GPII 1990 Insegnamenti - Ai vescovi di rito latino del Kerala in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Ai vescovi di rito latino del Kerala in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La dottrina sociale nella formazione di laici e sacerdoti

Cari fratelli vescovi.


1. Sono lieto di accogliere voi, i vescovi di rito latino delle diocesi del Kerala, in occasione del pellegrinaggio quinquennale presso le tombe degli apostoli Pietro e Paolo. La vostra visita oggi è un segno visibile della comunione nella fede apostolica che vi unisce al successore di Pietro che ha uno speciale mandato dal Signore nel confermare i suoi fratelli (cfr. Lc 22,32) e nel mostrare una preoccupazione particolare per tutte le Chiese (cfr. 2Co 11,28). La vostra presenza ricorda l'intera famiglia di Dio nello Spirito (cfr. Ep 2,19) che è nel Kerala e per la quale noi non dobbiamo mai cessare di rendere grazie al Padre che "tutti i credenti in Cristo, li ha voluti chiamare a formare la santa Chiesa" (LG 2). Con l'affetto nel Signore vi chiedo di recare i miei saluti a tutto il clero, ai religiosi e ai laici affidati alla vostra cura pastorale.

Nell'adempimento del vostro ministero voi siete uniti l'un l'altro e con tutti i membri del Collegio episcopale in un legame di comunione gerarchica. Nel Kerala questa comunione è vissuta in mezzo a una diversità di riti, una diversità che arricchisce il popolo di Dio, ma lo chiama anche a una particolare forma di carità descritta in modo così bello da san Paolo quando scrive: "gareggiate nello stimarvi a vicenda" (Rm 12,10), "siate in perfetta unione di pensiero e di intenti" (1Co 1,10). Come vescovi vorrete fare tutto quanto è possibile per rafforzare l'unità, la carità e la pace, che sono i segni di quella comunione ecclesiale senza della quale la vostra testimonianza alla verità del Vangelo sarebbe debole e inefficace.


2. Durante la mia visita pastorale in India, quattro anni fa, fui in grado di osservare in prima persona la vitalità della comunità cattolica del Kerala. Ora la vostra visita "ad limina" ci ha offerto l'occasione di pregare insieme ancora per i bisogni delle vostre diocesi, rendendo grazie a Dio per i suoi doni e implorando dalla sua misericordia una crescita del significato dell'impegno per la santità di vita da parte dell'intera comunità cattolica.

Come vescovi voi siete pienamente consapevoli della vostra personale responsabilità per essere "sale" e "luce" in mezzo alla famiglia di Dio. Ai nostri giorni, quando così tante persone mostrano i segni della perdita di una genuina spiritualità, i pastori della Chiesa devono promuovere energicamente il senso della preghiera e dell'adorazione, la penitenza, il sacrificio, l'abnegazione, la carità e la giustizia. E attraverso la vita di grazia nelle anime che il piano di Dio per l'umana famiglia effettivamente si realizza e stabilisce il suo regno di verità e di amore (cfr. LG 8). Persino le difficili circostanze sociali e politiche nelle quali realizzate il vostro ministero pastorale non cambiano il fatto che voi e i vostri sacerdoti siete chiamati a essere soprattutto annunziatori della parola di Dio, ministri dei suoi sacramenti e guide certe sul sentiero del vivere cristiano. La vostra conformazione a Cristo nel sacerdozio - vera sorgente della vostra missione nella Chiesa - vi impone di guardare a lui per l'ispirazione e l'esempio. Come dice san Paolo, il vostro messaggio non appartiene alla sapienza del mondo (cfr. 1Co 3,19) ma è la proclamazione del Salvatore, è infatti il paradosso della croce (cfr. 1Co 1,18-25). Desidero incoraggiarvi dunque nel continuare a favorire in ogni modo la vita spirituale delle vostre comunità, includendo la corretta pratica della devozione popolare.


3. Soltanto se ogni Chiesa particolare e ogni comunità locale è forte nella fede e carica dell'amore evangelico potrà rispondere all'esigenza di base della sua vera natura, la sfida dell'evangelizzazione dalla quale nessun individuo e nessun gruppo nella Chiesa è esente. La mia recente lettera alla V Assemblea plenaria delle Conferenze episcopali asiatiche, tenuta lo scorso mese in Indonesia, ha cercato di attirare l'attenzione sul bisogno di una prima evangelizzazione.

Riconoscendo con gratitudine gli sforzi che voi state facendo a questo riguardo, vi chiederei di garantire che l'intera comunità cattolica sia chiara circa il fatto che "rappresenta una contraddizione del Vangelo e dell'autentica natura della Chiesa, asserire, come alcuni fanno, che la Chiesa è solo una via di salvezza tra le tante, e che la sua missione nei confronti dei seguaci di altre religioni non dovrebbe essere niente di più che un aiuto perché diventino seguaci migliori di queste religioni" (n. 4).

Naturalmente, la proclamazione della Chiesa di Cristo deve essere fatta con il rispetto per la libertà di coscienza di tutti. Devono essere rispettate le norme del dialogo, in cui la prudenza e la carità regnino, e i valori morali, spirituali e culturali presenti in altre tradizioni siano riconosciuti, preservati e promossi (cfr. NAE 2). Posso solo incoraggiare voi, i vescovi, a continuare a offrire la vostra saggia guida e il vostro comando su queste questioni.


4. Nei vostri rapporti sullo stato delle diocesi sono state toccate molte questioni di cui continuerà ad occuparsi la vostra attenzione. C'è comunque un aspetto importante della missione della Chiesa al quale è opportuno fare qui qualche riferimento, ossia il suo insegnamento sociale. Durante gli anni, la fede dei cattolici del Kerala ha fatto nascere abbondanti frutti nell'interesse reale per il bene degli altri, soprattutto i malati e coloro che la società relega in una povertà e in un disprezzo inqualificabili. Sia nelle sue istituzioni che nella vita dei singoli credenti, "la Chiesa in Kerala, con la sua tradizione di servizio nei campi educativo, medico, sociale, dello sviluppo e della carità, dà una luminosa testimonianza del messaggio del Vangelo" (Omelia a Cochin, 7 febbraio 1986, n. 3).

Allo stesso tempo è molto importante che una corretta educazione nella dottrina sociale della Chiesa sia parte integrale delle catechesi che so vi sforzate di impartire nel Kerala, soprattutto ai giovani e alle famiglie. Desidero lodarvi per il vigilante sostegno che date ai catechisti, come pure ai gruppi di famiglie e alle associazioni parrocchiali impegnate negli sforzi per diffondere la conoscenza della fede sia tra i cattolici che fuori della comunità cattolica.

L'insegnamento sociale della Chiesa enfatizza il legame inseparabile che esiste tra fede professata e fede vissuta. Nella formazione delle coscienze cristiane, la dottrina sociale dà origine "all'"impegno per la giustizia" secondo il ruolo, la vocazione, le condizioni di ciascuno" (SRS 41).

La formazione nell'insegnamento sociale della Chiesa è particolarmente importante per i laici delle vostre diocesi, poiché essi hanno una chiamata particolare a trasformare le realtà temporali dall'interno. Una solida conoscenza della dottrina sociale li aiuterà nel penetrare e perfezionare la sfera temporale con lo spirito del Vangelo (cfr. AA 2) e a portare testimonianza a "quei valori umani ed evangelici che sono intimamente connessi con l'attività politica stessa, come la libertà e la giustizia, la solidarietà, la dedizione fedele e disinteressata al bene di tutti, lo stile semplice di vita, l'amore preferenziale per i poveri e gli ultimi" (CL 42).

Attingendo alla loro fede in Cristo quando affrontano i mali che infestano la società, i fedeli laici del Kerala saranno in grado di offrire competenti alternative alle teorie e ai programmi ispirati dalle ideologie della lotta di classe o da un insufficiente rispetto per la dignità umana di tutti i cittadini, a prescindere dalla loro religione o condizione sociale.

Un corretto inizio nell'insegnamento sociale della Chiesa deve essere anche parte della formazione dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa.

Sono lieto di notare il progresso del Pontificio seminario Interrituale di San Giuseppe a Alwaye, che ha reso un eccellente servizio al senso di comunione e di missione tra i futuri sacerdoti del Kerala, e vi raccomando di assicurare che una valida istruzione nell'insegnamento sociale della Chiesa sia parte integrale del curriculum del seminario. Grazie al vasto numero di vocazioni è possibile per i sacerdoti e i religiosi della vostra regione lavorare in ogni parte dell'India.

Voi siete consapevoli per esperienza che affinché tale collaborazione con la Chiesa in altre regioni sia veramente fruttifera questi sacerdoti e religiosi necessitano di avere un buon insegnamento sull'universalità e l'apertura che hanno caratterizzato i grandi missionari in ogni epoca della vita della Chiesa.


5. Cari fratelli, in conclusione, desidero unirmi a voi nel rendere grazie a Dio per le sue abbondanti grazie e benedizioni, nonostante le numerose sfide e difficoltà che sono parte del vostro ministero in Kerala. Confido che la vostra testimonianza per la speranza e la consolazione offerta dal Vangelo troverà sempre espressione in un altruistico desiderio di promuovere il bene comune e la solidarietà reale con il povero. L'esempio del vostro impegno per l'ultimo dei vostri fratelli e delle vostre sorelle porterà molto avanti la continua missione della Chiesa di evangelizzare tra i popoli dell'India. Raccomando voi, i vostri sacerdoti, i religiosi e i laici all'amorevole protezione di Maria, Madre della Chiesa, pregando che "siate radicati e fondati nella carità" (Ep 3,17), e vogliate essere sempre rafforzati nella "grazia del Signore Gesù Cristo, nell'amore di Dio e nella comunione dello Spirito Santo" (2Co 13,13).

Data: 1990-08-21

Martedi 21 Agosto 1990



L'omelia alla Messa in suffragio del card. Luigi Dadaglio - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ha servito il Vangelo, la Chiesa nel mondo, le anime

"A mezzanotte si levo un grido: Ecco lo Sposo, andategli incontro!".

Signori cardinali, venerati fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, autorità, parenti e amici, carissimi fratelli.


1. L'acclamazione gioiosa del Vangelo quasi ci sorprende nella cerimonia che stiamo celebrando e che ci avvolge di mestizia: il nostro amato card. Luigi Dadaglio improvvisamente ci ha lasciati e noi, abituati a vederlo ricco di vitalità e di iniziative, semplice e affabile nel tratto, capace di instaurare un immediato rapporto di cordialità con l'interlocutore, stentiamo a pensarlo ora nell'immobilità della morte e naturalmente l'umana tristezza pesa sui nostri animi.

Eppure quel grido gioioso ben si addice a questo nostro fratello e trova eco di consolazione e di conforto nei nostri cuori. Il card. Dadaglio, pur così impegnato e fervoroso in tante attività, attendeva in pace l'incontro con Cristo.

Infatti, il 2 febbraio dell'anno scorso, festa della Presentazione del Signore, avvicinandosi al 75° anno d'età e vedendo approssimarsi il termine dell'esistenza terrena, così scriveva nel "Testamento spirituale": "E' per tutti incerto il futuro e può essere che sia prossimo Colui che deve venire "sicut fur et latro"...

Attendo serenamente il giorno dell'incontro con il Padre celeste, fiducioso che tutte le imperfezioni e le colpe dovute all'umana fragilità mi siano state perdonate dalla sua infinita misericordia".

Profondamente riconoscente a Dio per tutte le grazie avute e verso i Sommi Pontefici per la benevolenza dimostrata nei suoi confronti, egli attendeva in pace l'incontro con Dio, professando e praticando quella fede che era sempre stata la guida della sua vita e della sua attività pastorale.


2. E perciò mercoledi mattina, 22 agosto, memoria della Beata Vergine Maria Regina, quando d'improvviso il Signore lo chiamo a sé, egli "corse incontro allo Sposo", portando ben accesa la lampada della fede, dopo una vita spesa nell'amore di Dio, a servizio del Vangelo, della Chiesa, delle anime.

Intensa veramente è stata la vita del defunto cardinale. Nato a Sezzadio, in provincia di Alessandria, il 28 settembre 1914, ed entrato poi nel seminario di Acqui, ricevette l'ordinazione sacerdotale nel 1937. Dopo un'esperienza di attività parrocchiale, fu inviato dal suo vescovo a Roma, dove si laureo in "utroque iure" nel 1942, per poi iniziare il suo servizio presso la Segreteria di Stato. Molte furono le tappe di questo suo ministero ecclesiale e tutte impegnative ed esigenti. In esse egli poté far valere le sue doti diplomatiche, ma soprattutto la sua profonda sensibilità umana e sacerdotale. Il suo itinerario a servizio della Santa Sede lo porto nelle Sedi di Haiti e Repubblica Dominicana, degli Stati Uniti, del Canada, dell'Australia, della Colombia. Inviato poi in Venezuela, il 28 ottobre 1961 riceveva la nomina a nunzio apostolico e l'8 dicembre veniva consacrato vescovo. Durante la permanenza in Venezuela, oltre il lavoro pastorale per l'erezione di nuove diocesi, porto a termine l'accordo tra Santa Sede e Governo, che pose fine al sistema del "patronato ecclesiastico" in vigore da più di un secolo.

Nel 1967 Paolo VI trasferi l'arcivescovo Dadaglio alla nunziatura apostolica di Madrid: profondi mutamenti politici e sociali avvenivano in quella grande Nazione, e il Nunzio, con l'esperienza acquistata e con l'aiuto del buon carattere e del suo innato equilibrio, mantenne e intensifico i contatti con tutti i settori della vita religiosa e civile, favorendo il dialogo e promovendo con ogni impegno la missione evangelizzatrice e pacificatrice della Chiesa.

Nel 1980 fu chiamato a Roma come segretario della Congregazione per i sacramenti e il culto divino, incarico che mantenne fino all'aprile del 1984, quando lo volli nominare pro-penitenziere maggiore. Nel Concistoro del 25 maggio 1985 lo accolsi nel Collegio cardinalizio e nel 1986 lo nominai arciprete della patriarcale basilica di Santa Maria Maggiore. Come presidente del Comitato centrale per l'anno mariano, il card. Dadaglio svolse un'intensa azione a sostegno della devozione mariana e successivamente si dedico col suo caratteristico entusiasmo a una vasta opera di restauro della Basilica Liberiana, promovendo varie iniziative internazionali tese a reperire i fondi necessari per riportare il più antico tempio mariano di Roma all'originale splendore.


3. Questo era divenuto ora il suo massimo impegno: intrepido e coraggioso come sempre, lasciata la Penitenzieria, egli attendeva adesso con giovanile energia alla cura della sua basilica, desideroso di fare del tempio illustre un centro di fervida spiritualità in onore della Vergine santissima. Il Signore, proprio nella festa di Maria Regina, da lui venerata con filiale devozione, lo ha chiamato in cielo; "Sono stato fedele alla vocazione del Signore e ho lavorato al servizio della Sede apostolica con assiduità e spirito di sacrificio, con rettitudine e amore per il bene della Chiesa e dell'umanità": così scriveva nel "Testamento spirituale", con estrema semplicità e sincerità.

E chiunque l'ha conosciuto, può dargli atto della verità di queste parole e può quindi ripetere con fiducia, ripensando a lui, le parole di san Paolo: "Né morte né vita... né alcuna altra creatura potrà separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore" (Rm 8,38-39). Anche questo nostro fratello dovette talvolta bere al calice dell'amarezza e della sofferenza; ma seppe superare tali difficoltà, trovando nell'amore di Dio e nella devozione alla Vergine Santa la forza per conservare la pace del cuore.


4. Noi ora, ripensando alla sua testimonianza cristiana e sacerdotale, offriamo nella mestizia e nella speranza il sacrificio eucaristico in suo suffragio prima dell'ultimo addio! Caro card. Dadaglio, sempre così assiduo nei vari impegni e sempre desideroso di amare e di onorare la Chiesa e il Papa! Ogni vita e ogni morte portano un messaggio: che cosa possiamo e dobbiamo imparare noi dall'esperienza di questo nostro fratello? In un mondo spesso confuso e sconcertato, egli ha offerto sempre un esempio di fede profonda, sostenuta da una pietà sobria e severa, ha svolto con tutti una strategia di dialogo e di pace. Profondamente persuaso dell'infinita misericordia di Dio, che supera ogni problematica e ogni angoscia, egli ha cercato di farsene testimone in mezzo ai fratelli. Era convinto che è necessario soprattutto amare, capire le persone, aiutarle, venire incontro alle loro necessità, essere sensibili e premurosi. Comunque vadano le vicende della storia, gli uomini più che di critiche amare e deprimenti, hanno bisogno di bontà e di amore! Egli predicava e testimoniava la fiducia in Dio e il coraggio dell'amore! Questo è il messaggio che dobbiamo ascoltare e portare con noi, mentre continuiamo il nostro cammino col vivo ricordo della sua figura serena e affabile.

Nel gennaio del 1983, conferendo l'ordine del diaconato a due giovani e commentando il "credidimus charitati" di san Giovanni, disse loro: "Abbiamo creduto all'amore; l'apostolo non dice: abbiamo creduto ai miracoli..., ma "all'amore" di Gesù. La gente crederà anche a voi, se tratterete i fratelli con amore. Ricordatelo: l'amore, dono dello Spirito Santo, è il segno distintivo di chi rappresenta Dio sulla terra".

Ricordiamolo anche noi, ora, mentre preghiamo per lui e affidiamo la sua anima alla misericordia di Colui la cui onnipotenza si manifesta massimamente nel perdono.

Data: 1990-08-24

Venerdi 24 Agosto 1990

Ai vescovi di rito siro-malabarese e siro-malankarese in visita "ad limina" - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Originalità, unicità e trascendenza del messaggio cristiano

Vostre eminenze, cari fratelli vescovi.


1. Con profonda gioia spirituale saluto voi, pastori delle Chiese siro-malabarese e siro-malankarese in occasione della vostra visita "ad limina Apostolorum", attraverso cui, in aggiunta ai vostri momenti privilegiati di preghiera sulle tombe dei Principi degli apostoli, ancora una volta portate testimonianza all'unità, alla carità e alla pace che lega voi gli uni con gli altri e con il Pontefice Romano nella pienezza della comunione cattolica. Affinché realmente si dica che attraverso voi, il vostro padre nella fede, Tommaso, incontra Pietro e scambia con lui il "bacio santo" (2Co 13,12), per essere confortato e confermato nel servizio del Vangelo.

In voi saluto e abbraccio i sacerdoti e i religiosi che con voi collaborano nella costruzione della Chiesa, "la casa di Dio" (1Tm 3,15) i cui membri, mentre gioiscono della giusta libertà dei figli di Dio, sono uniti nei vincoli di fede e amore. In voi saluto anche i fedeli dei quali Cristo "il pastore supremo" (1P 5,4) ha affidato a voi la cura e per i quali dovete essere vigilanti guide, non solo per mezzo della parola ma anche per il vostro esempio di vita (cfr. 1P 5,3).


2. Tra i compiti del vostro ministero episcopale voi avete una speciale responsabilità per la costruzione e la salvaguardia dell'unità e dell'armonia della Chiesa di Dio. L'unità deve brillare fuori nella vita di ogni Chiesa particolare, così come tra i vescovi stessi che, come membri del Collegio episcopale e successori degli apostoli, sono chiamati per ordine di Cristo a essere solleciti per tutta la Chiesa. E' importante ricordare che "i singoli vescovi, invece, sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese particolari; queste sono formate a immagine della Chiesa universale" (LG 23). Nello stesso tempo, l'efficacia della vostra testimonianza del Vangelo, della vostra azione apostolica e della vostra spinta missionaria non sarà compromessa ma accresciuta dalla vostra comunione e collaborazione fraterne.

Cercate sempre di rafforzare questa unità, perché essa si riflette profondamente sulla vita dei vostri fedeli. Siate esemplari nella vostra testimonianza personale e nell'aderenza a quelle direttive che vi sono offerte con il desiderio e l'intento di costruire l'edificio della Chiesa di Cristo nella pienezza della sua cattolicità.

Questo vincolo di carità è manifestato in molti modi, ma è la liturgia che lo manifesta e lo realizza in modo eminente. Precisamente, poiché gli atti liturgici non sono funzioni private ma celebrazioni della Chiesa, che è "sacramento dell'unità" (SC 26), è necessario che tutti i fedeli siano interamente penetrati dallo spirito e dalla potenza della liturgia, e anche in questo voi siete chiamati ad essere modello per loro.

Sono compiaciuto di apprendere, cari fratelli, che regolarmente vi preparate per le vostre solenni assemblee attraverso numerosi giorni di ritiro annuale e di preghiera comune. Mentre invoco le benedizioni di Dio su tutti voi che state dando applicazione pratica ai vincoli di carità e unione ecclesiale, rinnovo la mia preghiera a vostro favore: "Affinché il centro di tutta la vostra sollecitudine pastorale siano l'unità e la comunione della Chiesa" (Lettera ai vescovi dell'India, 28 maggio 1987). Questa unità è dono di Dio per voi e, attraverso voi, per il mondo, soprattutto per la vostra Madre terra indiana con il suo vivido esempio di diversità etnica e culturale.


3. Nella mia memorabile visita apostolica in India nel 1986, è stata una grande gioia per me inaugurare la restaurata sacra liturgia o Qurbana della Chiesa siro-malabarese e beatificare padre Kuriakose Elias Chavara e suor Alfonsa. In quell'occasione fui in grado di percepire la forza di quello spirito di fede che anima le Chiese siro-malabarese e siro-malankarese. Questo quinquennio passato sarà ricordato nelle cronache siro-malabaresi anche per la celebrazione del centenario della fondazione dei due vicariati apostolici che hanno segnato la rinascita della vostra Chiesa apostolica e costituiscono le basi della vostra struttura ecclesiastica attuale. Con voi rendo grazie a Dio per le due nuove eparchie di Thamarasserry e Kalyan, create nel periodo successivo alla vostra visita "ad limina".


4. Riflettendo sul meraviglioso mistero della Chiesa universale e delle chiese o riti che compongono la sua varietà nell'unità, non posso mancare di esprimere la fervida speranza che la preziosa eredità della quale siete stati investiti sarà consegnata con rinnovata fedeltà e profondo impegno alle generazioni nascenti che comprendono sia i vecchi che i nuovi cristiani. Oggi più che mai, di fronte alla crescente secolarizzazione della vita che assolutizza i conseguimenti mondani e i successi effimeri, diventa ancor più necessario sottolineare l'originalità, l'unicità e la trascendenza del messaggio cristiano. Nessuna di esse ora si può dare semplicemente per scontata. I fedeli, sotto la guida dei loro vescovi, hanno bisogno di essere continuamente illuminati, catechizzati e fermamente radicati nella verità che è già loro (cfr. 2P 1,12).

Dalle relazioni quinquennali che voi avete sottoposto, ho capito quanto grande sia la vostra sollecitudine per mantenere e intensificare la vostra ricca eredità di vita cristiana assicurando un'appropriata formazione religiosa e incoraggiando lo studio della parola di Dio e la partecipazione attiva alla sacra liturgia. Questo contatto con le sorgenti sempre fresche della vita cristiana vi mette in grado di affrontare le sfide, le difficoltà e le opportunità del tempo presente e di portare avanti l'opera di Cristo per la salvezza del genere umano e di ogni singola persona, "nella sua unità e nella sua totalità, corpo e anima, cuore e coscienza, pensiero e volontà" (GS 3). Vi incoraggio quindi molto calorosamente, come pastori del gregge di Cristo, a continuare lungo il sentiero dell'autentico rinnovamento che lo Spirito Santo, attraverso il Concilio Vaticano II, ha delimitato per l'intero popolo di Dio e in particolare per le Chiese cattoliche orientali.


5. Non posso mancare di notare con profonda soddisfazione, come ho fatto in altre occasioni, la grazia che il Signore concede ai "cristiani di san Tommaso": la benedizione di numerose vocazioni al sacerdozio, alla vita religiosa e ad altre forme di vita consacrata. Questo è un segno che lo Spirito Santo sta operando tra di voi, soprattutto toccando il cuore dei vostri giovani e guidandoli ad avventurarsi sul sentiero della donazione totale di sé e del servizio sincero al regno di Dio in un modo di vita basato sulle domande radicali del Vangelo. Questi figli e figlie dell'apostolo dell'India sono impegnati nell'opera della Chiesa, non soltanto nelle loro Eparchie in Kerala e in altre regioni del vostro Paese, ma anche nelle diocesi di rito latino in India e all'estero. Alcuni servono il Signore all'interno della clausura monastica conferendo, attraverso la preghiera e il sacrificio costanti, fecondità al mistico corpo di Cristo (cfr. PC 7). Altri, più numerosi, sono impegnati nel ministero diretto nelle parrocchie e nelle zone di missione, nei centri di educazione nell'attività sanitaria e sociale, tutti manifestando in qualche modo le vaste ricchezze di quella carità che è riflesso dell'amore che è Dio stesso (cfr. 1Jn 4,8).

Il XXV anniversario del seminario apostolico di San Tommaso, caduto durante questo quinquennio, serve a richiamare la nostra responsabilità di vescovi nel campo della formazione sacerdotale. La Santa Sede ha promulgato un importante documento su questa questione vitale che merita particolare attenzione da una parte, includendo quelli pubblicati dalla Congregazione per l'educazione cattolica sugli studi interrituali, sugli studi patristici e sugli studi della dottrina sociale della Chiesa. Confido che continuerete ad essere vigilanti riguardo la situazione della formazione sacerdotale nei vostri seminari e nelle case religiose che sono nelle aree della vostra giurisdizione, operando gli uni con gli altri in uno spirito di comprensione fraterna e con il solo scopo di servire il bene della Chiesa. Il vostro contributo alla prossima sessione del Sinodo dei vescovi sull'argomento, certamente sarà di interesse per la Chiesa in genere.


6. La vita spirituale delle comunità non sarebbe così feconda com'è se gli ideali cristiani non fossero praticati e inculcati sin dalla prima età dall'unità sociale primaria, la famiglia che il Concilio Vaticano II ha chiamato la "Chiesa domestica" (LG 11). E la vostra eredità di una salda vita familiare e di un'esistenza centrata sulla Chiesa che ha salvaguardato e favorito la crescita della vostra fede durante tutti i secoli e vi ha permesso di continuare a risplendere con "la tradizione apostolica tramandata dai Padri, che costituisce parte del patrimonio divinamente rivelato e indiviso della Chiesa universale" (OE 1). Oggi questa stessa grazia vi rende capaci - infatti, vi "spinge" (2Co 5,14) - a gettare le vostre reti oltre i vostri lidi familiari e ad assumervi una sfera di responsabilità apostolica sempre maggiore all'interno della comunione cattolica, il cui centro è la Cattedra di Pietro.

La vostra sollecitudine nel provvedere alla cura pastorale dei fedeli che risiedono nelle altre parti del subcontinente indiano è stata coronata dalla fondazione dell'eparchia di Kalyan che, anche se è ancora in uno stato sperimentale, sta crescendo vigorosamente grazie allo zelo dei suoi vescovi e sacerdoti, al supporto della Conferenza episcopale, alla cooperazione dei vescovi di rito latino, e alla responsabilità degli stessi fedeli. Confido che sarà vostra costante premura sviluppare oltre la spinta missionaria delle vostre Chiese, agendo sempre per mantenere e rafforzare l'armonia e la cooperazione tra i vari riti, come imperativo divino e sola attitudine degna della vostra condizione di pastori.


7. Non c'è dubbio che il grande compito di fronte alla Chiesa oggi è quello perenne di proclamare il Vangelo a tutto il genere umano. La Chiesa è "per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce".

Questa prospettiva affido alla vostra coscienza ecclesiale nella presente decade degli anni che precedono il terzo millennio cristiano. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che, nella distribuzione attuale, la Chiesa non può evangelizzare senza che al contempo essa stessa voglia essere costantemente evangelizzata e convertita, ed essere ripetutamente richiamata al significato della sua vocazione e missione: perché "la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento" (LG 8).

Cari fratelli vescovi di rito siro-malabarese e siro-malankarese, vi lodo per i vostri zelanti sforzi volti ad alimentare le autentiche tradizioni delle vostre comunità ecclesiali con la dovuta sollecitudine pastorale e con l'attenzione alle condizioni del momento presente. Vi incoraggio nella promozione dell'apostolato dei laici e nel sostegno che date agli Istituti religiosi. Non abbiate paura delle difficoltà o della scarsità delle vostre risorse. Il Signore viene in aiuto alle vostre debolezze e vi sostiene. Perseverate, perché, "quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce" (1P 5,4). Possa Maria, Madre del Redentore, intercedere per voi e per le vostre amate Chiese siro-malabarese e siro-malankarese.

Data: 1990-08-25

Sabato 25 Agosto 1990

Ai congressisti di "Omnia Hominis" - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Una morte dignitosa celebra ed esalta la pienezza della vita

Illustri signori!


1. E' con vivo piacere che vi accolgo in occasione del Convegno Internazionale organizzato a L'Aquila dall'Associazione "Omnia Hominis". Nel rivolgervi il mio cordiale saluto, ringrazio il professor Carlo Casciani per il nobile indirizzo con cui s'è fatto interprete dei vostri pensieri e sentimenti, richiamandosi a concetti e a motivazioni che hanno la loro radice nelle più profonde aspirazioni umane e che trovano, come tali, nell'insegnamento della Chiesa puntuale e autorevole conferma.

L'attenzione ai problemi fondamentali dell'esistenza umana, particolarmente quando diviene ricerca scientifica delle soluzioni adeguate, è sempre meritevole di grande apprezzamento. La scienza in generale, e quella medica in particolare, assumono allora una nobiltà e un prestigio che ben possono aprire l'animo del ricercatore al riconoscimento e alla contemplazione del Creatore della vita.


2. I temi affrontati nelle vostre giornate di studio, illustri signori, riguardano il diritto umano fondamentale alla vita e alla sua qualità, dal concepimento al suo naturale tramonto, nel quadro del rispetto per l'ambiente, che occorre rendere sempre più idoneo al pieno esprimersi della persona umana, considerata non soltanto nella sua individualità, ma anche nelle sue crescenti relazioni interpersonali e sociali.

La vita umana è in rapporto strettissimo con l'ambiente, con l'habitat naturale, il quale tuttavia non sempre è pienamente conforme alle sue necessità anche primarie. Inoltre non ci si può nascondere che il progresso scientifico e tecnologico, mentre da una parte ha favorito a dismisura e in molteplici direzioni migliori condizioni, dall'altra ha creato cause e concause altrettanto palesi di un degrado ambientale che può farsi irreparabile.

Il problema ecologico ha ormai assunto dimensioni tali da richiedere non soltanto attenta riflessione, ma pieno coinvolgimento, sia sul piano della scienza che su quello delle decisioni politiche. Alla radice di questo drammatico problema si trova non di rado una concezione del mondo e della persona umana che si ispira a profondo egoismo. Il recupero dell'equilibrio ambientale non potrà aversi che mediante il ritorno al genuino concetto di dominio dell'uomo sull'ambiente. Come ho ricordato nella prima enciclica del mio pontificato, "il senso essenziale di questo dominio dell'uomo sul mondo visibile, a lui assegnato come compito dallo stesso Creatore, consiste nella priorità dell'etica sulla tecnica, nel primato della persona sulle cose, nella superiorità dello spirito sulla materia" (RH 16).

Il problema ecologico, quindi, riguarda insieme la natura e l'uomo e non si potrà pervenire a un'idonea tutela dell'ambiente senza promuovere, al tempo stesso, un'adeguata "ecologia dello spirito". Solo con questa prospettiva più ampia ciò che si programma per il ristabilimento dell'equilibrio ambientale a servizio della vita umana potrà raggiungere pienamente gli scopi desiderati. Sarà perciò importante che Congressi e Assise scientifiche si muovano alla luce del motivato convincimento che il progresso tecnologico o è finalizzato al progresso della civiltà, cioè di una vita a misura della persona umana e della sua dignità, o può rivolgersi, come già accade, contro l'uomo.


3. Si collocano in questo contesto i temi della dignità e dei diritti della vita del nascituro e quello della dignità della morte, parimenti affrontati dal vostro Congresso. La fermezza con cui la Chiesa, per divino mandato, difende e proclama la pienezza e l'integrità dei diritti del nascituro risponde a un'esigenza radicata nella nozione stessa di vita. "La vita umana è sacra, perché sin dal suo inizio comporta l'azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente".

Pari rispetto la Chiesa rivendica per la vita di chi si approssima al suo concludersi e particolarmente per quella del malato terminale. Mai come in prossimità della morte e nella morte stessa occorre celebrare ed esaltare la vita.

Questa deve essere pienamente rispettata, protetta e assistita anche in chi ne vive il naturale concludersi. Il malato, sebbene dichiarato inguaribile dalla scienza, mai può essere considerato incurabile.

L'atteggiamento davanti al malato terminale è spesso il banco di prova del senso di giustizia e di carità, della nobiltà d'animo, della responsabilità e capacità professionale degli operatori sanitari, a cominciare dai medici.

L'interpretazione positiva della sofferenza costituisce un aiuto spesso decisivo per chi ne esperimenta il peso e diventa altissima lezione di vita per chi, accanto al suo letto, s'adopera per alleviarne l'impatto.


4. Giustamente nella formulazione del tema del Convegno si parla di dignità della morte. In questo misterioso evento, che accomuna la condizione umana sulla terra, infatti, si coglie appieno il significato della vita: "Prima della morte - scriveva il Siracide - non chiamare felice nessuno, poiché nella sua fine si riconosce l'uomo" (Si 12,28). Chi meglio del cristiano può comprendere in tutta la sua portata questa situazione universale? Nella morte redentrice di Cristo egli ha la chiave per interpretare la propria morte e capirne tutto il valore ai fini di un recupero dell'intera sua esistenza. La morte di Cristo ha conferito una sacralità nuova ad ogni morte umana, e ha recato una motivazione ulteriore al divieto di accelerarne arbitrariamente i tempi con interventi di carattere eutanasico.

Voi certamente conoscete il pensiero della Chiesa sull'eutanasia: il suo insegnamento non può non trovare conferma in una scienza che guardi alla vita umana nella sua sconfinata ricchezza e nella sua finalità trascendente Il mio auspicio è che le vostre Giornate di studio, che vedono l'apporto di tanti illustri scienziati e studiosi, contribuiscano - sul piano del pensiero, della ricerca e della prassi - ad accrescere la considerazione della grandezza e della dignità sia della vita che della morte. Con questo augurio, su voi tutti e sui vostri lavori imparto, mediatrice la Vergine santissima, la mia benedizione.

Data: 1990-08-25

Sabato 25 Agosto 1990


GPII 1990 Insegnamenti - Ai vescovi di rito latino del Kerala in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)