GPII 1990 Insegnamenti - A pescatori, agricoltori e turisti - Abbazia di Pomposa (Ferrara)

A pescatori, agricoltori e turisti - Abbazia di Pomposa (Ferrara)

Titolo: Attorno a Cristo l'esistenza umana e il mondo intero sono chiamati a raccogliersi in unità e a rinnovarsi

Cari fratelli e sorelle.


1. Con l'invocazione al Redentore, perché conceda a ciascuno la sua chiara luce, vi saluto di vero cuore, mentre auspico per tutti voi giorni sereni e operosi.

Sono grato all'Onnipotente per avermi dato l'opportunità di incontrarvi e vi esprimo il mio affetto di pastore e di fratello. Grazie anche per la festosità con la quale mi avete accolto. Ringrazio di cuore il prof. Vito Saccomandi, ministro dell'Agricoltura, il signor sindaco di Codigoro, il presidente della Provincia ferrarese e i rappresentanti degli agricoltori e dei pescatori per le cortesi espressioni che hanno voluto rivolgermi a nome di tutti voi.

Carissimi, il trovarci qui, nell'Abbazia di Pomposa, dove - fin dal secolo IX - numerose persone vissero insieme, per porsi alla sequela esclusiva di Cristo, mi offre l'occasione per ricordare che ogni cristiano, e anche ognuno di voi, è chiamato a ripercorrere le tracce del Figlio di Dio.

Il lavoro ascetico e quello materiale dei monaci fu, infatti, sempre in funzione della crescita religiosa e umana anche delle popolazioni di questa zona.

E la bellezza artistica dell'Abbazia esprime la verità, la libertà e la dignità dell'uomo che lavora cristianamente.

Qui ci è dato di constatare con chiarezza che il "lavoro non deve essere una pura necessità, ma deve essere considerato come autentica vocazione, una chiamata di Dio a costruire un mondo nuovo, nel quale coabitano la giustizia, la fratellanza, anticipo del regno di Dio, nel quale non vi saranno né carenze né limitazioni".


2. Alcuni fra voi potrebbero chiedersi come sia possibile rendersi conto del dono sublime che è la vocazione a figli del Signore onnipotente. Molte sono le difficoltà, che l'uomo incontra nel riconoscere il disegno di Dio nella propria vita. Oltre l'amor proprio, che lo spinge a rinchiudersi in se stesso, fanno spesso da ostacolo le condizioni della vita sociale, frequentemente concepita e strutturata prescindendo da Dio, il quale - purtroppo - viene considerato da tanti come estraneo agli interessi autenticamente umani.

Eppure Cristo, che ha chiamato il santo abate Guido, san Pier Damiani, Guido d'Arezzo e i molti altri monaci, il nome dei quali non è a noi noto, rivolge ugualmente a voi il suo invito, perché nel vostro contesto di vita quotidiana e lavorativa possiate accogliere il suo invito a seguirlo.

Ci si potrebbe allora domandare: "Quale forma deve prendere la vocazione del fedele laico, che vive e opera nel mondo?". Configurato a Cristo mediante il Battesimo, ogni credente è testimone della misericordia divina, che, come ha rigenerato noi, mediante noi ricrea ogni cosa, associandoci al disegno di "ricapitolare in Gesù tutte le cose" (Ep 1,10).

In questa "nuova creazione" il cristiano è chiamato a lavorare con "il Verbo della vita" (1Jn 1,1). Nella condizione laicale che gli è propria, egli si pone con tenacia al proprio posto di lavoro, in terra o per mare, consapevole che, quanto sta compiendo, non è solamente cooperazione, ma unione con Cristo nella sua opera redentiva (cfr. GS 67).


3. La fede è dono e il credente, riconoscendo Dio come Padre, raggiunge la pienezza della propria umanità: egli, allora, sa vivere e morire, sa sperare, sa amare, diffondendo attorno a sé la serenità e la pace. Contribuisce, così, alla costruzione della nuova terra e dei nuovi cieli (1P 3,13).

Vi esorto, fratelli e sorelle carissimi, a non porre resistenze a Cristo, a non rifiutare il Verbo che si è fatto carne. Accoglietelo piuttosto senza riserve, perché attorno a lui tutta l'esistenza umana e il mondo intero sono chiamati a raccogliersi in unità e a rinnovarsi.

L'Abbazia, nella quale ci troviamo, mostra, nella sua storia, come questo sia possibile. Il monaco, infatti - ben sapendo che la dipendenza religiosa da Dio non porta alla morte, ma realizza la vita nella sua pienezza - a lui si consacra in modo esclusivo. Nel ritmo scandito dall'"Ora et labora", egli loda il Signore e indica al mondo verso Chi ciascuno di noi deve volgere costantemente lo sguardo e la mente. Segue il Cristo nella povertà, nell'obbedienza e nella consacrazione verginale; a lui si offre in modo totale e definitivo. Anche il fedele laico vive di Cristo se con lui si intrattiene nella preghiera, se lo incontra nei sacramenti e se gli manifesta il proprio amore con l'osservanza dei comandamenti.

L'orazione, personale e liturgica, e l'impegno morale sono intimamente connessi all'amicizia con il Redentore e al compito apostolico, missionario che ne consegue.

Cari fratelli, sentitevi sempre in profonda comunione con quanti nei monasteri incessantemente lodano il Signore e, sostenuti anche dalla loro preghiera, portate frutti di santità con una condotta di vita irreprensibile in ogni momento della vostra esistenza.


4. Questa solidarietà spirituale dimostra che il lavoro e il tempo dedicato esclusivamente a Dio non si contrappongono, ma si integrano, come possiamo ben vedere già nell'"Ora et labora" dei monaci di san Benedetto. La devozione a Dio (l'"ora") fonda la dedizione autentica (il "labora") agli uomini e alla terra, che è loro dimora.

In qualsiasi settore si svolge la vostra attività, voi siete chiamati sempre ad essere testimoni ed evangelizzatori, vale a dire a rendere visibile il Cristo, che "è stato rappresentato al vivo dinanzi a voi" (cfr. Ga 3,1). Il lavoro sgorga dalla preghiera, come la carità fluisce dalla fede. L'aderire a Cristo e l'abbandonarsi fiducioso nelle sue mani generano una totale disponibilità alla volontà divina.

Inoltre il lavoro, pur faticoso, quando è compiuto in stretta unione con Cristo, fa amare la vita non più vista come sorgente di inquietudini, ma come palestra di virtù che forma alla serenità e alla pace.


5. Fratelli e sorelle, vi invito, infine, a offrire il vostro generoso apporto alla nuova evangelizzazione, di cui tanto ha bisogno la società contemporanea e a operare attivamente per la diffusione del Vangelo nei vostri ambienti di lavoro.

Portate a tutti quella speranza e quella solidarietà cui ogni uomo incessantemente anela e che solo in Cristo è possibile trovare. Nutritevi, sempre, di Dio e di un amore concreto che parli di lui a quanti incontrate. Affido ciascuno alla Vergine Maria perché sappiate come lei ascoltare, accogliere e custodire il Verbo fatto carne.

La consapevolezza della materna presenza della Madre di Dio, sia per voi e per le vostre famiglie quotidiano conforto e stimolo a ben operare.

Ancora una volta vi ringrazio per questo invito, per questo incontro molto suggestivo. Qui sono sempre presenti con la loro ispirazione i monaci benedettini che ci hanno lasciato il santuario. Ma qui, nello stesso tempo, durante i secoli, ha vissuto e vive una popolazione che, di generazione in generazione, si distingue soprattutto per il lavoro agricolo e per la pesca. Tutto ciò costituisce una sintesi speciale, direi evangelica. Sappiamo bene come nel Vangelo siano presenti coloro che lavorano la terra così come i pescatori, persone predilette da Gesù, trasformate in apostoli.

Oggi il Papa, il successore di Pietro, che era uno di questi pescatori, viene per dire a voi pescatori e a voi lavoratori della terra: siete chiamati a essere apostoli, non cambiando la vostra professione e le condizioni della vostra vita, ma seguendo Cristo, secondo le parole semplici e profetiche dell'Abbazia benedettina, di san Benedetto: "Ora et labora". Ecco il vostro metodo nell'apostolato, il più semplice e il più efficace. Vi auguro che questo "Ora et labora" diventi per voi programma quotidiano e, nonostante tutte le difficoltà della vita agricola e di quella del mare, vi renda anche sereni, felici e portatori del bene verso gli altri.

Data: 1990-09-22

Sabato 22 Settembre 1990

Alla popolazione davanti la concattedrale - Comacchio (Ferrara)

Titolo: Lo sviluppo non perda la sua dimensione umana

Signor sindaco, cari fratelli e sorelle!


1. Sono lieto di incontrarvi in occasione della mia visita pastorale a questa diocesi. Saluto di cuore ognuno di voi. Saluto il vostro carissimo e zelante arcivescovo, che conosco e apprezzo da molto tempo, quando era segretario generale della Conferenza episcopale italiana. Ringrazio il signor sindaco per le calorose parole di benvenuto, che ha voluto gentilmente indirizzarmi, a nome di tutta la popolazione. Rivolgo un particolare pensiero a voi, qui presenti, e a quanti mi ascoltano. Abbraccio spiritualmente tutti gli abitanti di Comacchio e di queste valli, che con il loro incantevole panorama fanno della vostra zona un'oasi di verde e di pace.

La vostra è una terra che, nonostante le difficili vicende storiche e le stesse calamità naturali, ha saputo attraverso i secoli, per la tenacia della propria gente, non perdere la sua identità ambientale. Ne è uscita anzi più definita e più bella. Questo è uno dei luoghi, rari nel nostro tempo di indiscriminata espansione industriale, dove l'intervento della tecnica ha rispettato il volto della natura, creando condizioni adatte perché lo sviluppo non perda la sua dimensione umana.


2. Di simile paesaggio, caratterizzato da spiagge marine, da varietà di vegetazione, da fauna di terra, di aria e di acqua, dove spesso riesce difficile definire i confini stessi dei vari elementi, sembra a prima vista che il naturale costruttore sia stato il gran fiume, sempre pronto a sconfinare, a far capricci, e talvolta a cambiare perfino corso. Migliaia di ettari di terra sono stati contesi, ora perduti e ora riacquistati, in una gara secolare tra mare, fiumi e uomo.

Ma oggi possiamo giustamente affermare che ha vinto l'uomo. così, il vostro litorale, una volta ricoperto di boschi, è ora tutto punteggiato di tranquille località di villeggiatura. Le pietre, sapientemente collocate per porre argine all'invasione delle acque, gli edifici civili e religiosi, con strade e sentieri collegati da ponti, fanno della vostra ridente cittadina, con le sue isole e il labirinto dei suoi canali, un esempio dell'umana ingegnosa operosità.

In realtà, il più valido artefice di questo singolare luogo, che qualcuno ha chiamato "il paese dell'acqua", è stato l'uomo, che è riuscito, col suo coraggio e la sua fede, ad avere la meglio, non incrociando mai le braccia di fronte ai fenomeni avversi.


3. Cari fratelli e sorelle, venendo in mezzo a voi, il mio pensiero si rifà con insistenza alla stupenda pagina della Genesi che, riletta in questa singolare circostanza, assume un valore di straordinaria attualità. Dopo aver creato il mondo, Dio, benedicendo il primo uomo e la prima donna, disse: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogate e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra" (Gn 1,28).

Le parole del Libro sacro trovano qui una loro suggestiva applicazione.

Dio creatore plasmo l'uomo a propria immagine e somiglianza, affidandogli il compito di custodire e coltivare la terra e di dominare sui pesci del mare, oltre che sugli uccelli del cielo e sugli animali della terra. E' quanto l'uomo ha fatto nel corso dei secoli in questo angolo privilegiato della penisola, affrontando a volte immani fatiche. Non sono mancati i momenti nei quali anche gli uomini di queste valli hanno avvertito tutto il peso dell'antica sentenza: "Col sudore del tuo volto mangerai il pane" (Gn 3,19). Ma anche quando il confronto con la natura s'è rivelato penoso e duro, il lavoro non ha cessato di essere un bene per l'uomo, perché gli ha consentito non solo di trasformare l'ambiente adattandolo alle proprie necessità, ma anche di realizzare se stesso come uomo, di divenire, in certo senso, più uomo (LE 9).

L'attività lavorativa chiama ciascuno a partecipare all'opera della creazione, impegnandone non solo il fisico, ma anche lo spirito. Sant'Agostino ripeteva: "Considero la terra e vedo che essa è stata creata. E' grande la bellezza della terra, ma ha un Creatore. Vedo la grandezza del mare che ci circonda, me ne stupisco, l'ammiro, ma cerco il Creatore. Alzo gli occhi al cielo, ammiro la bellezza delle stelle, lo splendore del sole, vedo la luna: sono meravigliosi tutti quanti: li ammiro, li esalto, ma ho sete di colui che li ha creati" (S. Agostino, "Comm. in Ps. 41"). E' Dio, dunque, il primo artefice di tutto. E' lui che noi cerchiamo anche quando ci sforziamo di costruire un mondo più bello: lui, Verità immutabile ed Essere cui nulla fa difetto. Il mondo visibile, mutevole e limitato, non può rispondere totalmente alle attese della mente e del cuore umano.

E' con queste interiori disposizioni che occorre affrontare la propria fatica quotidiana. Chi lavora con un simile atteggiamento, entra in una sorta di dialogo con Dio, che ben può qualificarsi preghiera. La sua attività diventa vera collaborazione col Creatore nel far progredire l'universo verso una perfezione sempre maggiore. Al termine della propria fatica quotidiana l'uomo, asciugandosi il sudore della fronte, può allora condividere la soddisfazione di Dio, dopo ogni giorno della creazione, per aver fatto "una cosa buona" (Gn 1,10 Gn 1, ).


4. Cari fratelli e sorelle, vi sostenga in quest'impegno e vi accompagni, ogni giorno della vostra esistenza, la Vergine Madre, la più alta collaboratrice di Dio. Voi la venerate con filiale devozione e l'invocate, come vostra patrona, nel santuario di Santa Maria in Aula Regia congiunto alla città da un lungo porticato.

La chiamate anche, in modo assai significativo, "Madonna del popolo", a indicare il profondo rapporto che c'è tra la gente di Comacchio e Colei che ha dato al mondo il Salvatore. Sono particolarmente lieto di associarmi a voi nel celebrare oggi la sua festa. Con voi la invoco e per tutti imploro la sua protezione.

Santa Maria in Aula Regia sia al fianco di ciascuno e vegli materna sull'intera vostra Comunità.

Vorrei aggiungere ancora una parola di ringraziamento speciale. Dalle parole del vostro signor sindaco abbiamo appreso che tra quelli che sono venerati in Polonia come "cinque frati" protomartiri monaci, vi erano anche due rappresentanti della vostra terra. Era all'inizio della storia della mia Patria, nei primi anni di questo millennio. Vorrei ringraziare per questo dono spirituale che ci unisce attraverso tanti secoli, ci unisce nel mistero della Chiesa, ci unisce nel mistero di Cristo. Grazie di cuore a nome della mia Patria, dei miei compatrioti, della Chiesa in Polonia.

Data: 1990-09-22

Sabato 22 Settembre 1990

Ai malati e al personale dell'arcispedale Sant'Anna - Ferrara

Titolo: Costante attenzione alla sofferenza e al settore dell'assistenza

Carissimi fratelli e sorelle dell'arcispedale Sant'Anna di Ferrara!


1. Con viva gioia sono oggi tra voi per un incontro che ha un suo particolare rilievo nel corso di questa visita pastorale. A tutti rivolgo il mio cordiale saluto. Sono grato al signor presidente dell'Unità Sanitaria Locale e al signor direttore dell'Ospedale per le nobili parole con cui hanno interpretato i comuni sentimenti e hanno espresso gli alti valori a cui s'ispira l'azione di quanti prestano il loro servizio in questo centro di cura.

Uno speciale saluto desidero rivolgere ai degenti che qui trovano accoglienza, con l'augurio che la mia venuta tra loro rechi a ciascuno conforto e sollievo. Per questo voglio ringraziare di tutto cuore per le parole pronunciate da uno di voi, da uno di questi sofferenti degenti in questa Clinica.

Sono qui anche per benedire la prima pietra del nuovo ospedale. E' spontaneo, in una circostanza come questa, riandare col pensiero all'origine di questa insigne opera ferrarese. Com'è noto, l'arcispedale di Sant'Anna venne fondato dal beato vescovo Giovanni Tavelli da Tossignano, il quale, autorizzato dal mio predecessore Eugenio IV, fuse insieme vari piccoli ospizi, creando "unum hospitale notabile et insigne" strutturato secondo il modello di Santa Maria Nuova di Firenze. La neonata istituzione venne affidata con diritto di giuspatronato al Comune di Ferrara, sottoponendone la gestione al governo di un priore, che era di norma un ecclesiastico.

Nella bolla di erezione dell'8 ottobre 1440, si statuivano, con sollecita premura, molteplici clausole a garanzia non soltanto del conveniente trattamento sanitario dei degenti, ma anche della loro cura spirituale, senza dimenticare peraltro quanti vi prestavano gratuita opera di assistenza.


2. In questa vostra Città, cari fratelli e sorelle, avete dunque una testimonianza eloquente della costante attenzione che la comunità cristiana ha riservato e riserva al grande problema della sofferenza umana e al vasto settore dell'assistenza, così complesso e importante. La Chiesa, che nella sollecitudine del Redentore verso i malati vede l'esempio normativo della propria condotta, ha sempre guardato con speciale interesse all'uomo provato dal dolore (cfr. "Salvifici Doloris", 3). Di questo interesse sollecito e attento la mia presenza tra voi, carissimi, vuol essere ulteriore manifestazione e conferma.

Al tempo stesso, io desidero annunciare ancora una volta le fondamentali verità della fede, da cui tanta luce si riversa sul buio che avvolge il mistero del dolore umano. Gesù ha voluto patire per la salvezza dell'umanità. "Le sofferenze di nostro Signore - scrive un antico autore cristiano - sono le nostre medicine" (Teodoreto di Ciro, "Trattato sull'Incarnazione", 28).

Siamo pertanto invitati ad avvicinarci sempre di più al Crocifisso, a capirlo, ad amarlo e a condividerne il mistero. Dalla meditazione della passione del Figlio di Dio noi attingiamo la forza per trasformare il peso pur grave della malattia, specialmente quando essa obbliga a prolungate degenze, in un'oblazione santificante per la Chiesa e per la stessa umanità.

Vi sono vicino, cari ammalati, con la mia preghiera e auspico che l'aiuto dell'Altissimo vi sostenga in questo tempo di prova. Vi auguro di tutto cuore che possiate presto guarire, e tornare così alle vostre case e tra i vostri familiari.


3. Il mio pensiero va poi a quanti prestano la loro opera per la cura e il sollievo dei degenti: ammiro, cari fratelli e sorelle, la vostra dedizione, e vi sono grato per quanto fate a favore dei pazienti a voi affidati.

Invoco, inoltre, il Signore affinché la vostra instancabile attività, sempre sostenuta da generosa disponibilità, sia coronata da frutti consolanti. Il compito che siete chiamati a svolgere in questo ospedale è una missione a servizio dell'uomo. Vostro modello sia il buon samaritano: il medico, l'infermiere, l'operatore sanitario e il volontario sono chiamati a imitare il gesto del generoso soccorritore, tratteggiato nella parabola evangelica, e a porsi, come lui, al fianco di chi soffre.

L'insegnamento di Gesù vi illumini nel vostro quotidiano impegno e vi stimoli ad agire sempre con la dovuta preparazione scientifica e con detta coscienza per servire la vita che è sacra, e la cui difesa, dal suo nascere fino alla morte naturale, forma il vanto della vera scienza medica.

Davanti ai vostri occhi e nelle vostre mani voi avete una persona con la sua dignità e i suoi diritti: essa porta scolpita in sé l'immagine di Dio Creatore. E' precisamente in questo riferimento al trascendente Principio di ogni essere umano che trova il suo fondamento ultimo il dovere di soccorrere il prossimo senza distinzione di razza, di lingua, di convinzione politica, di religione. Il rapporto malato-medico diventa, in tal modo, sempre più un incontro tra due fratelli "tra una "fiducia" e una "coscienza"").

Sia dunque il vostro lavoro costante testimonianza di alta capacità professionale e di generosa dedizione a servizio dell'uomo.


4. In questa circostanza, così singolare e significativa, sono lieto di benedire la prima pietra del futuro Ospedale, che l'amministrazione civica e gli enti pubblici hanno deciso di costruire a beneficio non solo della Città, ma dell'intera Provincia di Ferrara. Auspico che questa nuova struttura sanitaria sia all'avanguardia non solo per la sua perfetta organizzazione, ma anche, e soprattutto, per i rapporti di reciproca carità che si instaureranno al suo interno.

Invocando l'intercessione di Maria, "Salus infirmorum", vi imparto di cuore la benedizione apostolica, che estendo a tutti i vostri cari.

(Dopo la benedizione della prima pietra:) Vorrei ancora ringraziare tutti i miei fratelli presbiteri diocesani e religiosi, soprattutto i fratelli Cappuccini, per la loro opera pastorale di grandissima importanza che svolgono qui, in questo Ospedale, e dappertutto, nella città, nella diocesi di Ferrara, accanto ai sofferenti. Grazie di cuore.

Data: 1990-09-23

Domenica 23 Settembre 1990

A docenti e alunni nell'Aula Magna dell'Università - Ferrara

Titolo: La Chiesa avverte l'esigenza di evangelizzare ogni cultura umana

Signor rettore magnifico, illustri docenti e carissimi alunni dell'Università di Ferrara, signor ministro, rappresentante del Governo Italiano!


1. Doppiamente gradita mi riesce l'odierna visita in questa storica sede, all'indomani del mio arrivo in una Città tanto nobile e ricca di tradizioni culturali e civili.

Per me, infatti, essa costituisce un felice ritorno che mi riporta a un preciso ricordo, allorché - era l'ottobre 1965 - proprio qui fui presente alla cerimonia per il gemellaggio di questa con l'Università polacca di Torun. Oggi, inoltre, sono presenti in mezzo a noi dodici rettori di diverse Università europee, convenuti per il cosiddetto progetto "Erasmus", sicché l'incontro, non già circoscritto né limitato a questa sola sede, si allarga piuttosto a una molteplicità ben significativa di presenze e di rappresentanze, che mi consentono di ampliare il discorso ai temi generali della cultura superiore e dell'interscambio disciplinare tra i centri di studio dei vari Paesi della Cee.


2. Mi corre, peraltro, l'obbligo di salutare e di ringraziare, oltre che ciascuno di voi, l'onorevole Luigi Covatta, sottosegretario per i beni culturali e ambientali e il signor rettore per le parole tanto leali e cortesi, con le quali essi si sono fatti interpreti dei comuni sentimenti. Esse mi danno conferma che la mia presenza è gradita anche a voi, e me ne compiaccio.

Accennando alla prima fondazione di questa Istituzione, risalente a sei secoli fa e dovuta alla concessione di un Romano Pontefice, egli ha voluto dare alla mia visita il carattere di inizio ufficiale delle solenni celebrazioni centenarie, previste per il prossimo anno. In effetti, la bolla "In supremae" di Papa Bonifacio IX segna l'"atto di nascita" dello "Studium Generale" qui a Ferrara, e utile e illuminante appare oggi la sua rilettura per un confronto tra le originarie finalità istitutive e l'odierna realtà accademica. Non è difficile ravvisarvi una linea di continuità.


3. Il lontano mio predecessore fondava lo Studio Ferrarese su formale richiesta del marchese Alberto d'Este e della comunità cittadina, aprendolo agli studi della teologia ("sacra pagina"), del diritto canonico e civile, della medicina e delle altre arti e lettere, e conferendo ai docenti, ai lettori e agli studenti gli stessi "privilegi, libertà, immunità e indulgenze", di cui godevano i colleghi delle Università di Bologna e Parigi.

Singolare era, dunque, l'onore conferito al nuovo Studio per l'esplicita correlazione e, direi, assimilazione a quelle due prestigiose e celebrate sedi, e per la licenza, altresi, che veniva concessa a quanti avrebbero meritato il "bravium" nella facoltà frequentata, di poter insegnare anche agli altri e altrove.

Sta di fatto che da allora, pur nel variare delle circostanze e nonostante qualche momento di flessione e di difficoltà, lo Studio Estense ha accolto tanti scienziati e studiosi, preparandoli e formandoli ieri e oggi per il dottorato, definito "l'onore del magistero". Tra di essi mi piace ricordare il mio connazionale Nicolo Copernico, qui laureatosi in giurisprudenza, e l'insigne medico Teofrasto Bombast von Hohenheim, più conosciuto col nome di Paracelso. Né si può dimenticare che a Ferrara ebbe luogo il Concilio Ecumenico, detto poi Fiorentino, per l'unità delle Chiese d'Oriente e d'Occidente, un evento importante al quale questa Università diede il suo contributo ad opera soprattutto di Guarino Veronese.


4. Il confronto con la realtà attuale scopre ovviamente tante differenze: si tratta di un'Università statale, ben articolata nelle sue diverse facoltà, che, pur ridotta di dimensioni, si distingue per la serietà e la qualità degli studi nel mondo universitario, non solo italiano. Essa non è più inquadrata, come era un tempo, nell'ordinamento ecclesiastico, né dipende - come prevedeva la bolla istitutiva - dall'autorità del vescovo locale o dal Capitolo dei Canonici, ma pure non ha dimenticato - e il mio augurio è che non abbia mai a dimenticare - le alte parole di quel documento: "La lode del nome di Dio, la propagazione della fede cattolica e l'esaltazione della Chiesa".

Oggi che è diffusa la sensazione di vivere in una nuova età e tante strutture sociali hanno subito e stanno subendo un processo di profonda trasformazione, la voce della Chiesa non può né deve tacere l'indicazione o, meglio, il formale richiamo di certi valori essenziali che non passano né variano.

E se la Chiesa si preoccupa primariamente e responsabilmente degli enti e delle istituzioni che gestisce in proprio - quali sono, ad esempio, le Università cattoliche -, al tempo stesso la sua voce si rivolge con attento interesse al mondo della cultura in generale, non tanto per ricordare i propri meriti, storicamente innegabili, di animatrice e protettrice di ingegni, di conservatrice e custode del patrimonio dell'antichità classica e del fatto, parimenti incontestato, di avere essa stessa fondato tante e tante Università o Istituti di studi superiori sia nella vecchia Europa che negli altri Continenti. Ma non è solo per questo: la sua voce risuona soprattutto per raccomandare e rammentare costantemente la presenza, l'azione, la provvidenza di Dio creatore e padre in favore dell'uomo: di tutto l'uomo e di tutti gli uomini, inclusi ovviamente e, direi, elettivamente coloro che "ex officio" indagano e ricercano la verità. Non è questo, precisamente, anche il caso vostro, cari docenti e studenti di Ferrara? Indagando intorno alla "rerum natura", come potreste voi trascurare o dimenticare l'"Auctor naturae", quel Dio che trovate non solo in voi, nel sacrario della vostra coscienza individuale, ma che pure scoprite nella concreta sostanza delle cose a cui indirizzate i vostri studi? Al riguardo, rimane sempre vera la parola di san Paolo: "Le perfezioni invisibili di Dio sono scorte dall'intelletto attraverso le opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità" (Rm 1,20). A questa naturale possibilità di rinvenimento si aggiunge la luce superiore della rivelazione, che ha la sua fonte in Cristo, Verbo di Dio e Sapienza di Dio (cfr. 1Co 1,24), la "luce vera che illumina ogni uomo" (Jn 1,9).


5. Ben ferma è la voce della Chiesa nel richiamare questi capisaldi dottrinali a tutti gli uomini e, in modo particolare, agli uomini di studio che, in ragione del loro ingegno più acuto e degli strumenti di ricerca dei quali dispongono, hanno il dovere di approfondire gli eterni problemi del conoscere e del credere, dell'essere e dell'agire, con l'ulteriore impegno di illuminare i fratelli, specie quando siano loro affidati come alunni da istruire e da educare.

Del resto, per quanto attiene specificamente alla cultura, voi sapete anche che la voce della Chiesa è risuonata autorevolmente durante il Concilio Vaticano II, il quale nella costituzione pastorale "Gaudium et Spes" (GS 53-59) ha dedicato ad essa alcuni importanti paragrafi. Permettete che vi legga qualche riga: "Applicandosi allo studio delle varie discipline, quali la filosofia, la storia, la matematica, le scienze naturali..., l'uomo può contribuire moltissimo a che l'umana famiglia si elevi ai più alti concetti del vero, del buono e del bello... e in tal modo sia più vivamente illuminata da quella mirabile Sapienza, che dall'eternità era con Dio". E ancora: "Per ciò stesso lo spirito umano... può innalzarsi più speditamente al culto e alla contemplazione del Creatore".

Quale che sia la moderna fisionomia o l'appartenenza giuridica di un'Università, questi dati sono impreteribili per ogni onesto studioso e ricercatore, e per tale ragione ho ritenuto opportuno di enunciarli sia pur brevemente e di proporveli come oggetto di proficua e salutare riflessione. Al giorno d'oggi la Chiesa avverte più urgente l'esigenza di "evangelizzare la cultura", ogni cultura umana, nel senso più ampio che tale parola ha ormai acquistato nel linguaggio moderno. Prima, pero, di questo significato sociologico, sapete bene che cultura vuol dire educazione dell'animo, formazione personale o - come dicevano i latini - "humanitas", cioè crescita e sviluppo armonico dell'uomo in tutte le sue componenti. Anche sotto tale aspetto, che è e resta fondamentale, si può e si deve parlare di "evangelizzazione della cultura", intendendo una destinazione affatto particolare e un'applicazione singolarmente feconda del Vangelo di Gesù Cristo a tutti coloro che "fanno cultura" mediante i loro studi, le loro ricerche teoriche e le relative applicazioni pratiche. A voi, dunque, rivolgo fiduciosamente l'invito per un tale lavoro di approfondimento, di assimilazione e di sviluppo. In effetti - vi ripetero con Gesù stesso - "è un seme la parola di Dio" (Lc 8,10).


6. Ho fatto cenno, all'inizio, del progetto "Erasmus", del cui Comitato consultivo sono qui i qualificati rappresentanti. Mi rallegro sinceramente per questa iniziativa che favorirà di certo, nell'interesse e per l'incremento della cultura superiore, più frequenti contatti tra i docenti e i giovani delle diverse Nazioni europee. Essa contribuirà anche ad accelerare - a un livello certo elevato - il processo di quella più complessa e organica unità del Continente che è da tempo nei voti di tutti. Sono lieto, pertanto, di formulare qui i miei auguri cordiali per la felice riuscita del progetto, mentre esprimo compiacimento per il fatto che una fase tanto importante di esso si svolga proprio all'interno di questa sede universitaria.

Sui benemeriti promotori del programma, come sull'intera Comunità accademica dello Studio Ferrarese, io invoco i celesti favori del Signore onnipotente, nella speranza che le loro iniziative culturali, pur varie nelle forme e nei modi di attuazione, convergano all'unico scopo dell'elevazione dell'uomo e della promozione della sua inalienabile dignità. Riuscendo in tale nobile intento, si potrà applicare anche a voi l'espressione della bolla del mio predecessore: davvero, avrete voi meritato il "bravium", cioè il premio e il frutto del vostro apprezzato lavoro.

Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1990-09-23

Domenica 23 Settembre 1990

Omelia alla concelebrazione in piazza del Duomo - Ferrara

Titolo: Chiamati ad aprire il cuore alle parole di Cristo perché il suo spirito possa operare in tutti noi

Cari fratelli e sorelle.


1. Il Signore Gesù, come il padrone della vigna, di cui parla l'odierna pagina evangelica, imbandisce per noi nella Chiesa una duplice mensa: la Parola di Dio e l'Eucaristia.

Accostiamoci a questa mensa! Accostatevi tutti voi che avete fame e sete del divino nutrimento, per rafforzare le vostre forze umane! La parola, che proviene da Dio, ha una lunga storia. "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi "per mezzo del Figlio" (He 1,1-2).

Nel Figlio incarnato si realizza la pienezza della parola rivelata. Egli è il Verbo eterno, che "si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,14). Ed egli stesso, come il padrone della vigna, ci invita a partecipare al banchetto della parola di Dio e dell'Eucaristia.

Saluto tutti voi, fratelli e sorelle carissimi, che siete intervenuti a questa solenne e suggestiva celebrazione. Ringrazio il vostro pastore, il carissimo mons. Luigi Maverna, per le parole che mi ha indirizzato a nome dell'intera comunità diocesana. Con lui abbraccio i presuli dell'Emilia-Romagna e i vescovi concelebranti. Unisco nel ricordo i sacerdoti, i religiosi, le religiose e quanti in diocesi condividono il lavoro apostolico e missionario. Esprimo un deferente pensiero alle autorità presenti. Con particolare affetto mi rivolgo poi agli ammalati, ai giovani e a voi tutti che formate il popolo di Dio, nella ricca varietà delle sue articolazioni e dei suoi carismi.


2. Dapprima Dio ha parlato per mezzo dei profeti "molte volte e in diversi modi".

La liturgia di ogni domenica, e di ogni giorno, propone tale multiforme manifestazione. Con quanta potenza risuonano le parole del profeta Isaia! Quanto chiaramente traspare in esse la trascendenza di Dio! Allo stesso tempo, questo Dio, assolutamente al di sopra dei nostri pensieri e delle nostre vie, al di sopra di tutto il creato, chiama l'uomo e lo sollecita con l'invito del profeta: "Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino" (Is 55,6).

Dio quindi è lontano, ma anche vicino. Abbraccia tutto, penetra tutto. "In lui, infatti, viviamo, ci muoviamo ed esistiamo", proclamerà Paolo nell'Areopago di Atene (Ac 17,27-28).


3. Questo Dio: ma come è questo Dio? Ascoltiamo il Salmista: "Grande è il Signore e degno di ogni lode, / la sua grandezza non si può misurare... / Paziente e misericordioso è il Signore, / lento all'ira e ricco di grazia. / Buono è il Signore verso tutti, / la sua tenerezza si espande su tutte le creature... / Giusto è il Signore in tutte le sue vie, / santo in tutte le sue opere. / Il Signore è vicino a quanti lo invocano, / a quanti lo cercano con cuore sincero" (Ps 144,2-3 Ps 144,8-9 Ps 144,17-18).

Così il salmo ci parla di lui, anzi è Dio che manifesta se stesso con le parole del salmista.


4. "Ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio". E il Figlio come si esprime? Preferisce parlare in parabole. Anche oggi ne abbiamo ascoltato una, quella degli operai mandati nella vigna. Il senso è chiaro. Gesù non si propone certo di trattare la questione salariale nel contesto della giustizia sociale. Egli vuole piuttosto illustrare l'atteggiamento di Dio verso l'uomo; atteggiamento che non si ispira al modello contrattuale, bensi al principio della gratuità che supera ogni logica umana e ogni concezione giuridica.

La conclusione della parabola può sembrare misteriosa. Agli uomini dell'ultima ora viene corrisposta la stessa ricompensa pattuita per gli altri che invece hanno "sopportato il peso della giornata e il caldo". Il comportamento del padrone della vigna appare provocatorio e non meraviglia che desti delle proteste.

può essere anche istintivo provare gelosia e invidia perché un altro ottiene senza suo merito ciò che a noi è stato possibile conquistare solo con dura fatica. Ma la giustizia divina è ben diversa da quella umana. Inutile mettere a confronto le vie di Dio con gli angusti sentieri dei nostri ragionamenti!


5. Quanto opportunamente, allora, l'odierna liturgia ci prepara all'ascolto del Vangelo, con il versetto dell'Alleluia che così dice: "Apri, Signore, il nostro cuore, perché aderiamo alle parole del tuo Figlio". Si, bisogna aderire a queste parole. Bisogna ascoltarle fino in fondo: "Tutto quello che Gesù fece e insegno" (Ac 1,1), si riassume nella parola più potente e definitiva della sua morte e della sua risurrezione: la parola della Pasqua di Cristo, la parola della nostra redenzione.

Nella Liturgia, la Chiesa imbandisce per noi la mensa della Parola di Dio, perché il suo ascolto ci disponga ad accostarci all'Eucaristia, mistico banchetto del corpo e del sangue del Signore. In così ineffabile sacrificio il Figlio, della stessa sostanza del Padre, parla senza parole. La croce è la sua parola più efficace e decisiva. E anche l'eterno Padre si manifesta, in modo assoluto e definitivo, in questa parola del Figlio. E' la parola della Redenzione, la parola di Vita eterna: perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10).

Dopo questa parola, nella storia della divina rivelazione, è sopraggiunto il silenzio colmato dalla discesa dello Spirito Santo. Un silenzio, tuttavia, che fa vivere. "E' lo Spirito che dà la vita" (Jn 6,63). Il silenzio che scruta profondamente e spiega tutte le parole di Cristo, spiega anche questa parabola degli operai nella vigna, spiega fino a dare a ciascuno una risposta a questo interrogativo che viene dalla provocazione, a questo perché.


6. Siamo chiamati a partecipare, non solamente ad ascoltare, non solamente a essere osservatori: non si può essere osservatori di questa parola che è la croce, la Pasqua. Siamo chiamati ad aprire il cuore alle parole di Cristo, perché il suo Spirito possa operare in noi. Questa è la realtà anche di questa nostra assemblea, e soprattutto di questa nostra assemblea eucaristica qui nel centro di Ferrara.

Siamo chiamati come operai in questa vigna, che raffigura il regno di Dio, un regno che non ci è stato soltanto dato nella parola di Cristo, nel mistero cioè della croce e della risurrezione, come bene da possedere, ma che ci è stato affidato come missione da compiere. E la perenne effusione dello Spirito Santo ci conferma costantemente in tale compito. Ci fa cristiani, ci fa partecipi del mistero pasquale di Cristo, del suo Vangelo, della sua redenzione, ci fa partecipi, ci fa tutti apostoli.


7. Eccoci, fratelli e sorelle, alla mensa dell'Eucaristia. Su essa troviamo il cibo e la bevanda: troviamo Cristo. In essa ci è offerto, inoltre, il segno della nostra personale chiamata a cooperare con lo Spirito Santo che opera in noi, con lo Spirito che dà la vita.

Cristo, come proclama san Paolo, dev'essere glorificato nel nostro corpo. Lo è proprio mediante l'Eucaristia. Per l'apostolo "il vivere è Cristo" e così è anche per noi. Si applicano a ciascuno queste parole: "Comportatevi da cittadini degni del Vangelo" Ph 1,21.27). La comunione eucaristica ci invita, in modo particolare, a un tale comportamento.

L'Eucaristia: Cristo glorificato nel nostro corpo! Cristo glorificato sia nella vita che nella morte; morte, che è apertura verso la nuova pienezza della vita donata all'umanità dal Salvatore; vita, che lo Spirito Santo produce in noi: lo Spirito che dà la vita.

Ascoltiamo quindi la parola del Vangelo! Ascoltiamo la parola della croce e della risurrezione! I nostri cuori siano costantemente aperti. Nella vita e nella morte - sempre - Cristo sia glorificato in noi! Con lui, anche noi siamo chiamati alla gloria! Siamo chiamati alla vita in lui. In Dio! Siamo chiamati: gloria di Dio è l'uomo vivente. Per Dio e in Dio! Amen.

Data: 1990-09-23

Domenica 23 Settembre 1990


GPII 1990 Insegnamenti - A pescatori, agricoltori e turisti - Abbazia di Pomposa (Ferrara)