GPII 1991 Insegnamenti - Ai membri della Giunta e del Consiglio della Regione Lazio - Città del Vaticano (Roma)


1. Siate i benvenuti! Con gioia accolgo in voi i responsabili della Regione, nel cuore della quale si trova Roma, centro del Cristianesimo e custode di secolari tradizioni di civiltà e di diritto, di cultura e di arte. L'incontro mi è particolarmente gradito perché mi consente di formularvi, all'inizio del nuovo Anno, auguri vivissimi di prosperità e di pace. Alla pace si volge l'attesa dell'umanità, sempre più inquieta per i drammatici sviluppi del conflitto nel Golfo Persico. A favore della pace opera anche il vostro Consiglio Regionale, come Ella, Signor Presidente, ha poc'anzi ricordato. Non venga mai meno quest'impegno, né si spenga la speranza sorretta da incessante invocazione al Signore, Principe della pace. Sono grato per le cortesi espressioni di saluto che Ella mi ha rivolto a nome dei suoi collaboratori e mentre ricambio i cordiali sentimenti che mi ha manifestato, auspico per questa Regione, a me tanto cara, perché legata in maniera speciale alla mia missione di Vescovo di Roma, autentico progresso in una convivenza serena ed operosa.


2. Siamo quasi al tramonto del secolo XX e già s'intravvede l'alba del Terzo Millennio. Gli eventi straordinari dello scorso anno, caratterizzati dal rapido smantellamento delle barriere ideologiche e politiche nell'Europa dell'Est, avevano suscitato speranze che ora si scontrano bruscamente con le ansie causate dalla presente situazione di guerra e di violenza. Sono giorni non facili, che domandano impegno, responsabilità e coraggio: la società ritroverà la pace tanto auspicata, solo se si sapranno sciogliere i nodi che stanno all'origine degli attuali momenti di crisi. Quest'impegno interessa certamente l'intera umanità, ma non può fare a meno dell'iniziativa concreta di ogni persona e dello sforzo fattivo delle varie realtà sociali, locali e regionali. Costruire un mondo più pacifico e giusto significa impegnarsi a rinnovare il mondo nel quale viviamo; significa farsi carico dei problemi della comunità, specialmente di quanti soffrono, di quanti sono emarginati ed abbandonati: significa eliminare le cause del disagio e dell'ingiustizia. Il Consiglio Regionale, pur rimanendo nell'ambito delle sue competenze, può con una saggia opera di programmazione e guida creare le condizioni più opportune perché ciò avvenga, superando le numerose difficoltà che frenano la promozione di ogni uomo. Penso, in particolare, agli ambiti dell'assistenza sanitaria e della lotta all'emarginazione.


3. L'emarginazione è attualmente il problema sociale più grave nel Lazio, soprattutto nell'area metropolitana, dove continuano ad affluire innumerevoli persone, provenienti dalle località più diverse. Sono, in genere, immigrati dai Paesi extracomunitari e nomadi, ma non mancano altri individui senza fissa dimora che hanno abbandonato i luoghi di origine in cerca di lavoro e di maggiore benessere. Le misure amministrative adottate, malgrado ogni sforzo, non sempre rispondono, in maniera efficace, alle esigenze e spesso si traducono in ulteriori disagi per questi nostri fratelli emarginati. Non esistono, tuttavia, solo gli immigrati; esiste una fascia umana ben più ampia, fatta di anziani, il cui numero cresce per via del rapido invecchiamento della popolazione; di tossicodipendenti, che gravitano nelle città privi di qualunque soccorso, di malati di AIDS, e, soprattutto, di ragazzi e adolescenti tragicamente immessi sulla via della delinquenza e della devianza. E' ben nota, poi, la situazione degli ospedali e dei centri sanitari, non sempre in grado di soddisfare le aumentate richieste da parte della popolazione. Queste case di dolore e di speranza dovrebbero essere oasi di calorosa accoglienza umana, prima che strutture dirette da qualificati ed impegnati professionisti. Il malato, proprio per lo stato in cui si trova, è una persona debole; non ha la capacità di far valere i propri diritti e di difendersi.

Si affida alla competenza e al senso di umanità del medico e di quanti hanno la responsabilità della degenza e della cura sanitaria. Se poi si considera che in larga misura si è in presenza di gente anziana, bisognosa praticamente di ogni tipo di assistenza, ci si rende conto di quanto sia grande il compito di tutti gli operatori ospedalieri.


4. L'arcipelago del disadattamento sociale e della sofferenza, al quale ho brevemente accennato, è quotidianamente sotto i nostri occhi. Occorre non abituarcisi. Le varie manifestazioni di emarginazione non costituiscono l'eccezione, che conferma la regola, di un progresso generalizzato. Infatti il benessere, assai più diffuso di quanto non fosse pochi decenni addietro, produce esso stesso disagi e difficoltà di vario tipo in una quota non trascurabile di popolazione. L'aumento della ricchezza approfondisce contemporaneamente la distanza tra coloro che hanno e coloro che nulla possiedono, o che hanno meno, mentre l'abbondanza ha come effetto immediato il richiamo di quanti si trovano ai limiti della sopravvivenza e tendono a migliorare le loro condizioni, spostandosi dalle zone più disagiate a quelle più benestanti. Gli episodi ricorrenti di rigetto che coinvolgono immigrati e nomadi, specialmente nei centri più importanti, non sono che l'espressione emblematica delle conseguenze inquietanti di questa corsa al benessere materiale. A nessuno sfugge l'importanza di tempestivi interventi che mirino al contenimento di simili fenomeni, la cui soluzione, peraltro, non può essere delegata alle sole organizzazioni del volontariato religioso e laicale, che pur prestano un servizio insostituibile. Per quanto vasta ed efficace, l'azione solidaristica è destinata a raggiungere risultati assai limitati se manca il sostegno determinante delle strutture pubbliche. Solo le pubbliche autorità hanno il potere di far valere i diritti di coloro che attualmente vivono ai margini della società; solo esse possono rendere i "diversi" "uguali" e con ciò sancire la loro appartenenza alla società civile, garantendo a ciascuno l'esercizio dei propri diritti e al contempo esigendo l'osservanza dei rispettivi doveri. Tocca ai pubblici poteri di far rispettare ed attuare le leggi, così che l'intera popolazione, secondo i ruoli di ciascuno, offra il proprio apporto indispensabile per la costruzione di una convivenza giusta e fraterna, di una società che non smarrisca la sua fondamentale dimensione di umanità, fatta di rispetto per la dignità di ogni persona e di fraterna accoglienza. Siate, per questo, promotori di un'autentica cultura della solidarietà e sarete costruttori della pace.


5. Solidarietà e pace. Al frastuono delle armi da guerra che tragicamente risuona in questo tempo fa eco il lamento silenzioso ed inascoltato di tanti emarginati che ci vivono accanto. Non diventi insensibile il cuore di fronte a chi soffre! Se si vuole che la pace non resti vuota aspirazione, deve tradursi in uno stile di vita, di servizio, di rispetto e di condivi sione. La pace occorre realizzarla ogni giorno in noi stessi e attorno a noi.

Auspico di cuore che il vostro Consiglio Regionale persegua sempre più coraggiosamente obiettivi sociali finalizzati alla edificazione di una convivenza più giusta e solidale, adoperandosi con determinazione per il superamento delle cause dell'emarginazione e della violenza. Invoco, a tal fine, su ciascuno di voi e sulle vostre famiglie la materna protezione di Maria, venerata in tanti Santuari del Lazio, e prego il Signore che vi sia accanto nel delicato e gravoso compito affidatovi, confortando ogni vostro impegno a favore del bene comune.

Data: 1991-02-08
Venerdi 8 Febbraio 1991

Alla presidenza del Circolo "San Pietro" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Una carità attenta alle nuove emergenze

Carissimi fratelli!


1. Sono lieto di accogliervi per questa udienza divenuta ormai una felice consuetudine e vi porgo il più cordiale benvenuto. In modo particolare saluto il vostro Assistente, Monsignore Ettore Cunial. Ringrazio il Presidente, Professor Marchese Giovanni Serlupi Crescenzi, per le cortesi parole rivoltemi a nome di tutti voi, membri di codesto "Circolo di San Pietro", ben noto per la generosa attività nei confronti della Sede Apostolica e della cara città di Roma.


2. Il presente incontro, in questo contesto, assume un carattere familiare per la stima e l'affetto con i quali il vostro Sodalizio, fin dalla sua fondazione nel secolo scorso, continua ad accompagnare l'azione del Santo Padre. Voi condividete l'ansia del Papa per il bene di ogni uomo, soprattutto di quello più povero, secondo l'insegnamento di Gesù: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi".

Il vostro amore alla Sede Apostolica e l'attenzione al prossimo bisognoso, che fanno parte, per così dire, della vostra stessa scelta di vita si esprimono, in maniera concreta, sia nella raccolta dell'Obolo di San Pietro nella Diocesi di Roma, sia nel servizio che voi prestate durante le celebrazioni pontificie. Di tutto ciò vi sono vivamente grato. Conosco, infatti, bene l'impegno con cui, non soltanto da oggi, andate incontro alle necessità e ai bisogni dei fratelli che vi stanno attorno. Apprezzo la vostra carità attenta alle nuove emergenze, mai paga di soccorrere chi è nella difficoltà e desiderosa, anzi, di trovare nuove forme per aiutare chi vive in situazione di disagio e di sofferenza. Lo attestano le numerose iniziative che hanno via via ampliato il raggio di azione del vostro gruppo, dalla distribuzione dei pasti gratuiti all'offerta di alloggio, dalla promozione di incontri culturali all'assistenza morale e spirituale nelle zone più povere della Città.


3. Dopo la Risurrezione, Gesù appare ai discepoli sulla sponda del lago di Tiberiade e chiede a Pietro per tre volte: "Mi vuoi bene tu più di costoro?". Ogni volta l'Apostolo risponde: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". E Gesù: "Pasci le mie pecorelle". L'amore intenso e fedele verso il Signore deve essere la caratteristica di ciascun cristiano, la testimonianza concreta, capace di rendere manifeste le ragioni che animano il seguace di Gesù nel suo fattivo impegno per costruire un mondo più giusto e accogliente. Sull'esempio dell'Apostolo Pietro, che sopporto generosamente gravi fatiche per il Vangelo e consumo la sua esistenza col martirio, sappiate anche voi mettervi alla sequela del Salvatore per ricevere da Lui luce e vigore spirituali e per realizzare, senza riserve, il dono di voi stessi ai fratelli.

Con questi voti di cuore imparto a voi ed ai vostri cari una speciale Benedizione Apostolica.

Data: 1991-02-08
Venerdi 8 Febbraio 1991

Ai Vescovi della Chiesa Ucraina - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Che questa Chiesa progredisca sempre più

Signor Cardinale, Venerati fratelli nell'Episcopato! Dopo otto mesi dall'ultimo nostro incontro, ci è gradito di salutarvi nuovamente qui a Roma presso la tomba di San Pietro e presso quella di San Giosafat, Arcivescovo di Polotsk.

Nel giugno scorso, il nostro primo incontro si era svolto dopo cinquant'anni di sofferenze della Chiesa in Ucraina, che nonostante la dura persecuzione era uscita dalle catacombe viva e dinamica. L'importanza di quella riunione proveniva dal fatto che per la prima volta si era raccolta intorno alla persona del successore di Pietro tutta la vostra Gerarchia, proveniente tanto dall'Ucraina che dalla vasta diaspora nel mondo.

Tornati nelle vostre sedi vescovili e presso i vostri sacerdoti e fedeli, avete potuto riferire loro tutta la mia viva sollecitudine di Padre e Pastore della Chiesa Universale. In realtà questa Sede Apostolica non ha mai cessato di assicurare il suo vivo interessamento in favore della Chiesa cattolica di rito Bizantino-Ucraino, soppressa per oltre mezzo secolo. Siano rese grazie a Dio, che ha concesso di vedere coronati gli sforzi per la riorganizzazione delle vostre comunità. Ultimamente è stato anche possibile provvedere a diocesi di rito latino in Ucraina e così la nostra gratitudine a Dio è ancor maggiore.

In questa circostanza vorrei fare menzione di un avvenimento che è accaduto durante l'ultimo Sinodo dei Vescovi qui a Roma nell'ottobre scorso.

Durante tale assemblea, vi è stata la promulgazione del Codice di Diritto Canonico per le Chiese Orientali, che entrerà in vigore dal prossimo 1° ottobre 1991.

Questo corpo di leggi canoniche è un dono e un aiuto per la vita e lo sviluppo di tutte le Chiese Orientali.

E' pertanto vivo desiderio di questa Sede Apostolica che la Chiesa in Ucraina in base alle norme canoniche che sono state promulgate, possa maggiormente fiorire e assolvere con nuovo vigore pastorale la missione a lei affidata (cfr.


O.E., 1).

L'odierno Sinodo della Gerarchia ucraina, convocato ancora fuori i confini della provincia ecclesiastica di Galizia aveva il compito di sottoporre al Supremo Pastore della Chiesa alcune proposte per il governo pastorale di importanti circoscrizioni ecclesiastiche.

La vostra preoccupazione per il bene e lo sviluppo di tutte e singole le Eparchie della Chiesa in Ucraina e nella diaspora si accomuna alla nostra sollecitudine, affinché fiorisca sempre più quella Chiesa che ebbe i natali nel Battesimo della Rus' di Kiev e che ha iniziato a vivere il secondo millennio della sua esistenza.

Venerati fratelli nell'Episcopato! In questo momento storico rivolgo a voi la parola e il monito dell'Apostolo delle genti: "Vi esorto a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (Ep 4,1-6).

Possa questo nostro fraterno incontro rafforzare la speranza che la Chiesa di rito Bizantino-Ucraino, possa progredire sempre più, per la maggior gloria di Dio e il bene delle anime.

In pegno della particolare grazia divina, impartiamo di tutto cuore a voi, ai vostri fedeli, particolarmente ai sacerdoti, monaci e suore, la nostra Benedizione Apostolica.

(Traduzione dal russo)

Data: 1991-02-09
Sabato 9 Febbraio 1991

Ai membri del Consiglio e della Giunta della Provincia di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'amministrazione ai suoi vari livelli è e deve essere un servizio a favore della comunità

Signor Presidente, Egregi Signori!


1. L'incontro con i Rappresentanti della Provincia di Roma, all'inizio del nuovo Anno, è sempre una lieta occasione per un proficuo scambio di idee e di propositi e uno stimolo a inserirli nel contesto della situazione concreta. Vi ringrazio, quindi, vivamente per questa visita, che, oltre al rinnovato gesto di omaggio, assume significati nuovi in relazione al particolare momento storico che stiamo vivendo, non senza trepidazione per l'avvenire. Voglia il Signore accogliere le nostre preghiere perché abbiano subito fine i tempi della distruzione, della perdita di tante vite umane e darci un periodo di lunga pace. Ringrazio di cuore il Signor Presidente della Provincia per le parole così calorose a me rivolte. E porgo il mio sincero e affettuoso saluto a ciascuno di voi.


2. Il mio primo pensiero vuol essere d'incoraggiamento a continuare con fiducioso impegno la vostra attività, spesso poco conosciuta dal vasto pubblico, ma meritevole di encomio per la quotidiana dedizione che essa richiede. La Provincia, quale Ente intermedio tra il Comune e la Regione, ha una sua specifica e feconda funzione di ponte, che, per la Provincia di Roma, è del tutto particolare. Entro la fascia dell'Amministrazione della Provincia si trovano, inoltre, numerose istituzioni cattoliche, che svolgono le loro attività a dimensione nazionale e mondiale. Vi ringrazio per quanto, come Amministratori provinciali, avete finora fatto e per quanto avete in animo di fare per l'avvenire, mentre vi assicuro che la collaborazione da voi offerta alle istituzioni della Chiesa sarà largamente contraccambiata a beneficio della popolazione residente, soprattutto sul piano sociale, educativo e morale.


3. Oggi da vari settori del Paese si levano voci sempre più insistenti rivolte a deplorare aspetti e tendenze di quello che appare essere il decadimento nella gestione della cosa pubblica. Tali reazioni ad un fenomeno spesse volte reale - anche se non generalizzabile - sono da una parte il segno di un convincimento diffuso che l'Amministrazione ai suoi vari livelli è e deve essere un servizio a favore della comunità; dall'altra parte sottolineano la verità sempre più evidente che il rinnovamento morale della vita pubblica è soprattutto il risultato del rinnovamento personale. In altre parole, alla socialità dei diritti deve corrispondere la socialità dei doveri. Auspico, a questo proposito, che l'Amministrazione Provinciale di Roma preceda tutte le altre su questa strada, in maniera esemplare.


4. Un secondo pensiero su cui desidero riflettere è il quadro della realtà sociale della Provincia romana. Il fenomeno dell'emarginazione, reso ancor più grave nei tempi recenti dall'afflusso degli immigrati dai Paesi in via di sviluppo, trae con sé una serie di altri problemi non sempre chiaramente definibili. In pari tempo il complesso delle questioni inerenti all'istituto della famiglia diventa, oggi, sempre più grave ed urgente. La società consumistica, nonostante i suoi progressi economici e tecnologici, è organizzata talora in maniera da mettere in crisi la vita delle famiglie e da rendere problematica e difficile la formazione delle nuove famiglie. Il problema della famiglia chiama direttamente in causa quello della casa, che è senza alcun dubbio uno dei servizi essenziali per lo sviluppo di una società a misura umana. Mettere la famiglia in condizione di vivere la propria vita in ambiente adatto deve essere una delle preoccupazioni primarie di qualsiasi amministrazione. Altre questioni strettamente collegate sono quella dei giovani, specie dei minori, quella del lavoro e quella della sanità. Sono problemi che una singola amministrazione locale non può evidentemente affrontare da sola, e la cui soluzione va trovata con azione tempestiva e convergente da parte di tutti gli enti preposti alla conduzione della cosa pubblica, in cordiale collaborazione con le energie sane del tessuto sociale ed in particolare - mi sia consentito di richiamarlo - con le iniziative che promanano dalla comunità cristiana. Voi, Amministratori a livello intermedio avete la possibilità di svolgere un'azione non solo di necessario raccordo, ma anche di stimolo costante verso l'una o l'altra direzione, in maniera da facilitare il cammino, tenendo insieme presenti la tempestività dell'azione e la globalità della prospettiva. In questa opera di largo respiro vi sarà di prezioso aiuto il riferimento costante ad una autentica concezione dell'uomo, per la quale la persona umana non venga mai ridotta a "una particella della natura o un elemento anonimo della città umana". E' questa la premessa di ogni genuino sviluppo della cultura, ma anche di un'arte di governo che sappia promuovere il bene integrale di una comunità di persone. Apprezzando altamente il vostro impegno di pubblici amministratori, la Chiesa è lieta di mettere a vostra disposizione quanto essa, con la luce di Dio, ha potuto maturare di questa genuina e piena concezione della persona, affinché possiate avvalervene nelle vostre consultazioni e deliberazioni, favorendo così anche la crescita civile e culturale della nostra diletta Provincia di Roma.

Il mio augurio è che ciascuno di voi possa operare con impegno, con generosità, con spirito di servizio. E con tale auspicio rinnovo a tutti il mio benedicente saluto.

Data: 1991-02-09
Sabato 9 Febbraio 1991

La meditazione pronunciata nella Chiesa, dopo l'ascolto dell'Oratorio Sacro "Apostolo delle genti" - Roma

Titolo: Per vivere in stato di missione la Chiesa deve vivere in stato di conversione

Ogni anno abbiamo la gioia di poter partecipare in questo Seminario Romano, nel giorno onomastico della Patrona, la Madonna della Fiducia, a un oratorio diventato il regalo onomastico che questo Seminario, insieme con i suoi ospiti, offre alla sua Patrona. Sono grato di poter partecipare anche io a questa gioiosa vicenda del Seminario Romano. Quest'anno avete scelto come tema dell'Oratorio la conversione di San Paolo. Dico così, ma non c'è pero solo la conversione: si tratta di una sintesi paolina, una sintesi delle sue lettere, di quello che ha vissuto, di quello che ha scritto dalla conversione fino alla morte.

Anzi, da prima della conversione, quando ha partecipato all'uccisione di Santo Stefano. Ma le due cose si contengono reciprocamente. Possiamo dire che la conversione contiene già in nucleo tutto ciò che Paolo ha scritto dopo, tutto ciò che leggiamo nelle sue lettere o che leggiamo su di lui, soprattutto negli "Atti degli Apostoli": tutto è già contenuto nella sua conversione.

E' stato un avvenimento forte, uno dei più forti avvenimenti spirituali della storia umana, della storia del mondo: non so se si può trovare un avvenimento ancora più forte, superiore a questo. Dobbiamo osservare che anche gli altri Apostoli sono stati chiamati. Gesù diceva a tutti: "Seguimi", e lo hanno seguito. La chiamata di Paolo, invece, è una cosa a sé, è anzi una conversione drammatica, radicale: da persecutore ad apostolo. Noi tutti sentiamo, dopo tanti secoli, che la sua conversione personale, individuale, ha configurato la storia della salvezza, la storia della Chiesa, la storia spirituale del mondo: non si può interpretare il mondo e la sua storia, specialmente la sua storia spirituale senza il riferimento essenziale a questa conversione. E poi, tutto quello che segue alla conversione, tutta l'opera apostolica di Paolo, gli scritti, le lettere, costituisce già un commento a questo fatto fondamentale della sua vita: la conversione.

Naturalmente è una conversione straordinaria, possiamo dire unica questa di Paolo: Saulo-Paolo. Unica per la sua radicalità, per la sua densità, una conversione che è quasi un'"esplosione" spirituale: come esplode una bomba. Oggi si pensa a questo anche con tremore. Come esplode la bomba nell'ordine medico, così esplose lo spirito di Paolo nel suo incontro con Gesù Nazareno, crocifisso e risorto. La densità, la condensazione dei contenuti e la drammaticità interna fra il bene e il male, fra la coscienza erronea e la coscienza retta, tutto quello che fa parte della conversione di Paolo, è diventato il paradigma per tante altre conversioni. Possiamo dire per tutte; per ogni conversione di qualsiasi persona umana, di qualsiasi cristiano, di qualsiasi convertito. In ogni conversione si trova qualche analogia - meno clamorosa, meno drammatica, meno radicale, forse - con la conversione di Paolo. Penso che abbiate scelto molto bene questa tematica paolina per il vostro Oratorio, per diversi motivi. Soprattutto per ricordarci questa conversione paradigmatica; poi, per suggerire che la Chiesa intera vive sempre "in statu conversionis", e non può essere diversamente.

La Chiesa tutta intera, come Corpo di Cristo, e dentro la Chiesa ogni cristiano, vivono - devono vivere - in questo stato: "in statu conversionis". E se già ha diritto di cittadinanza questa espressione per la Chiesa che vive "in statu missionis", le due espressioni sono legate. Per vivere "in statu missionis", la Chiesa deve vivere "in statu conversionis". E ciò lo vediamo soprattutto grazie a Paolo, attraverso la sua missione-conversione, la sua vocazione-conversione.

Pensiamo alla coincidenza tra la festa della Conversione di San Paolo - il 25 gennaio - e la giornata conclusiva dell'Ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani, per la conversione della cristianità. Che cosa vuol dire infatti "unione dei cristiani"? Il ritorno all'unione è "conversione", è conversione auspicata, è conversione sperata. E' bene che il momento culminante di questa Settimana di preghiera si celebri nel giorno della Conversione di San Paolo, perché questo ci dice come dovrebbe essere intensa la conversione di tutti noi cristiani per raggiungere di nuovo l'unità che Cristo volle: "ut omnes unum sint", "sicut tu, Pater in me, et ego in Te, ut et ipsi in nobis unum sint".

Insieme a questa riflessione che è nata ascoltando l'Oratorio, il pensiero naturalmente torna all'ambiente del Seminario Romano che è, lo si comprende bene, luogo privilegiato della conversione. Se ogni vita cristiana, se la vita della Chiesa in genere, è segnata dallo "statu conversionis", il Seminario Romano, qualsiasi Seminario - il Seminario Romano tra i tanti altri - è il luogo privilegiato della conversione. Qui si vive "in statu conversionis" più profondamente, più sistematicamente, più intensamente che altrove; e non può essere diversamente, perché la vocazione e la conversione vanno insieme. Quanto si riferisce a tutti gli Apostoli e a tutti coloro che sono stati chiamati da Cristo durante i secoli, si riferisce naturalmente a chiunque voglia servire Cristo, a chiunque Cristo abbia chiamato, come ha chiamato una volta gli Apostoli. Auguro a questo luogo della conversione, il Seminario, di essere il luogo autentico e fruttuoso di tante conversioni. Naturalmente, vi sono molte volte vocazioni nascoste, poco percepibili, celate nelle umane coscienze, nella personalità di ciascuno dei membri della comunità seminaristica.

Vi sono poi gli ospiti che trovano anche loro in questo Seminario un luogo privilegiato per la loro diversa vocazione: religiosa, matrimoniale, familiare. Ogni vocazione cristiana non può non essere una conversione specifica.

Auguro al Seminario di essere e di rimanere sempre luogo privilegiato, ambiente privilegiato, spazio privilegiato delle vocazioni, delle conversioni nascoste, discrete, ma autentiche e fruttuose. Infine si deve rivolgere un augurio anche alla Madonna della Fiducia che protegge il Seminario con la sua icona davanti alla quale ci troviamo in questo momento. "Mater mea, fiducia mea". Auguro a Te, Madre della Fiducia, di poter essere testimone silenziosa, non soltanto guida discreta, delle conversioni che si operano qui, nel Seminario Romano. La Tua presenza in questo luogo, così, sia anche e sia sempre simile alla Tua presenza a Cana di Galilea. Non era certamente presente la Madonna della Fiducia alla conversione di Paolo. Paolo l'ha scoperta insieme con Cristo. Ma la Madonna era presente prima, era presente sotto la Croce, era presente il giorno di Pentecoste, era presente nel Cenacolo. In questi luoghi già si preparava la conversione di Paolo.

Auguro a tutti voi una santa Quaresima per una buona preparazione alla Pasqua del Signore. Sia lodato Gesù Cristo.

Data: 1991-02-09
Sabato 9 Febbraio 1991

Il saluto conclusivo ai seminaristi - Roma

Titolo: Se Cristo è con noi, allora noi possiamo essere suoi testimoni anche in questo XX secolo

Vi ringrazio per questa ultima parola che è arrivata dai semina risti.

Ciascuno di voi ha parlato e ha riassunto l'importanza dell'incontro e della celebrazione patronale del vostro Seminario Romano. Il protagonista di questa serata è certamente San Paolo, grazie al nostro carissimo don Marco. Ma le ultime parole ci hanno rievocato Pietro che certamente rispetto a San Paolo aveva un'esperienza diversa anche se complementare. E' stato uno che ha vissuto accanto a Cristo tutti gli anni della sua missione messianica pubblica e che ha dato prova delle proprie debolezze, ma anche del proprio amore verso il Maestro. Mi colpisce la parola "testimone". E' facile capire che testimone di Gesù è stato Pietro, sono stati gli altri Apostoli che hanno vissuto, veduto con i loro occhi, e toccato con le proprie mani, come scrive San Giovanni. Ma, come si spiega questa testimonianza, questo essere testimone, - "Sarete miei testimoni" -, alle generazioni posteriori, dopo tanti secoli, dopo duemila anni? Noi siamo testimoni.

E' questo un primo mistero al quale troviamo risposta nelle parole di Cristo, perché Egli ha detto: "Io sono con voi". Tornando al Padre, Egli ha detto: "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". Questo "Sono con voi" spiega come possano esserci i testimoni. Se Egli è con noi, allora noi possiamo essere suoi testimoni anche in questo XX secolo. Come Cristo è con noi? Attraverso il Vangelo e il sacramento dell'Eucaristia, certamente; ma la sua presenza tra noi è soprattutto opera misteriosa dello Spirito Santo: Lui è con noi con la forza, con la testimonianza dello Spirito Santo. Quando Cristo ha detto: "Sarete miei testimoni", ha anticipato queste parole dicendo: "Lo Spirito Santo, Spirito di Verità, Lui vi darà testimonianza". La vostra testimonianza di Cristo è radicata sempre nella testimonianza che dà lo Spirito Santo. così, alla fine dell'incontro, abbiamo affrontato un problema essenziale per la vostra comunità, perché in questa comunità, di futuri sacerdoti, una comunità di testimoni, si preparano coloro che devono dare testimonianza a Gesù Cristo.

Tutti i cristiani sono chiamati ad essere testimoni, tutti. Lo Spirito Santo agisce per tutti nei sacramenti, nella loro esperienza dell'identità cristiana, nella preghiera. Tutti possono essere - e sono - testimoni. Ma la comunità seminaristica, i sacerdoti, devono avere questa caratteristica come principale. Concludendo il nostro incontro di oggi, auguro al vostro Seminario, alla vostra comunità di essere un luogo dove si preparano testimoni di Cristo, possibilmente maturi, possibilmente efficaci; direi - per analogia - "oculari", quasi come coloro che hanno detto: Abbiamo visto con i nostri occhi, abbiamo toccato con le nostre mani, abbiamo sperimentato anche con la nostra debolezza.

Con la nostra debolezza e con la nostra infedeltà, come Pietro.

Ecco è il mio augurio per la vostra comunità, per i vostri superiori e, naturalmente, per ciascuno di voi. Questo vi lascio anche come consegna per il prossimo periodo quaresimale di preparazione alla santa Pasqua.

Data: 1991-02-09
Sabato 9 Febbraio 1991

Le visite pastorali del Vescovo di Roma

Titolo: Parrocchia di Santa Maria in Traspontina

Ai ragazzi dell'oratorio Saluto la parrocchia della Traspontina, questa parrocchia che vuole essere "comunità di fede, comunità di comunità". La saluto con le parole "Sia lodato Gesù Cristo". Saluto questa vostra parrocchia soprattutto nella sua generazione più giovane che è presente qui. Ringrazio per questo incontro, tanto ben preparato. Il merito è del sistema dell'Oratorio, ereditato soprattutto da San Filippo Neri, un Santo romano, e poi, nei secoli successivi, da San Giovanni Bosco. Vi auguro di continuare in questa vostra comunità di bambini e di giovani che appartengono all'Oratorio parrocchiale. Ho ricevuto diverse domande. Vorrei esprimervi soprattutto quella che è stata la mia impressione principale entrando in quest'ambiente. Voi avete cantato "Quanto è bello, quanto è bello...". E io ho pensato appunto che questa aspirazione verso il bello corrisponde all'ambiente, corrisponde ai giovani, ai bambini. E poi, ascoltando le vostre testimonianze, i vostri canti, sono arrivato ad una conclusione: nella mente e nel cuore, ogni bambino porta in sé tutto quello che costituisce l'aspirazione divina dell'essere umano, l'aspirazione spirituale, che viene dal fatto che ogni uomo è creato ad immagine di Dio sin dall'inizio della sua esistenza, dal suo concepimento.

E i piccoli, i bambini, lo esprimono con più evidenza. E' così connaturale per loro aspirare a tutto ciò che è bello, che è vero, che è buono.

Possiamo dire che tutta la profondità metafisica e teologica dell'essere umano si riscontra più facilmente nei bambini. Capisco allora perché Gesù ha detto a tutti noi: "Se non diventerete come bambini...". Cosa augurare a voi, carissimi? Io vi auguro di mantenere, soprattutto di difendere questo vostro "deposito" spirituale che è tanto ricco. Vi auguro di difenderlo e di mantenerlo, perché poi con gli anni, con le esperienze, con le diverse influenze di una civiltà che viene da un altro spirito, molte volte si giunge a conclusioni contrarie: si vede soprattutto ciò che è brutto, non si vede più il bene ma si vede il male, si comincia a seguire il male; non si vede più la verità, ma si vede, si sente, si pensa il falso, si comincia ad essere falsi, a seguire il falso; non si vede più la bellezza, si comincia a vedere soprattutto quello che è brutto, si segue ciò che è brutto. Allora, vorrei augurare a voi tutti, alla vostra comunità e a questa parrocchia, che è "comunità di comunità", di preservare questo "tesoro" che ciascuno porta in sé.

E auguro che la parrocchia possa lavorare su ogni persona umana, perché possa crescere tra queste "piccole" persone umane una "grande" persona umana. Vi auguro di preservare, di far maturare tutto ciò che è buono, che è vero, che è bello, e non il contrario. Diceva una volta San Paolo: non ti lasciar vincere dal male, ma vinci il male nel bene. Allora, vi auguro questo, e per questo pregheremo insieme, adesso e durante la visita pastorale, specialmente durante la celebrazione eucaristica con tutta la vostra comunità. Una di voi mi ha chiesto che cosa avrebbe fatto il Papa se non fosse stato Papa. Non so, certamente sarebbe divenuto sacerdote, perché questa è la realtà più grande di tutte: essere sacerdote "in persona Christi", per offrire, sostituendosi a Cristo sacerdote, il suo sacrificio. Certamente, anche se non fossi Papa, il mio compito principale sarebbe di preservare, di proteggere, di difendere, di aumentare, di approfondire questa aspirazione al bene, al vero, al bello.

Questo auguro anche alla vostra comunità e a ciascuno dei suoi membri.

Che il vostro Oratorio sia un buon metodo per arrivare a questo scopo.

L'omelia durante la celebrazione della Santa Messa "Guari molti che erano afflitti da varie malattie".


GPII 1991 Insegnamenti - Ai membri della Giunta e del Consiglio della Regione Lazio - Città del Vaticano (Roma)