GPII 1990 Insegnamenti - Concistoro ordinario pubblico - Città del Vaticano (Roma)

Concistoro ordinario pubblico - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Per la canonizzazione dei beati Maria Margherita Dufrost de Lajemmerais, e Raffaele di san Giuseppe Kalinowski

Venerabili fratelli.

Dopo avere cantato le lodi del Signore e predisposto i nostri animi a quegli atti che ci accingiamo a compiere in spirito di pietà, voglio interporre queste poche parole per salutare nel Signore ciascuno di voi insieme ai vostri collaboratori, e per ringraziare in modo particolare, uno per uno, voi che siete presenti oggi, per avere voluto prendere parte con tanta devozione e amore a questa celebrazione liturgica, a questa consultazione.

Infatti, il nuovo rito "ad experimentum" con cui si svolge questo concistoro, conferisce a quest'ultima udienza sulla opportunità della canonizzazione di due beati una certa veste sacrale: in essa le nostre preghiere si uniscono convenientemente alla consueta ultima parte del Concistoro. Ciò che nostro Signore nella "Lettura breve" aveva preannunziato un tempo per bocca di Geremia - cioè che egli avrebbe beneficato i suoi servi e si sarebbe compiaciuto di essi sulla terra - noi lo vediamo accadere nella proclamazione dei nuovi santi attraverso l'autorità e il magistero della Chiesa.

Fa certamente bene il Signore alla sua Chiesa e a tutti i suoi membri, quando propone alla venerazione e all'imitazione esempi sempre nuovi e recenti di santità cristiana, come accade oggi nei beati Maria Margherita Dufrost e Raffaele di san Giuseppe. Nondimeno dunque si deve dire che lo stesso nostro Dio si allieta sia per le virtù di tali santi su questa terra, sia per la sollecitudine della madre Chiesa nel ricercare i meriti dei suoi figli e delle sue figlie, come dimostra la costante opera del la Congregazione delle cause dei santi per i beati di oggi. Sarà dunque vostro compito pronunciare in sintesi un definitivo giudizio sull'opportunità dell'intera materia, con l'aiuto di Dio.

Le nostre preghiere e gli atti compiuti oggi, con i quali si rende chiaramente evidente la natura affatto soprannaturale e spirituale non solo di questo vostro giudizio, ma di tutto il nostro ministero presso la Sede apostolica, vogliano contribuire il più possibile ad aumentare la gloria di Dio onnipotente in terra, la dignità della santa Chiesa e il perenne giovamento di tutti i fedeli in Cristo.

Data: 1990-11-26

Lunedi 26 Novembre 1990

A pellegrini di Bolzano-Bressanone - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Solidarietà tra gruppi nazionali necessaria ai nostri giorni

(Ai pellegrini di lingua tedesca:) Cari fratelli e sorelle, Avete ripercorso i luoghi dove San Francesco d'Assisi ha operato e volete ora concludere il vostro pellegrinaggio con una visita alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Vi rivolgo di cuore il mio benvenuto a Roma e mi rallegro di incontrarmi con voi alla presenza del vostro amato Signor Vescovo. Il vostro impegno per la giustizia, la pace e la protezione del creato, una delle più grandi esigenze del nostro tempo e che voi avete posto nelle vostre diocesi come centro dell'azione pastorale, è una grande missione.

Il vostro servizio agli uomini sarà tanto più grande, quanto voi sarete uniti tra voi e con Dio. L'azione di Dio e la risposta dell'uomo si sono manifestati nel legame di Dio con l'uomo. Per questo nella quarta elevazione diciamo pregando: "Dio ha sempre riofferto all'uomo la sua alleanza". E noi siamo portati a questo legame con Dio e alla sua vicinanza soccorritrice. La violenza e l'ingiustizia degli uomini minacciano sempre di mandare il mondo in rovina.

Tuttavia Dio garantisce la stabilità del mondo. Egli concluse un patto con Noè dopo il diluvio universale e offri agli uomini e a tutti gli esseri viventi l'arcobaleno come segno di riconciliazione e di speranza. Dio promise di ricordarsi di questo patto e di non distruggere il mondo.

Con la crocifissione di Gesù, Dio porta a compimento questo patto.

"Questo è il calice della nuova ed eterna alleanza" diciamo in preghiera durante ogni celebrazione eucaristica. In Gesù Cristo Dio conclude l'alleanza duratura con il suo popolo. In questo Dio si manifesta come un Dio per gli uomini. Egli indica la strada e accoglie i poveri e gli oppressi. E' un Dio di pace, che conduce a sé gli uomini e li guida in pace l'uno con l'altro. E' un Dio che mantiene il mondo in vita.

Di fronte all'attuale situazione del mondo voi volete impegnarvi a portare il vostro contributo a favore di un mondo di pace e di giustizia e per collaborare a proteggere il giardino del creato. Volete far tutto ciò secondo la fede e la grande tradizione cattolica, di cui sono permeati il vostro popolo ed il vostro paese. Ho potuto visitare il vostro bel paese e conoscere alcuni problemi che lo assillano e che ho il desiderio di ricordare ora. Il vostro paese è un paese benestante, tuttavia vi vivono uomini lasciati ai margini. Abbiate un'occhio vigile verso i bisogni nascosti di chi vi circonda e siate solidali con gli uomini che hanno bisogno del vostro aiuto, intorno a voi e nel mondo.

La vostra terra ospita tre popoli diversi: cercate nel modo più giusto di vivere in giustizia e pace l'uno accanto all'altro. Siate consapevoli che la solidarietà fra i popoli e le diverse etnie è l'imperativo dell'ora. La pace è inoltre compito delle vostre famiglie, dei vostri paesi e delle vostre città. Voi vivete in una terra molto ricca dove si raccolgono molti stranieri. Proteggete l'eredità preziosa del vostro bel paese per coloro che verranno e per gli uomini desiderosi di riposo. La vostra terra è punto di incontro di una delle più grandi vie di comunicazione d'Europa. Per questo essa può rappresentare un ponte tra popoli e culture diverse; preoccupatevi che gli uomini non divengano vittime del traffico commerciale.

(Ai pellegrini di lingua italiana:) Con il programma diocesano triennale "Giustizia, pace, salvaguardia del creato", voi intendete offrire il vostro contributo alla soluzione dei gravi problemi che oggi preoccupano l'umanità. Si tratta di problemi a dimensione mondiale, che vanno affrontati e risolti congiungendo gli sforzi di tutte le persone di buona volontà.

A nessuno, infatti, sfugge l'urgenza di operare per la giustizia e per la pace fra i popoli, come pure per la salvaguardia del creato e il rispetto della natura. A tutto ciò guarda con attenzione la Chiesa, la quale, confortata dalle parole del Magnificat, "rinnova sempre meglio in sé la consapevolezza che non si può separare la verità su Dio che salva, su Dio che è fonte di ogni elargizione, dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili" (RMA 37). Il Dio, in cui crediamo, ascolta la voce dell'orfano e della vedova; viene incontro a chi è oppresso e maltrattato e chiede ai credenti di impegnarsi per costruire un mondo guidato dal rispetto della dignità umana e dalla solidarietà. "La pace sia con voi"! Dalla pace, dono che Gesù affida ai discepoli perché lo diffondano sulla terra, ha origine una nuova umanità.

Anche l'impegno per il rispetto e la cura del creato si fonda sulla convinzione che Dio creatore fa vivere, benedice e dona al mondo ogni bene (cfr. "Canon Romanus").

Così la fede ci offre la possibilità di comprendere le vere ragioni della nostra azione in favore della giustizia, della pace e della salvaguardia della natura. Esse provengono dalla conoscenza della volontà di Dio e dall'adesione al suo piano di salvezza che concerne ogni uomo e ogni altra terrena realtà. San Francesco d'Assisi, "Amico dei poveri, amato dalle creature di Dio, invito tutti - animali, piante, forze naturali, anche fratello Sole e sorella Luna - a onorare e lodare il Signore. Dal Poverello di Assisi ci viene la testimonianza che, essendo in pace con Dio, possiamo meglio dedicarci a costruire la pace con tutto il creato, la quale è inseparabile dalla pace tra i popoli" ("Messaggio per la Giornata della pace 1990, n. 16, dell'8 dicembre 1989).

Accompagno con la mia preghiera il vostro cammino di giustizia, di pace e di salvaguardia del creato verso quell'atto di alleanza che vi siete proposti, e imparto a voi tutti la mia benedizione.

Data: 1990-11-26

Lunedi 26 Novembre 1990



A vescovi filippini in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Evangelizzare per trasmettere la verità del Vangelo e non i dubbi nati da un'erudizione male assimilata

Eminenza, Cari confratelli Vescovi,


1. Il nostro incontro di oggi mi offre l'opportunità di continuare le riflessioni che le visite ad limina di vari gruppi di Vescovi filippini mi hanno permesso di fare su temi che riguardano il vostro ministero pastorale. Queste visite hanno un obbiettivo specifico: il rafforzamento della comunione gerarchica e dell'impegno nella missione della Chiesa da parte dei Successori degli Apostoli. Essi inoltre manifestano lo speciale legame di fede e di amore che unisce i Pastori delle Chiese particolari al Successore di Pietro. Desidero assicurarvi che grazie alla vostra presenza mi sono sentito molto vicino ai fedeli filippini. Dopo le nostre conversazioni private e le nostre preghiere comuni per la Chiesa del vostro Paese, ringrazio "Dio per voi, fratelli, ed è ben giusto. La vostra fede infatti cresce rigogliosamente e abbonda la vostra carità vicendevole" (2Th 1,3).


2. La recente Assemblea della Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Asia ha richiamato l'attenzione su situazioni in Asia in cui "il cambiamento è il fattore più costante delle (vostre) società... e vengono chiamati in causa i valori e gli atteggiamenti tradizionali" (cfr. Dichiarazione Finale, 2,1). In particolare, il contesto in cui siete chiamati ad evangelizzare è caratterizzato da luci ed ombre: da un forte senso della vita familiare e della comunità, ma anche dal degrado di certi valori fondamentali e talvolta da situazioni di diffuso conflitto che possono favorire la violenza e la perdita di fiducia nelle istituzioni politiche e sociali. Queste sono alcune delle caratteristiche dell'"ora" in cui il Signore del raccolto vi manda nella sua vigna (cfr. Jn 4,35). Come è scritto nella Dichiarazione Finale dell'Assemblea della FABC: "Dio ci parla attraverso i travagli ed i progressi dei nostri Paesi, e alla luce delle sfide di oggi ci impone di rinnovare il nostro senso di missione" (n. 3.0).


3. Una sfida fondamentale che la Chiesa del vostro Paese deve affrontare è quella di dare un nuovo impeto all'impegno di portare il messaggio cristiano alla società. Ciò che si richiede è un'evangelizzazione più profonda e più efficace.

Voi siete consapevoli più di ogni altro della vastità e dell'urgenza di tale compito, perché conoscete bene i bisogni sia spirituali che materiali della vostra gente. E' tempo che tutta la Chiesa delle Filippine rinnovi la propria fedeltà al Signore, si affidi completamente a Lui che solo può conferire efficacia soprannaturale alle attività di quanti sono impegnati nel ministero pastorale.

Vorrei ricordare l'esortazione che, nell'Evangelii Nuntiandi, Papa Paolo VI ha indirizzato a "tutti coloro che, grazie ai carismi dello Spirito Santo e al mandato della Chiesa, sono veri evangelizzatori"; li ha esortati ad essere "degni di questa vocazione, ed esercitarla senza le reticenze del dubbio e della paura, a non trascurare le condizioni che renderanno tale evangelizzazione non soltanto possibile ma anche attiva e fruttuosa" (EN 74). Tra queste condizioni, egli ha dato la priorità all'azione dello Spirito Santo, che è l'anima della Chiesa, il principale agente di evangelizzazione, colui che spiega ai fedeli il significato profondo dell'insegnamento di Gesù e del suo mistero, che mette sulle labbra dell'evangelizzatore le parole che lui non riesce a trovare e che predispone l'anima di chi ascolta ad essere aperta e ricettiva alla Buona Novella e al Regno.

Desidero incoraggiare voi e i vostri fratelli Vescovi a continuare a sottolineare la missione trascendente della Chiesa, non permettere che le vostre comunità ecclesiali perdano di vista la natura autentica della vita cristiana, che nasce dalla comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo nella vita di grazia attraverso la partecipazione al Mistero Pasquale del nostro Salvatore.


4. L'evangelizzazione inoltre dipende molto dagli stessi evangelizzatori, che devono essere testimoni genuini, in grado di soddisfare la sete di autenticità che prevale tra la gente di oggi. Paolo VI ha ricordato agli evangelizzatori che il mondo si attende da loro che parlino di "un Dio che essi conoscano e che sia a loro familiare, come se vedessero l'invisibile" (Ibidem EN 76). Come è opportuna per la vita del vostro Paese l'affermazione di Paolo VI: "Il mondo esige e si aspetta da noi semplicità di vita, spirito di preghiera, carità verso tutti e specialmente verso i piccoli e i poveri, ubbidienza e umiltà, distacco da noi stessi e rinuncia. Senza questo contrassegno di santità, la nostra parola difficilmente si aprirà la strada nel cuore dell'uomo del nostro tempo" (Ibidem EN 76)! L'evangelizzatore è un servitore della verità su Dio, sull'uomo e sul suo misterioso destino, e sul mondo. Non deve trascurare di studiare questa verità; deve servirla generosamente senza farsi servire. Soprattutto l'evangelizzatore deve essere pieno di amore per coloro a cui è mandato: un amore che consiste nel trasmettere la verità autentica del Vangelo, e non dubbi ed incertezze che nascono da una erudizione scarsamente assimilata; un amore che rispetti la libertà di coscienza e le condizioni spirituali degli altri, ma che non esiti a stabilire con loro un serio dialogo sulle questioni più profonde che interessano gli individui e la società.

Adesso, a quindici anni dalla promulgazione dell'Evangelii Nuntiandi, non possiamo fare a meno di restare colpiti dalla sua continua attualità e dalla sua importanza. Vorrei suggerirvi, ogni volta che meditate sul vostro ministero, di fare di questa "Magna Charta" della missione di evangelizzazione della Chiesa il necessario punto di riferimento riguardo alle vostre responsabilità personali quali vescovi e alle responsabilità dei vostri collaboratori nella cura pastorale delle Chiese a voi affidate. Un'applicazione più diffusa delle sue direttive in tutta la Chiesa è certamente necessaria, affinché "Colui che somministra il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, somministri e moltiplichi anche la (nostra) semente e faccia crescere i frutti della (nostra) giustizia" (2Co 9,10).


5. In ogni Paese in cui i seguaci di fedi diverse vivono fianco a fianco, deve essere compiuto un grande sforzo per gettare le solide basi di una società pacifica e armoniosa. Alcuni di voi sono Pastori di comunità che vivono in quotidiano contatto con i seguaci dell'Islam. I rapporti interreligiosi tra le due comunità sono generalmente contrassegnati da amicizia e cooperazione.

Sono felice di sapere che non mancano opportunità di dialogo su problemi di comune interesse e su argomenti religiosi. Vorrei incoraggiarvi a cercare un accordo con i vostri fratelli e le vostre sorelle musulmani sulla questione fondamentale della libertà religiosa. Il fondamento del rispetto e della comprensione reciproca tra quanti professano credi diversi sta nel diritto di ogni individuo alla libertà di coscienza. Ciascuno ha un diritto inalienabile e un dovere solenne di seguire la propria giusta coscienza nel perseguire e nel servire la verità religiosa. La libertà religiosa non è un privilegio, bensi un'esigenza della dignità umana (cfr. Dignitatis Humanae).

Durante la mia recente visita in Africa ho espresso la convinzione che "Cristiani e Musulmani possono vivere in armonia e manifestarsi reciprocamente solidali in tutte le gioie, i dolori e le sfide che segnano la vita della comunità locale. Come mostrano le esperienze in molte parti del mondo, le differenze religiose in sé non rompono necessariamente la convivenza. Infatti Cristiani e Musulmani... possono essere compagni nel costruire insieme una società fondata sui valori insegnati da Dio: tolleranza, giustizia, pace e sollecitudine per i più poveri e i più deboli" (Discorso ai Capi Religiosi, 2 settembre 1990). E' questo un compito e un obbiettivo su cui siete chiamati a lavorare concretamente e saggiamente nell'interesse di tutti i vostri concittadini.


6. Prima di concludere questa serie di incontri con i Vescovi delle Filippine, desidero esprimere l'apprezzamento della Santa Sede per la sollecitudine umanitaria che, nel passato, ha mosso il vostro Governo ad accogliere gruppi di boat-people vietnamiti in cerca di rifugio. Negli ultimi quindici anni, in linea con le sue profonde tradizioni umane e cristiane e nonostante i grandi oneri che comportava, il vostro Paese è stato generoso nel dare a questi profughi l'ospitalità di "primo asilo". Prima che si giunga ad una soluzione totale ed efficace del problema dei rifugiati, occorrerà alleviare ancora tanta umana sofferenza. E' mia speranza che, nonostante le difficoltà che comporta, anche a livello internazionale, il Governo filippino continui, per quanto è possibile, a rispondere a questa tragedia con un senso di fratellanza universale e di responsabilità morale. Apprezzo moltissimo quanto la vostra Commissione Episcopale per la Migrazione e il Turismo ha fatto a questo proposito.


7. Cari confratelli Vescovi, mentre vi preparate a tornare alle vostre Diocesi, ringrazio Dio per la vita e il ministero dei vostri sacerdoti, per la testimonianza e l'opera dei religiosi e delle religiose, per la fede e l'impegno dei laici.

Vi incoraggio nel vostro impegno a fornire alti livelli di formazione nei seminari, nelle case religiose e nei centri per la preparazione dei leaders laici cristiani. Nulla di valido e duraturo può essere perseguito senza un'autentica conoscenza della fede ed un'adeguata istruzione religiosa, in grado di rispondere alle realtà sempre più complesse del mondo moderno. Il rinnovamento della missione è una sfida per tutti i membri della Chiesa.

Preghiamo il Signore per tutta la Chiesa delle Filippine affinché si compia in voi l'esortazione di San Paolo: "Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera" (Rm 12,11-12). Che Maria, la Madre della Chiesa, vi ottenga tutto questo attraverso la sua amorevole intercessione presso suo Figlio Gesù.

(Traduzione dall'inglese)

Data: 1990-11-30

Venerdi 30 Novembre 1990

Alle esequie del card. Rubin - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La sua vita è stata un intenso atto di amore sacerdotale

"Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio!" (Sg 3,1).

Amati confratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, carissimi fedeli, che partecipate a questa cerimonia funebre!


1. Anche il nostro amato e stimato fratello, card. Wladyslaw Rubin, ci ha lasciato, e noi, che l'abbiamo conosciuto e seguito per tanti anni, vogliamo pensarlo davvero, come un giusto, nell'amore infinito del Signore! Ci ha lasciato nel XXV anniversario dell'Istituzione del Sinodo dei vescovi, organismo al cui avvio ha recato un decisivo contributo, essendone stato nominato primo segretario dall'indimenticabile Papa Paolo VI. La circostanza rende anche più sentito il cordoglio per la sua dipartita.

Da qualche anno ormai il caro cardinale aveva abbandonato gran parte delle sue attività a motivo della grave malattia che lo aveva colpito. Un doloroso insieme di tribolazioni spirituali e fisiche lo ha accompagnato in quest'ultimo periodo, purificando ulteriormente la sua anima. In ogni circostanza egli ha dato un esempio di pieno e sereno abbandono alla volontà di Dio, lasciandoci tutti edificati.

Ora, come dice la Scrittura, egli è nella pace: il Signore l'ha provato, l'ha saggiato come oro nel crogiolo, e lo ha trovato degno di sé; lo ha gradito come un olocausto. E ora noi siamo qui in preghiera intorno alla sua bara con la nostra mestizia, ma anche con le certezze della nostra fede!


2. Riandando col pensiero alla vita del card. Rubin, si rimane impressionati per la varietà e l'intensità delle sue esperienze. Nato il 20 settembre 1917 a Toki, nell'arcidiocesi di Lwow, egli compi gli studi ginnasiali a Tarnopol e si iscrisse poi alla Facoltà teologica e alla Facoltà di Diritto dell'Università Jan Kazimierz a Lwow. E di qui incominciarono le sue peripezie e le sue peregrinazioni. Allo scoppio della seconda guerra mondiale dovette interrompere gli studi e insieme con gli altri connazionali fu arrestato e deportato in un campo di lavoro forzato, in Siberia. Successivamente, grazie all'interessamento dell'ordinario militare mons.

Gawlina, poté unirsi ai seminaristi da lui radunati perché completassero i loro studi. Ebbe così l'opportunità di conseguire la licenza in teologia nell'Università san Giuseppe di Beirut e il 30 giugno 1946 poté ricevere a Beirut l'ordinazione sacerdotale.

E così, dalla Polonia alla Siberia, al Libano, il giovane Rubin raccoglieva e moltiplicava le sue esperienze con fede ferma e intrepido coraggio.

Giovane sacerdote, fu designato parroco dei numerosi polacchi che si trovavano nel Libano a causa della guerra. Con tale mansione egli si dedico all'insegnamento della religione nelle scuole polacche di Beirut, fu cappellano dell'ospedale e moderatore del sodalizio mariano dei giovani universitari.

Nel 1949 veniva mandato dal suo arcivescovo a Roma per laurearsi in diritto canonico presso la Gregoriana. Un nuovo campo di attività pastorale si apriva davanti a lui. Gli fu affidata l'assistenza religiosa degli emigrati polacchi. Dal 1953 al 1958 fu "missionario" dei polacchi in Italia; organizzo due Istituti - uno a Loreto e l'altro a Roma - per gli orfani e per i fanciulli di famiglie in difficoltà; nel 1959 fu nominato rettore del Pontificio Collegio Polacco in Roma per curare in modo particolare la formazione dei sacerdoti-studenti provenienti dalla Polonia; nel 1964 fu nominato Delegato del primate di Polonia per l'emigrazione e ausiliare nella sede primaziale di Gniezno.

Io stesso ebbi la gioia di essere conconsacrante alla sua ordinazione episcopale, accanto al card. Stefan Wyszynski e, nella mia qualità di arcivescovo di Cracovia, lo nominai rettore della chiesa di Santo Stanislao e dell'omonimo Ospizio in Roma, ove egli si dedico ad un'intensa attività pastorale tra gli emigrati polacchi sparsi in tante Nazioni del mondo, visitandoli in tutti i Continenti e mantenendo con loro stretti rapporti. Per mezzo delle "missioni polacche", istituite nei vari Paesi e con la collaborazione di mons. Wesoly, alimento continuamente la fede cristiana in milioni dei suoi connazionali esuli nel mondo, partecipando con assiduità ai lavori della Conferenza episcopale polacca. Per questo vasto e assillante lavoro, la Polonia deve essere ben riconoscente al card. Rubin; come anche la Chiesa, che ebbe sempre in lui un pastore illuminato e saldo, pur nelle drammatiche vicende della società e della Patria! Egli era dappertutto portatore di certezze e di speranza; testimone dell'amore fedele di Dio!


3. Al termine del Concilio Vaticano II, una nuova e ancor più delicata incombenza l'attendeva: il 17 febbraio 1967 Paolo VI nominava mons. Rubin primo segretario del neonato Sinodo dei vescovi. Egli vi recava una vastissima esperienza e una profonda sensibilità per i problemi della Chiesa nella società moderna, unite a una vasta cultura e a un'ammirevole prudenza. Per ben dodici anni egli porto avanti l'attività del Sinodo, presiedendo cinque Assemblee generali, i cui lavori sfociarono in documenti finali di grande importanza, come quelli sul sacerdozio, sulla giustizia sociale, sulla evangelizzazione.

Giurista di vaglia, attento alle varie necessità della società e della Chiesa, il card. Rubin ha lasciato numerosi scritti in materia giuridica e pastorale, nei quali ha consegnato il frutto dei suoi studi e della sua esperienza.

Per i tanti meriti acquisiti e per la ricchezza della sua esperienza, nel Concistoro del 30 giugno 1979, decisi di elevarlo alla dignità cardinalizia e per la sua conoscenza della storia e della liturgia delle Chiese Orientali nel 1980 lo nominai prefetto del relativo Dicastero, allora molto impegnato anche nella stesura definitiva del Codice di diritto orientale. In questa mansione, svolta con la sua solita diligenza e passione, lo colse quella tormentosa malattia, che trasformo la sua vita in un meritorio calvario.


4. Volendo ora, davanti alla sua salma, raccogliere in sintesi la sua lunga e laboriosa esistenza, per trarne esempio e incitamento, si potrebbe dire che la sua vita è stata sempre un intenso atto di amore sacerdotale! Si, egli dovunque si è trovato ha sempre amato: dai tribolati tempi della deportazione in Siberia ai vari impegni in Libano, a Roma, in Italia e all'estero, ovunque lo hanno portato i suoi doveri e le sue mansioni, egli ha cercato di mettere in pratica il comandamento dell'amore! "Da questo abbiamo conosciuto l'amore", scrive l'apostolo san Giovanni, "Cristo ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli!" (1Jn 3,16). Il card. Rubin, che aveva preso come motto episcopale e cardinalizio "Crux Domini spes et victoria", seppe vivere questo ideale fino in fondo, memore dell'ammonizione del Divin Maestro: "Se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo" (Jn 12,26). Egli non volle altro che servire sempre e con fervore Gesù Cristo, il Rivelatore della Verità e il Redentore dell'umanità, e perciò la sua vita, immersa nelle varie e continue fatiche pastorali - come il chicco di grano che, caduto in terra, si disfa per portare molto frutto - ha irradiato la luce della verità, ha dato la grazia a innumerevoli anime, ha consolato e confortato migliaia di persone afflitte e angosciate, ha asciugato tante lacrime, ha portato gioia e serenità a tante anime... Egli ha amato e perciò ha servito! Caro fratello, te lo dico come amico e come Pontefice: sei stato un degno figlio della Polonia! La nostra Patria, nel suo lungo e tribolato cammino, può essere giustamente orgogliosa di te! E anche la Chiesa ti è riconoscente per l'intenso lavoro compiuto a servizio della verità, della santità e della carità, con spirito e sensibilità ecumenica, con dolcezza e comprensione evangelica!


5. Cari fratelli e sorelle qui presenti! La morte fa sempre impressione, perché è il distacco dalle persone amate e dalle realtà terrene che sono state oggetto del nostro impegno. Anche Gesù, avvicinandosi al momento della passione e della morte, comincio a provare tristezza e angoscia, e desidero che gli apostoli vegliassero con lui. Inoltre, morire significa entrare nell'eternità e affrontare il giudizio dell'Altissimo! Ma in questo momento, intorno all'altare del Signore, offrendo il sacrificio della Messa in suffragio del card. Rubin, ci conforta riandare alle parole di san Paolo, nelle quali ci pare di leggere un suo degno epitaffio: "Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.

Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me!" (Ga 2,20). Oh, certamente, "il salario del peccato è la morte", ma "il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore!" (Rm 6,23).

Maria santissima, la Vergine Immacolata, di cui egli fu tanto devoto, lo faccia al più presto partecipe della gloria eterna di Dio e accompagni sempre anche noi nel nostro quotidiano cammino sulla scia dei suoi esempi di sacerdote e di vescovo, di amico e di fratello.

Data: 1990-11-30

Venerdi 30 Novembre 1990

Accetta le dimissioni del card. Casaroli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nomina a pro-segretario di Stato dell'arcivescovo Angelo Sodano




1. Oltre un anno fa, con alcuni giorni di anticipo sulla data del suo 75° compleanno, il caro e venerato card. Agostino Casaroli mi presento per iscritto la sua rinuncia all'ufficio di Segretario di Stato. Lo fece con una lettera nobilmente sobria, in perfetta consonanza con lo stile che gli è abituale.

Scriveva allora di essersi deciso a tale passo "non soltanto per obbedienza alla prescrizione canonica, ma nella consapevolezza delle ragioni che l'hanno ispirata: ossia il declino delle forze che porta con sé il progredire degli anni dopo una certa età". E aggiungeva: "Ciò che vostra santità stimerà opportuno decidere sarà da me accolto con serena prontezza come segno della volontà di Dio, per il maggior bene della Chiesa e il miglior servizio della santa Sede".

Pur ammirando tale atteggiamento di sereno distacco e di piena disponibilità, ritenni di non potermi privare subito di un collaboratore tanto saggio ed esperto. Pregai pertanto il card. Casaroli di voler rimanere al suo posto fino a che mi fosse stato possibile provvedere diversamente. Egli obbedi, come sempre, senza frapporre indugi, proseguendo poi nel suo servizio col solito impegno e con immutata serenità d'animo.


2. Sono lieto, signor cardinale, di riconoscere pubblicamente questi suoi meriti nel momento in cui, dopo aver riflettuto e pregato, ho deciso di dar corso effettivo alle sue dimissioni. Come Le ho scritto per la circostanza, nonostante l'assuefazione che ho potuto fare, nel corso di questi mesi, alla prospettiva del distacco da lei e dalla sua collaborazione, la decisione ora presa non è esente, per me, da un senso di perdita. Sono molti, infatti, gli anni da che la conosco.

Il primo approccio reciproco risale a oltre un ventennio addietro, quando ella, quale vicino collaboratore del Papa Paolo VI, stava compiendo passi significativi per migliorare la situazione della Chiesa posta al di là della cosiddetta "cortina di ferro". In Polonia tali sforzi portarono frutti importanti, consentendo la normalizzazione ecclesiastica per la parte sia occidentale che settentrionale del Paese. Col passare del tempo, poi, ebbi modo di conoscere sempre meglio le sue qualità di uomo e di sacerdote, seguendo la sua intensa attività quale responsabile del Consiglio per gli affari pubblici. Potei così apprezzare il vivo "sensus Ecclesiae" che, unitamente a un altrettanto penetrante "sensus hominis", ha sempre ispirato e guidato la sua azione.

Trovai naturale, pertanto - quando Iddio nella sua provvidenza volle chiamarmi alla Sede di Pietro e mi venne a mancare dopo pochi mesi il sostegno del compianto card. Villot - rivolgermi a lei per chiederle di volermi essere accanto quale più stretto collaboratore del mio ministero e mio primo consigliere.

Ripenso, in questo momento, al grande aiuto che ho avuto da lei nell'arco di questi anni, nei quali la Chiesa e il mondo hanno conosciuto vicende e rivolgimenti di così vasta portata. Sempre ho potuto contare sull'apporto delle indicazioni e dei suggerimenti che ella, con sincero amore per Cristo e per la Chiesa, mi ha offerto in atteggiamento di collaborazione leale, intelligente e devota.

Per tutto questo la ringrazio, signor cardinale, e unitamente a lei ringrazio il Signore per il bene che ha operato nella Chiesa e nel mondo mediante l'azione da lei svolta negli anni operosi e fecondi del suo mandato.


3. Desidero ora rendere pubblica la nomina del nuovo responsabile della Segreteria di Stato. Dopo matura riflessione e non senza aver invocato insistentemente lumi dall'Alto, sono venuto nella determinazione di chiamare a questo ufficio mons. Angelo Sodano, finora segretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Ho annunciato a mons. Sodano la mia decisione col documento, del quale do ora lettura. A succedere poi a mons. Sodano nell'incarico di Segretario per i Rapporti con gli Stati ho chiamato mons. Jean-Louis Tauran, che ha già una buona esperienza in questo importante settore dell'attività della santa Sede.

La figura del card. Casaroli e la sua dedizione nel servizio alla santa Sede saranno certamente fonte di ispirazione per mons. Sodano e per mons. Tauran, nella continuità di un impegno che si alimenta alla convinzione profonda di essere al servizio del disegno d'amore che, mediante la Chiesa, Dio persegue infaticabilmente nella storia del mondo.

(Dopo la consegna dei rispettivi documenti:) E' questa una buona circostanza per vedere tutti i collaboratori della Segreteria di Stato. Voglio approfittare di questa circostanza per ringraziare tutti per il loro impegno, il loro lavoro, nascosto molte volte, ma visibile nei frutti e certamente agli occhi di Dio. Ci troviamo quasi nella vigilia del periodo di Avvento. Auspico che questo incontro, come pure tutto il lavoro di noi tutti, della nostra comunità curiale e specialmente di quella della Segreteria di Stato, sia anche un modo di preparare le vie del Signore, il suo avvento, come lo era una volta l'opera di san Giovanni Battista e poi, soprattutto, la nascosta opera verginale di Maria. Questo è il mio augurio nel 1° dicembre 1990, un giorno che non posso vivere senza una profonda emozione davanti a Dio, davanti a Cristo, davanti a sua Madre e davanti alla Chiesa.

Questa commozione profonda è penetrata dalla gratitudine per la persona che la Provvidenza divina, Cristo buon pastore, mi ha dato nel mio cammino, così straordinario - si può dire - dal punto di vista dei contesti storici, d'altra parte così semplice se si guarda verso i disegni divini, verso la provvidenza di Dio. Vorrei che questa espressione complementare dei miei sentimenti sia un ulteriore atto di ringraziamento al card. Segretario di Stato, che oggi lascia il suo ufficio, come anche al suo successore e al successore del suo successore. Che sia anche un'espressione di questa gratitudine per tutti voi, carissimi fratelli, che siete al centro dei problemi della Chiesa e del mondo, che siete al centro di questo ministero che Gesù ha affidato a Pietro, il ministero petrino.

Che il Signore della storia, Dio, Trinità, ci benedica tutti, ci benedica oggi e sempre. Sia lodato Gesù Cristo.

Data: 1990-12-01

Sabato 1 Dicembre 1990


GPII 1990 Insegnamenti - Concistoro ordinario pubblico - Città del Vaticano (Roma)