendere onore alla Madonna, rappresentata nel tenero momento di porgere il latte al Bambino Gesù.


2. Mentre anche noi sostiamo qui in preghiera, il pensiero corre idealmente a tutti i santuari mariani che costellano questa Valle d'Aosta, le incantevoli località delle Alpi e l'intera penisola italiana. Non posso non menzionare, anche perché non lontana da qui, l'imponente statua della Madonna, eretta sul culmine del monte Zerbion dai reduci della grande guerra, e invocata col nome di "Stella Alpium".

Mi piace pensare che questi santuari mariani sono sorti sulle montagne quasi per riecheggiare la bella pagina del Vangelo di Luca, che ricorda il particolare della Vergine di Nazaret, la quale dopo l'annunciazione "si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda" (Lc 1,39).

Questa predilezione per la montagna, che è protesa per sua natura al cielo, assume un significato anche per i nostri giorni: è un invito a elevare lo sguardo verso l'alto, da cui - secondo il Salmista - viene l'aiuto divino: "il Signore mi ha esaudito dal suo monte santo" (Ps 3,5).


3. Anch'io godo qui di questa atmosfera spirituale. Vi sono grato per la possibilità che mi è data di trascorrere un momento di riposo così gratificante e corroborante, in vista del lavoro che mi attende.

Auguro anche a voi un sereno periodo di ristoro, mentre saluto tutti: residenti e turisti. Vi affido all'intercessione della Madonna del "Bon Secours"; a lei offrite i vostri cuori; invocatela perché protegga i vostri bambini e i vostri giovani, gli anziani, i malati e gli emarginati che vivono spesso nella solitudine e nell'abbandono.

La Madonna del Buon Soccorso, la Stella delle Alpi, dai suoi santuari celebri o umili protegga tutti voi e tutti gli uomini.

Data: 1990-07-15

Domenica 15 Luglio 1990

La visita alla comunità parrocchiale - Introd (Aosta)

Titolo: Profonda gratitudine a Dio per la bellezza del creato

Saluto cordialmente la vostra comunità, la parrocchia, nel nome del nostro Signore Gesù Cristo. Sia lodato Gesù Cristo. Vi ringrazio per questa accoglienza, qui nella stessa chiesa nella quale ci siamo riuniti un anno fa. E' vero, ho detto queste parole: "chi vivrà vedrà" e si può dire che queste parole avevano qualche forza profetica. "Chi vivrà vedrà". Dobbiamo pensare anche a tutti coloro che non vivono più dopo questo anno e dobbiamo ricordare e anche raccomandare le loro persone, le loro anime all'onnipotenza misericordiosa di Dio. Nello stesso tempo oggi posso dire che c'è un'altra prova della vostra parrocchia, una prova delle virtù: l'ospitalità e anche una certa pazienza. Si sa bene che gli ospiti sono molto cari, ma se vengono troppo spesso possono diventare anche difficili. Allora io prendo in considerazione anche questo aspetto per lodare la vostra virtù, la virtù della pazienza per questa seconda volta. Vi ringrazio per questa virtù. Non so se potremo ancora provare questa virtù in futuro, ma certamente questa volta si dimostra già una virtù provata. D'altra parte si può dire che il Papa essendo pastore deve anche provare le virtù della comunità cristiana; del suo ovile. Se questo accade nelle diverse parrocchie di Roma dove il Papa è vescovo, si capisce.

Se questo accade per la seconda volta in una parrocchia così lontana in Val d'Aosta, diocesi di vostra eccellenza, allora è un'altra cosa. Lo dico scherzando per mostrare anche un altro aspetto di questo nostro incontro. Quello principale è certamente l'aspetto della gratitudine. Si viene in Val d'Aosta, in questo ambiente montuoso, il più splendido in Europa, si viene per vivere una profonda gratitudine al Creatore per la bellezza della sua opera. Questa gratitudine viene accompagnata anche verso le persone, verso i nostri vicini, verso coloro che ci dimostrano la pazienza, ma soprattutto l'ospitalità, anzi la disponibilità ad accogliere ancora una volta questo ospite.

Ringrazio poi, naturalmente, per il dono della vostra presenza.

Ringrazio per questi doni significativi che mi avete portato oggi. Voglio benedire questi doni e voglio anche accogliere e conservare questi doni come segno di una comunione spirituale tra la mia persona e la vostra comunità. Auguro a questa comunità cristiana di crescere sempre più, di crescere sempre più nella grazia di Dio, nella maturità cristiana, nella vocazione cristiana. Oggi, dopo il Concilio Vaticano II, abbiamo gli occhi largamente aperti su tutte queste realtà che toccano la Chiesa nella sua dimensione universale e particolare, diocesana, ma anche in quella particolarissima che è sempre la parrocchia. Tutto questo auguro alla vostra parrocchia e al vostro parroco ringraziandolo per le sue parole.

Naturalmente ringrazio il signor sindaco come capo della comunità locale. Apprezzo molto la presenza del signor presidente della Regione, che è Regione autonoma, ha la sua importanza specifica nello Stato italiano.

Che il Signore benedica la vostra comunità, tutti i presenti e anche tutti coloro che non sono presenti per il momento. I vostri ospiti che abbiamo lasciato fuori, ma che abbiamo prima abbracciati e salutati.

Posso concludere con questa benedizione.

Data: 1990-07-15

Domenica 15 Luglio 1990



Ai dipendenti delle Ville Pontificie - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Essere buon grano nel campo della storia

(All'inizio della Messa:) Ci salutiamo come comunità di Castel Gandolfo, legata a queste Ville Pontificie. Qui essa lavora, vive. Salutiamo le persone, le famiglie, tutta la comunità. E ci salutiamo come una Chiesa. Per questo ci salutiamo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

In questo nome veniamo invitati a prendere parte alla vita della santissima Trinità, all'amore di Dio Padre, alla grazia del suo Figlio e nostro Signore Gesù Cristo e alla comunione dello Spirito Santo. Il nostro reciproco saluto diventa, nello stesso tempo, un invito divino. Questo invito ci rivolge la Chiesa: questo invito facciamo tutti noi come Chiesa. E seguendo questo invito come Chiesa tutti ci prepariamo a partecipare all'Eucaristia, questo grande mistero divino, divino-umano, mistero che esprime la Chiesa, che dà vita alla Chiesa e nel quale la Chiesa si esprime. Si esprime la Chiesa nella sua dimensione universale, si esprime la Chiesa in ogni sua dimensione particolare. Qui, oggi, si esprime questa nostra Chiesa di Castel Gandolfo.

Così ci prepariamo prima all'ascolto della parola di Dio, alla riflessione basata su questa parola di Dio dell'odierna domenica, e poi ad una cosa che trascende le nostre possibilità umane, una cosa che è pure grazia e che nello stesso tempo viene offerta da noi, viene attuata da noi. E' la nostra liturgia. Pero questa nostra liturgia, liturgia eucaristica, liturgia del mistero pasquale di Cristo è tutta un dono, un dono divino, un dono assoluto. Non c'è un dono maggiore di questo. Non c'è, non esiste un dono nel quale noi uomini possiamo realizzarci di più.

Ci prepariamo all'ascolto della parola di Dio, a partecipare all'Eucaristia in questo dono soprannaturale; ci prepariamo anche alla Comunione perché l'invito divino dell'Eucaristia, l'invito di Cristo è sempre lo stesso dell'ultimo giorno prima della sua passione, sempre lo stesso dell'ultima cena a Gerusalemme. La prima Comunione e l'odierna Comunione. Facciamo un legame tra le due, tra i due eventi, tra i due misteri, tra quella Comunione dei Dodici e la Comunione della nostra comunità di Castel Gandolfo. Poi, alla fine, ritorniamo, riassumendo tutto, alla benedizione che la Comunione eucaristica porta con sé e offre a ciascuno di noi.

(Dopo la proclamazione del Vangelo:)


1. La liturgia di questa domenica - come abbiamo sentito - chiama tutti a una forte riflessione: infatti, la parabola del buon grano e della zizzania, che Gesù stesso ha voluto spiegare, esprime il vero e unico significato della storia umana.

Gesù afferma apertamente che, purtroppo, esistono gli "operatori di iniquità", i "figli del maligno" che seminano la zizzania nel corso del tempo: questa semina drammatica e terribile è sotto i nostri occhi, come lo è stata nel passato. Indubbiamente, la libertà è un valore positivo, che dà alla persona umana la sua dignità, essendo creata a immagine e somiglianza di Dio, e perciò è data per conoscere, amare, servire Dio e il prossimo, meritando così la felicità eterna e infinita. Dall'uso negativo della libertà nasce la zizzania, che non può essere estirpata dal campo, perché non può essere eliminata la libertà. Qui sta veramente il dramma. Qui sta anche il mistero della storia umana! Dio ha creato l'uomo libero per renderlo degno della sua natura e della sua felicità eterna. Nel campo della storia dobbiamo essere il "buon grano", usando la libertà in modo positivo e costruttivo, secondo i disegni di Dio creatore e le direttive salvifiche della legge morale.


2. La parabola stessa e le altre letture proposte dalla liturgia di oggi ci dicono che il bene e il male, il buon grano e la zizzania, convivono e crescono insieme nel campo della storia, fino al suo termine. Certamente la storia avrà la sua conclusione e allora avverrà la definitiva separazione tra coloro che hanno voluto essere buon grano e coloro che hanno scelto invece di essere e di seminare zizzania. Dice Gesù: "La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell'Uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro" (Mt 25). Non possiamo non vedere che sono parole molto forti; sono parole severe, ma sono anche molto consolanti, consolanti se fanno riflettere: ecco tutti, ciascuno siamo creature di Dio e dobbiamo sottostare alla sua volontà, sottostare umilmente, ma soprattutto sottostare amorevolmente. I due umilmente e amorevolmente vanno sempre insieme.


3. Durante lo svolgersi della storia, e quindi praticamente durante il tempo della nostra esistenza terrena, dobbiamo sforzarci sempre di essere il buon grano! Certamente la zizzania, con la sua diffusione, impressiona e spaventa. E tuttavia Gesù afferma, ancora, che il regno dei cieli, all'inizio piccolo come un granellino di senape, si è dilatato ed è diventato un grande albero: l'albero della Chiesa, albero della grazia, che tutti invita alla Verità e tutti accoglie; il regno dei cieli è come il lievito, nascosto nella pasta, che mantiene vivo il bene e lo fa fermentare nelle nostre anime.

Per quanto possa essere vasta e violenta l'opera della zizzania, non dobbiamo mai perderci d'animo, perché il regno dei cieli è fra di noi, è nelle nostre anime mediante la grazia santificante, mediante la grazia sacramentale, anche mediante il magistero della Chiesa autentico e perenne, magistero che ci guida e ci illumina mediante l'esempio dei santi e le buone ispirazioni che il Signore stesso ci elargisce. Essere "buon grano" e "seminare buon grano" nel campo della storia è una grande dignità e un ideale supremo che rende la vita cristiana, umana, bella e la rende impegnata; dona serenità ed entusiasmo, dà consolazione e conforto, specialmente nei momenti più difficili come anche nelle decisioni più importanti.


4. Ecco la parabola del buon grano e della zizzania; questa parabola mette in evidenza il dramma e il mistero della storia, in cui agisce l'uomo, agisce la libera volontà creatrice di Dio e redentrice di Dio e agisce la libera volontà dell'uomo.

Nelle difficoltà e nelle complicazioni della vita, scriveva san Paolo ai Romani: "Lo spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26-27). così lo Spirito Santo viene in aiuto alla nostra debolezza.

Dopo questa riflessione sulla parola di Dio dell'odierna liturgia domenicale ci prepariamo a confessare la nostra fede recitando il Credo.

(Prima della benedizione conclusiva:) Fratelli e sorelle, siamo pervenuti alla conclusione della nostra celebrazione eucaristica. E' molto giusto quanto avete espresso nel canto "Resta con noi". L'Eucaristia non è solamente per celebrare, per far passare, ma per rimanere. Rimane attraverso la Comunione. Ringraziamo per la Comunione che ci ha resi uno nello Spirito Santo con Cristo, nostro Redentore, Cristo crocifisso e risorto, e ci ha resi in Cristo uno con suo Padre, con nostro Padre che è nei cieli. Ringraziamo per questa Comunione come conferma che lui, nostro Signore, Redentore, Cristo vuole rimanere con noi.

L'ultima parola della liturgia eucaristica è la benedizione. All'inizio ci siamo salutati tra noi, abbiamo accettato l'invito della santissima Trinità.

Adesso, terminando, accettiamo la benedizione, la parola conclusiva, parola forte, parola creatrice. Questa benedizione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ci conferma nella comunione con lui. Lo fa presente nella nostra vita e ci porta avanti verso la strada sulla quale Cristo ci introduce sempre, ogni giorno della nostra vita e specialmente in questo giorno che si chiama "Dies dominica", il Giorno del Signore.

Data: 1990-07-22

Domenica 22 Luglio 1990

All'Angelus - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Educare i seminaristi all'obbedienza verso l'autorità

L'"Angelus" ci fa pronunciare le parole, con le quali la Vergine Maria ha espresso la sua completa docilità al progetto divino sulla sua vita. Ponendosi a totale disposizione di Dio, ella annunciava l'obbedienza di colui che doveva venire sulla terra come inviato dal Padre, sottomettendosi continuamente alla sua volontà.

La Lettera agli Ebrei (5,8) sottolinea il valore di questa obbedienza del Figlio di Dio nell'entrare in questo mondo e nell'offrire il suo sacrificio: con la sua sofferenza, il Cristo sacerdote ha fatto l'esperienza dell'obbedienza, e la sua obbedienza di Figlio è stata all'origine delle grazie da lui ottenute per la salvezza dell'umanità.

Si comprende così l'importanza dell'obbedienza nella vita sacerdotale.

"Tra le virtù che più sono necessarie nel ministero dei presbiteri - dice il Vaticano II - va ricordata quella disposizione d'animo per cui sempre sono pronti a cercare non la soddisfazione dei propri desideri, ma il compimento della volontà di Colui che li ha inviati" (PO 15). Coloro che si preparano al sacerdozio devono dunque essere formati a questa fondamentale conformità alla volontà del Padre. Il prossimo Sinodo non mancherà di ricordarla.

Il Concilio ha particolarmente insistito sulla dimensione ecclesiale dell'obbedienza dei presbiteri: "Il ministero sacerdotale, dato che è il ministero della Chiesa stessa, non può essere realizzato se non nella comunione gerarchica di tutto il corpo. La carità pastorale esige pertanto che i presbiteri, lavorando in questa comunione, con l'obbedienza facciano dono della propria volontà nel servizio di Dio e dei fratelli, ricevendo e mettendo in pratica con spirito di fede le prescrizioni e le raccomandazioni del Sommo Pontefice, del loro vescovo e degli altri superiori, dando volentieri tutto di sé in ogni incarico che venga loro affidato, anche se umile e povero" (PO 15).

Il Concilio aggiunge che con questa obbedienza i sacerdoti assicurano la loro unità non solo col capo visibile della Chiesa, ma con tutti i loro fratelli nel ministero, e nota come essa non intralci affatto lo spirito d'iniziativa e la ricerca di nuove vie nell'opera pastorale, a condizione che tale inventività si eserciti nella sottomissione all'autorità.

Il Vaticano II ha posto bene in luce i doveri reciproci dei vescovi e dei sacerdoti in questo delicato campo: ha raccomandato ai primi che, a motivo della loro comunione nello stesso sacerdozio e ministero, "abbiano i presbiteri come fratelli e amici, e stia loro a cuore, in tutto ciò che possono, il loro benessere materiale e soprattutto spirituale"; e ha ricordato ai presbiteri che, "essendo presente la pienezza del sacramento dell'Ordine di cui godono i vescovi, venerino in essi l'autorità di Cristo supremo pastore. Siano dunque uniti al loro vescovo con sincera carità e obbedienza" (PO 7).

In quest'ampia visuale teologica e ascetica, i seminaristi devono perciò ricevere una formazione che li abitui a questa disposizione di obbedienza verso l'autorità. Si tratta di un'obbedienza animata dalla fede, che nelle decisioni dell'autorità riconosce la volontà divina: un'obbedienza che non si realizza senza certi sacrifici, ma che cooperano alla fecondità del ministero sacerdotale, e soprattutto associano il sacerdote all'obbedienza, che ha caratterizzato il sacrificio della croce, e ai frutti di questo sacrificio.

Noi pregheremo Maria santissima, modello di docilità alla volontà divina, dal "fiat" dell'annunciazione alla maternità dolorosa sul Calvario, perché aiuti i candidati al sacerdozio ad entrare consapevolmente e gioiosamente nel mistero dell'obbedienza.

(Omissis: saluto a gruppi di pellegrini) (Ad alcuni pellegrini delle Filippine:) Con viva apprensione ho seguito le drammatiche notizie, provenienti dalle Filippine, sul violento terremoto che lunedi scorso ha colpito l'isola di Luzon. Sono vicino col cuore e con la preghiera a tutti coloro che sono coinvolti in questo tragico avvenimento. Invito tutti a invocare il premio eterno per i numerosi morti. Invito a portare aiuto ai feriti e a quanti sono rimasti senza tetto. Incoraggio a moltiplicare i gesti di solidarietà che cercano di portare soccorso, conforto e aiuto a quelle buone popolazioni in questo momento per esse di tanta sofferenza.

Data: 1990-07-22

Domenica 22 Luglio 1990



Messaggio per la Giornata mondiale delle migrazioni - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Sapiente azione per salvaguardare i migranti dal proselitismo

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Vorrei riflettere con voi in occasione della Giornata mondiale delle migrazioni su un problema che diventa sempre più preoccupante: il rischio, cioè, a cui sono esposti molti migranti di perdere la propria fede cristiana a opera di sètte e di nuovi movimenti religiosi in continua proliferazione. Alcuni di questi gruppi si definiscono cristiani, altri si ispirano alle religioni orientali, altri ancora risentono delle ideologie, per lo più rivoluzionarie, del nostro tempo.


2. Pur essendo difficile individuare una linea di contenuti comuni che li attraversi tutti, è possibile tuttavia delinearne la tendenza generale. In tali movimenti la salvezza è considerata per lo più come appannaggio di un gruppo minoritario, guidato da personalità superiori, le quali credono di avere un rapporto privilegiato con un Dio, di cui solo essi pretendono di conoscere i segreti. Anche la ricerca del sacro presenta contorni ambigui. Per alcuni si tratta di un valore superiore, verso cui l'uomo tende senza mai poterlo raggiungere, per altri invece esso è situato nel mondo della magia, e si cerca di attirarlo nella propria sfera per manipolarlo e ridurlo al proprio servizio.


3. Le sètte e i nuovi movimenti religiosi pongono oggi alla Chiesa una notevole sfida pastorale sia per il disagio spirituale e sociale in cui affondano le loro radici, sia per le istanze religiose, di cui sono strumento. Tali istanze, estrapolate dal contesto della dottrina e della tradizione cattolica, sono spesso portate a conclusioni ben lontane da quelle originarie.

Il diffuso millenarismo, per esempio, evoca le tematiche della escatologia cristiana e i problemi relativi al destino dell'uomo; il voler dare risposte di carattere religioso a questioni politiche o economiche denuncia la tendenza a manipolare il vero senso di Dio, cadendo di fatto nell'esclusione di Dio dalla vita degli uomini; lo zelo quasi aggressivo, con cui taluni ricercano nuovi adepti andando di casa in casa o fermando i passanti agli angoli delle strade, è una contraffazione settaria dell'ansia apostolica e missionaria; l'attenzione che si riserva al singolo e l'importanza che si attribuisce al suo apporto per la causa e lo sviluppo del gruppo religioso, oltre che rispondere al desiderio di valorizzare la propria vita sentendosi utile alla comunità di appartenenza, costituisce un'espressione deviata del ruolo attivo, proprio dei credenti, membra vive del corpo di Cristo, chiamati a operare per la diffusione del regno di Dio.


4. L'espansione delle sètte e dei nuovi movimenti religiosi ha di fatto alcuni settori strategici in cui concentra i suoi sforzi: fra questi vi sono le migrazioni. Per la situazione di sradicamento sociale e culturale e per la precarietà in cui versano, i migranti si trovano a essere facili prede di metodi insistenti e aggressivi. Esclusi dalla vita sociale del Paese di origine, estranei alla società in cui s'inseriscono, costretti spesso a muoversi al di fuori di un ordinamento oggettivo che tuteli i loro diritti, i migranti pagano il bisogno di aiuto e il desiderio di uscire dall'emarginazione, in cui sono di fatto confinati, con l'abbandono della loro fede. E' un prezzo che ogni uomo, rispettoso dei diritti umani, dovrebbe ben guardarsi dal chiedere o dall'accettare. Del migrante viene ad essere intaccata non solo la dignità umana, ma anche la positiva e rispettosa collocazione nell'habitat sociale che lo accoglie. E non danno certo prova di onestà e di sensibilità coloro che, pur avendo il dovere di attenuare per il migrante il trauma e il disorientamento derivante dall'impatto con un mondo estraneo alla propria cultura, si avvicinano a lui in un momento di profondo disagio, per circuirlo e strumentalizzarlo.


5. I punti deboli, sui quali i nuovi movimenti religiosi fanno leva, sono la precarietà e l'incertezza. Su questi cercano di appoggiare la loro strategia di approccio. Si tratta di un insieme di attenzioni e di servizi, resi al fine di far abbandonare all'emigrante la fede che professa affinché aderisca a una nuova proposta religiosa. Presentandosi come unici detentori della verità, essi asseriscono la falsità della religione che il migrante professa e pretendono da lui un brusco e immediato cambiamento di rotta.

A nessuno sfugge che qui si tratta di una vera aggressione morale, alla quale non è facile sottrarsi in forme civili, poiché la loro foga e insistenza sono assillanti.


6. L'insegnamento delle sètte e dei nuovi movimenti religiosi, cari migranti, si oppone alla dottrina della Chiesa cattolica, per cui aderirvi significherebbe rinnegare la fede nella quale siete stati battezzati ed educati.

Il Vangelo, se esorta ad essere semplici come colombe, invita anche ad essere prudenti e accorti come serpenti. La stessa vigilanza che ponete nel trattare gli affari materiali, al fine di non rimanere vittime dei raggiri di eventuali profittatori, deve guidarvi per non cadere nella rete delle insidie di chi attenta alla vostra fede. "Fate attenzione e non lasciatevi ingannare da nessuno", ammonisce il Signore. "Molti verranno e cercheranno di ingannare molta gente... allora se qualcuno vi dirà: ecco il Cristo è qui, ecco è là! Non fidatevi. Perché sorgeranno falsi profeti e falsi cristi" (Mc 13,6-7 Mc 13,21-22). E ancora: "Attenti ai falsi profeti! Che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Li riconoscerete dai loro frutti" (Mt 7,15-16).


7. Altri motivi, che possono indurre ad accogliere le proposte di tali nuovi movimenti religiosi, sono la poca coerenza con cui alcuni battezzati vivono il loro impegno cristiano; e anche il desiderio di una vita religiosa più fervorosa, che si pensa di sperimentare in una determinata setta, quando la comunità che si frequenta sia scarsamente impegnata.

Ma è un inganno. Dal disagio interiore sopra accennato si esce infatti mediante una vera conversione, secondo il Vangelo, e non aderendo acriticamente a gruppi del genere adottando riti religiosi che col rumore delle parole, nascondono l'inerzia del cuore. Occorre dunque un serio rinnovamento spirituale e una coerente adesione alla volontà di Dio, alla sequela di Cristo, mentre invece è fuorviante osservare un qualche isolato e stravagante precetto, dal quale si fa dipendere il proprio destino di vita o di morte.


8. La Chiesa è chiamata a svolgere un ruolo di accoglienza e di servizio verso i migranti. La condizione di sradicamento in cui essi vengono a trovarsi e la refrattarietà con cui l'ambiente reagisce verso di loro tendono a relegarli di fatto ai margini della società. Proprio per questo la Chiesa deve rendere più intensa la sua azione, accrescere la sua vigilanza, mettere in atto con intelligenza e intuizione tutte le opportune iniziative per contrastare tale tendenza e ovviare ai rischi che ne conseguono. E' suo compito permanente contribuire a far cadere tutto quanto l'egoismo umano erige contro i più deboli.


9. Il migrante cattolico, ovunque arriva, si trova ad essere parte integrante della Chiesa locale. E' di essa membro effettivo, con tutti i doveri e i diritti conseguenti. L'accoglienza che questa gli riserva è una testimonianza e una verifica della sua cattolicità. Non vi sono stranieri nella Chiesa.

Con il battesimo, infatti, il cristiano appartiene a pieno titolo alla comunità cristiana del territorio nel quale egli risiede. Essa deve rivendicare tale appartenenza, non tanto per far valere diritti, ma per rendere servizio agli umili. La difficile situazione del migrante dilata il cuore all'accoglienza e spinge a rispondere con maggiore attenzione alle sue esigenze. Gli aspetti di precarietà, su cui puntano le sètte e i movimenti religiosi per tendere insidie alla fede del migrante, devono costituire per la Chiesa altrettanti motivi per accordare carattere prioritario all'attenzione e all'assistenza al migrante. Le prestazioni, che egli paga non raramente con la rinuncia alla sua fede, devono essergli offerte dalla Chiesa con gratuita sollecitudine, lieta di poter rendere servizio a Cristo stesso. Come Gesù è la trasparente immagine dell'amore del Padre, così la Chiesa deve essere immagine della tenerezza del Redentore per cui dovrebbe apparire evidente che la comunità, presso la quale il migrante arriva, è una comunità capace di accogliere e di amare. Che la comunità dei credenti in Cristo non mostri mai il volto triste di chi si sente disturbato nei suoi impegni e progetti quotidiani, ma esprima il volto gioioso di chi ha incontrato Cristo, atteso e riconosciuto nello straniero.

10. L'impegno promozionale è solo una delle componenti dell'azione pastorale. Non meno importante è la formazione cristiana mediante la proclamazione delle verità di fede e l'annuncio di quelle realtà ultime su cui punta la speranza cristiana.

Il migrante ne ha diritto e la Chiesa ha dovere di venire a lui incontro anche in questo. Non si tratta di una pastorale ordinaria, comune alla generalità dei fedeli, ma di una pastorale specifica, adatta alla situazione di sradicato, tipica del migrante che si trova costretto a vivere lontano dalla comunità di origine; una pastorale che deve tener conto della sua lingua e, soprattutto, della sua cultura nella quale esprime la sua fede; una pastorale che, come esige la Costituzione apostolica "Exsul Familia", "deve essere proporzionata alle necessità (dei migranti) e non meno efficace di quella di cui godono i fedeli della diocesi" (Pii XII, "Exsul Familia", tit. I, pars I).

11. Unica è la fede, ma il modo di viverla può variare a seconda delle diverse tradizioni culturali. Essa non può essere comunicata e sviluppata se non attraverso i molteplici canali della cultura umana. Ignorare tale esigenza e costringere il migrante a vivere la propria fede in forme che egli non sente come proprie, significa costringerlo all'autoemarginazione, con le conseguenze e i pericoli che ne derivano anche per la fede. Ciò vale non solo per le singole persone, ma anche per i gruppi, poiché la dimensione comunitaria è indispensabile all'esperienza della fede. E giova la presenza di comunità etniche trainanti, all'interno delle quali ogni individuo vive e si esprime.

12. Diversi sono gli strumenti operativi di cui la Chiesa dispone per rispondere a tale esigenza pastorale. Fra questi certamente il più importante e raccomandato è la parrocchia personale, della quale la stessa costituzione apostolica "Exsul Familia" esprime un giudizio positivo. "Tutti sanno il profitto che tali parrocchie, frequentate assiduamente dai migranti, hanno recato alle anime e alle diocesi e tutti le hanno in grande e meritata stima" (Pii XII, "Exsul Familia", tit. I, pars III).

Da un'analisi comparata fra i Paesi di lunga tradizione d'immigrazione risulta che le parrocchie personali hanno contribuito, più di altre iniziative, a salvaguardare la fede dei migranti dai tanti pericoli con i quali sono venuti in contatto. Le comunità etniche sviluppatesi con il tempo hanno notevolmente contribuito al rinnovamento e al consolidamento della Chiesa di accoglienza.

Cosicché si potrebbe affermare che una sapiente impostazione della pastorale dei migranti contribuisce a verificare le oggettive capacità della Chiesa locale di vivere nella sua integrità l'insegnamento di Cristo.

13. Cari migranti. "Siate saldi nella fede, coraggiosi e forti" (1Co 16,13).

L'esortazione dell'apostolo Paolo fa eco all'ammonimento del Signore che invita a stabilire la propria esistenza sulla roccia solida che è lui stesso. La salvezza è assicurata da Gesù, Figlio di Dio. Solo chi è saldamente radicato in lui può portare frutti che resistono alla usura di tutte le mode, comprese quelle delle sètte religiose. La gratitudine verso il dono di Dio, espressa mediante la risposta di una coerente vita cristiana, attira su di voi altri doni di comunione con lui e di perseveranza nel vostro fedele impegno cristiano. "Chi mi ama sarà amato dal Padre mio; anch'io lo amero e mi faro conoscere da lui" (Jn 14,21) e "a chi ha, sarà dato e vivrà nell'abbondanza" (Mt 25,29). Quanto più vi inoltrerete nel cammino della vita cristiana, tanto più vi metterete al riparo dalle insidie che attentano alla vostra fede.

La Vergine Maria, che avete imparato a conoscere e ad amare sin da bambini nelle vostre famiglie e alla quale certamente avete fatto ricorso tante volte nei momenti difficili, vegli su di voi e vi aiuti a percorrere con coraggio, fedeltà e costanza il cammino della perfezione cristiana intrapreso con il battesimo.

Vi benedico tutti di gran cuore nel nome della santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Dal Vaticano, 25 luglio 1990, dodicesimo anno di Pontificato.

Data: 1990-07-25

Mercoledi 25 Luglio 1990


GPII 1990 Insegnamenti - Omelia alla Messa - santuario mariano di Barmasc (Aosta)