GPII 1990 Insegnamenti - Ai presidenti delle Confederazioni industriali europee - Città del Vaticano (Roma)

Ai presidenti delle Confederazioni industriali europee - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Europa: realtà economica ed esperienza culturale e spirituale

Illustri Signore e Signori,


1. Come partecipanti alla Conferenza dei Presidenti delle Conferenze Industriali Europee, membri dell'UNICE (l'Union des Confédérations de l'Industrie et des Employeurs d'Europe), sono particolarmente lieto di darvi il benvenuto in Vaticano e di esprimere il mio apprezzamento per il vostro impegno nell'arduo ma importante compito di promuovere lo sviluppo e il progresso. Sono grato al vostro Presidente per le parole dette a nome vostro.

Come dirigenti d'affari, siete venuti insieme per sottoscrivere e pubblicizzare una Dichiarazione Comune nella struttura della così chiamata "nuova architettura europea", la nuova situazione dell'Europa che risulta dalle straordinarie trasformazioni politiche e istituzionali che hanno avuto luogo a livello internazionale. Quando, nel dicembre 1988, vi siete incontrati a Parigi avete dichiarato che I 'Europa era la vostra "avventura comune" e vi siete impegnati in una maggior cooperazione nell'industria e in una solidarietà con i Governi e i popoli d'Europa nella costruzione di un futuro migliore per questo continente. Nessun passo verso lo sviluppo europeo è possibile nella prosperità e nella pace, senza prendere in considerazione il contributo specifico dei dirigenti d'affari al benessere presente e futuro della società.


2. La Chiesa, nel suo insegnamento sociale, rispetta e difende i diritti delle iniziative economiche come espressione della creatività soggettiva degli individui e dei gruppi (cfr. SRS 15). Ma sottolinea con forza che il processo economico, che ha un'influenza decisiva sulla vita di quasi tutti gli abitanti della terra, non si limita alla produzione della ricchezza e dei beni materiali. L'attività economica ha una intrinseca funzione sociale e morale derivante dall'inalienabile dignità delle persone che vi sono coinvolte e dal principio della precedente destinazione universale dei beni (cfr. Ibidem, SRS 42).

Fortunatamente, una concezione troppo limitata dello sviluppo sta cedendo il passo ad una crescente coscienza del bisogno di collocare la crescita economica al servizio del progresso umano, sociale, culturale e politico dei popoli.

E' contro lo sfondo di questi principi generali che sono lieto di sottolineare il vostro impegno di operare per un progresso che migliori gli standard di vita in Europa, che rispetti l'ambiente, che prenda in considerazione i bisogni particolari di regioni meno sviluppate, che cerchi di rafforzare la libertà e la democrazia, la solidarietà e la pace. Per questo voi intendete promuovere il rispetto per gli aspetti umani di tutte le strategie e programmi.


3. L'Europa è la vostra comune avventura. Voi siete dunque impegnati nel progresso dell'unico mercato europeo, con tutto ciò che esso implica in libertà di movimento per persone, capitale e beni. Voi siete anche consci che l'Europa non è solamente o primariamente una realtà economica: essa è soprattutto una ricca e intensa esperienza culturale e spirituale. Inoltre, l'integrazione europea non può essere considerata salvo che come comprendente l'intera estensione del continente, che è determinata dalla geografia ma ancor più dalla comune eredità religiosa condivisa dai suoi popoli, che, in un periodo o in un altro, furono quasi tutti battezzati nella fede cristiana. L'Europa ha basi storiche e risorse spirituali e culturali necessarie a costruire un modo di vita basato su un umanesimo capace di correggere gli eccessi materialistici e tecnologici presenti in altri modelli di sviluppo. Il commercio e l'industria contribuiranno al compimento di questo scopo nella misura in cui perseguiranno gli obbiettivi che non sono puramente economici ma in verità umani. I membri della vostra Associazione hanno un ruolo significativo da svolgere nella crescita di una società che prenda pienamente coscienza della dimensione spirituale del suo popolo, superando anacronistici contrasti tra fede e scienza, tra religione e "progresso". A questo riguardo, il solo fine degno di tutti i vostri sforzi è la realizzazione di un continente europeo che sia sempre più l'espressione dei valori più alti dello spirito umano.


4. La Chiesa è stata certamente l'unico fattore importante nella formazione del "carattere" dell'Europa. I duemila anni di esperienza della Chiesa mi permettono di trarre la conclusione certa che nessun modello di progresso che non prenda in considerazione le dimensioni etiche e morali dell'attività economica riesca a vincere i cuori dei popoli europei. Il primato dello "spirituale" - nel senso più esteso del termine - è un principio da cui i popoli dell'Europa non possono prescindere senza far violenza alla genesi storica e allo sviluppo loro costitutivi.

Inoltre, l'Europa si è sempre distinta per la sua apertura al resto del mondo. Senza secondi fini di dominazione, ora è chiamata ad aprirsi al così detto "Sud" del mondo: quei vasti settori dell'umanità che ora hanno bisogno dell'aiuto dell'Europa per essere in grado di assumere la direzione del loro destino. E' mia speranza che come dirigenti d'affari sarete sempre convinti che l'indigenza e la dipendenza economica delle nazioni più povere rappresentano una categoria morale che pone serie domande etiche sulle decisioni da prendere concernenti la proprietà e l'uso della ricchezza e delle risorse del mondo (cfr. SRS 42).


5. Illustri Signore e Signori, faccio appello a voi che lavorate in quest'"avventura comune" per il benessere di milioni di esseri umani che, in Europa e in ogni luogo, attendono ancora la realizzazione di un autentico sviluppo e progresso umano. Ricordate la parabola del Vangelo dell'"amministratore saggio e fedele" che a tempo debito distribuisce ai membri della servitù la loro razione di cibo (cfr. Lc 12,42-44). Noi siamo tutti amministratori, non proprietari assoluti, del mondo che Dio ha posto nelle nostre mani per far si che porti frutto per il maggior bene di tutti, e ultimamente per la sua gloria. Quella gloria è riflessa non solo nella bellezza della natura ma nella dignità di ogni essere umano, immagine di Dio, e nella bellezza della pace e della fratellanza tra tutti i membri dell'unica famiglia umana. Possa Egli che è il Padre di tutti darvi la saggezza e il coraggio di usare le vostre risorse, di dirigere la vostra influenza economica, civile e politica verso la costruzione di un mondo di giustizia, pace e solidarietà.

Augurando il successo delle vostre decisioni, invoco le benedizioni di Dio su voi e i vostri familiari.

(Traduzione dall'inglese)

Data: 1990-12-03

Lunedi 3 Dicembre 1990

Alle "rinate" Settimane Sociali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il contributo dei cattolici italiani alla nuova evangelizzazione e alla "nuova giovinezza" dell'Europa




1. Sono lieto di porgere un cordiale saluto a voi, membri del Comitato scientifico-organizzatore delle rinate Settimane Sociali dei cattolici italiani, che già da un anno date il vostro generoso apporto affinché questa importante iniziativa della Chiesa italiana e dei suoi laici possa riprendere il suo cammino di riflessione e di studio sui maggiori problemi sociali di oggi, per orientare l'azione e i comportamenti alla luce dei principi cristiani. Saluto in particolare mons. Fernando Charrier, presidente del Comitato, e lo ringrazio per l'indirizzo che mi ha rivolto, interpretando anche i sentimenti di voi tutti.

Ho incoraggiato questa ripresa in parecchi incontri con l'episcopato italiano e, specialmente, in occasione dell'Assemblea della Conferenza episcopale italiana del maggio 1988, nella quale affermavo: "La ripresa delle Settimane Sociali, che si annuncia ormai prossima, rappresenta per parte sua una grande opportunità di mettere in rapporto l'insegnamento Sociale della Chiesa... con i problemi molteplici che fermentano nella vita della Nazione italiana" (Ai vescovi d'Italia, 3 maggio 1988, n. 6).


2. La ricca tradizione delle passate Settimane Sociali è stata per i cristiani, impegnati a tradurre nel sociale il Vangelo, un punto di riferimento sicuro, e, nel tempo stesso, un'occasione per poter concretizzare la dottrina sociale della Chiesa nelle problematiche del mondo del lavoro operaio e contadino, nei campi della scuola, della famiglia, della cultura, della legislazione sociale, delle istituzioni pubbliche, della solidarietà tra i popoli, dei mezzi di comunicazione sociale e in altri ambiti della vita civile.

L'anno centenario dell'enciclica "Rerum Novarum" è una occasione opportuna perché, in nome dei valori cristiani, si riaffermi la necessità di un'animazione etica della vita sociale, capace di sottrarla al predominio dei puri rapporti di interesse e di forza. Tutto ciò richiede un risveglio di fede che vivifichi la cultura dell'odierna società. Come afferma il vostro "Documento preparatorio" alla XLI Settimana Sociale, il mondo di oggi "ha bisogno di testimoni di un Dio che è Spirito, Padre, Creatore e Signore, che salva e riscatta in Cristo tutti gli uomini, per la sua infinita e gratuita misericordia" ("Documento Preparatorio", n. 27).

Le prospettive della nuova Settimana Sociale si muovono nel contesto degli avvenimenti che hanno profondamente mutato l'Europa in questi ultimi anni.

Avete voluto sottoporre alla riflessione dei cattolici italiani la dimensione europea e i valori intorno ai quali l'integrazione dell'Europa deve essere realizzata, tenendo ben presente il pensiero a cui mi sono richiamato sin dall'inizio del mio Pontificato e che ora ha nuove possibilità di attuazione.

La decisione di porre a tema l'Europa merita particolare apprezzamento in questo momento storico, nel quale la società europea è chiamata a testimoniare le proprie radici cristiane con i suoi valori antropologici, etici, culturali e religiosi. I vostri lavori e le vostre riflessioni possono considerarsi un'utile preparazione al Sinodo dei vescovi europei, che ho annunciato il 22 aprile di quest'anno dal santuario di Velehrad, in Moravia. Ho ricordato, allora, che "I pastori hanno la responsabilità e il carisma di vegliare sul tempo che scorre, per scrutarne i segni e trarne le indicazioni opportune circa il cammino da compiere.

Quali umili servitori della verità di Dio, che è Signore della storia, noi vogliamo offrire i nostri occhi per vedere, i nostri orecchi per udire e i nostri cuori per amare il sapiente disegno della Provvidenza".

Non meno necessaria è l'opera dei laici, cui compete primariamente l'impegno nelle realtà terrene, per preparare con riflessioni appropriate sugli avvenimenti sociali, economici, politici e culturali il contributo dei cattolici italiani alla nuova evangelizzazione e alla "nuova giovinezza" dell'Europa.


3. Incoraggio e benedico il vostro impegno. Auspico che il ripristino delle Settimane Sociali dia la possibilità di affrontare e, possibilmente, anticipare i temi dell'odierno dibattito socio-culturale, quale premessa di uno sforzo concorde e costruttivo che persegua insieme il bene dell'Italia e dell'Europa.

In questo vostro cammino confidate sempre nella protezione e nell'aiuto dei santi patroni d'Europa, Benedetto, Cirillo e Metodio, e nella materna intercessione della Vergine Maria. Di questi voti è pegno la benedizione apostolica che di cuore imparto a voi e a quanti condividono la vostra sollecitudine.

Data: 1990-12-03

Data estesa:Lunedi 3 Dicembre 1990

Alla Marina Militare italiana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Trepidazione per le tensioni nel Golfo e nel Medio Oriente e preghiera perché si cerchi la soluzione delle controversie




1. In occasione della festa di santa Barbara, vostra celeste Patrona, sono lieto di incontrarmi con voi, cari marinai d'Italia, in questa Basilica Vaticana, sorta sul sepolcro di san Pietro, ch'era pescatore e uomo di mare. Saluto tutte le autorità militari qui presenti. Saluto il capo di Stato Maggiore, ammiraglio Filippo Ruggiero e con lui tutti i componenti la Marina Militare: comandanti, ammiragli, ufficiali, sottufficiali, marinai di ogni ordine e grado, insieme con i "Solini Blù" dei Marinai in congedo.

Saluto, in particolare, il vostro arcivescovo, mons. Giovanni Marra, ordinario militare per l'Italia, i cappellani militari, le suore degli Ospedali della Marina, le sorelle Volontarie della Croce Rossa Italiana, le rappresentanti dell'Associazione "Per l'assistenza spirituale delle forze armate" (PASFA), i catechisti, i membri dei Consigli pastorali locali e di zona costituitisi in questi anni nell'ambito dell'Ordinariato Militare.


2. Queste molteplici presenze indicano chiaramente che la Marina Militare è parte significativa d'una più vasta famiglia, la Chiesa di Dio che è tra i Militari d'Italia.

Con la costituzione apostolica "Spirituali Militum Curae" del 1986, il vostro Ordinariato ha, infatti, acquistato la configurazione giuridica di diocesi e, perciò, la fisionomia pastorale di una Chiesa particolare. Insieme con tutti i fratelli che dedicano l'intera vita o parte di essa al servizio della Patria, voi costituite una Chiesa diocesana nata per confortare con la grazia divina le vostre peculiari condizioni di vita.

Amate questa giovane Chiesa che è la vostra diocesi; fate rifluire in essa i doni spirituali che avete ricevuto nelle vostre parrocchie di origine; sviluppate il senso di appartenenza ecclesiale e di operosa corresponsabilità collaborando generosamente alle sue iniziative di formazione e di apostolato.

Promuovendo una sempre più intensa comunione ecclesiale, voi realizzate la "nuova evangelizzazione" nel vostro ambiente di vita: il Vangelo ha, infatti, bisogno di concorde e coerente testimonianza per raggiungere - con rinnovata efficacia - i vostri compagni incerti o distratti e chiamarli a pienezza di vita umana e cristiana.


3. La Marina Militare assolve al compito di garantire la sicurezza e la difesa della comunità nazionale e del territorio, che è diritto e dovere di ogni Stato.

Oltre all'attività quotidiana per la sicurezza della navigazione e la salvaguardia ecologica, essa si è resa benemerita per i tempestivi interventi di soccorso, in occasione di calamità naturali. Ha pure reso preziosi servizi, in questi anni, alla pacifica convivenza internazionale con le operazioni di soccorso dei profughi e con le missioni di pace.

Le vostre navi sono ora presenti anche nel Golfo Persico. La comune trepidazione per gli uomini e le donne che vivono in quella regione si fa preghiera fervida al Signore, principe della pace, perché si allenti la tensione in tutto il Medio Oriente e si cerchi nel dialogo la soluzione delle controversie.

I compiti istituzionali della Marina comportano frequenti trasferimenti, impongono adattamenti talora faticosi. Ai vostri familiari - anch'essi significativamente presenti all'odierno incontro - desidero rivolgere il mio incoraggiamento e assicurare la mia preghiera per la soluzione dei loro problemi.


4. Rivolgo, in particolare, una parola ai giovani in servizio di leva nella Marina Militare. Carissimi, non considerate perduto o infruttuoso questo tempo. Non esistono periodi privi di senso, quando si sa valorizzare positivamente ogni circostanza per la crescita della propria formazione ed esperienza personale. Il tempo del servizio militare vi offre l'occasione preziosa per trovare o consolidare orientamenti ideali e morali per la vostra vita. Nel linguaggio marinaio si potrebbe dire che è tempo opportuno per "scegliere la rotta" di un'autentica crescita umana e cristiana.

Voi, giovani, sappiate che l'ambiente militare, dove ora vi trovate, è anche un luogo di testimonianza cristiana e di evangelizzazione. Operate in stretto rapporto col vostro cappellano militare e con la comunità cristiana che si forma intorno a lui. Vi invito a non trascurare queste possibilità di apostolato che il mondo militare vi offre.

Negli antichi documenti della tradizione cristiana, la Chiesa viene spesso presentata come la barca di Pietro che segue le coordinate del Vangelo di Gesù. State su questa barca e seguite con fiducia la rotta della Chiesa, senza lasciarvi incantare da suggestioni facili, ma, alla fine, deludenti. Partecipate attivamente alle iniziative pastorali che vengono proposte nei reparti e nei luoghi di formazione. Vi troverete il senso della vita e la gioia della fede. Vi sia di esempio la santa martire Barbara, vostra patrona, che ha saputo testimoniare la sua fede cristiana con il sacrificio della vita.


5. Carissimi marinai, per superare incertezze e pericoli nella navigazione della vostra vita, guardate a Maria, che i naviganti invocano come Stella del mare. Alla sua materna protezione e al patrocinio di santa Barbara raccomando tutti voi e i vostri cari. Vi accompagni sempre la mia apostolica benedizione.

Data: 1990-12-04

Martedi 4 Dicembre 1990





Ai partecipanti alla celebrazione nel XXV della dichiarazione "Nostra Aetate" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cristiani ed ebrei stanno camminando nel reciproco rispetto

Vostre Eminenze, Vostre Eccellenze, Illustri Ospiti,


1. Come delegati del Comitato Ebraico Internazionale per le Consultazioni Interreligiose e membri della Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo, siete venuti insieme per commemorare il XXV Anniversario della Dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II. In realtà, ciò che state celebrando non è niente altro che la divina misericordia che guida Cristiani ed Ebrei verso la comprensione reciproca, il rispetto, la cooperazione e la solidarietà. Cosciente di condividere la stessa speranza e le stesse promesse fatte ad Abramo e ai suoi discendenti, sono veramente lieto di accogliervi in questa casa! "Baruch ha-ba-be-Shem Adonai!", "Benedetto colui che viene nel nome del Signore" (Ps 118,26).


2. Il breve ma significativo Documento Nostra Aetate ha occupato un posto importante nel lavoro del Concilio. Dopo venticinque anni esso non ha perduto nulla della sua vitalità. L'efficacia del Documento ed il suo durevole interesse derivano dal fatto che esso parla a tutti i popoli e riguardo a tutti i popoli da una prospettiva religiosa, prospettiva che è la più profonda e misteriosa delle molte dimensioni della persona umana, l'immagine del Creatore (cfr. Gn 1,26).

L'apertura universale di Nostra Aetate, comunque, è ancorata e trae il suo orientamento da un alto senso della singolarità assoluta della scelta di Dio di un particolare popolo, "il suo" popolo, Israele secondo la carne, già chiamato "Chiesa di Dio" (LG 9 cfr. Ne 13,1; cfr. Nb 20,4 Dt 23,1ss). così la riflessione della Chiesa sulla sua missione e sulla sua vera natura è intrinsecamente legata alla riflessione sulla stirpe di Abramo e sulla natura del popolo giudaico (cfr. NAE 4). La Chiesa è pienamente cosciente che le Sacre Scritture portano testimonianza che il popolo ebreo, questa comunità di fedeli e custodi di una tradizione antica migliaia di anni, è una parte essenziale del "mistero" della rivelazione e della salvezza. Nel nostro tempo molti scrittori cattolici hanno parlato di quel "mistero" che è nel popolo ebreo: tra questi Geremia Bonomelli, Jacques Maritain e Thomas Merton.

La Chiesa perciò, soprattutto tramite i suoi studiosi biblici e i suoi teologi, ma anche attraverso altri scrittori, artisti e catechisti, continua a meditare e ad esprimere più completamente il suo pensiero sul mistero di questo popolo. Sono lieto che la Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo stia intensamente promuovendo studi su questo tema in un contesto teologico ed esegetico.


3. Quando consideriamo la tradizione giudaica vediamo quanto voi veneriate profondamente le Sacre Scritture, il Migra e, in particolare la Torah. Voi vivete in uno speciale rapporto con la Torah, l'insegnamento vivo del Dio vivente. La studiate con amore nel Talmud Torah, così come la mettete in pratica con gioia. Il suo insegnamento sull'amore, sulla giustizia e sulla legge è reiterato nei Profeti - Nevi'im, e nel Ketuvim. Dio, la sua santa Torah, la liturgia della sinagoga e le tradizioni delle famiglie, la Terra di santità, sono sicuramente ciò che caratterizza il vostro popolo dal punto di vista religioso. E queste sono cose che costituiscono il fondamento del nostro dialogo e della nostra cooperazione.

Al centro della Terra Santa, quasi come suo cuore consacrato, giace Gerusalemme. E' una Città sacra per tre grandi religioni, per gli Ebrei, i Cristiani e i Musulmani. Il suo stesso nome evoca la pace. Vorrei che vi uniste in una preghiera quotidiana per la pace, la giustizia e il rispetto dei fondamentali diritti umani e religiosi dei tre popoli, le tre comunità di fedeli che abitano quell'amata Terra.


4. Nessun dialogo tra Cristiani e Ebrei può trascurare la dolorosa e terribile esperienza dello Shoah. Durante l'incontro a Praga, nel settembre di quest'anno, la Commissione Internazionale d'Unione Giudaico-Cattolica considero a lungo le dimensioni religiosa e storica dello Shoah e dell'antisemitismo, e giunse a conclusioni che sono di grande importanza per la continuazione del nostro dialogo e della nostra cooperazione. Spero che queste possano essere largamente riconosciute e che le raccomandazioni allora formulate saranno rese effettive laddove i diritti umani e religiosi sono violati.

Possa Dio concedere che la commemorazione del XXV Anniversario di Nostra Aetate porti nuovi risultati di rinnovamento spirituale e morale per noi e per il mondo. Possa essa portare su tutti i frutti di cooperazione nella promozione di giustizia e di pace. Nel Talmud babilonese leggiamo: "Il mondo poggia su una sola colonna che è l'uomo giusto" (Hagigagh, 12b). Nel Vangelo Gesù Cristo ci dice che beati sono gli operatori di pace (cfr. Mt 5,9). Che la giustizia e la pace riempiano i vostri cuori e guidino i vostri passi verso la pienezza della redenzione per tutti i popoli e per l'universo intero. Che Dio ascolti le nostre preghiere! (Traduzione dall'ingIese)

Data: 1990-12-06

Giovedi 6 Dicembre 1990



Al gruppo parlamentare del Partito Popolare Europeo - Necessita un'Europa unita consapevole delle radici cristiane



Signor Presidente, Signore, Signori, In occasione della vostra riunione di lavoro che si terrà a Roma, alla vigilia di conferenze intergovernamentali importanti per il futuro dell'Europa, avete manifestato di voler essere ricevuti dal Papa. Apprezzo questo gesto di fiducia ed è per me una gioia acconsentire a questa udienza proprio quando nel mondo sono in atto profondi cambiamenti e nascono nuove speranze.

Il gruppo del Partito Popolare Europeo che voi rappresentate si è soffermato a lungo sugli argomenti da discutere nelle riunioni del Consiglio Europeo e nelle conferenze che presto avranno luogo a Roma e che dovrebbero permettere alla Comunità di fare un notevole passo avanti.

Dalla fine della seconda guerra mondiale la Santa Sede ha sempre incoraggiato la progressiva costruzione dell'Europa. Cosciente delle tragedie del passato e della necessità di preservare la libertà e la pace dei popoli europei, la Chiesa, in quanto Sede apostolica e Comunità cattolica, è consapevole dei numerosi sforzi fatti per raggiungere il benessere materiale, spirituale e culturale di tutti i Paesi del continente. Dopo aver partecipato, in qualità di membro, alla Conferenza di Helsinki e aderito all'Atto finale, la Santa Sede ha potuto sottoscrivere, il 21 novembre scorso, nella città di Parigi, il documento storico che suggella il rifiuto dei popoli europei alla guerra e getta le basi di un'Europa nuova.

In questo secolo in un susseguirsi di avvenimenti più volte segnati da sanguinosi conflitti, l'Europa ha chiuso un capitolo della sua storia; essa supera oggi ogni frontiera e rifiuta la logica dell'opposizione ideologica, politica e militare fra i due blocchi. In un mondo sempre più interdipendente, i responsabili delle Nazioni di questo vecchio continente devono stabilire lo spazio in cui i popoli del Centro e dell'Est avranno uno sviluppo solidale. Tale sviluppo rischia d'essere compromesso anche in tutte le regioni oggetto di un rapido e costante progresso.

Siete qui, Signori, Signore, e i rappresentanti dei dodici Paesi di una comunità che, 33 anni dopo la sottoscrizione dei Trattati di Roma, entra in una fase di accelerazione del processo d'integrazione immaginato e voluto dai padri fondatori e a cui va il merito d'aver gettato le basi di questa Europa sulle rovine di un conflitto che coinvolse il mondo intero.

La concezione cristiana dell'uomo ha ispirato questa costruzione e, in particolare, una tradizione certa del rispetto e della difesa dei diritti umani.

Il mondo necessita di un'Europa che riprenda coscienza delle sue origini cristiane e della sua identità. I cristiani, in particolare gli uomini politici cristiani, oggi più che mai devono prendere coscienza delle loro responsabilità in Europa come nel resto del mondo. Essi devono rappresentare la forza che impedisce all'umanità di distruggersi e che la rinnova interiormente. Sebbene i trattati di pace e le nuove forme di collaborazione e di amicizia fra Paesi, fino allora antagonisti, abbiano instillato delle speranze, sussistono forti inquietudini a causa della situazione economica mondiale e della notevole differenza fra il Nord ed il Sud.

In questo contesto l'Europa cerca di apportare un contributo decisivo per superare in maniera efficace e radicale la crisi mondiale. Tutto ciò comporta un profondo rinnovamento morale e politico che trova fondamento nella forza e nei criteri delle origini cristiane europee.

E' mia convinzione che i parlamentari europei, che rappresentano circa 350 milioni di cittadini, dalla riunione delle due Germanie, saranno in grado di raccogliere e di soddisfare le esigenze e le speranze di tutte quelle persone che aspirano alla pace, al benessere e alla vera democrazia. La vostra Assemblea, eletta a suffragio universale, deve poter esercitare a pieno il proprio mandato per essere al servizio di tutti ed assicurare il bene comune dei Paesi che ne sono membri.

Il bene comune dei popoli non abbraccia solo le condizioni economiche e la pace nel mondo, ma l'insieme delle condizioni della vita in società che permettono all'uomo di esprimere la sua cultura, di accedere ad un impiego, di unirsi alla famiglia, di rispondere alle proprie aspirazioni spirituali. L'Europa del "grande mercato" che dovrebbe offrire la possibilità di crescita, non è in grado di garantire lo sviluppo integrale ai suoi abitanti se essa stessa non trova la sua anima, quel soffio che ne rende possibile la coesione spirituale e non solo di natura economica e sociale. Nel corso della mia visita al Parlamento europeo, nell'ottobre del 1988, nell'emiciclo in cui voi lavorate a questo grandioso progetto, io ho espresso la speranza "che un giorno l'Europa possa abbandonarsi alle reali dimensioni che la geografia e la storia in particolare hanno segnato su questo continente". Io pronunciavo queste parole in quanto Pastore della Chiesa universale venuto dall'Europa centrale e che era a conoscenza delle aspirazioni dei popoli slavi, altro "polmone" della nostra patria europea.

Gli avvenimenti susseguitisi in questi ultimi mesi secondo gli insondabili disegni della Provvidenza, hanno mostrato che era possibile sfondare obbiettivi ritenuti irraggiungibili. "Il momento è propizio - come ho già detto nel gennaio scorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede - per raccogliere le pietre dei muri abbattuti e costruire insieme la casa comune".

Con i vostri colleghi d Paesi e partiti politici diversi dovete raccogliere la sfida lanciata al vecchio continente alla fine di questo secolo: che l'Europa unita di domani, generosa verso l'emisfero meridionale, possa ritrovare, alla luce dei valori umani e cristiani, il suo ruolo di guida della stessa civiltà che in passato l'ha resa grande. Prego Dio affinché possa ispirarvi e darvi la forza di compiere la vostra missione.

(Traduzione dal francese)

Data: 1990-12-07

Venerdi 7 Dicembre 1990




Il Messaggio per la Giornata mondiale della pace 1991

Titolo: "Se vuoi la pace rispetta la coscienza di ogni uomo"

I molti popoli che formano l'unica famiglia umana cercano oggi, sempre più frequentemente, l'effettivo riconoscimento e la tutela giuridica della libertà di coscienza, la quale è essenziale per la libertà di ogni essere umano. A diversi aspetti di questa libertà, fondamentale per la pace nel mondo, ho già dedicato due Messaggi per la Giornata mondiale della pace.

Per il 1988 invitai a riflettere con me sulla libertà religiosa. La garanzia del diritto a esprimere pubblicamente e in tutti gli ambiti della vita civile le proprie convinzioni religiose costituisce un elemento indispensabile della pacifica convivenza tra gli uomini. "La pace" - scrissi in quell'occasione - "affonda le proprie radici nella libertà e nell'apertura delle coscienze alla verità" (8 dicembre 1987). L'anno seguente continuai tale riflessione proponendo alcuni pensieri sulla necessità di rispettare i diritti delle minoranze civili e religiose, "una delle questioni più delicate della società contemporanea..., perché essa riguarda tanto l'organizzazione della vita sociale e civile all'interno di ciascun Paese, quanto la vita della Comunità internazionale" (8 dicembre 1988). Quest'anno desidero considerare specificamente l'importanza del rispetto della coscienza di ogni persona, quale necessario fondamento per la pace nel mondo.

I - Libertà di coscienza e pace Gli avvenimenti dell'anno scorso, in effetti, hanno conferito una nuova urgenza al bisogno di intraprendere passi concreti al fine di assicurare il pieno rispetto della libertà di coscienza, tanto sul piano legale quanto su quello delle relazioni umane. Tali rapidi cambiamenti attestano in maniera assai chiara che la persona non può essere trattata come una specie di oggetto, governato esclusivamente da forze al di fuori del suo controllo. Al contrario, essa, nonostante la sua fragilità, non è priva della capacità di cercare e di conoscere liberamente il bene, di riconoscere e di respingere il male, di scegliere la verità e di opporsi all'errore. Dio, infatti, creando la persona umana, ha inscritto nel suo cuore una legge che ognuno può scoprire (cfr. Rm 2,15), e la coscienza è proprio la capacità di discernere e di agire secondo questa legge: obbedire ad essa è la dignità stessa dell'uomo (cfr. GS 16).

Nessuna autorità umana ha il diritto di intervenire nella coscienza di alcun uomo. Questa è il testimone della trascendenza della persona anche nei confronti della società e, come tale, è inviolabile. Essa, pero, non è un assoluto, posto al di sopra della verità e dell'errore; anzi, la sua intima natura implica il rapporto con la verità obiettiva, universale e uguale per tutti, che tutti possono e devono cercare. In questo rapporto con la verità obiettiva la libertà di coscienza trova la sua giustificazione, in quanto condizione necessaria per la ricerca della verità degna dell'uomo e per l'adesione ad essa, quando è stata adeguatamente conosciuta. Ciò implica, a sua volta, che tutti devono rispettare la coscienza di ognuno e non cercare di imporre ad alcuno la propria "verità", restando integro il diritto di professarla, senza per questo disprezzare chi la pensa diversamente. La verità non si impone che in virtù di se stessa.

Negare a una persona la piena libertà di coscienza e in particolare la libertà di cercare la verità, o tentare di imporle un particolare modo di comprendere la verità, va contro il suo diritto più intimo. Ciò provoca, altresi, un aggravamento delle animosità e delle tensioni, che rischiano di sfociare o in relazioni difficili e ostili all'interno della società o persino in un conflitto aperto. E' insomma a livello di coscienza che si pone e può essere più efficacemente affrontato il problema di assicurare una pace solida e duratura.

II - La verità assoluta si trova solo in Dio La garanzia dell'esistenza della verità obiettiva risiede in Dio, Verità assoluta, e la ricerca della verità si identifica, sul piano obiettivo, con la ricerca di Dio. Basterebbe questo per dimostrare l'intimo rapporto esistente tra libertà di coscienza e libertà religiosa. D'altra parte, si spiega così perché la negazione sistematica di Dio e l'istituzione di un regime, del quale questa negazione sia un elemento costitutivo, sono diametralmente contrarie alla libertà di coscienza, come anche alla libertà di religione. Chi, invece, riconosce il rapporto tra la verità ultima e Dio stesso, riconoscerà anche ai non credenti il diritto, oltre che il dovere, della ricerca della verità, che potrà condurli alla scoperta del mistero divino e alla sua umile accettazione.

III - Formazione della coscienza Ogni individuo ha il grave dovere di formare la propria coscienza alla luce della verità obiettiva, la cui conoscenza non è negata ad alcuno né può essere impedita da alcuno. Rivendicare per se stessi il diritto di agire secondo la propria coscienza, senza riconoscere, al tempo stesso, il dovere di cercare di conformarla alla verità e alla legge inscritta nei nostri cuori da Dio stesso, vuol dire in realtà far prevalere la propria limitata opinione. Ciò è ben lungi dal costituire un valido contributo alla causa della pace nel mondo. Al contrario, la verità va perseguita appassionatamente e vissuta al meglio delle proprie capacità. Questa sincera ricerca della verità porta non solo a rispettare la ricerca degli altri, ma anche al desiderio di ricercare insieme.

Nell'importante compito di formazione della coscienza, la famiglia riveste un ruolo primario. E' grave dovere dei genitori aiutare i propri figli, fin dalla più tenera età, a cercare la verità e a vivere in conformità ad essa, a cercare il bene e a promuoverlo.

Fondamentale, inoltre, per la formazione della coscienza è la scuola, in cui il bambino e il giovane entrano in contatto con un mondo più vasto e spesso diverso dall'ambiente familiare. L'educazione di fatto non è mai moralmente indifferente, anche quando tenta di proclamare la sua "neutralità" etica e religiosa. Il modo in cui i bambini e i giovani vengono formati ed educati riflette necessariamente taluni valori, che influiscono sul modo con cui essi sono portati a comprendere gli altri e la società intera. In accordo, quindi, con la natura e la dignità della persona umana e con la legge di Dio, i giovani, nel loro itinerario scolastico, devono essere aiutati a discernere e a ricercare la verità, ad accettare le esigenze e i limiti della vera libertà, a rispettare l'analogo diritto degli altri.

La formazione della coscienza resta compromessa, se manca una profonda educazione religiosa. Come può un giovane capire appieno le esigenze della dignità umana senza fare riferimento alla fonte di questa dignità, a Dio creatore? A questo riguardo, il ruolo della famiglia, della Chiesa cattolica, delle Comunità cristiane e delle altre istituzioni religiose resta primordiale, e lo Stato, conformemente alle norme e alle dichiarazioni internazionali, deve assicurare e facilitare i loro diritti in questo campo. A loro volta, la famiglia e le comunità religiose devono avvalorare e approfondire sempre di più il loro impegno per la persona umana e i suoi valori obiettivi.

Tra le molte altre istituzioni e organismi che svolgono un ruolo specifico nella formazione della coscienza, sono da ricordare anche i mezzi di comunicazione sociale. Nell'attuale mondo di rapida comunicazione i mass-media possono svolgere un ruolo estremamente importante, anzi essenziale, nel promuovere la ricerca della verità evitando di presentare soltanto gli interessi limitati di questa o quella persona, di questo o quel gruppo o ideologia. Tali mezzi costituiscono spesso l'unica fonte di informazione per un numero sempre maggiore di persone. Come, dunque, devono essere usati responsabilmente a servizio della verità! IV - L'intolleranza: una seria minaccia per la pace Una seria minaccia per la pace è costituita dall'intolleranza, che si manifesta nel rifiuto della libertà di coscienza degli altri. Dalle vicende della storia abbiamo appreso dolorosamente a quali eccessi può essa condurre.

L'intolleranza può insinuarsi in ogni aspetto della vita sociale, manifestandosi nell'emarginazione o oppressione delle persone e minoranze, che cercano di seguire la propria coscienza per quanto riguarda i loro legittimi modi di vivere. Nella vita pubblica l'intolleranza non lascia spazio alla pluralità delle scelte politiche o sociali, imponendo così su tutti una visione uniforme dell'organizzazione civile e culturale.

Per quanto riguarda l'intolleranza religiosa, non si può negare che, malgrado il costante insegnamento della Chiesa cattolica, secondo il quale nessuno deve essere costretto a credere (cfr. DH 12), nel corso dei secoli non poche difficoltà e persino conflitti sono sorti tra i cristiani e i membri di altre religioni (cfr. NAE 3). Il Concilio Vaticano II lo ha riconosciuto formalmente, affermando che "nella vita del popolo di Dio, pellegrinante attraverso le vicissitudini della storia umana, di quando in quando si è avuto un modo di agire meno conforme allo spirito evangelico" (DH 12).

Ancor oggi resta molto da fare per superare l'intolleranza religiosa, la quale è strettamente legata, in diverse parti del mondo, all'oppressione delle minoranze. Siamo, purtroppo, testimoni di tentativi per imporre ad altri una particolare idea religiosa sia direttamente, grazie a un proselitismo che fa ricorso a mezzi di vera e propria coercizione, sia indirettamente, mediante la negazione di certi diritti civili o politici. Assai delicate sono le situazioni in cui una norma specificamente religiosa diventa, o tende a diventare, legge dello Stato, senza che si tenga in debito conto la distinzione tra le competenze della religione e quelle della società politica. Identificare la legge religiosa con quella civile può effettivamente soffocare la libertà religiosa e, persino, limitare o negare altri inalienabili diritti umani. A questo riguardo, vorrei ripetere ciò che affermai nel Messaggio per la Giornata della pace del 1988: "Anche nel caso in cui uno Stato attribuisca una speciale posizione giuridica a una determinata religione, è doveroso che sia legalmente riconosciuto ed effettivamente rispettato il diritto di libertà di coscienza di tutti i cittadini, come pure degli stranieri che vi risiedono, anche temporaneamente, per motivi di lavoro o altri" (8 dicembre 1987). Ciò vale anche per i diritti civili e politici delle minoranze e per quelle situazioni in cui un esasperato laicismo, in nome del rispetto della coscienza, impedisce di fatto ai credenti il diritto di esprimere pubblicamente la propria fede.

L'intolleranza può essere anche il frutto di un certo fondamentalismo, che costituisce una tentazione ricorrente. Esso può facilmente condurre a gravi abusi, quali la soppressione radicale di ogni pubblica manifestazione di differenza o, addirittura, il rifiuto della libertà di espressione in quanto tale.

Anche il fondamentalismo può portare all'esclusione dell'altro dalla vita civile o, in campo religioso, a misure coercitive di "conversione". Per quanto si possa avere a cuore la verità della propria religione, ciò non dà a nessuna persona o gruppo il diritto di tentare di reprimere la libertà di coscienza di quanti hanno altre convinzioni religiose, o di indurli a falsare la loro coscienza offrendo o negando determinati privilegi e diritti sociali, se essi cambiano la propria religione. In altri casi, si arriva a impedire alle persone, persino con l'applicazione di severe misure penali, di scegliere liberamente una religione diversa da quella a cui al momento appartengono. Simili manifestazioni di intolleranza evidentemente non promuovono la pace nel mondo.

Per eliminare gli effetti dell'intolleranza, non basta "proteggere" le minoranze etniche o religiose, riducendole così alla categoria di minori civili o di individui sotto tutela dello Stato. Ciò potrebbe risolversi in una forma di discriminazione che ostacola, anzi impedisce lo sviluppo di una società armonica e pacifica. Piuttosto, va riconosciuto e garantito l'insopprimibile diritto di seguire la propria coscienza e di professare, e di praticare, da soli o comunitariamente, la propria fede, sempre che non siano violate le esigenze dell'ordine pubblico.

Paradossalmente coloro che in precedenza sono stati vittime di varie forme di intolleranza possono correre il rischio di creare, a loro volta, nuove situazioni di intolleranza. La fine di lunghi periodi di repressione in alcune parti del mondo, durante i quali non è stata rispettata la coscienza di ciascuno ed è stato soffocato quanto vi era di più prezioso per la persona, non deve diventare occasione per nuove forme di intolleranza, per quanto difficile possa essere la riconciliazione con l'antico oppressore.

La libertà di coscienza, rettamente concepita, per sua stessa natura è sempre ordinata alla verità. Pertanto essa conduce non all'intolleranza, ma alla tolleranza e alla riconciliazione. Questa tolleranza non è una virtù passiva, poiché ha le sue radici in un amore operoso e tende a trasformarsi e a divenire un positivo impegno per assicurare la libertà e la pace a tutti.

V - La libertà religiosa: una forza per la pace L'importanza della libertà religiosa mi induce a ribadire che il diritto alla libertà religiosa non è semplicemente uno fra gli altri diritti umani; "anzi questo è il più fondamentale, perché la dignità di ogni persona ha la sua prima fonte nel suo rapporto essenziale con Dio creatore e padre, alla cui immagine e somiglianza è stata creata, perché dotata di intelligenza e di libertà" (10 marzo 1984). "La libertà religiosa, esigenza insopprimibile della dignità di ogni uomo, è una pietra angolare dell'edificio dei diritti umani" (8 dicembre 1987) e, perciò, è l'espressione più profonda della libertà di coscienza.

Non si può ignorare che il diritto alla libertà religiosa tocca l'identità stessa della persona. Uno degli aspetti più significativi, che caratterizzano il mondo di oggi, è il ruolo della religione nel risveglio dei popoli e nella ricerca della libertà. In molti casi è stata la fede religiosa a mantenere intatta e persino a rafforzare l'identità di interi popoli. Nelle Nazioni in cui la religione è stata ostacolata o, addirittura, perseguitata nel tentativo di relegarla tra i fenomeni superati del passato, essa si è di nuovo rivelata come potente forza liberatrice.

La fede religiosa è così importante per i popoli e i singoli individui, che in molti casi si è pronti a qualsiasi sacrificio per salvaguardarla. In effetti, ogni tentativo di reprimere o sopprimere ciò che una persona ha di più caro rischia di sfociare in aperta o latente ribellione.

VI - La necessità di un giusto ordine legale Nonostante le varie dichiarazioni in campo nazionale e internazionale, le quali proclamano il diritto alla libertà di coscienza e di religione, si hanno tuttora troppi tentativi di repressione religiosa. Senza una concomitante garanzia giuridica mediante appropriati strumenti, tali dichiarazioni sono destinate troppo spesso a rimanere lettera morta. Sono da apprezzare, pertanto, i rinnovati sforzi che si stanno facendo per dare maggior vigore al regime legale esistente mediante la creazione di nuovi ed efficaci strumenti, idonei a consolidare la libertà religiosa. Questa piena protezione legale deve effettivamente escludere ogni coercizione religiosa, come un serio ostacolo alla pace. Al contrario, "il contenuto di una tale libertà è che tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire secondo la sua coscienza privatamente e pubblicamente, sia in forma individuale che associata" (DH 2).

Il presente momento storico rende urgente il rafforzamento degli strumenti giuridici atti a promuovere la libertà di coscienza anche in campo politico e sociale. A questo riguardo, il graduale e continuo sviluppo di un regime legale internazionalmente riconosciuto potrà costituire una delle basi più sicure per la pace e per l'ordinato progresso della famiglia umana. Nello stesso tempo, è essenziale che siano intrapresi sforzi paralleli a livello nazionale e anche regionale, per assicurare che tutte le persone, ovunque dimorino, siano protette da norme legali riconosciute sul piano internazionale.

Lo Stato ha l'obbligo non solo di riconoscere la fondamentale libertà di coscienza, ma di promuoverla, sempre pero alla luce della legge morale naturale e delle esigenze del bene comune, oltre che nel rispetto della dignità di ogni uomo.

In proposito, giova ricordare che la libertà di coscienza non dà diritto a una indiscriminata pratica dell'obiezione di coscienza. Quando una pretesa libertà si trasforma in licenza o in pretesto per limitare i diritti altrui, lo Stato ha l'obbligo di proteggere, anche legalmente, i diritti inalienabili dei suoi cittadini contro tali abusi.

Vorrei rivolgere uno speciale e pressante appello a quanti hanno pubbliche responsabilità - siano essi capi di Stato o di governo, legislatori, magistrati e altri - perché assicurino con tutti i mezzi necessari l'autentica libertà di coscienza di tutti coloro che risiedono nell'ambito della loro giurisdizione, con particolare attenzione ai diritti delle minoranze. Ciò, oltre che essere una questione di giustizia, serve a promuovere lo sviluppo di una società pacifica e armonica. Infine, sembra quasi superfluo riaffermare che gli Stati hanno il rigoroso obbligo morale e legale di osservare gli accordi internazionali, da loro sottoscritti.

VII - Una società e un mondo pluralistico L'esistenza di norme internazionali riconosciute non esclude che possano esserci certi regimi o sistemi di governo rispondenti ad una specifica realtà socio-culturale. Questi regimi, tuttavia, devono assicurare piena libertà di coscienza ad ogni cittadino e non possono in nessun modo costituire un pretesto per negare o restringere i diritti universalmente riconosciuti.

Ciò è tanto più vero se si considera che nel mondo di oggi raramente l'intera popolazione di un Paese appartiene ad una stessa convinzione religiosa o a una stessa etnia o cultura. Le migrazioni di massa e i movimenti di popolazione stanno portando a una società multi-culturale e multi-religiosa in varie parti del mondo. In tale contesto il rispetto della coscienza di tutti assume una nuova urgenza e presenta nuove sfide alla società nei suoi settori e strutture, nonché ai legislatori e ai governanti.

Come si devono rispettare in un Paese le differenti tradizioni, costumi e modi di vita, doveri religiosi, mantenendo l'integrità della propria cultura? Come deve una cultura socialmente dominante accettare e integrare i nuovi elementi senza perdere la propria identità e senza creare frizioni? La risposta a queste difficili domande si può trovare in un'attenta educazione al rispetto della coscienza dell'altro, con mezzi quali la conoscenza di altre culture e religioni e l'equilibrata comprensione delle diversità esistenti. Quale miglior mezzo di unità nella diversità, se non l'impegno di tutti nella comune ricerca della pace e nella comune affermazione della libertà, che illumina e valorizza la coscienza di ognuno? E' anche auspicabile, per un'ordinata convivenza civile, che le varie culture presenti si rispettino e si arricchiscano mutuamente. Un vero impegno di inculturazione giova anche alla reciproca comprensione tra le religioni.

Nell'ambito di questa comprensione tra le religioni, molto è stato compiuto in anni recenti per promuovere un'attiva collaborazione nei compiti che l'umanità deve affrontare insieme sulla base dei tanti valori che le grandi religioni hanno in comune. Desidero incoraggiare questa collaborazione ovunque sia possibile, nonché i dialoghi ufficiali che sono in corso tra i rappresentanti dei maggiori gruppi religiosi. Al riguardo, la Santa Sede ha un organismo - il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso - che ha la specifica finalità di promuovere il dialogo e la collaborazione con le altre religioni, sempre pero nell'assoluta fedeltà all'identità cattolica e nel pieno rispetto di quella altrui.

Sia la collaborazione che il dialogo interreligioso, quando avvengono con fiducia, deferenza e sincerità, rappresentano un contributo alla pace. "L'uomo ha bisogno di sviluppare il suo spirito e la sua coscienza. E' quello che spesso manca all'uomo di oggi. La dimenticanza dei valori e la crisi d'identità, che il nostro mondo attraversa, ci obbligano a un superamento e a un rinnovato sforzo di ricerca e di domanda. La luce interiore, che nascerà così nella nostra coscienza, permetterà di dare senso allo sviluppo, di orientarlo verso il bene dell'uomo, di ogni uomo e di tutti gli uomini, secondo il piano di Dio" (19 agosto 1985). Questa comune ricerca, alla luce della legge della coscienza dei precetti della propria religione, confrontandosi anche con le cause delle presenti ingiustizie sociali e delle guerre, getterà una solida base per la collaborazione nella ricerca delle soluzioni necessarie.

La Chiesa cattolica si è adoperata volentieri per incoraggiare ogni forma di leale collaborazione, in vista della promozione della pace. Essa continuerà soprattutto a dare il suo specifico contributo a tale collaborazione, educando le coscienze dei propri membri all'apertura verso gli altri, al rispetto per gli altri, alla tolleranza, che va di pari passo con la ricerca della verità, e alla solidarietà.

VIII - La coscienza e il cristiano Essendo tenuti a seguire la propria coscienza nella ricerca della verità, i discepoli di Gesù Cristo sanno che non ci si deve affidare soltanto alla propria capacità di discernimento morale. La rivelazione illumina la loro coscienza e fa loro conoscere il grande dono di Dio all'uomo: la libertà (cfr. Si 17,6). Dio non ha soltanto inscritto la legge naturale nel cuore di ciascuno, in quel "nucleo e sacrario più segreto dell'uomo, in cui egli si trova solo con Dio" (GS 16), ma ha rivelato la sua propria legge nella Scrittura. In questa si trova l'invito o, meglio, l'imperativo di amare Dio e di osservare tale sua legge.

Egli ci ha fatto conoscere la sua volontà. Egli ci ha rivelato i suoi comandamenti, ponendoci davanti "la vita e il bene, la morte e il male", e ci chiama a "scegliere la vita... amando il Signore nostro Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoci uniti a lui; poiché è lui la nostra vita e la nostra longevità..." (cfr. Dt 30,15-20). Egli nella pienezza del suo amore rispetta la libera scelta della persona circa i valori supremi di cui è alla ricerca, e in tal modo rivela il suo pieno rispetto per il dono prezioso della libertà della coscienza. Ne sono testimoni le stesse sue leggi, che sono compiuta espressione della sua volontà e della sua assoluta inconciliabilità nei confronti del male morale, e con le quali vuole appunto orientare la ricerca dell'ultimo fine, perché tendono a giovare all'esercizio della libertà, e non già a impedirlo.

Ma non è bastato a Dio manifestare il suo grande amore per il creato e per l'uomo. Egli "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna... Chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio" (Jn 3,16 Jn 3,21). Il Figlio non ha esitato a proclamare di essere la Verità, e ad assicurarci che questa Verità ci avrebbe fatti liberi.

Nella ricerca della verità il cristiano si rivolge alla rivelazione divina, che in Cristo è presente in tutta la sua pienezza. Cristo ha affidato alla sua Chiesa la missione di annunciare questa verità, e la Chiesa ha il dovere di esserle fedele. Il mio più grave impegno, come successore di Pietro, è precisamente quello di assicurare questa costante fedeltà, confermando nella fede i miei fratelli e sorelle (cfr. Lc 22,32).

Il cristiano più di ogni altro deve sentirsi obbligato a conformare la propria coscienza alla verità. Di fronte allo splendore del dono gratuito della rivelazione di Dio in Cristo, quanto umile e attento, da parte sua, deve essere l'ascolto della voce della coscienza! Quanto deve egli diffidare della sua limitata luce, quanto dev'essere pronto ad apprendere, quanto lento a condannare! Una delle tentazioni ricorrenti in ogni tempo, anche tra i cristiani, è quella di erigersi a norma della verità. In un'epoca permeata di individualismo questa tentazione può trovare svariate espressioni. Il contrassegno di chi è nella verità, tuttavia, è di amare umilmente. così insegna la parola divina: La verità si fa nella carità (cfr. Ep 4,15).

Pertanto, per la stessa verità che professiamo siamo chiamati a promuovere l'unità e non la divisione, la riconciliazione e non l'odio o l'intolleranza. La gratuità del nostro accesso alla verità ci conferisce la preziosa responsabilità di proclamare soltanto quella verità che porta alla libertà e alla pace per tutti: la Verità incarnata in Gesù Cristo.

Al termine di questo Messaggio, invito tutti a ben riflettere sulla necessità di rispettare la coscienza di ciascuno nel proprio ambiente e alla luce delle proprie specifiche responsabilità. In ogni campo della vita sociale, culturale e politica il rispetto della libertà di coscienza, ordinata alla verità, trova varie, importanti e immediate applicazioni. Cercando insieme la verità, nel rispetto della coscienza degli altri, potremo progredire sulle vie della libertà che sboccano nella pace, secondo il disegno di Dio.

Dal Vaticano, 8 dicembre dell'anno 1990.

Data: 1990-12-08

Sabato 8 Dicembre 1990

La preghiera all'Immacolata - Piazza di Spagna (Roma)

Titolo: "Illumina gli occhi della nostra mente per comprendere la verità del Verbo"

Ave Maria! / Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te. / Ti saluto... ecco concepirai / darai alla luce il Figlio... / che sarà chiamato Figlio dell'Altissimo. / Lo Spirito Santo scenderà su di te / e il Santo che nascerà da te / sarà chiamato Figlio di Dio.

Ave Maria! / Queste parole risuonano ogni anno / in questo centro di Roma, in Piazza di Spagna, / ai piedi del colle, cui fa corona la chiesa / dedicata alla Santissima Trinità: Trinità dei Monti. / Ecco il nostro omaggio all'Immacolata.

Sono parole che nascondono in sé / un mistero inscrutabile: / il mistero di Dio che è Unità nella Trinità: / il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Queste parole celano il Mistero, / e nello stesso tempo lo rivelano. / Soltanto Colei che è "piena di grazia", / che è l'Immacolata, / può accogliere l'insondabile Mistero di Dio; / è capace di "sentirlo" / con tutta la profondità del suo cuore di donna. / Non ha ella forse vissuto nell'ambito di questo Mistero / prima ancora che il messaggero l'avesse rivelato? / Non ha partecipato ad esso sin dall'inizio / mediante la grazia dell'Immacolata Concezione, / per singolare privilegio divino? Maria piena di umiltà! / Maria, tu che sei stata visitata / dalla pienezza della rivelazione, / Maria, a cui Dio stesso ha affidato il suo Mistero / e l'intenzione salvifica nei riguardi del mondo, / ottieni a noi, uomini del XX secolo, / agli abitanti di Roma / e agli stranieri venuti da tutto il mondo, / una nuova sensibilità alle grandi cose di Dio! / Illumina gli occhi della nostra mente / per comprendere la Verità del Verbo / che si è fatto carne / e abita in mezzo a noi! Ottieni alle nostre menti umane, / sedotte dalla ricchezza del mondo creato, / prese dalle cose temporali e caduche, / una nuova fame di Dio, / perché la nostra esistenza terrena / non affondi nel buio, / e perché ritroviamo costantemente la Luce, / la Luce intramontabile della Vita / che è stata concepita in te; / quella Luce che venne nel mondo, / e i suoi non l'accolsero. / Ottieni a noi di accoglierla costantemente / nel mistero del tuo Figlio, il Verbo Eterno, / Gesù Cristo, Redentore del mondo. / Amen!

Data: 1990-12-08

Sabato 8 Dicembre 1990

Ai bambini con distrofie muscolari - Piazza di Spagna (Roma)

Titolo: Aiutiamo il fratello miopatico a recuperare la gioia di vivere

Carissimi bambini.

Con grande affetto vi abbraccio e con voi saluto tutti coloro che sono colpiti da distrofie muscolari. Ringrazio di cuore i promotori dell'iniziativa denominata "Telethon", così altamente umanitaria, che mira a sensibilizzare l'opinione pubblica ai grandi problemi delle miopatie. Desidero far pervenire un cordiale pensiero a quanti, grazie alla RAI, possono collegarsi a questa catena di solidarietà.

La sofferenza mette sempre a nudo l'umana fragilità, ma può ridestare in ogni persona sentimenti di autentica fraternità. Se la malattia bussa alla porta della nostra casa, quanto conforto ci reca il sapere che possiamo contare sul sostegno fattivo e amichevole degli altri! Il mio augurio, allora è che "Telethon" serva ad avvicinare tra loro gli esseri umani, a infrangere i pregiudizi e le barriere psicologiche di ogni tipo. Serva soprattutto a prendere coscienza che ognuno è responsabile dell'altro, specialmente quando, come in questo caso, l'altro - il nostro fratello - soffre e forse solo grazie all'aiuto di tutti può recuperare la gioia di vivere.

Il Signore vi protegga, carissimi fratelli e sorelle, e la Madonna, "Salute degli infermi", sostenga ogni vostro sforzo. In questo clima di Avvento giungano a tutti i miei fervidi auguri per le prossime Feste Natalizie.

Con la mia affettuosa benedizione.

Data: 1990-12-08

Sabato 8 Dicembre 1990

Nella sede del "Il Messaggero" - Roma

Titolo: Accanto a chi soffre ci sia sempre un cuore capace di amare

Ho accolto con gioia l'invito rivoltomi dal direttore, dottor Mario Pendinelli, a sostare nella sede de "Il Messaggero". Saluto con affetto ciascuno di voi, carissimi redattori e redattrici, maestranze e impiegati, che costituite la comunità di questo giornale, accomunata dagli stessi obiettivi e resa quasi una famiglia dalla quotidiana consuetudine del lavoro.

In questa mia breve visita, desidero esprimere volentieri la mia adesione alla campagna di sensibilizzazione e di solidarietà, significativamente denominata "Insieme", che il vostro quotidiano ha promosso contro la droga e per la vita. Voi giustamente proponete ai lettori di prepararsi al Natale ricordandosi di chi soffre. Il Natale è la festa della vita: la droga, invece, è vuoto interiore che cerca evasione e sfocia nel buio dello spirito prima ancora che nella distruzione fisica. Non si esce da questo tunnel di morte solamente grazie a terapie e tecniche particolari. La solidarietà che si fa accoglienza e rispetto, il coraggio che lotta contro il male e una diversa qualità della vita che includa la riscoperta dei valori spirituali: ecco ciò che può prevenire la tentazione della droga - di ogni tipo di droga - ed è in grado di offrire, a chi ne è vittima, un sentiero di recupero e di salvezza. Accanto a chi soffre ci sia sempre un cuore capace di amare. Se la vostra iniziativa riuscirà a veicolare questo messaggio di speranza, la risposta dei lettori non si risolverà in un semplice contributo materiale, ma sarà gesto di interiore conversione e di apertura ai fratelli. Sarà il segno di una vita che cambia e si rinnova nell'amore.

Con questi sentimenti formulo ai presenti, ai lettori de "Il Messaggero", a quanti hanno risposto e risponderanno al vostro appello, come pure alle Associazioni alle quali saranno devolute le offerte raccolte, il mio augurio per le prossime Feste Natalizie. Nell'assicurare un particolare ricordo nella preghiera, di cuore tutti benedico.

Data: 1990-12-08

Sabato 8 Dicembre 1990

A 25 anni dalla fine del Concilio - S. Maria Maggiore (Roma)

Titolo: Nella luce dell'Immacolata l'evento della "nuova Pentecoste"




GPII 1990 Insegnamenti - Ai presidenti delle Confederazioni industriali europee - Città del Vaticano (Roma)