GPII 1990 Insegnamenti - Alle Figlie di Maria Ausiliatrice


1. Benvenute a questa udienza, carissime Figlie di Maria Ausiliatrice, mentre si conclude il XIX Capitolo generale della vostra Congregazione. Voi rappresentate un grande Istituto che opera nei cinque continenti. Formato da un cospicuo numero di donne, esso si consacra al servizio della Chiesa, impegnandosi in quella nuova evangelizzazione, di cui il mondo attuale ha immenso bisogno.

In questi giorni avete voluto riflettere sull'aspetto qualificante della vostra missione all'interno della Famiglia Salesiana. Il tema dell'Assemblea capitolare, "Educare le giovani: apporto delle Figlie di Maria Ausiliatrice per una nuova evangelizzazione nei contesti culturali" esprime la consapevolezza, che voi avete acquistato, circa l'importanza della presenza della donna nell'ora che viviamo. Esso manifesta insieme la vostra comune volontà di assumere coraggiosamente nella Chiesa e nella società il vostro ruolo di religiose consacrate all'educazione, secondo la specifica pedagogia della Società inaugurata da san Giovanni Bosco e da santa M. Domenica Mazzarello.

Nella storia della Famiglia Salesiana sono già stati molti i frutti di santità maturati tra gli educatori, le educatrici, e soprattutto fra i giovani e le giovani. Ora tocca a voi, chiamate a continuare l'eredità del carisma salesiano, collaborare all'avvento di una nuova fioritura di santità giovanile in ogni parte del mondo.

La Chiesa attende questo da voi! questo sarà l'impegno del vostro Istituto, proteso a operare al servizio di un'evangelizzazione che dovrà orientare a Cristo l'umanità del terzo millennio.


2. Nel momento di transizione epocale, che stiamo vivendo, è in gioco anzitutto l'affermazione o la scomparsa della sensibilità dell'uomo per tutto ciò che è essenzialmente umano. Questo, ovviamente, richiede da parte vostra un notevole sforzo per far si che le nuove generazioni siano consapevoli della loro vocazione e siano all'altezza del compito storico che le attende.

Esse dovranno comprendere, altresi, qual è il "genio" della donna, la sua dignità nel testimoniare quale sia il vero ordine dell'amore, che costituisce la sua vocazione nella Chiesa e nel mondo.


3. Non vi sembri troppo alta la missione che si profila dinanzi a voi. Essa è certamente ardua, richiede generosa dedizione, profonda interiorità, ascolto della parola di Dio, accoglienza dell'iniziativa divina, audacia di risposte coerenti.

Il Padre vi ha consacrate a vivere con maggiore pienezza il vostro Battesimo; vi ha chiamate con il dono dello Spirito, a seguire Cristo casto, povero e obbediente, "per la gloria di Dio, in un servizio di evangelizzazione alle giovani, camminando con loro nella via della santità" (Costituz., art. 5).

L'obiettivo del vostro santo fondatore, "formare buoni cristiani e onesti cittadini", vi addita una meta chiara, un impegno che risponde alle grandi attese del momento presente. In tal modo contribuirete a far risuonare, nei diversi contesti socio-culturali in cui vivono le vostre comunità, una voce femminile limpida e forte che esprima l'originario disegno di Dio sull'essere umano e affermi l'urgenza di assicurare la dimensione morale della cultura (CL 51). Nell'attuale società in rapida trasformazione, in cui lo sviluppo economico, scientifico e tecnologico produce spesso inquietanti segni di morte, la presenza sempre più generosa di giovani, da voi aiutate e impegnate nella vita civile con la loro specifica sensibilità, può rappresentare una svolta verso una cultura umanistica.


4. Per quanto riguarda poi l'ambito ecclesiale, continuate ad aiutare la gioventù affidata alle vostre cure a divenire capace di comprendere, nella luce della fede, ciò che veramente risponde alla loro dignità personale e alla loro vocazione; aiutatela a riconoscere ciò che è bene da tutto ciò che, anche in nome della libertà e del progresso, potrebbe renderle responsabili di degrado morale, culturale e sociale. Operare un simile discernimento è per la donna cristiana un'urgenza indilazionabile in questo momento storico, è un segno di partecipazione all'ufficio profetico di Cristo e della sua Chiesa.

Tale discernimento "non è solo valutazione della realtà e degli avvenimenti alla luce della fede; è anche decisione concreta e impegno operativo non solo nell'ambito della Chiesa, ma anche in quello della società umana" (CL 51).


5. Nel cuore del sistema educativo di don Bosco, incontriamo la presenza materna di Maria. La Vergine è, nella Famiglia Salesiana, "memoria" viva delle "grandi cose" che il Signore ha operato e continua a operare nella storia di ogni tempo, specialmente nelle epoche difficili di grandi mutamenti culturali.

Guardando a lei e accogliendo la sfida etica, che emerge dagli attuali contesti socioculturali, dovrete individuare itinerari educativi che accompagnino le giovani verso la scoperta della loro vocazione alla santità, cioè al primato dell'amore per Dio e per i fratelli, nella società e nella Chiesa di oggi.

Con l'aiuto di Maria anche voi quindi siete chiamate a scrivere una nuova pagina della storia della salvezza. Impegnatevi a vivere sempre nello spirito del Magnificat. Siate sempre più sensibili al grido dei poveri, dedicando la vostra attenzione alle molteplici forme delle nuove povertà giovanili e femminili. Operate secondo giustizia, testimoniate la solidarietà; contribuirete, in tal modo, allo sviluppo di un'autentica cultura della vita secondo il disegno di Dio.

Auspico che Maria Ausiliatrice, Madre ed educatrice di ogni cristiano, continui ad essere presente nella vostra vita e guidi il cammino del vostro Istituto specialmente in quest'ora di più forte impegno. Don Bosco e la vostra santa fondatrice vi assistano dal cielo, mentre anch'io di gran cuore vi do la mia benedizione apostolica, che volentieri estendo a tutte le vostre consorelle e alle allieve della vostra famiglia religiosa.

Data: 1990-11-09

Venerdi 9 Novembre 1990

A sacerdoti tedeschi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dopo il crollo dei muri, saper rimuovere i mali del passato"

Cari confratelli nel servizio sacerdotale! Cari fratelli e sorelle! Vi rivolgo di cuore il mio benvenuto in occasione della vostra visita in Vaticano. Questo è per molti di voi il primo viaggio a Roma, dopo che il vostro Paese e la sua Chiesa hanno riacquistato la libertà. Il pellegrinaggio a Roma è ora espressione naturale di ciò che finora era negato, vale a dire del vostro legame con il successore di san Pietro.

La Germania non è più divisa e limitazioni e ostacoli alla vita della Chiesa sono stati eliminati. Voi, e i fedeli che a voi si affidano, avete contribuito con la preghiera e con il grande sacrificio personale alla caduta dei confini e dei muri nel vostro Paese e in Europa. Ma tutto ciò significa anche che dovete ora, rinnovati, assumervi il compito di eliminare i danni, non pochi, che provengono dal passato.

Solo ultimamente alcuni di voi sono divenuti consapevoli di che cosa significhi propriamente l'abuso di potere: dove il potere di Dio viene messo in dubbio e l'uomo o l'ideologia vengono elevati a misura di tutte le cose, l'uomo perde la sua umanità. La fiducia viene distrutta, l'opera di Dio sfruttata senza riguardo, manifestandosi il potere della menzogna e della violenza. Ma forse i danni spirituali, di cui molti uomini soffrono, non sono ancora così estesi.

perciò vi esorto e vi incoraggio ad annunciare con gioia il potere del perdono di Dio e il suo amore, che superano ogni comprensione umana. Quelle che molti considerano come conquiste della nuova società hanno lasciato in realtà i vostri connazionali, senza colpa, nel bisogno: sono diventati disoccupati, non si sono adeguati alle nuove esigenze o sono in balia di interessi economici. A loro si deve annunciare che il valore di un uomo non è fondato sull'anzianità o sulla qualità del lavoro e della formazione educativa, ma sul fatto che Dio ha accolto l'uomo. Dio ha pronunciato per ciascun uomo il suo "si": ciò costituisce il valore dell'uomo.

Anche il prezioso bene della libertà deve essere considerato come dono di Dio. Con un alto senso di responsabilità si deve far uso della libertà riconquistata con i cambiamenti avvenuti nel vostro Paese. L'apostolo Paolo ci ammonisce a riguardo: "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù" (Ga 5,1).

Imparto di cuore a voi e tutti gli uomini che confidano in voi la mia benedizione apostolica.

Data: 1990-11-09

Venerdi 9 Novembre 1990

Incontro con la popolazione in piazza del Plebiscito - Napoli

Titolo: La degenerazione della vita pubblica mina alla radice ogni prospettiva di speranza

Signor sindaco, signor ministro e autorità presenti, signor cardinale, carissimi fratelli e sorelle.


1. Con viva gioia pongo nuovamente piede in questa città che mi è profondamente cara. So che questo sentimento è condiviso da voi, cittadini di Napoli, che - come ha ricordato il vostro arcivescovo card. Michele Giordano - attendevate questo incontro con desiderio vivo e impaziente.

A tutti il mio saluto deferente e affettuoso. Ringrazio lei, signor sindaco, per la cordialità con cui, a nome della cittadinanza, mi ha dato il benvenuto; e lei signor ministro, che mi ha voluto cortesemente portare il saluto del Governo italiano.

Sono grato soprattutto al popolo di Napoli per l'abbraccio affettuoso col quale mi ha accolto. Dei sentimenti di questo popolo, nato al cristianesimo sin dai tempi apostolici e rimasto sempre fedele a Cristo e alla sua Chiesa, ho avuto saggi significativi durante gli anni del mio Pontificato. Avevo un debito con questa città; ed eccomi qui per assolverlo.


2. Visitare Napoli significa ripercorrere oltre due millenni di storia di una delle culture più ricche d'Europa; significa leggere, attraverso le stratificazioni di civiltà che qui si sono succedute, la formazione di una città singolare, trovatasi all'incrocio delle vie percorse dalle popolazioni che hanno fatto la storia d'Europa; significa impegnarsi a capire come e perché da queste vicende siano derivate la ricchezza umana del popolo napoletano, insieme ai drammi che ne hanno segnato il cammino della storia e ne segnano tuttora la vita quotidiana.

Questo impegno di comprensione e di affettuosa partecipazione mi accompagnerà nei giorni in cui percorrero le vostre strade, entrero nei luoghi del vostro lavoro e della vostra sofferenza, celebrero con voi il mistero eucaristico, che è mistero di passione e di morte, ma anche mistero di risurrezione e di gloria.

Nel lontano ottobre del 1979, durante la mia rapida sosta a Napoli, in questa stessa piazza avevo lanciato un appello: "Napoli merita un interesse speciale; esige una diretta sollecitudine; Napoli ha bisogno di sperare!".

So che uno degli impegni del Sinodo, che la Chiesa di Napoli ha celebrato qualche anno dopo quella mia visita, è stato espresso in una frase che riecheggia appunto il mio appello: "Organizzare la speranza". L'indicazione appare quanto mai opportuna anche oggi, giacché il terremoto del 1980 ha messo in crisi i già precari equilibri della vita sociale ed economica della città e del suo retroterra. Da allora sulla popolazione napoletana si è abbattuto un flagello che, nei suoi vari aspetti, è forse più rovinoso dello stesso sisma: l'avidità speculativa, degenerata in forme di violenza inaudite, che non hanno risparmiato neppure giovanissime vite, in contrasto con la cultura napoletana, profondamente rispettosa della vita e soprattutto dell'infanzia e della fanciullezza. Da questa piazza, considerata come il centro della Campania, il mio sguardo si spinge a tutti i centri della Regione e, in particolare, a quelli che dieci anni fa, proprio in questo mese, furono colpiti dal tremendo terremoto. A quanti ancora oggi portano i segni delle ferite subite negli affetti e nelle cose giunga il mio paterno pensiero. Sono con voi, carissimi, come lo sono stato fin da quel 23 novembre 1980, condividendo il vostro dolore, le vostre legittime attese, la vostra speranza.


3. "Organizzare la speranza"! Non vuole né può essere, questa, semplicemente una formula consolatoria! Deve divenire una maniera di professare la fede cristiana mediante segni concreti di impegno e di solidarietà, mediante la promozione costante della crescita morale e del risanamento dei costumi, mediante il superamento della paura e della rassegnazione. "Organizzare la speranza" deve in particolare esprimersi in generoso impegno sociale per la soluzione dei problemi che travagliano questa città e l'intero Meridione. Giusto un anno fa, la Conferenza episcopale italiana pubblicava un importante documento dal titolo: "Sviluppo nella solidarietà - Chiesa italiana e Mezzogiorno". Tale documento può ben essere considerato la traduzione non solo pastorale, ma anche politica, nel senso più alto del termine, del progetto di organizzazione della speranza nella vasta area del Mezzogiorno, e, quindi, nel territorio emblematico di questa città.

L'impegno di promuovere il bene comune, stante la stretta interdipendenza esistente tra sviluppo della società e perfezionamento della persona, riguarda tutti i cittadini. Occorre pertanto promuovere la "cultura del bene comune", superando l'etica individualistica grazie all'osservanza convinta dei doveri civici e coltivando in se stessi e nella società le virtù morali che essa postula.

Occorre che la società civile napoletana nel suo insieme sia protagonista del suo stesso sviluppo; che il popolo di Napoli coltivi una forte coscienza sociale e, quale custode dei ricchi valori della sua tradizione, si faccia promotore di un fecondo rapporto con le istituzioni.


4. Tale impegno, com'è ovvio, ricade in maniera particolare su coloro ai quali i cittadini hanno affidato la gestione del pubblico potere. Entro le istituzioni che rappresentano e che incarnano, essi devono sentirsi chiamati a organizzare la speranza umana mediante l'esercizio imparziale e sollecito dei loro compiti. La degenerazione della vita pubblica minerebbe alla radice ogni prospettiva di speranza.

"Napoli ha bisogno di sperare"! E' necessario perciò poter contare su una classe dirigente solerte e preparata nell'organizzare efficacemente la speranza, valorizzando la ricchezza di inventiva, la grande laboriosità, le capacità imprenditoriali, le risorse culturali di questa città, così da sottrarre ogni alimento alle forze disgregatrici del tessuto etico, sociale ed economico.


5. A questo storico compito di organizzazione della speranza umana la Chiesa di Napoli, nell'ambito delle sue competenze, è impegnata a dare la sua specifica collaborazione. Sono certo che, come nel passato, essa continuerà a essere fattivamente presente anche oggi accanto ai fedeli della città, specialmente ai più poveri ed emarginati, con l'apporto delle sue molteplici istituzioni.

Affido i buoni propositi di ciascuno alla Madonna del Carmine, protettrice della città. Maria, Madre della santa speranza, incoraggi e sostenga gli sforzi comuni, affinché Napoli ritrovi lo splendore dei suoi tempi migliori.

Con questi voti, tutti benedico di cuore.

Fin qui sono già arrivato una volta. Adesso mi aspetta un cammino ulteriore. Una volta, nel 1979, da qui sono partito per tornare a Roma. Questa volta invece da qui devo entrare in Napoli. Non so come entrare nella città che non si arrende. Spero che con l'aiuto di Dio e con la vostra collaborazione potremo continuare. Grazie per questa splendida accoglienza.

Data: 1990-11-09

Venerdi 9 Novembre 1990

Incontro col mondo della cultura al teatro San Carlo - Napoli

Titolo: Il problema del Mezzogiorno d'Italia è un problema morale

Signor rettore magnifico, illustri docenti degli Istituti superiori in Napoli!


1. Sono lieto che il primo giorno della mia visita in questa città, dopo l'affettuoso saluto alla popolazione, veda l'incontro col mondo della cultura, che non a caso avviene all'interno di questo teatro "San Carlo", il più antico teatro operante in Europa, più volte danneggiato e anche distrutto, ma sempre rinato con maggiore vitalità. In esso può ben vedersi la sede e l'espressione di una cultura tipica di Napoli, pur trascendendone nobilmente i confini.

Mi consentirà il signor rettore dell'Università, che vivamente ringrazio per le elevate parole a me rivolte, di dire che mi ritrovo volentieri in mezzo a voi - cari professori della stessa Università degli Studi, dell'Istituto Universitario Orientale, dell'Istituto Universitario Navale, del Magistero di Suor Orsola Benincasa, della Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale e di altre Istituzioni accademiche - perché, come rappresentanti ed esponenti delle scienze e delle arti dell'intera area partenopea, mi offrite l'opportunità di riflettere, sia pur brevemente, circa il "posto" che l'alta cultura ha nella vita moderna e circa la peculiare responsabilità morale e sociale di coloro che sono chiamati a promuoverla.

Diro, ancora, che mi sento onorato di questo incontro, perché so che la città di Napoli occupa tuttora un posto d'avanguardia nel settore della cultura, potendo annoverare tra i suoi docenti universitari uomini di fama internazionale.

E ciò mi sollecita ad anticipare l'auspicio che anche le nuove schiere di giovani promettenti, di cui è ricca questa nobile terra, possano trovar qui a Napoli gli spazi adeguati per mettere a frutto i loro talenti e in tal modo continuare e sviluppare quel ruolo di spicco nell'esaltante impresa della conquista del vero.


2. E', questa, una gara ardua e insigne, nella quale le strutture universitarie hanno indubbiamente una funzione di primo piano. Ma prima e più in alto delle strutture ci sono le persone e, tra queste, sono da annoverare coloro che vi operano come docenti, nelle cui mani è la formazione dei giovani, che sono la speranza dell'avvenire.

Grave, dunque, e personale è la vostra responsabilità. Se il problema del Mezzogiorno d'Italia, prima che sociale ed economico, è un problema morale, dovere di tutti è quello di educare con tenacia e con dedizione la coscienza delle giovani generazioni; ma, tra gli altri e - si può ben dire - più degli altri esso spetta proprio a voi.

Da tutti gli studiosi, come dagli uomini di cultura in genere, si richiede - lo sapete bene - la rigorosa ricerca del vero, e tale esigenza ha due aspetti: uno oggettivo (è necessario che i risultati della ricerca siano corretti), e uno propriamente etico (la ricerca stessa dev'essere ordinata e spassionata, libera e feconda nella sua libertà). Questo intrinseco rigore dell'indagine è un fatto da tutti ammesso e pacifico. La Chiesa, da parte sua, non solo riconosce, ma proclama la "giusta libertà" della cultura come ha esplicitamente affermato nel corso del Concilio Vaticano II (cfr. GS 59 GS 62). Proprio in ragione di questa legittima autonomia, i docenti debbono vivere la loro missione con una forte tensione morale, che implica non solo assiduità nella ricerca, ma serietà e fedeltà agli impegni assunti.

L'esigenza etica della cultura, in effetti, deve sostanziarsi di riflessione, di raccoglimento interiore, di rettitudine, di esempi tanto più efficaci quanto più alieni da qualsiasi forma di ostentazione.

L'uomo di cultura, pertanto, dovrà essere un testimonio credibile di tali valori, prima ancora di proporli agli altri o di insegnarli per dovere professionale. Anche la ricostruzione morale, da tutti giudicata urgente e auspicata per il Mezzogiorno, non può non basarsi su queste premesse. E' vero, dunque, che da voi, uomini di ricerca e di scuola, la società meridionale si attende moltissimo. Siete voi che, tenendo presente il quadro globale della società, in cui operate, dovete esaminarlo e intervenire poi per elevarlo; siete voi che col vostro lavoro potete inserire la società stessa nel circolo vitale della Nazione Italiana, della comunità Europea e della Società mondiale.

Se oggi si lamenta che certi ceti dirigenti sono talora inadeguati ai loro compiti - e la Chiesa stessa lo ha rilevato nel recente documento sul Mezzogiorno della Conferenza episcopale Italiana - bisogna sottoporre a un serio esame attese, esigenze ed emergenze nuove, esercitando un attento senso di responsabilità verso se stessi e verso la società. Se, ad esempio, il medico dovrà insegnare ai suoi allievi quali responsabilità si hanno verso i malati, non è forse vero che per tutti, ma specialmente per coloro che hanno una funzione sociale elevata si impone questa "religione della responsabilità", superando ogni forma di disimpegno sociale?


3. La storia dell'Università di Napoli presenta numerose figure esemplari di uomini di scienza e di fede, riconosciuti tuttora come maestri ed educatori. Già nel primo secolo della sua esistenza essa ebbe, prima come allievo e poi come docente, una delle più fulgide menti della Chiesa, san Tommaso d'Aquino. Chi mai ha dedicato con più strenua tenacia la sua vita alla ricerca della verità, nella ferma fiducia del legittimo connubio tra ragione e fede? L'itinerario della sua indagine dalla verità delle cose alla verità suprema resta tra le più alte sintesi nella storia della teologia e della filosofia e si offre tuttora come ricca fonte di ispirazione per il necessario dialogo tra la parola della rivelazione divina e l'innata spinta a conoscere della mente umana. Ma se adesso qui lo ricordo, non è solo per un omaggio doveroso al grande dottore della Chiesa, che è una gloria della tradizione culturale partenopea; è per ricordare, altresi, quanto egli abbia collegato tale ricerca della verità naturale e soprannaturale con la realtà e con la vita; è per rilevare il suo profondo "umanesimo" e la sua attenzione alle strutture e alle forme della società. L'altra grande figura, legata all'Università di Napoli, e assai cara perché vicina tuttora alla memoria del popolo meridionale, è quella di sant'Alfonso Maria de' Liguori. Pochi come lui, giurista e moralista di fama, sentirono la responsabilità dell'uomo di cultura verso la popolazione, specie quella che ai suoi tempi era considerata la plebe più povera.

Non meno attento e sollecito verso gli umili fu san Giuseppe Moscati: primario ospedaliero, stimato ricercatore e professore, egli ebbe come movente essenziale della sua attività non il solo dovere professionale, ma la chiara consapevolezza di essere stato posto da Dio nel mondo per operare come testimone del Vangelo e della carità di Cristo verso i fratelli con i mezzi che la scienza medica e la sensibilità religiosa gli offrivano.

Valgano questi esempi, cari docenti, a ricordarvi un altro dei punti cruciali della vostra funzione. Voi, mentre attendete alla pura dottrina e contribuite al suo necessario sviluppo, nello stesso tempo formate gli uomini che domani costituiranno le classi dirigenti. Insegnando e spiegando, voi educate i futuri maestri, sicché, attraverso loro, la vostra azione finirà con l'incidere sui giovani delle prossime generazioni. E' così che l'influsso della cultura e, in particolare, di quella universitaria, si irradia, vitalizzandola, nella società circostante.

In ogni parte, ma soprattutto qui a Napoli e nel Meridione, la cultura deve incarnarsi in questa società: essa può e deve costituire la forza animatrice di un cambiamento radicale e di una ripresa, che coinvolgano gradatamente tutte le classi. Ciò avverrà soprattutto grazie ai giovani che si formano alla vostra scuola.

Napoli, con la sua Università e con gli altri suoi Istituti di Studi Superiori, nei momenti cruciali della storia italiana ha sempre potuto proporsi come centro creativo di cultura e come punto di riferimento non soltanto per la Nazione, ma anche per l'Europa intera. Lo ha potuto grazie alla presenza di uomini di alto sentire, fermamente ancorati ai sommi valori del vero e del bene.

Di simili uomini ha bisogno in modo particolare questa nostra stagione storica caratterizzata, da una parte, dalla "fine dell'epoca moderna" (Romano Guardini) e, dall'altra, da un diffuso senso di attesa, tipico quasi di un nuovo Avvento.

Un compito certo immane, da affrontare con grande coraggio e generosità.

Si può temere di essere umanamente inadeguati, ma il Signore Dio darà la forza per un'opera tanto importante. Nel suo nome tutti incoraggio e benedico.

E vorrei aggiungere una cosa che non si può non aggiungere in questo ambiente. Abbiamo parlato del vero, del bene, della santità, ma abbiamo dimenticato di parlare del bello. E questo è doveroso, specialmente in questo teatro famoso, significativo, e dopo questo concerto, che mi ha anche riportato alla memoria la mia storia nazionale, i momenti difficili. In questi momenti, appunto, l'arte, il genio di Federico Chopin ha saputo superare spiritualmente quello che come atti esterni si presentava tragico.

Data: 1990-11-09

Venerdi 9 Novembre 1990

L'omelia nel seminario Maggiore - Napoli

Titolo: Vivere con entusiasmo la grande vocazione del sacerdozio

"Beato chi dà con gioia".


1. E' a voi che parla il salmista: a voi cari seminaristi.

"Beato chi dà con gioia". Il Signore si rivolge a voi, ma si rivolge anche a ogni uomo, perché queste parole esprimono una verità di significato universale. In esse è contenuta, in sintesi concisa, tutta l'antropologia cristiana.

L'uomo - insegna il Concilio - è, in terra, la sola creatura che "Iddio abbia voluto per se stessa". Nello stesso tempo, quest'uomo, che Dio ha così distinto tra tutte le creature, non può ritrovarsi pienamente - aggiunge il Concilio - "se non attraverso un dono sincero di sé" (cfr. GS 24).

Un dono sincero... se queste parole valgono per tutti, esse hanno un significato particolare per voi. Questo è, infatti, il senso fondamentale della vostra vocazione al sacerdozio ministeriale: un dono sincero. beato chi dà con gioia! E' questa la prima parola con la quale s'indirizza a voi, in modo tutto speciale, il salmista nell'odierna celebrazione liturgica.


2. La seconda parola, dal Vangelo di Luca, è molto vicina alla prima. E' la parola sulla fedeltà. "Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto" (Lc 16,10).

Essere fedeli è lo stesso che "dare con gioia". Molto importante, anzi insostituibile, è questa fedeltà: la fedeltà nel poco. E' importante per la vita cristiana in generale. E' importante come tratto del carattere di ogni essere umano.

E' importante, in modo particolare, in un seminario. Si può dire che l'uno e l'altro sono ambienti in cui il seminarista compie la propria verifica mediante la fedeltà nelle piccole cose. Questo "poco" ha infatti una propria grandezza. In esso si conferma anche l'autentica grandezza del carattere. La fedeltà nel poco è infatti manifestazione di amore e di umiltà. E la grandezza del carattere è fondata principalmente su queste due basi: l'amore e l'umiltà.

E' necessario che questa grandezza interiore si consolidi nell'uomo.

Soltanto allora egli sarà capace di accogliere, conservare e attuare ciò che è grande ("il molto"). Grande cosa è il sacerdozio: il servizio "in persona Christi". Proprio a questo voi vi preparate!


3. Ancora una parola della odierna liturgia eucaristica merita di essere sottolineata. Una parola dell'apostolo Paolo: "Tutto posso in colui che mi dà la forza" (Ph 4,13).

Ciascuno di noi lotta costantemente con la propria debolezza. Con diverse forme di debolezza. Forme tanto più pericolose, se nelle valutazioni del mondo dovessero tramutarsi in motivo di successo o di popolarità.

In seminario o in istituto occorre "identificare" ciò che alla luce del Vangelo è debolezza, ciò che è vero bene o vero male. Occorre diventare giudici esigenti di se stessi. Al tempo stesso pero non è lecito perdersi d'animo.

L'apostolo scrive: "Tutto posso". La nostra intimità con Cristo deve ancorarsi a questa verità: tutto posso in lui! Che questa verità si faccia strada in ciascuno di voi attraverso tutte le difficoltà della vostra vocazione. Occorre che voi, facendo tesoro anche delle indicazioni venute dal recente Sinodo dei vescovi, vi rinnoviate interiormente e riprendiate nuova lena nel cammino verso la meta. Impegnatevi con tutte le vostre forze a vivere con entusiasmo la vostra vocazione! Amate lo studio, accettate con gioia la disciplina, soprattutto pregate, pregate molto per sentirvi amici di quel Signore che vi ha chiamati e vi ama con amore di predilezione! Vi sia di modello l'Immacolata, la cui statua è al centro del cortile di questo seminario.

Celebrando l'Eucaristia supplichiamo Cristo che sia per voi sorgente di forza spirituale, perché possiate essere un giorno suoi validi collaboratori nel servizio generoso alla causa del regno.

Data: 1990-11-10

Sabato 10 Novembre 1990

Al mondo del lavoro all'Ansaldo Trasporti - Napoli

Titolo: La dignità dell'uomo non è mai flessibile

Cari amici!


1. Sono lieto di potermi incontrare con voi, nel corso di questa visita pastorale alla generosa e accogliente città di Napoli. Vi saluto con affetto e vi ringrazio per i sentimenti che mi avete espresso per bocca dei vostri rappresentanti.

L'incontro in questa sede dell'Ansaldo Trasporti, che vanta un secolo e mezzo di storia e raccoglie attualmente un gruppo di aziende ben note in Italia e all'estero, non richiama solo i gloriosi primati di questa città nel campo dei trasporti con la costruzione della prima ferrovia italiana sul percorso Napoli-Portici (1839), ma vuole anche sottolineare il lavoro, la professionalità, l'industriosità, la competenza di diverse generazioni di uomini del lavoro, i quali costituiscono la memoria viva, di ogni impresa produttiva.

Salute, dunque, e onore a voi da parte del vescovo di Roma, del successore di Pietro, del rappresentante di "Colui" che, essendo Dio, divenne simile a noi in tutto (cfr. He 2,17 Ph 2,5-8) e dedico la maggior parte della sua vita sulla terra al lavoro manuale. Avendo voluto fare l'artigiano come Giuseppe di Nazaret, egli stesso "appartiene al mondo del lavoro, ha per il lavoro umano riconoscenza e rispetto; si può dire di più: egli guarda con amore questo lavoro" (LE 26).


2. Con gli stessi sentimenti anch'io guardo a voi, lavoratori di questa città. Mi rendo perfettamente conto che il lavoro assume particolari significati secondo le situazioni storiche, economiche e culturali dell'ambiente in cui è svolto. Nel vostro territorio, ad esempio, esso è stato in passato ed è ancor oggi, nonostante i grandi progressi tecnologici e produttivi, un bene scarso, atteso, ricercato, reso instabile e insicuro dalle trasformazioni industriali. perciò, oltre ad esprimervi rispetto e vicinanza, intendo farmi compartecipe e interprete dei problemi, delle ansie, delle speranze, che mi sono state poc'anzi presentate.

Intendo ribadire, qui davanti a voi, alla luce dell'insegnamento sociale della Chiesa, la centralità della missione umana del lavoro e il fondamentale ruolo dei movimenti di solidarietà tra i lavoratori per lo sviluppo e la crescita di questa città e della sua area metropolitana.

Grandi trasformazioni industriali hanno investito l'apparato produttivo napoletano nel corso degli ultimi decenni, con conseguenze economiche e sociali di rilevante entità. Se tali trasformazioni hanno richiesto un necessario ammodernamento e nuove forme di organizzazione del lavoro, hanno comportato anche non lievi costi sociali per quanto riguarda sia i livelli occupazionali sia l'esistenza stessa degli impianti produttivi.

Al riguardo, non posso fare a meno di sottolineare che l'impresa, più che un patrimonio di strutture materiali, è un patrimonio di conoscenze e di esperienze accumulato negli anni, un patrimonio quindi che non appartiene più unicamente al singolo imprenditore, avendo acquistato le caratteristiche di un bene sociale.


3. Cari amici, il lavoro è "un bene dell'uomo", "un bene della sua umanità, attraverso il quale egli non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma realizza anche se stesso come uomo e anzi, in un certo senso, "diventa più uomo"" (LE 9). Lavorare pertanto è un onore, e un onore a cui si ha diritto, perché esso fa parte dell'innata dignità di ogni essere umano. La possibilità di lavorare non può quindi dipendere dal mutevole e spesso imprevedibile andamento dell'economia, quasi si trattasse di un semplice fenomeno congiunturale, ma appartiene all'intima realtà dell'uomo e della donna, creati a immagine e somiglianza divina. Procurare che tutte le persone atte al lavoro lo abbiano di fatto, non è allora concedere un favore, ma rispettare un diritto iscritto nell'originario disegno del Creatore.

Se il criterio della "flessibilità" può legittimamente ispirare la ricerca di nuove modalità organizzative, occorre tuttavia ricordare che non è mai flessibile la dignità dell'uomo lavoratore con i suoi diritti.


4. A ogni diritto corrisponde un dovere. In questo caso, ogni istanza sociale è chiamata a offrire il suo apporto: le strutture politiche e amministrative, il mondo del commercio e dell'industria, i lavoratori e le associazioni che li rappresentano. In tale sinergia di impegni consiste la solidarietà, che necessariamente deve presiedere alla vita sociale. Solidarietà effettiva che non riveste soltanto una dimensione verticale, verso i responsabili istituzionali ed economici, ma che, come dimostra la nascita e lo sviluppo delle associazioni di operai, assume pure una dimensione orizzontale, tra i lavoratori stessi.

Va sottolineata con forza l'esigenza di questa solidarietà orizzontale, in favore di coloro che ne hanno più bisogno, perché più deboli e quindi più vulnerabili di altri. Penso, in particolare, alle donne; penso soprattutto ai giovani, i quali, in mancanza di normali possibilità occupazionali, sono spesso vittime del lavoro nero, e talora soggiacciono persino alla tentazione della criminalità spicciola od organizzata. Penso anche ai cosiddetti extracomunitari: le tragiche vicende in cui non di rado si trovano coinvolti sono note a tutti.

L'Italia, e Napoli in particolare, vantano una lunga tradizione di accoglienza e di ospitalità che va mantenuta e incoraggiata. Non si dimentichi, carissimi fratelli e sorelle, il precetto biblico, secondo cui lo straniero, l'orfano e la vedova devono essere oggetto di speciale attenzione da parte degli altri membri della comunità (cfr. Dt 10,18). Non sono forse anch'essi i "piccoli", di cui parla spesso il Signore (cfr. Mt 25,35ss)? i "poveri", che siamo tenuti ad amare in modo preferenziale?


5. In questo modo ciascuno, oltre che oggetto della solidarietà, ne diventa in varia forma attivo soggetto: la solidarietà è infatti "di tutti verso tutti" (cfr. SRS 38).

Anzi, essa deve diventare il distintivo qualificante di ogni società moderna e organizzata. Anche nella vostra città e nella sua dinamica periferia, nei vostri quartieri affollati e nella cintura dell'area metropolitana non è possibile un vero sviluppo senza il contributo responsabile e generoso di tutta la comunità.

Tocca anche a voi, lavoratori, prestare la vostra valida collaborazione in questa impresa a favore del bene comune. Non potete ignorare, infatti, che il vostro ruolo nella situazione napoletana è di particolare rilievo soprattutto in questa fase nella quale la realtà di Napoli e del Mezzogiorno viene presentata come realtà in degrado. Il vostro lavoro è punto di riferimento obbligato per il riscatto economico e sociale della vostra terra; la vostra esperienza di solidarietà è la base sulla quale si devono sviluppare tutte le relazioni umane e civili. Questa è la vostra grande responsabilità: essere coscienti che sul lavoro, sul vostro lavoro si fonda in gran parte la possibilità di rinforzare la speranza collettiva, che è la condizione per il consolidarsi di una piena identità della comunità napoletana.

Coltivando un simile atteggiamento, voi potete legittimamente attendervi che pure gli altri siano solidali con voi: le istituzioni pubbliche, le aziende dove lavorate e la società nel suo insieme.

La solidarietà è giustizia. La solidarietà è rispetto della persona.

Tutto l'insieme dei rapporti vicendevoli deve ispirarsi a questo fondamentale principio. In questa luce il profitto in se stesso, obiettivo necessario e legittimo di un'azienda o impresa, non può essere l'unico e supremo criterio delle scelte imprenditoriali. In una concezione umana e quindi ragionevole dell'economia vanno, invece, sempre salvaguardate le persone, i loro diritti e quelli della famiglia, il loro futuro, le loro esigenze culturali e spirituali. La solidarietà è, infatti, soprattutto amore.


6. Cari amici, il Papa e la Chiesa sono solidali con voi. Sono al vostro fianco, nella fatica e nella speranza; nell'impegno per garantire il posto di lavoro e nella realizzazione di una società rispettosa dei vostri diritti e della dignità di ogni uomo.

Questa solidarietà della Chiesa verso i lavoratori è una esigenza intimamente connessa con la sua vocazione alla evangelizzazione e alla promozione umana. A partire soprattutto dall'enciclica "Rerum Novarum" di Leone XIII, di cui ricorre fra non molto il centenario della pubblicazione, i miei predecessori e io stesso non abbiamo mancato di sottolineare, in diverse occasioni, l'importanza della questione operaia, indicando al tempo stesso le linee di una sua soluzione rispettosa dei diritti del mondo del lavoro e dei legittimi interessi del bene comune.

Anche questo è un segno della concreta solidarietà con cui la Chiesa segue il mondo operaio, a cui vi onorate di appartenere.

Nell'invocare su di voi e sulle vostre famiglie l'aiuto di Dio, tutti vi benedico di cuore.

Lasciatemi ancora dire una parola. Vorrei ancora una volta sottolineare il calore della vostra accoglienza, così cordiale e non solo operaia, ma familiare, vista la presenza di tanti bambini.

Entrando nei diversi ambienti, e soprattutto nelle chiese, saluto sempre le persone e cerco di abbracciare e baciare i bambini. Qui ho trovato la stessa accoglienza e ho pensato: "Dove entriamo? In una azienda, in una fabbrica o in una chiesa?". Ho anche pensato: "E' vero, è una chiesa". Perché il lavoro umano appartiene a quella dimensione allargata del sacro, del tempio, dello spazio in cui Dio vuole essere presente. Vi ringrazio quindi per questa accoglienza che mi ha suggerito queste riflessioni.

Ci troviamo davanti allo stupendo panorama del Vesuvio tanto importante non solo nella storia di Napoli ma dell'Italia e dell'Europa intera. E' una montagna simbolica, sia per la sua forza distruttrice - abbiamo i ricordi tragici della storia - ma anche per la sua forza che eleva, come tutte le montagne. L'uomo ha bisogno di una elevazione spirituale, specialmente nel suo lavoro, anche il più duro. Non si può permettere all'uomo di essere depresso, si deve cercare sempre un'elevazione, un "sursum corda".

Dico allora a voi tutti "sursum corda", ma non nel senso passivo. Io voglio elevare i vostri cuori, ma siete voi a dover elevare i cuori di tutti.

Sappiamo bene che ci sono realtà preoccupanti, delle quali ha parlato la vostra rappresentante e sulle quali torneremo ancora in altre circostanze, ma attraverso tutto questo e nonostante tutto questo, elevate i vostri cuori e insegnate agli altri a farlo, a vivere in questa elevazione che è il destino umano.

L'uomo non è destinato a essere abbattuto, a essere depresso, schiacciato anche nelle condizioni della sua esistenza, nelle condizioni terrene.

Ma l'uomo è destinato a essere elevato a una destinazione divina, perché è creato a immagine e somiglianza di Dio. Carissimi, non dimenticatelo mai.

Data: 1990-11-10

Sabato 10 Novembre 1990


GPII 1990 Insegnamenti - Alle Figlie di Maria Ausiliatrice