GPII 1990 Insegnamenti - Al 31° Stormo dell'Aeronautica - Castel Gandolfo (Roma)

Al 31° Stormo dell'Aeronautica - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Grazie per il servizio in occasione dei viaggi pastorali

Signor comandante, signori ufficiali e sottufficiali del 31° Stormo dell'Aeronautica Militare Italiana.


1. Sono veramente lieto di accogliervi in questa tradizionale udienza al termine della mia permanenza a Castel Gandolfo, per rinnovarvi il mio cordiale saluto e per esprimervi il mio sincero apprezzamento. L'odierno incontro è anche allietato dalla presenza dei vostri cari: delle vostre mogli, dei vostri figli e figlie. E' quasi una singolare riunione di famiglia. Anche a tutti loro il mio affettuoso benvenuto.

Desidero ringraziarvi per il prezioso servizio, resomi quest'anno, in occasione sia degli spostamenti da Castel Gandolfo a Roma per le udienze del mercoledi, sia delle visite pastorali alle varie comunità italiane. Se ho potuto portarmi in modo più agevole nei vari luoghi, per confermare i fratelli nella fede, per vivificare la loro adesione a Cristo e il loro amore alla Chiesa, per stimolarli a un'operosa testimonianza cristiana, lo devo anche a voi: alla vostra premura, alla vostra perizia, al vostro senso di responsabilità, che hanno reso sicuri e confortevoli gli itinerari dei miei viaggi apostolici.


2. Le onorificenze, che ora ho il piacere di conferire, vogliono essere un segno tangibile della mia gratitudine per le vostre generose prestazioni e allo stesso tempo diventano uno stimolo per continuare con rinnovato impegno la vostra missione a servizio del bene comune, nella consapevolezza che le vostre azioni quotidiane, sostenute da fede matura e da sincero amore per il prossimo, portano frutti per la salvezza eterna.

Nella vostra quotidiana attività sappiate guardare con fiducia alla Vergine Maria. Ella, maestra di fedeltà e generosità, diventi per voi il continuo punto di riferimento per realizzare con docilità di cuore il disegno di Dio su ciascuno di voi, e per essere sempre attenti ai bisogni dei fratelli. Invocatela con assiduità per ottenere dal Signore, grazie alla sua intercessione, una vita serena e feconda sia nella vostra professione, sempre più efficiente e qualificante, sia nei vostri rapporti di lavoro e di famiglia. Con l'aiuto di Dio portate a compimento i vostri buoni propositi di una sempre migliore vita umana e cristiana.

A conferma di questi voti, vi imparto di cuore la benedizione apostolica.

Data: 1990-09-16

Domenica 16 Settembre 1990

All'Angelus - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Il sacerdote è l'uomo del sacrificio

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Recitando l'"Angelus" noi ripetiamo la professione di fede nel Verbo che "si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Venne per redimerci, venne a patire e a morire per noi. Col mistero dell'incarnazione inizia quel processo di spogliamento che avrà il suo culmine quando Cristo umilierà se stesso "facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Ph 2,8).

Dinanzi al Crocifisso ciascuno di noi può ripetere con l'apostolo Paolo: "Io vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Ga 2,20). L'incarnazione, la passione e la morte di Cristo ci introducono nella contemplazione di un insondabile mistero d'amore. E' questo mistero che ci consente di comprendere appieno il senso delle nostre prove: esse ci uniscono alla croce di Cristo e alla sua opera redentrice. San Paolo spiegava le sofferenze della sua vita dicendo: "Sono stato crocifisso con Cristo" (Ga 2,19). Egli soffriva molto nel ministero apostolico, ma coglieva il senso superiore di queste sofferenze.


2. Si illumina così un aspetto essenziale della vita sacerdotale: il sacerdote è l'uomo del sacrificio. In virtù del sacramento dell'Ordine, egli ha la missione di offrire il sacrificio di Cristo, rendendolo misticamente presente nella realtà del suo corpo e del suo sangue. Conseguentemente, è per la sua stessa esistenza sacerdotale che egli è unito al sacrificio redentore di Cristo. L'ordinazione sacerdotale lo impegna sulla via di tale sacrificio.

Agli apostoli che erano tentati di vedere solo un onore nella loro associazione all'edificazione del regno, Gesù pose un giorno la domanda: "Potete bere il calice che io devo bere?" (Mc 10,38). Successivamente egli mostro loro il perché di questa domanda essenziale: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10,45).

Se il Maestro ha seguito la via dolorosa, coloro che egli chiama a partecipare alla sua missione come potrebbero illudersi di fare un cammino diverso?


3. Il sacerdote sa di essere chiamato, in maniera speciale, al sacrificio. Egli tuttavia troverà la forza di sopportare generosamente le sue prove, spesso difficili, se saprà vederle nella luce della passione di Cristo. Non diceva forse san Paolo: "Sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi, e da parte mia completo ciò che manca nella mia carne ai patimenti di Cristo per il suo corpo, che è la Chiesa" (Col 1,24)? Trattando della formazione sacerdotale, il prossimo Sinodo non mancherà di porre in evidenza questa verità. Coloro che si preparano al sacerdozio devono educarsi a un atteggiamento generoso, che li renda capaci di accettare per amore di Cristo le rinunce necessarie, riconoscendone la fecondità apostolica.

La Vergine Maria, ritta ai piedi della croce, ci fa comprendere che non si può essere uniti a Cristo senza condividerne l'immolazione. Invochiamola perché sostenga i sacerdoti nelle loro prove e perché, anche in virtù di una formazione appropriata, li porti ad accettare coraggiosamente i sacrifici richiesti dal loro ministero.

(Omissis: saluti a vari gruppi)

Data: 1990-09-16

Domenica 16 Settembre 1990

A cadetti della Marina argentina - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Dialogo e concordia per raggiungere la pace desiderata

Mi compiaccio darvi il mio cordiale saluto in questo incontro che voi, cadetti dell'Armata Argentina, accompagnati dai vostri professori, ufficiali e membri dell'equipaggio della nave-scuola "Libertad", avete desiderato avere con il Papa.

In questi momenti di formazione state realizzando un periplo per mari e nazioni, che apre vasti orizzonti nella vostra vita. Lo stesso nome della nave, "Libertà", è come un richiamo a fondare la vostra esistenza su solidi principi cristiani e umani. In effetti la persona è libera quando è padrona delle proprie azioni; quando è capace di scegliere il bene che è conforme alla ragione e, di conseguenza, alla propria coscienza. Pertanto è mio fervente desiderio che il vostro senso di libertà sia sempre accompagnato da un profondo senso della verità e dell'onestà verso voi stessi e verso la realtà che vi circonda. Questa è una premessa fondamentale affinché nel mondo si fomenti sempre più un clima di dialogo e concordia che porti alla tanto desiderata pace. Di fronte alle responsabilità che assumerete nella vita, vi invito a offrire le vostre migliori energie al servizio del bene comune, che in definitiva è servizio generoso e solidale all'uomo.

Che la Vergine Maria, Stella del mare, vi guidi nella rotta della vita affinché seguiate fedelmente Cristo. Allo stesso tempo vi accompagni anche la mia benedizione apostolica, che imparto con affetto a voi ed alle vostre famiglie.

Data: 1990-09-17

Lunedi 17 Settembre 1990

A vescovi brasiliani della Regione "Nord Est 2" in visita "ad limina" - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Presbiteri e vescovi uniti da vincolo gerarchico-sacramentale

Cari Fratelli nell'Episcopato,


1. Nel corso di tutto quest'anno si sono succeduti qui a Roma, in visita "ad Limina", gruppi più o meno numerosi di Vescovi brasiliani - membri di una delle Conferenze Episcopali più numerose del mondo. Questi Pastori hanno dato in tal modo, gli uni agli altri, e tutti alle proprie Chiese e al popolo brasiliano, una testimonianza concreta e visibile di adesione al Pastore Universale della Chiesa e di comunione con lui; di effettiva collegialità cum Petro e sub Petro; di apertura verso i fratelli Vescovi di tutto il mondo nella comune missione dell'evangelizzazione.

In questo contesto, sono lieto di accogliervi oggi, zelanti Pastori delle diocesi che compongono il Regional Nordeste 2 e comprendono gli Stati di Rio Grande do Norte, Paraiba, Pernambuco e Alagoas.


2. In questo incontro che mi consente, dopo l'incontro individuale con ciascuno di voi, un incontro collettivo con tutto il Regional da voi rappresentato, desidero condividere con voi una meditazione sull'importante dimensione del carisma episcopale: la comunione del Vescovo con ciascuno dei suoi sacerdoti e con il Presbiterio da essi costituito.

Ho davanti agli occhi una frase che potrebbe passare inosservata del capitolo III della Lumen Gentium, ma che possiede, invece, un profondo contenuto dottrinale: "E, a ragione di questa loro partecipazione nel sacerdozio e nella missione, i presbiteri riconoscono nel Vescovo il loro padre e gli obbediscono con rispetto" (n. 28). Oppure, detto in altre parole, sempre nella stessa Costituzione Dogmatica sulla Chiesa: "Per ragione quindi dell'ordine e del ministero, tutti i sacerdoti, sia diocesani che religiosi, sono associati al corpo episcopale e, secondo la loro vocazione e la loro grazia, sono al servizio del bene di tutta la Chiesa" (LG 28).

Con questi termini, che devono essere letti in chiave teologica ed intesi in tutto il loro significato dogmatico, il Concilio afferma che vi è tra i Presbiteri e i Vescovi un vincolo profondo, basato sul fatto di partecipare, questi e quelli, in grado diverso, al medesimo ed unico sacerdozio di Cristo ed alla stessa missione apostolica che tale sacerdozio conferisce. Non è che il Presbitero riceva dal Vescovo una parte della sua grazia sacerdotale; è da Cristo-Sacerdote che entrambi, il Vescovo e il Presbitero, ricevono questa partecipazione. Ma è lecito dire che la grazia sacerdotale li unisce ai diversi livelli del suo ministero. Per questo, si può comprendere che il vincolo di comunione che associa i Presbiteri al loro Vescovo è di natura gerarchico-sacramentale. Gerarchico perché assegna loro il luogo che occupano nella struttura della Chiesa; sacramentale perché è in virtù del sacramento dell'Ordine che essi si trovano associati al servizio della Chiesa, del Vangelo, del Regno. E' a partire, e in virtù di questo vincolo e non in virtù di altre esigenze di ordine organizzativo, giuridico o istituzionale, che i Presbiteri appaiono nella stessa Lumen Gentium come "saggi collaboratori dell'ordine episcopale e suoi aiuti e strumento" (n. 28), presenza del Vescovo in mezzo alle comunità, suoi collaboratori ed amici. E' buono ed utile conoscere le radici della comunione affettiva ed effettiva che deve regnare tra i Presbiteri e il Vescovo, nella profondità teologico-spirituale della menzionata relazione gerarchico-sacramentale. Essa conferisce all'atteggiamento interiore ed esteriore del Vescovo verso i suoi Presbiteri tutta la sua consistenza e significato.


3. Questo atteggiamento è descritto in vari documenti del Concilio - Lumen Gentium, Christus Dominus, Presbyterorum Ordinis - con espressioni sobrie ma significative: senso della paternità spirituale, riconoscimento dei Presbiteri come "necessari collaboratori e consiglieri", sincera amicizia. Si percepisce, oltre a ciò, nei testi conciliari, che la responsabilità del Vescovo verso i suoi padri si rivolge a questi sia individualmente, a ciascuno come persona, sia globalmente, in quanto riuniti nel Presbiterio. Guardando ciascuno dei suoi sacerdoti individualmente, il Vescovo riceve da Dio e dalla Chiesa, in virtù del suo munus gerarchico e pastorale, la responsabilità di restare sempre molto vicino ai suoi padri, dando loro tutto l'appoggio e lo stimolo perché restino fedeli alla loro vocazione ed operosi nel loro ministero.

Il primo impulso che egli deve dare è, certamente, quello del suo esempio e testimonianza: "Forma factus gregis ex animo" (1P 5,3). Come esige da voi l'Apostolo Pietro, il Vescovo deve essere modello anche per il suo clero. Il suo esempio e la testimonianza verranno offerti sia riguardo allo spirito di preghiera, che allo zelo apostolico, al distacco, all'amore per lo studio, alla fedeltà alla pastorale d'insieme, al modo di convivere e collaborare con i laici, al suo senso di universalità nella Chiesa.

Ma "è ai Vescovi, infatti, che incombe in primo luogo la grave responsabilità della santificazione dei loro sacerdoti: devono pertanto prendersi cura con la massima serietà della continua formazione del proprio presbiterio" (PO 7). Se non facesse così - ci dice la nostra stessa esperienza - il Vescovo consentirebbe che nei suoi padri si indebolisse la dimensione spirituale che deve informare tutto il loro lavoro pastorale. Il Vescovo non deve quindi porre limiti alla cura con cui deve vegliare sulla vita spirituale dei suoi padri, sia esortandoli personalmente alla santità, appellandosi alla loro coscienza sacerdotale quando dimostrassero debolezze ed esitazioni, riprendendoli quando fossero traviati, sia offrendo loro tempi speciali di riflessione, come incontri mensili, ritiri spirituali, periodi di formazione, ecc.

Detto questo, il Concilio non dimentica, al tempo stesso, che i Presbiteri sono persone umane, con bisogni materiali, di alloggio e nutrimento, di legittimo benessere nonostante la povertà, nella semplicità di vita affrontata persino con una certa austerità. Il Vescovo dà prova di spirito veramente paterno e fraterno se, anche a costo di sforzi e sacrifici, ha a cuore il degno sostentamento del suo clero; le cure mediche, quando sono necessarie; il periodo di riposo; la previdenza sociale per anzianità, ecc. I gesti di comprensione e sollecidutine, di delicatezza ed amicizia che il Vescovo compie in questo campo verso i suoi padri, può soltanto risvegliare in essi i sentimenti di fiducia, stima, rispetto ed affetto, essenziali nelle relazioni tra Vescovo e Clero.


4. D'altra parte, oltre ai suoi atteggiamenti verso ogni sacerdote, il Vescovo ha davanti a sé ed anche accanto sé, i sacerdoti riuniti nel Presbiterio diocesano.

Il Concilio Vaticano Secondo ha dato una maggiore enfasi, rispetto a qualsiasi altra istanza nella storia passata della Chiesa, a questa nozione del Presbiterio, in quanto corpo organico, costituito da tutti i sacerdoti incardinati in una Chiesa particolare, o al suo servizio.

Nella sua responsabilità verso i propri padri e con eminente servizio prestato ad essi, ogni Vescovo suscita il senso comunitario, fa loro sentire e capire che non sono Presbiteri abbandonati ed avulsi, bensi membri e parti di un collegio presbiteriale, quando li incoraggia a praticare la fratellanza presbiterale e a promuovere lo spirito di collaborazione che si traduca in una più efficace azione pastorale d'insieme.

In questo senso, e per poter realmente chiedere e ricevere dai suoi padri consigli e suggerimenti, lumi sui più gravi problemi diocesani e collaborazione per la loro soluzione, è importante che il Vescovo disponga di un "senato" o Consiglio Presbiterale e di altri organi formali o informali di dialogo e cooperazione. Quest'insieme di vincoli, per così dire, istituzionali ed organizzativi con i suoi padri, avrà un valore ed una portata tanto maggiori, quanto più il Vescovo terrà, verso quegli stessi padri, atteggiamenti di vera carità fraterna: vicinanza in tutti i momenti, in particolare nei più critici; visitandoli quando fossero ammalati, pieni di misericordia (non disgiunta da fermezza paterna) quando errassero, ma accompagnata da apertura di spirito e cuore con disponibilità a dar loro consigli ed orientamenti quando ne avessero bisogno; presenza piena di umanità e comprensione, di pazienza e di amicizia sincera e costruttiva. Neppure le stesse crisi, sempre possibili in questo rapporto, e le sofferenze che esse possono provocare, possono raffreddare la comunione effettiva ed affettiva che deve regnare fra il Vescovo e i padri. Perché quella comunione edifica i fedeli e li stimola, così come li scandalizza ogni rottura tra i Pastori.


5. Desidero, da parte mia - lo desideriamo tutti, ne sono certo - che tutti i sacerdoti che si impegnano nell'annuncio del Vangelo e nella costruzione della comunità ecclesiale in Brasile, sappiano che essi sono al centro della nostra attenzione e sollecitudine. Li incoraggio vivamente a rafforzare sempre di più i vincoli di comunione gerarchico-sacramentale e quelli della carità fraterna, della cooperazione e del servizio comune a Gesù Cristo e alla sua Chiesa. Dite loro che il Papa li ringrazia per il loro lavoro per la gloria del Signore e per la causa del Vangelo e che confida anche nella loro fedeltà e dedizione.

So che nelle vostre Chiese i Presbiteri cercano di consolidare la loro fratellanza presbiterale in vari modi ed anche in associazioni di Presbiteri. Che queste abbiano come obbiettivo l'approfondimento dei vincoli di carità; che non provochino mai divisione, ma unione e comunione - e soprattutto che in esse sia presente il Vescovo con il suo carisma di unità; sia egli il punto di unione tra i suoi sacerdoti in un clima di mutua comprensione ed aiuto.

Poiché non esiste per un Vescovo maggior dolore dell'allontanamento di qualche saeerdote, allo stesso modo non esiste conforto maggiore, né maggiore garanzia di fecondità per il suo ministero, di quella di sentirsi profondamente unito al suo Presbiterio. Sia questa la vostra gioia e quella dei vostri fratelli Vescovi in mezzo alle estenuanti fatiche del ministero.

Per concludere, raccomando alla Madre di Dio, Sede di Sapienza - Nossa Senhora Aparecida - il vostro ministero episcopale e i sacerdoti che sono oggetto della vostra attenzione di Pastori. Alla sua cura materna affido la sollecitudine pastorale che manifestate negli Stati che compongono il Regional Nordeste 2 e, per Sua intercessione, invoco abbondanti favori celesti per tutto il popolo di Dio ivi peregrinante, con un'ampia Benedizione Apostolica.

(Traduzione dallo spagnolo)

Data: 1990-09-17

Lunedi 17 Settembre 1990

A vescovi filippini in visita "ad limina" - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Il vescovo educatore e guida delle coscienze alla responsabilità

Sua Eminenza, Cari fratelli Vescovi,


1. Sono felice che la vostra visita a Roma ci dia l'opportunità di incontrarci, nello spirito di unità ecclesiastica ed amore che deve sempre essere una caratteristica di coloro che sono chiamati alla missione pastorale nella Chiesa del Signore, come successori degli Apostoli (cfr. LG 20). Come Pastori della Chiesa nelle Filippine, la vostra presenza è un segno della fede apostolica che vive nei cuori di coloro cui, nel Popolo di Dio, è stato affidato il ministero sacerdotale. Nella vostra persona, saluto i Sacerdoti, i religiosi ed il laicato delle vostre Diocesi, affidandoli all'intercessione della Beata Vergine Maria, la cui protezione è stata sempre invocata dai Filippini non solo nelle circostanze drammatiche ma anche in quelle normali del loro pellegrinaggio terrestre.

In quest'occasione vorrei rivolgervi le parole che ho già rivolto ad un precedente gruppo di Vescovi del vostro Paese in visita "ad limina" nell'aprile di questo stesso anno (cfr. 24 aprile 1990). Desideravo puntualizzare che nelle specifiche circostanze della società filippina, che affronta molti e gravi problemi politici, sociali ed economici, voi, i Vescovi, avete lo speciale compito di porre l'accento sulla dimensione morale e religiosa degli interrogativi che riguardano il benessere del vostro popolo. E' vostro compito quello di annunziare la Parola di Dio in tutta la sua purezza e potenza. Siete testimoni di Gesù Cristo e delle verità e dei valori del suo Regno. Per cui spetta a voi il ruolo eminente di guida spirituale e morale che mira soprattutto a educare e stimolare le coscienze dei vostri fratelli cittadini alla responsabilità verso Dio e verso i propri fratelli e sorelle.

Senza una conversione di coscienza verso i Comandamenti di Dio e le verità delle Beatitudini non vi può essere progresso che proceda attraverso le vie della giustizia, della pace e dello sviluppo umano. In particolare, non ci può essere autentica santità cristiana di vita, né un disinteressato aiuto agli altri.


2. Una vita illuminata ed impegnata nella fede da parte del laicato filippino è sempre più urgente quando gli atteggiamenti ed i valori essenziali alla vita cristiana sono minati dalla società materialista, che pensa solo agli aspetti pratici e travolge ogni valore. La famiglia, in particolare, soffre l'attacco di una nuova cultura che parla la lingua del progresso, della liberazione, della modernità, ma che porta con sé i semi di un soggettivismo sociale, morale e religioso che priva molti - specialmente fra i giovani - dei nobili ideali e del senso di responsabilità necessario al retto atteggiamento verso la bontà e la verità. Anche certe tendenze che si stanno insinuando in alcuni settori della società filippina sono in contrasto con i grandi valori della tradizionale cultura filippina. La vostra missione pastorale, perciò, è diretta al cuore della società filippina, cercando di rafforzare la sua coesione con la verità del Vangelo, fonte di vita e conducendola a sempre più elevate vette di nobiltà e di umanità, attraverso una coerenza alle responsabilità morali ed una efficace solidarietà che si manifesti verso tutti, specialmente verso i poveri e i sofferenti.

Il laicato maschile e femminile, in special modo i genitori, gli educatori, tutti coloro che hanno una parte attiva nella vita pubblica e nei mezzi di comunicazione di massa, deve essere aiutato ed incoraggiato negli sforzi tendenti a porre in essere l'insegnamento sociale e morale della Chiesa, affrontando le sfide dell'attuale momento storico nelle Filippine. La Chiesa nel vostro Paese ha il compito di presentare un messaggio di riconciliazione e di sviluppo integrale di suprema validità alla società e di ovviare efficacemente ai bisogni non solo spirituali della gente a cui è stata mandata. Infatti la Chiesa è stata mandata. Questa è la sua natura. Non è un'altra struttura di tipo umanitario, oppure un'organizzazione politica, ma è proprio il "mistero" dell'Amore del Padre incarnatosi in Gesù Cristo e sempre presente attraverso le opere dello Spirito Santo. Di questo "mistero" voi siete ministri e amministratori (cfr. 1Co 4,1 2Co 5,20).


3. La Chiesa è stata mandata ad annunciare la Lieta Novella di redenzione di Cristo a tutte le Nazioni della terra (cfr. Mt 28,19). Nella mia recente Lettera alla V Assemblea Plenaria della Conferenza dei Vescovi dell'Asia ho ricordato che "alla vigilia del Terzo Millennio cristiano è imperativo un impegno sempre maggiore all'evangelizzazione per tutte le Chiese locali in Asia.... Oggi, laici cristiani in numero sempre maggiore desiderano partecipare a questa missione e farlo con impegno ancora più grande.... In conformità al loro specifico ministero, i sacerdoti devono essere particolarmente attivi nella formazione cristiana dei laici, la cui insostituibile vocazione è la santificazione del mondo in tutte le sue realtà temporali" (23 giugno 1990). In questa grande impresa in cui la Chiesa non può abbandonare il suo Divino Signore, i Vescovi hanno un ruolo insostituibile ed una responsabilità principale. Per voi, insieme ai vostri sacerdoti, vale il consiglio espresso nella Lettera sopra menzionata: "così il clero, libero da molti compiti amministrativi intrapresi per venire incontro ad esigenze supplementari, può essere modello di una profonda spiritualità, può rendere testimonianza ai valori trascendenti espressi nella preghiera e nella contemplazione, ed essere sempre più attento alla presenza di Dio nelle vite di coloro che serve" (Ibidem, n. 5).


4. Nella Liturgia delle Ore della 24esima Domenica leggiamo una parte della riflessione di Sant'Agostino sulla propria posizione come membro della Chiesa chiamato alla missione pastorale nei confronti di altri membri della Chiesa stessa: "Io, oltre ad essere un cristiano, e perciò a dover rendere conto della mia vita, sono anche una guida e per questo rendero conto a Dio del mio ministero" (traduzione letterale del Sermone 46, 2). In qualità di Vescovi, il nostro è un servizio di amore fatto di innumerevoli atti di disinteressata dedizione agli altri, di cui stiamo costantemente chiamati a rendere conto dinanzi alle nostre coscienze e al cospetto del Signore del Cielo e della Terra. E' un ministero di sollecitudine per tutti i fratelli e le sorelle di Cristo, in realtà per il mondo intero, dinanzi al quale dobbiamo essere autentici testimoni del Vangelo di Cristo Crocifisso e Risorto. La nostra fiducia e speranza non sia riposta in noi stessi, ma in Colui che ci ha chiamato a questo compito. "E Dio che fa crescere" (cfr. 1Co 3,7).

Cari fratelli, desidero incoraggiarvi nell'amore in Cristo, ad essere guide fedeli, sagge e vigili. Siate certi che ricordero voi e il vostro popolo dinanzi a Dio, come affido il mio ministero alle vostre preghiere. Possa la vostra attuale visita a Roma darvi ulteriore incentivo ed aiuto nelle grandi responsabilità che avete nell'unico Paese in Asia dove la maggioranza del popolo è composta da figli e figlie della Chiesa. Questa è la vostra grazia peculiare ed anche la speciale sfida che dovete affrontare. Ho fiducia che iniziative come L'anno nazionale di catechesi che state celebrando e l'imminente Secondo Concilio Plenario della Chiesa nelle Filippine, costituiranno una speciale grazia per tutti i fedeli, portando una più profonda comprensione del loro essere membri del Corpo di Cristo e una decisione più ferma di prendere parte attiva nella missione della Chiesa. Possa l'abbondante Benedizione di Dio essere con voi tutti.

(Traduzione dall'inglese)

Data: 1990-09-18

Martedi 18 Settembre 1990

A cappellani di carceri in convegno - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Farsi carico del reinserimento degli ex detenuti nella società

Carissimi fratelli,


1. Sono particolarmente lieto di incontrarvi in occasione del vostro convegno sul tema "Chiesa, delinquenza e prigione". Ringrazio il presidente della vostra Commissione internazionale, mons. Cesare Curioni, per le cortesi parole che mi ha rivolto a vostro nome. Vi saluto tutti cordialmente, mentre esprimo a ciascuno la mia viva riconoscenza per il delicato apostolato che svolgete nelle carceri; apostolato che vi pone a contatto quotidiano con persone ferite nello spirito, e non di rado confinate ai margini della società. Come il buon samaritano, siete chiamati a soccorrere le esistenze travagliate di tanti nostri fratelli. A voi, pertanto, è possibile cogliere appieno la realtà e il vigore espressivo delle parole bibliche che fanno riferimento alla canna spezzata e al lucignolo fumigante (Mt 12,20). Incontrate ogni giorno uomini sottoposti a dure prove, che rischiano di perdere la fiducia in se stessi e nella società. A loro offrite, con il conforto dell'amicizia, la speranza cristiana che scaturisce dall'abbandono nell'amore infinito di Dio. Ad essi annunciate il Vangelo di Cristo e la libertà che egli è venuto a portare per far cadere le sbarre umane dell'insicurezza, della paura e della emarginazione (cfr. Ga 5,1).


2. Nel corso dell'incontro internazionale che state tenendo, al quale prendono parte rappresentanti di tutti i continenti ed esponenti del volontariato cattolico che opera nelle prigioni delle varie nazioni, voi state analizzando la concreta condizione carceraria, delineando alcuni programmi operativi di raccordo fra le varie esperienze pastorali. In particolare intendete riflettere sul ruolo che la comunità cristiana può svolgere nei confronti di questo problema. Occorre che i cristiani siano disposti ad accogliere il detenuto quando, scontata la pena, egli ritorna in libertà, facendosi carico del suo effettivo reinserimento nella società e sostenendolo con opportune iniziative. E' necessario, inoltre, che il cappellano possa contare, all'interno degli stessi istituti penali, sulla valida e qualificata collaborazione di altre persone, le quali lo affianchino con concrete attività sociali e spirituali.

Vi incoraggio, fratelli carissimi, a proseguire nel vostro prezioso apostolato, a ricercare sempre nuove forme d'intervento pastorale, valorizzando al massimo anche l'apporto dei laici volontari. I vostri sforzi, inoltre, siano sempre guidati dal desiderio e dal proposito di aiutare quanti sono oggetto della vostra attenzione a convertirsi e ad affidarsi fiduciosamente a Cristo. Siate, pertanto, apostoli della misericordia divina e testimoni della sua Provvidenza: anche dal male Iddio sa far scaturire il bene.


3. Voi considerate, inoltre, come essenziale alla vostra missione profetica amplificare quella parte del messaggio cristiano che esorta a vincere il male con il bene, e ne ricordate la verità paradossale anche a quanti nutrono scarsa fiducia nell'uomo.

Certo non ci può essere misericordia a scapito della verità e della giustizia, tuttavia la strada dell'amore e del perdono è la più evangelica poiché ci accomuna al Cristo, che ha redento l'umanità, sacrificando se stesso sulla croce e "distruggendo in se stesso l'inimicizia" (Ep 2,16).

Siate innanzitutto voi, cari cappellani, i testimoni credibili di questo amore con l'assiduità e la pazienza della vostra disponibilità; nutrite il vostro lavoro di preghiera ardente e continua. E comunicate alle comunità cristiane, all'interno delle quali vivete, questa stessa ansia pastorale perché il regno di Dio possa dilatarsi anche nelle sofferte esistenze di coloro che sono reclusi.

Affidate a Maria, consolatrice degli afflitti, la vostra attività e invocatela sovente con fiducia. Vi prego ardentemente di trasmettere ai prigionieri che incontrerete e alle loro famiglie il mio affettuoso saluto, avvalorato da uno speciale ricordo al Signore.

A voi, ai volontari che con voi operano, e a quanti sono oggetto del vostro ministero imparto di cuore una speciale benedizione apostolica.

Data: 1990-09-18

Martedi 18 Settembre 1990

Al ritiro mondiale per sacerdoti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il sacerdozio: una consacrazione per la missione

"Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui" (Lc 4,20).


1. Anche i nostri occhi interiori, carissimi fratelli nel sacerdozio, sono ora fissi su Gesù di Nazaret: egli, ripieno di Spirito Santo, è "il primo e il più grande evangelizzatore", è il modello per antonomasia, anzi la fonte inesauribile da cui deriva, giorno dopo giorno, la missione evangelizzatrice della Chiesa e di tutti i suoi membri.

Gesù presenta se stesso e la sua missione a partire dallo Spirito: "Lo Spirito del Signore è sopra di me". Sono le parole profetiche di Isaia, che egli dichiara compiersi su di lui: "Allora comincio a dire: "Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi"" (Lc 4,18 Lc 4,21).

Lo Spirito Santo è il principio interiore, la forza e il dinamismo permanente della missione evangelizzatrice del Signore Gesù. Lo stesso Spirito sta alla radice d'ogni evangelizzazione che si compie nella storia: "L'evangelizzazione - ha scritto Paolo VI nell'esortazione "Evangelii Nuntiandi" (EN 75) - non sarà mai possibile senza l'azione dello Spirito Santo".


2. "Lo spirito del Signore... mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio" (Lc 4,18). La profezia di Isaia prosegue illustrando in che cosa consista tale messaggio. Esso è annuncio di liberazione da tante forme di schiavitù, che pesano sui singoli uomini e che opprimono popoli interi. Schiavitù legate a situazioni economico-sociali, ma anche a culture e ideologie non rispettose dell'uomo e della sua dignità personale. Il Messia è venuto "per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi".

Ma la liberazione che il Messia è venuto ad annunciare riguarda anche la schiavitù più radicale che l'uomo può sperimentare, quella del male morale, del peccato: Gesù è mandato a "predicare un anno di grazia del Signore" (Lc 4,19).

La situazione nella quale vive l'uomo contemporaneo, carissimi fratelli, è caratterizzata da una vasta e complessa condizione di schiavitù in campo morale.

Il peccato dispone oggi di mezzi di asservimento delle coscienze ben più potenti e insidiosi che nel passato. La forza contagiosa delle proposte e degli esempi cattivi può avvalersi dei canali di persuasione offerti dalla multiforme gamma dei mezzi di comunicazione di massa. Avviene così che modelli di comportamento aberranti vengono progressivamente imposti alla pubblica opinione non solo come legittimi, ma anche come indicativi di una coscienza aperta e matura. Si instaura così una rete sottile di condizionamenti psicologici, che ben possono assimilarsi a vincoli inibitori di una vera libertà di scelta. Il Vangelo di Cristo deve essere oggi annunciato dalla Chiesa come fonte di liberazione e di salvezza anche nei confronti di queste moderne catene che inceppano la nativa libertà dell'uomo.

Nell'adempiere questo compito la Chiesa altro non fa che prolungare nel tempo, partecipandovi, come sposa congiunta allo Sposo, la missione evangelizzatrice di Cristo, suo Signore. Anche la Chiesa può ripetere: "Lo Spirito del Signore è sopra di me... mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio".


3. Nella sua evangelizzazione Gesù non si è limitato a "proclamare" la liberazione, ma ha rimesso in libertà gli oppressi. Se questo ha potuto fare, è perché egli stesso è questa libertà annunciata e donata al mondo. E' la libertà "radicale", perché egli stesso in persona è la salvezza, è la grazia che salva e che fa il cuore "nuovo". Ed è il fondamento e il compendio di tutte le libertà "derivate", quelle che esprimono e attestano la dignità personale d'ogni uomo.

Questa stessa dignità giunge al suo compimento con il dono della "libertà dei figli di Dio".

Gesù opera efficacemente questa libertà di salvezza mediante il dono dello Spirito Santo: è lo Spirito la sorgente della salvezza e della libertà dei figli di Dio, quello stesso Spirito di cui Gesù dice d'essere ripieno. "Lo Spirito del Signore è sopra di me". così lo Spirito non è solo il principio dell'opera evangelizzatrice di Cristo, ma ne costituisce anche il contenuto e il frutto originale.


4. Dallo Spirito deriva la missione di Cristo. Essa scaturisce dall'interiore consacrazione che lo Spirito ha operato nel Signore Gesù: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato...".

Prima la consacrazione, e poi la missione. Una consacrazione per la missione.

Gesù è scelto dal Padre: è l'eletto per antonomasia. Lo Spirito lo "unge" nel seno purissimo della Vergine Madre, ossia lo riempie di santità, lo costituisce "proprietà sacra", a Dio, lo fa appartenere a Dio e ai suoi disegni di salvezza. In Gesù, il "profeta grande", si compie pienamente e definitivamente la parola del Signore rivolta a Geremia: "Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni" (Jr 1,5).

Così è degli apostoli, così è della Chiesa: ricevono il dono dello Spirito come dono di santificazione e come fonte e spinta alla missione. Ha scritto Paolo VI nell'esortazione "Evangelii Nuntiandi" (EN 75): "Di fatto, soltanto dopo la discesa dello Spirito Santo, nel giorno della Pentecoste, gli apostoli partono in tutte le direzioni del mondo per cominciare la grande opera di evangelizzazione della Chiesa, e Pietro spiega l'evento come realizzazione della profezia di Gioele: "Io effondero il mio spirito". Pietro è ricolmato di Spirito Santo per parlare al popolo su Gesù, Figlio di Dio. Paolo, a sua volta, è riempito di Spirito Santo prima di dedicarsi al suo ministero apostolico, come pure è Stefano quando è scelto per esercitare la diaconia, e più tardi per la testimonianza del martirio. Lo stesso Spirito che fa parlare Pietro, Paolo, o i dodici apostoli, ispirando loro le parole da dire, discende anche sopra coloro che ascoltano la parola di Dio".


5. Una consacrazione per la missione. Per noi sacerdoti c'è in tutto ciò il richiamo a ritornare alle radici sacramentali del nostro sacerdozio: il sacramento dell'Ordine ci ha "unti" col carattere sacramentale e ci ha "santificati" col dono dello Spirito. Ci ha elargito una partecipazione all'unzione e santificazione stessa di Gesù. Il dono della "santità" rende possibile ed esige una continua "santificazione". Dalla santità ontologica, conferita nel sacramento dell'Ordine, scaturisce l'impegno della santità morale.

Proprio questa santità-santificazione deve stare alla base della nostra missione evangelizzatrice. Siamo così invitati a cogliere più attentamente i molteplici e profondi legami che sussistono tra il nostro quotidiano impegno di santificazione sacerdotale e la nostra opera di evangelizzazione.


6. Il primo legame può essere così formulato: la santificazione è una "condizione" che Dio stesso ha posto per la maggior efficacia dell'evangelizzazione. Certo, il Vangelo di Dio ha una sua efficacia oggettiva, che deriva dall'essere non parola umana ma parola di Dio. Ma Dio stesso, assumendo degli uomini liberi e responsabili come collaboratori nella opera di salvezza, ha voluto far dipendere anche da loro l'efficacia più o meno grande di questa stessa opera di salvezza.

Un secondo legame si riconnette al primo: la forza soprannaturale dell'opera evangelizzatrice sta nel dono dello Spirito, sta nella santità-santificazione. Quante volte sentiamo tutta la nostra povertà, inadeguatezza, impotenza di fronte alla straordinaria missione che il Signore ci affida. L'esperienza del giovane Geremia diventa la nostra esperienza: "Risposi: Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare perché sono giovane" (Jr 1,6). Ma il dono dello Spirito che ci santifica fa udire anche a noi le confortanti parole del Signore rivolte al suo profeta. "Ma il Signore mi disse: "Non dire: Sono giovane, ma va' da coloro a cui ti mandero e annunzia ciò che io ti ordinero. Non temerli, perché io sono con te per proteggerti"" (Jr 1,7-8).

Qui ha il suo fondamento la nostra fiducia, qui poggia il nostro ottimismo. Nulla potrà incrinarlo, perché nulla è più forte di Dio. Se nella fede ci aggrappiamo a lui, egli farà udire anche al nostro cuore quanto disse all'apostolo Paolo: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza" (2Cor, 12,9).

Un terzo legame emerge a questo punto, ed è il più profondo: questa stessa santificazione si fa evangelizzazione. Proprio la santità-santificazione diventa annuncio di Cristo, anzi dono di Cristo. Si, perché Vangelo non è primariamente la serie di "verità" che Gesù ha proclamato, ma è lui stesso in persona, lui via, verità e vita. Solo chi possiede Cristo, perché lo desidera, lo ama, sta in intima e permanente e progressiva comunione di vita con lui, diviene "testimone" e quindi "evangelizzatore" credibile.


7. "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione; e mi ha mandato per... predicare un anno di grazia del Signore" (Is 61,1-2 Lc 4,18-19). L'"anno di grazia del Signore" deve ritmare il tempo del cuore di ciascuno di noi: solo così potrà ritmare la storia di questa nostra umanità all'aprirsi del terzo millennio dell'era cristiana.

Data: 1990-09-18

Martedi 18 Settembre 1990



Mercoledi 19 Settembre 1990


GPII 1990 Insegnamenti - Al 31° Stormo dell'Aeronautica - Castel Gandolfo (Roma)