GPII 1990 Insegnamenti - Ai detenuti nel carcere - Poggioreale (Napoli)

Ai detenuti nel carcere - Poggioreale (Napoli)

Titolo: Alla scuola di Gesù imparate che la violenza svuota la persona, e che è possibile rinascere a nuova vita nel perdono e nell'amore

Carissimi amici!


1. Ho vivamente desiderato che, durante la mia visita pastorale alla città e alla diocesi di Napoli, non mancasse questa sosta nell'Istituto di Poggioreale e sono particolarmente lieto di trovarmi fra voi. Vi ringrazio per la vostra accoglienza.

Grazie, in modo speciale, al signor ministro di Grazia e Giustizia, per la sua presenza e per le cortesi parole che mi ha rivolto; grazie a chi s'è fatto interprete dei vostri comuni sentimenti manifestandomi le difficoltà di vario tipo che incontrate e i propositi di bene che vi animano. Tutto ho ascoltato con tanta attenzione.

Il mio deferente pensiero va ora al direttore generale per gli Istituti di prevenzione e pena, al direttore di questo Istituto e ai suoi collaboratori. Va a tutti i presenti. Vorrei potermi intrattenere personalmente con ciascuno, ascoltare quanto sarebbe vostro desiderio confidarmi circa le vostre personali vicende e le situazioni familiari; vorrei condividere con voi le preoccupazioni e le prove che segnano la vostra esistenza; incoraggiarvi a guardare con fiducia verso l'avvenire. Non è, purtroppo, possibile dar luogo oggi a questo dialogo a tu per tu, ma, rivolgendomi a tutti, è al cuore di ognuno che dirigo le mie parole; abbracciandovi tutti spiritualmente, è ognuno di voi che stringo a me. Vi esprimo la mia comprensione e il mio affetto, fratelli carissimi, e cordialmente vi saluto. Attraverso la mia persona e la mia voce, la Chiesa vi assicura la sua presenza e la sua costante attenzione.


2. Il carcere non è certo un luogo dove si viene e si resta per libera scelta. La vostra condizione, perciò, non è certamente facile. Voi avvertite il disagio che s'è creato tra voi e la società, e potete anche avere l'impressione di essere abbandonati a voi stessi. Sono al corrente delle vostre difficoltà, conosco anche gli sforzi che vengono dispiegati per far si che il vostro soggiorno in questo Istituto non vi deprima ulteriormente. Vengo fra voi per condividere le vostre preoccupazioni, vengo per recare a ciascuno il messaggio del Vangelo, che è liberazione interiore e riconciliazione con il prossimo. Sono tra voi nel nome di Cristo, il quale ha detto: "Ero carcerato e mi avete visitato" (Mt 25,36). Gesù non mette in risalto né la colpa né la condanna, ma la reale possibilità di rinascere a una vita nuova nel perdono e nell'amore. Il Vangelo è davvero una Parola che consola, anche se è esigente; è un fermento che rinnova, una fiamma che ridà vita al cuore dell'uomo. In esso è possibile attingere il coraggio per cambiare la rotta della propria esistenza, abbandonandosi con fiducia nelle mani del Padre celeste.

Eccomi, allora, fra voi per ripetere quanto direbbe il nostro Redentore, senza attardarsi sull'umana miseria, ma facendo leva sulla nostra capacità di comprendere le sue parole e sul nostro desiderio di aprirgli l'animo. "Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi e io vi consolero... Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime" (Mt 11,28-29).

Cristo attraverso la conversione e la purificazione del cuore libera ogni uomo dal carcere morale, nel quale lo rinchiudono le sue passioni. Egli è pronto ad agire con potenza e misericordia, ma attende che noi glielo permettiamo con la nostra disponibilità, attende che noi gli andiamo incontro.


3. Alla scuola di Gesù, maestro di autentica umanità, si impara che la violenza svuota la persona e distrugge la società, che il male conduce alla morte dello spirito prima ancora che alla distruzione dell'individualità. Ascoltando la sua voce ci si rende conto della meravigliosa ricchezza del progetto che Dio ha per ogni essere umano. Egli ci chiama a collaborare con lui per fare del mondo la sua famiglia, retta dalla indistruttibile legge dell'amore. Dio conosce il segreto dei vostri cuori, le vostre angosce, le vostre speranze. La sua giustizia trascende ogni pur scrupolosa giustizia umana, la sua misericordia supera ogni nostra immaginabile capacità di perdono. Egli chiama quindi anche voi, in questo luogo di pena e di sofferenza, a crescere in giustizia e in misericordia e vi affida, con una specialissima grazia, il compito di riparare, cioè di ricostruire quella dignità che spetta a ogni figlio di Dio. Iddio ha bisogno anche di voi: accogliete la sua parola e aderite al suo invito.


4. Cari amici, sono venuto per invitarvi alla pazienza, alla bontà, alla reciproca comprensione. Pensate alle vostre famiglie duramente provate dalla vostra condizione; pensate a coloro che vi vogliono bene e contano su di voi. Portate un po' di serenità anche in questo luogo e tra di voi.

Il segreto della vera felicità non è nel miraggio del facile successo; essa si costruisce pazientemente con lo spirito di sacrificio e di servizio, col fare il bene anche quando costa. Nel cammino di rinascita spirituale, che vi invito a percorrere con coraggio, vi auguro di poter trovare al vostro fianco persone che vi comprendano e vi aiutino. Ora, all'interno di questo Istituto, come quando sarete fuori, possiate essere sorretti sempre da una rete di effettiva solidarietà sociale. Non basta affermare che la detenzione carceraria e ogni altro provvedimento restrittivo sono finalizzati principalmente al recupero della persona. Occorre che ogni componente della comunità si senta impegnato a perseguire un così importante obiettivo. Tutti devono lavorare perché nella società si creino condizioni atte a prevenire i comportamenti criminosi. Ciò suppone, in particolare, l'avvio di iniziative educative e formative rivolte soprattutto al mondo giovanile. Tutti ugualmente, pubblici poteri e private organizzazioni, sono chiamati a offrire a chi attraversa momenti difficili un appoggio concreto. In modo speciale è necessario che chi, come voi, si trova in carcere sia amato soprattutto nella delicata fase del suo reinserimento sociale.

Solo infatti dalla disponibilità e dalla collaborazione di tutti può nascere un mondo più accogliente, veramente a misura d'uomo.

Con questi sentimenti invoco su tutti voi che mi ascoltate la protezione della Madonna del Carmine, alla quale i Napoletani sono particolarmente devoti e di cuore vi benedico.

(Aggiunta finale:) Carissimi, ho ascoltato con grande partecipazione queste parole del vostro rappresentante, specialmente perché sono state espresse con grande commozione personale. Ma, in quella commozione sentivo la vostra commozione comune. Il futuro reinserimento nella vita sociale, la futura accoglienza da parte della società, erano le sue preoccupazioni. Ho cercato di tracciare il cammino che ci viene dal Vangelo, da Gesù Cristo stesso, per fare strada a ciascuno di voi per il reinserimento nella società e per la futura accoglienza. Cristo si centra sempre su ciò che è nel cuore umano e si affida alle potenzialità, alle energie che sono nell'uomo e che vengono aiutate dalla grazia dello Spirito Santo e possono fare di un prigioniero anche un santo e di questo non mancano esempi nella storia.

Data: 1990-11-11

Domenica 11 Novembre 1990

Visita al Centro direzionale e alla nuova chiesa - Napoli

Titolo: Nella vita di ogni agglomerato urbano la chiesa esprime l'irrinunciabile esigenza spirituale e religiosa dell'uomo

Illustri signori, carissimi fratelli e sorelle!


1. Ho accolto con vivo interesse l'invito a visitare il nuovo Centro Direzionale di Napoli e, in esso, a benedire la chiesa di fronte alla quale si svolge ora il nostro incontro. Ringrazio il dottor Franco Nobili, presidente dell'IRI, per le cortesi parole di benvenuto che mi ha rivolto. Di questo tempio non possiamo non ammirare l'ardita linea architettonica, che vuole armonizzarsi con l'insieme strutturale dell'intero nuovo quartiere, che ha già destato l'ammirazione di tanti qualificati visitatori. Mi congratulo anch'io con architetti, ingegneri e maestranze per il notevole impegno profuso e per gli straordinari risultati. Mi rallegro, inoltre, al pensiero che l'edificio sacro, integrato nel moderno complesso, svolgerà il suo servizio non solo a favore degli abitanti di questo centro, ma anche di quanti, provenendo dalle zone limitrofe, potranno qui trovare uno spazio privilegiato per l'incontro con Dio.

Davanti a questa, come ad ogni altra chiesa, viene spontaneo ripetere le parole di Giacobbe: "Questa è... la casa di Dio, questa è la porta del cielo" (Gn 28,17). E' la casa di Dio, perché qui si annuncia la Parola che sola è capace di dare significato e valore all'esistenza, orientandola verso una prospettiva ultraterrena. E' la casa di Dio, perché in essa si celebrano i divini misteri, in particolare il sacrificio eucaristico, grazie al quale la comunità cristiana diventa fermento di una nuova umanità e dischiude agli uomini la "porta del cielo".


2. Bastano tali semplici cenni per sottolineare l'importanza che riveste la chiesa nella vita di ogni agglomerato abitativo. Se, infatti, per una convivenza confortevole e degna sono necessari molti elementi materiali, opportunamente previsti anche in questo Centro che si ispira a criteri urbanistici innovatori, avvalendosi di tecnologie avanzate, la progettazione, tuttavia, sarebbe stata manchevole, senza la struttura specificamente deputata al soddisfacimento dell'irrinunciabile esigenza spirituale e religiosa dell'uomo.

La funzionalità e l'efficienza del nuovo Centro Direzionale, infatti, non bastava, da solo, ad assicurare il perseguimento di così nobili obiettivi, compresa la promozione dei valori spirituali e morali in quanti e a vario titolo lo frequenteranno. Al soddisfacimento di questa imprescindibile esigenza intendono contribuire il Centro religioso e le annesse attrezzature sociali. Compito del sacerdote e di quanti collaboreranno in tale servizio, infatti, è di ricordare a tutti che, al di là del vivere, sono importanti le ragioni per cui si vive, giacché umana è soltanto quell'esistenza che da esse è illuminata e orientata. Il credente sa che la parola esauriente su tali ragioni ci è stata offerta nella rivelazione divina, di cui la Chiesa è autorevole interprete e banditrice.


3. Vorrei pertanto lasciarvi una duplice consegna. In primo luogo, quella di frequentare con assiduità questo tempio, per ascoltarvi la parola di Dio e celebrarvi le sue lodi, soprattutto nella liturgia eucaristica. Ciò vi consentirà di edificare nel quartiere una Chiesa viva, le cui pietre siete voi, stretti dal cemento della fede alla salda roccia che è Cristo (cfr. 1P 2,4-5). Non devono essere solo nuove le pietre dell'edificio sacro; nuove devono essere le persone che lo frequentano e che con l'impegno della loro fede e della loro carità contribuiscono al formarsi di una comunità che sia vera famiglia di Dio.

La seconda consegna è che vi adoperiate a far si che il messaggio evangelico con i suoi valori spirituali ed etici, tradotti in stile di vita, offra un contributo determinante all'edificazione di una società più giusta e fraterna.

A tal fine occorrerà impegnarsi per assicurare, con l'ispirazione e la forza che vengono da Dio, rapporti di autentica carità, espressi in forme di solidarietà e di servizio soprattutto verso le categorie meno fortunate.

Abbattete tutte quelle barriere che potrebbero creare discriminazioni e conflitti. Fatelo sempre con la piena consapevolezza che Dio è presente in mezzo a voi. Egli, come in Maria, sua ancella umile e fedele, opererà anche tra voi grandi cose, se saprete porvi come lei in volenteroso ascolto.


4. Nel rinnovare le mie felicitazioni a tutti coloro che hanno partecipato in vario modo alla realizzazione di questo Centro, che spero possa essere presto completato, auspico che esso possa contribuire veramente al miglioramento della qualità della vita in tutta la zona circostante.

Con questi voti, che accompagno con la preghiera, imparto a voi tutti la mia benedizione, con uno speciale pensiero per i vostri bambini, speranza per il futuro del quartiere e dell'intera città.

Data: 1990-11-11

Domenica 11 Novembre 1990

Omelia alla concelebrazione - piazza Plebiscito (Napoli)

Titolo: "Sull'esempio dei vostri grandi santi, affrontate con generosità le forme di povertà emergenti"

"Il regno dei cieli è simile a dieci vergini..." (Mt 21,1).


1. Cristo insegnava in parabole, che erano comprensibili per i suoi ascoltatori.

Il loro contenuto poteva essere facilmente assimilato dall'immaginazione. Nello stesso tempo, il loro messaggio apriva l'animo di chi le ascoltava a un'altra realtà: il regno dei cieli. La realtà divina, soprannaturale. L'uomo è chiamato a questa realtà. E' chiamato al regno di Dio, che inizia qui in terra, ma che troverà la sua realizzazione definitiva nell'eterna città di Dio, nel cielo. Il regno di Dio costituisce pure il futuro escatologico dell'uomo. Di esso Cristo è il testimone oculare: egli è sul trono del Padre, come Figlio consostanziale ed eterno.

Nella parabola delle dieci vergini, che abbiamo ascoltato, Gesù concentra la sua attenzione soprattutto sull'uomo invitato al banchetto celeste, chiamato a partecipare al futuro divino.


2. La parabola delle dieci vergini non cessa di essere attuale. Certamente oggi le tradizioni legate alla celebrazione del matrimonio hanno assunto forme esterne diverse. Tuttavia la parabola è sempre attuale. Si può dire che quanto in essa è raccontato accade anche ai nostri giorni. Accade qui a Napoli; accade nella città e in ognuno dei suoi quartieri; accade in ogni parrocchia, in ogni famiglia, in ogni uomo.

Di quali nozze si tratta? Chi è lo sposo a cui siamo chiamati ad andare incontro? La parabola ci permette di avvicinarci al mistero di Dio, espresso con l'immagine delle nozze. Si tratta delle nozze di Cristo: Egli è lo Sposo. E' Sposo anzitutto in quanto Verbo incarnato: il Figlio di Dio ha sposato l'umanità, la nostra natura umana, facendosi uomo nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo.

In virtù di queste prime nozze Cristo, Dio-Uomo, sposa tutti gli uomini: poiché per tutti si è fatto Uomo, per redimere e salvare tutti. Cristo è l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. La sua Sposa è la Chiesa, che egli ha istituito, perché cooperi con lui nell'opera della salvezza. E' in essa che nascono e maturano i figli dell'adozione divina, chiamati a partecipare alla vita di Dio a somiglianza dell'eterno e unigenito Figlio.


3. Attraverso le vie di Napoli si leva lo stesso grido: "Ecco lo sposo, andategli incontro!" (cfr. Mt 25,6). Questo grido risuona qui da secoli, dagli inizi apostolici della Chiesa nella vostra città. Esso giunge a noi attraverso la testimonianza degli antichi martiri napoletani: Gennaro, Sosio, Festo, Fortunato, Desiderio, Procolo, Eutiche; ci giunge attraverso i santi vostri conterranei più recenti, come san Francesco de Geronimo, sant'Alfonso de' Liguori, il beato Vincenzo Romano, e altri ancora. Echeggia inoltre grazie all'esempio dei laici, che io stesso ho avuto la gioia di elevare agli onori degli altari: san Giuseppe Moscati e il beato Bartolo Longo.

"Ecco lo sposo, andategli incontro!". Questo stesso grido risuona oggi, in questo ultimo scorcio del secondo millennio. E' risuonato in modo particolarmente vigoroso nella celebrazione del 30° Sinodo della vostra arcidiocesi, che ha tracciato le linee programmatiche della pastorale diocesana per gli anni '90. Da questo evento ecclesiale è scaturito un programma apostolico con tre precisi obiettivi: l'evangelizzazione, anzi la nuova evangelizzazione; l'amore privilegiato per i poveri; la pastorale familiare. Quale vasto campo di azione si apre per tutti voi, carissimi fratelli e sorelle! Le nozze dell'Agnello di Dio continuano. Ogni giorno, ogni ora è il momento della venuta di Cristo, per cui particolarmente risultano attuali le parole dell'odierna liturgia: "Vegliate e state pronti, perché, nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà" ("Canticum ad Evangelium").

State pronti! Non impedite che possa incontrarvi! Non lasciatevi assorbire dalle preoccupazioni temporali così da non accorgervi della sua venuta.

Preparatevi anzi ad accogliere Cristo, lo Sposo, operando attivamente, uniti al vostro arcivescovo, il venerato fratello card. Michele Giordano e ai suoi vescovi ausiliari, che saluto cordialmente. Siate vigilanti voi, cari sacerdoti, voi, cari religiosi e religiose, tutti voi, cari fedeli laici.


4. L'evangelizzazione deve diventare il vostro impegno permanente: perché fa parte della vita stessa della Chiesa e mai si esaurisce. Quanto mai opportuna è perciò la scelta operata dal vostro Sinodo, e io auspico di cuore che voi possiate profittare di ogni circostanza favorevole e di inventarne di nuove per garantire a ciascuno e all'intera comunità ecclesiale l'alimento costante della evangelizzazione.

Non dimenticate, inoltre, che il Signore vi invia a evangelizzare anche coloro che non lo hanno mai incontrato, o che ne hanno perduto la memoria. E sono, purtroppo, tanti, anzi troppi anche in questa vostra terra che, come poc'anzi ho ricordato, è generatrice di santi. Questo compito che, in forza del Battesimo e della Confermazione, concerne veramente tutti, deve diventare la comune ansia per la "nuova evangelizzazione".


5. Risplendano pertanto le lampade della vostra fede, alimentate da ardente carità. Siate degni della tradizione di questa Chiesa napoletana, ricca di innumerevoli opere di solidarietà cristiana. Come in passato l'energia dell'amore ha dato vita a istituzioni assistenziali che hanno segnato in profondità la vostra storia, così anche ai nostri giorni siate pronti ad affrontare con generosa disponibilità le nuove forme di povertà emergenti nel tessuto travagliato della società moderna.

Il vostro sforzo, tuttavia, potrà essere efficace se recupererete, come è nella vostra sana tradizione, il valore della famiglia, quale primo e fondamentale soggetto dell'evangelizzazione, secondo le indicazioni dello stesso Sinodo diocesano. E' in questa struttura comunitaria elementare e basilare che l'evangelizzazione trova la sua prima espressione e i genitori sono chiamati a essere i fondamentali evangelizzatori dei figli, avviandoli alla vita della grazia divina attraverso una positiva educazione religiosa, accompagnata dalla loro coerente testimonianza cristiana.

Dono prezioso delle famiglie è la vita, la vita nascente, la vita indifesa, il cui sviluppo dipende unicamente dall'amore della famiglia che l'accoglie. Proprio pensando alla famiglia e all'esistenza umana, che in essa deve essere custodita, difesa e coltivata, sono lieto di poter inaugurare quest'oggi un consultorio familiare che si ispira ai principi cristiani. Si tratta di una iniziativa di notevole rilievo, ideata dall'Istituto Toniolo e realizzata dall'Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con la vostra arcidiocesi. Che il Signore renda merito ai promotori di una così opportuna e importante attività a favore dell'uomo e della famiglia.


6. Carissimi fratelli e sorelle, l'odierna liturgia ci ricorda che tutta la nostra vita è vigile preparazione all'incontro con lo Sposo. "Vegliate e state pronti"! Qui dobbiamo scendere nell'intimo di ogni uomo. Il Salvatore ce ne mostra la via. In che consiste questo "vegliate" evangelico, in che consiste la disponibilità delle vergini sagge, di cui parla la parabola, se non appunto in ciò che il Salmo proclama? "O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz'acqua" (Ps 62,2).

La sensibilità verso Dio; la consapevolezza che egli è presente nel mondo, in questa città, in ciascuno di noi. "In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (Ac 17,28). Da lui siamo usciti venendo alla luce. E la nostra vita è una via che non può condurre in nessun altro luogo se non a lui.

Siamo consapevoli che questa è la via della nostra vita? Ci siamo forse persi per luoghi scoscesi? O forse cominciamo ora a uscire da questa strada maestra? Siamo, forse, simili a quelle vergini della parabola che si assopirono e dormirono? Esse continuano a dormire e non avvertono la venuta dello sposo. Non c'è il rischio che nemmeno la potente scossa della sua morte e della sua risurrezione possa svegliarle? Si. Ammiriamo pure le opere del genio umano, ma i nostri occhi siano ben aperti per riconoscere le opere della divina Sapienza. Le nostre orecchie siano ben aperte per ascoltare la voce dello Sposo. Non lasciamo spegnere le nostre lampade, offuscate da una colluvie di informazioni che conducono verso il nulla.

Esse non ci aprono le prospettive divine, anzi ci impediscono di percepire la voce dello Sposo e non ci fanno ascoltare la Chiesa che grida: "Andategli incontro!".


7. Non possiamo restare nell'ignoranza. Non possiamo nemmeno restare nell'ignoranza circa quelli che muoiono (cfr. 1Th 4,13)... circa quelli che sono morti nelle vostre famiglie, nelle vostre parrocchie, nella vostra città. Novembre è il mese nel quale si ricordano i morti! Non possiamo restare nell'ignoranza. Non basta un'afflizione senza speranza.

L'umanità sembra oggi sottovalutare il significato della morte. Quando si svaluta il senso della morte, quando si svaluta anche quello della vita umana sin dal primo momento del concepimento, l'uomo cade in un sonno pericoloso. Cerca di assopirsi per non affrontare le responsabilità che gli derivano dalla grandezza della sua vocazione e dalla dignità conferitagli da Dio. Cerca di non percepire la voce dello Sposo! Novembre è il mese dei morti che vivono in Dio.

"Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risorto; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui" (1Th 4,14).

Vegliate! Ricordate che viviamo immersi nella Comunione dei santi. Manteniamoci quindi pronti - come le vergini sagge della parabola - ad entrare insieme con Cristo alle nozze del regno di Dio.

La voce della Chiesa ripete: "Ecco lo Sposo, andategli incontro!".

Vegliate, pertanto, e state pronti. Amen! (Dopo aver impartito la benedizione:) Al termine di questa assemblea desidero dire a tutti i presenti un forte "grazie". Un abbraccio fraterno al card. Giordano, vostro arcivescovo, ai cardinali Ursi e Casoria. Un caro saluto a tutti i vescovi della Conferenza episcopale campana qui presenti. A loro chiedo di portare l'augurio del Papa a tutte le diocesi a loro affidate. Cosa devo dire a te, Napoli, la città esperta nel sole? "O sole mio". Devo ringraziare per questo sole che ci ha accompagnato finora, ma dovrei anche pregare insieme a voi per questo accompagnamento solare nei due prossimi giorni tra i vostri vicini, nelle due diocesi che stanno accanto a Napoli.

Un grande napoletano, almeno come studente e docente, san Tommaso d'Aquino, insegnava "bonum est diffusivum sui", il bene si diffonde. Auguro a tutti, ai napoletani e a tutta la Campania, alle diocesi vicine, questa diffusione del bene, questa diffusione del sole. E voi che siete esperti nel sole, riconosciuti come tali in tutto il mondo, cercate anche di diffondere un po' di questo vostro tesoro ai vostri vicini, anzi vicinissimi, e a tutti gli uomini che cercano Napoli a motivo di questo sole, che è il vostro tesoro, il vostro bene speciale. Grazie per la grande ospitalità.

Data: 1990-11-11

Domenica 11 Novembre 1990

All'Angelus - Piazza Plebiscito (Napoli)

Titolo: Che in ogni persona risplenda la bontà, il perdono, l'amore"

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Da questa centrale e storica piazza, il nostro pensiero si rivolge ora a Maria santissima, amata e invocata incessantemente dal popolo napoletano. A lei, sin dai tempi più remoti, sono state affidate le sorti della città, come conferma la dedicazione della vostra cattedrale alla Vergine Assunta in cielo. Di tale costante devozione sono prova, inoltre, le numerose edicole mariane, erette nei vicoli e nelle strade, quali segni eloquenti di un sincero affidamento alla Madre del Signore. così, lungo i secoli, la vita della gente nei quartieri e nei sobborghi, come pure l'attività quotidiana dell'intera popolazione, è stata sempre accompagnata dalla presenza benedicente della Vergine. Vorrei citare, ad esempio, la Madonna del Buon Consiglio, venerata a Capodimonte, e la Madonnina di don Placido al Gesù Vecchio. Vorrei soprattutto ricordare la Madonna del Carmine, tanto cara a tutti i Napoletani e la cui effige avete voluto su questo altare. Il culto della "Vergine Bruna", la cui Immagine fu portata dall'Oriente nel XII secolo a opera dei religiosi del Monte Carmelo, ha conservato salda e integra la fede del popolo partenopeo.

Con la stessa devozione volgiamo oggi il nostro sguardo fiducioso verso di lei e l'invochiamo: Proteggi, o Madre, la città di Napoli! Guida i tuoi figli sulla strada della giustizia e della fraternità! Rafforza in loro la fede, rendili coraggiosi testimoni del Vangelo e ardimentosi costruttori di pace! Fa', o Madre, che in ogni persona risplenda la bontà, il perdono, l'amore!


2. Nella nostra società, che sembra spesso disorientata e inquieta, si fa sempre più urgente, come sottolinea l'odierna pagina evangelica, il nostro dovere di vegliare e di prepararci all'incontro con il Signore che viene. Quest'attesa operosa, fatta d'impegno concreto nella costruzione di un mondo dal volto più umano, si ispira a Maria; segue il suo esempio nel compiere sino in fondo la volontà del Padre. E' un'attesa che si alimenta nella preghiera.

Carissimi fratelli e sorelle! Pregate con fervore Maria santissima! Sentitela accanto a voi e affidatevi a lei. Sia vivo il suo ricordo nelle vostre famiglie e vi accompagni nelle vicende quotidiane! Napoli ha bisogno di Maria! In lei, infatti, abbiamo accesso al cuore del suo Figlio, nel quale soltanto può trovar pace la nostra inquietudine, conforto la nostra pena, vigore e costanza il nostro proposito di vita coerente con i valori evangelici.

(Al termine dell'Angelus:) Si celebra oggi in Italia la Giornata del ringraziamento, un'occasione quanto mai propizia per esprimere riconoscenza al Signore per i frutti della terra. Sono grati a Dio, datore di ogni bene, non solo i lavoratori agricoli e le popolazioni rurali, ma l'intera comunità cristiana. L'odierna Giornata permette di sottolineare l'importanza del lavoro agricolo per il benessere di tutta la popolazione e allo stesso tempo invita a rendere merito all'impegno di quanti con fatica si dedicano all'agricoltura. A questi nostri fratelli va il nostro vivo apprezzamento; rivolgo in particolare un saluto al mondo agricolo della fertile "Terra di lavoro", col quale mi incontrero fra qualche giorno. Auspico di cuore che non venga mai a mancare nei confronti di quanti faticano nella coltivazione della terra l'attenzione dei responsabili politici e amministrativi.

Carissimi fratelli e sorelle, sia salda in voi la certezza che il Signore benedice e rende fecondo il lavoro dell'uomo. Egli chiede, pero, il rispetto della natura e ricorda che ogni bene deve essere a disposizione di tutti in una effettiva solidarietà nazionale e mondiale. A tutti, specialmente ai lavoratori agricoli, imparto con affetto la mia benedizione!

Data: 1990-11-11

Domenica 11 Novembre 1990

Agli infermi e il personale dell'ospedale Cardarelli - Napoli

Titolo: Amare la vita dell'ammalato come la propria

Carissimi fratelli e sorelle!


1. L'incontro con gli ammalati e con quanti si dedicano alle loro cure costituisce sempre per me un'occasione di particolare commozione. Mai, infatti, come quando si soffre, si sperimenta l'estrema fragilità dell'esistenza e il bisogno che si ha degli altri. Mai, come quando si è a contatto con chi è nella prova, si riesce a valutare l'importanza della disponibilità e della solidarietà.

La malattia porta a riflettere sul mistero della vita. Mentre ne sottolinea la precarietà, mette in evidenza i vincoli di vicendevole dipendenza che legano fra loro gli esseri umani. La malattia coinvolge gli altri, specialmente le persone più care e facilita così una più profonda, reciproca comprensione. Talora il dolore porta alla disperazione; più spesso, per grazia di Dio, apre alla solidarietà e rende possibili atti di vero e proprio eroismo.

Vi abbraccio con affetto, cari ammalati; rivolgo il mio grato pensiero al personale medico, paramedico, amministrativo, qui convenuto dai vari ospedali e centri di cura cittadini e a quanti, a vario titolo, si occupano di voi durante la vostra degenza in questo grande e storico ospedale. Ringrazio il presidente dell'Unità Sanitaria Locale, per le cortesi parole che mi ha indirizzato.

Ringrazio il signor ministro della Sanità per la sua presenza. A tutti il mio cordiale e beneaugurante saluto.


2. Il popolo partenopeo, che ha sempre nutrito un religioso senso di pietà verso i sofferenti, ha cercato, nelle diverse epoche, di occuparsi di loro con iniziative concrete, ispirate al comandamento evangelico dell'amore. Questa struttura ospedaliera, la più grande di Napoli, è certamente un segno tangibile di tale importante tradizione caritativa.

Nel corso degli anni si è poi sviluppata un'incessante gara di solidarietà, accompagnata da un notevole fervore di ricerca scientifica. Al generoso servizio assistenziale si è unita, così, la formazione di una classe medica di alto livello, tanto da dare origine alla gloriosa Scuola Medica napoletana, la cui fama ha varcato i confini dell'Italia.

Fu un illustre clinico medico, il prof. Antonio Cardarelli, a dare il nome al vostro ospedale; fu, in particolare, Giuseppe Moscati, un altro apprezzato professionista della vostra città, divenuto poi primario ospedaliero, a saper coniugare in maniera esemplare il binomio scienza e fede.


3. L'assistenza sanitaria oggi non è più soltanto frutto di lodevoli iniziative caritative private, ma rientra giustamente tra i servizi che la società deve assicurare a tutti i cittadini. Nella gestione di tali servizi, tuttavia, non va separata la necessaria professionalità dall'attenzione premurosa alla persona, proprio perché non si è in presenza di una malattia considerata in modo astratto, ma di un essere umano concreto, bisognoso di accoglienza e comprensione prima che di farmaci e di terapie. Ciò richiede naturalmente che le prestazioni dispensate nei Centri sanitari siano sempre più aggiornate, adeguando le strutture al provvidenziale progresso tecnico e scientifico, ai nuovi bisogni del malato e alle mutate condizioni della società. Non è, infatti, mai troppo ciò che viene speso per alleviare la sofferenza di chi è infermo.

Ma l'utilizzo delle più moderne tecnologie in campo medico non avvenga a scapito dell'umanizzazione del rapporto con i pazienti. Resta condizione qualificante di ogni intervento sanitario il rispetto della dignità dell'uomo.

Infatti, "nessuna istituzione può da sola sostituire il cuore umano, la compassione umana, l'amore umano, l'iniziativa umana, quando si tratta di farsi incontro alla sofferenza dell'altro" ("Salvifici Doloris", 29).

Il rispetto della dignità umana va così congiunto alla carità verso l'uomo che soffre. La scienza dispone oggi di tante nuove risorse ed è lodevole lo sforzo che le strutture vanno facendo per rispondere ai nuovi bisogni. Tuttavia ciò che più conta è che l'assistenza sanitaria non cessi di essere esercizio concreto di quella stessa carità che Cristo ha voluto: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).

Amare la vita dell'ammalato come la propria: questo è il pieno compimento del comandamento di Dio! Che il rispetto e l'attenzione amorosa per la vita dell'uomo, dall'atto del concepimento al suo ultimo istante, sia sempre il punto fermo dell'attività professionale di tutti voi che lavorate in questo luogo di dolore e di speranza!


4. Penso, in questo momento, a tutti i fratelli ammalati, ma soprattutto ai lungodegenti, agli anziani e agli inabili, mi riferisco, in particolare, ai malati cosiddetti terminali e alle vittime dell'Aids. Verso questi nostri fratelli si deve fare più paziente la sollecitudine, più disponibile il servizio. Essi hanno bisogno di sentire accanto a loro persone comprensive, che non li abbandonino nel momento della prova, hanno bisogno di amici che li sorreggano nell'affrontare con coraggio gli eventi travagliati della malattia e anche la morte, aprendo il cuore alla speranza in Dio e alla fiducia nel suo amore infinito.

In situazioni di questo tipo, quando la scienza sembra non aver quasi più nulla da dire, il calore umano può essere di grande aiuto. Quanto mai preziosa risulta, allora, la presenza discreta, ma efficace, dei familiari, degli amici, dei volontari. Rilevante, in particolare, è l'intervento dei cappellani ospedalieri, sacerdoti consacrati alla cura pastorale degli ammalati. Essi, con il loro prezioso apostolato, dimostrano che anche quando la medicina e la tecnica risultano impotenti di fronte alla malattia, non viene meno il soccorso della Provvidenza divina. Nei momenti critici la sola fiamma che non si spegne è la fede, alla quale possono attingere forza e pazienza coloro che soffrono e quanti si dedicano alle loro cure.

La vita, carissimi fratelli e sorelle, è sempre un dono di Dio da accogliere con rispetto e amore e la sofferenza è certo un mistero, una sfida per l'uomo e per il credente. E' sfida anche per il progresso scientifico, perché lo spinge ad approfondire la ricerca in una lotta appassionata contro gli agenti che minacciano la salute dell'uomo. Impresa non facile, ma certamente esaltante. Ad essa gli studiosi devono applicarsi con costanza e umiltà, facendo proprio l'atteggiamento del santo medico, vostro conterraneo, Giuseppe Moscati, il quale scriveva: "Coltivate e rivedete ogni giorno le vostre conoscenze. Il progresso sta in una continua critica di ciò che apprendemmo. Una sola scienza è incrollabile e incrollata, quella rivelata da Dio" (Marranzini, "Giuseppe Moscati, modello del laico cristiano di oggi", AVE, Roma 1987, p. 370).


5. Carissimi ammalati, che qui trascorrete questi giorni di cura con la speranza di ritornare presto guariti tra i vostri cari, abbiate coraggio! Collaborate attivamente con i sanitari e siate riconoscenti verso coloro che vi assistono! Abbiate soprattutto fiducia in Dio! Egli non vi abbandona mai; anche se talora difficile da capire, il suo disegno è pero sempre un progetto di amore finalizzato al nostro autentico bene.

Da parte mia vi assicuro un particolare ricordo nella preghiera. Affido al Signore ciascuno di voi, le vostre famiglie e tutto il personale che lavora in questo ospedale, come pure prego per tutti gli ammalati e i sofferenti della vostra città.

Maria, Salute degli Infermi, vi assista e protegga sempre. Di gran cuore tutti vi benedico.

(Dopo aver impartito la benedizione:) Durante la mia visita a Napoli, questo è un momento speciale, privilegiato. Ma davanti a questa immensa realtà che presenta Napoli come Chiesa, come comunità umana e specialmente come comunità dei sofferenti, il Papa si sente insufficiente. Cerchero almeno di visitare un padiglione, un reparto dell'Ospedale. Rimango legato a tutti nella preghiera e nella compassione.

Data: 1990-11-11

Domenica 11 Novembre 1990


GPII 1990 Insegnamenti - Ai detenuti nel carcere - Poggioreale (Napoli)